19 giugno 1701 Marco Zen
Dispaccio del 12 aprile 1702
N. (senza numero)
Serenissimo Principe,
le scritte due navi francesi, che approdarono a Fasana, come ho rassegnato in mie humilissime di 6 corrente alla Serenità Vostra si sono introdotte il dì 7 suddetto nel porto di Orsera, dove si attrovava una peota di Buccari, e penetrato che dal patrone d’essa fossero stati riposti gli armisi in casa d’uno di quei sudditi, fecero sbarco di gente e s’introdussero in quel castello, levando non solo gli armisi medesimi dal luoco dove erano, ma pur anco il patrone di detta casa, seco conducendolo. A tali operazioni si opposero le guardie e Proveditori alla sanità di quel castello, con comminatione di pene, protesti e prohibitioni, ma tutto indarno, mentre con forza armata si sono avanzati ad eseguire il loro disegno. Tale notitia mi fu resa il giorno susseguente dei 8 da monsignor illustrissimo Vescovo di Parenzo con sue lettere a motivo dei riguardi di sanità colà publicati, e mentre mi ricercava spedir altre sue di tal tenore a cotesto eccellentissimo Magistrato alla Sanità v’ho anco supplito in diligenza.
Rilevo che dette navi pratichino chiamare all’obbedienza ogni sorte di legni che transitano per l’Istria, tanto sudditi quanto esteri, e che con rigorosi costituti procurino notitie de’ luochi austriaci e delle proviande che possono esservi di trasporto, e perché la peota da loro arrestata haveva prima scaricate in Parenzo due casse, si sono dichiariti pretenderne la consegna e, quando non gli venga fatta volontaria, di valersi anco della forza.
Non hanno però sin hora fatto verun passo, anzi nel giorno di dieci corrente hanno proseguito in queste vicinanze incamminandosi verso Trieste, dove la notte diedero fondi otto miglia circa però luntani da quella città, ivi trattenutesi fino a questa mattina, scandagliando col mezzo della peota già presa e d’alcune lanze che seco conducono, l’acque di quei contorni, senza che per anco sia seguito segno veruno d’ostilità dall’una o dall’altra parte, continuando solo in Trieste le guardie più gelose, con molta confusione però, non essendovi per anni colà verun capo che habbi la diretione assoluta di quel luoco.
Un peota di Trieste hieri l’altro capitato di ritorno da Ponta di Goro all’osservatione di esse navi, scansò l’incontro di portarsi alla patria, ed approdò a questo porto colla sua barca, il che da me penetrato si feci, col favore della notte decorsa, col mezzo di persona di lui confidente, et in modo che non fosse penetrato di mia commissione, che la barca stessa s’allontanasse da questa riva e condotta verso il fiume Risano, luntana dall’osservatione per scansare ogni sinistro, che poi è succeduto questa mattina nel porto d’Isola, poiché portatasi colà hieri sera peota di Trieste carica di pietre, havutone traccia i francesi hanno colà spedite le due lanze armate, e ricercando due persone principali d’esse abboccarsi con quell’illustrissimo rappresentante, ricevuti da questo colli dovuti requisiti di sanità s’espressero sapere di certo che in quel porto vi fosse detta peota, aggiungendo che era di ragione d’un tal Andrea Ciuran di Trieste e che ricercavano la permissione di levarla, ovvero che fosse ricevuta in deposito dallo stesso publico rappresentante sino a tanto che dalla Serenità Vostra fosse deliberato ciò che si stimasse proprio.
Sospesa dal medesimo rettore ogni risolutione, ed avanzatene a me le notitie anco per regolarsi nel caso di qualche operatione violenta, ho creduto proprio raccordare alla di lui prudenza il contenersi ne termini generali col fingersi ignaro che nel porto medesimo vi fosse alcuna barca di tal ragione, e che quando anco vi esistesse egli non poteva prendersi l’impegno di tenerla in deposito e molto meno usare la libertà di concedergliela, ma considerarle solo che quello era porto della Serenissima Repubblica; doppo che avanzatasi di nuovo una delle due prime persone, s’espresse che d’ordine del suo comandante ricercava se vi fosse intentione di far difesa, et impedire il trasporto della barca medesima, perché teneva risoluta commissione di farla condur via senz’altro indugio, onde s’è diretto lo stesso nobil huomo con termini generali, aggiungendo pure non haver commissioni di diffenderla, non poter permettergli il trasporto d’essa, né impedirglielo quando volessero farlo violento, sopra di che si diedero immediate a saccheggiar essa barca scaricando la medesima e rendendosene patroni, fuggiti già i marinari d’essa, nel qual tempo si sono molto accostate al porto medesimo le stesse de navi, dando ivi fondo con spiego di bandiera bianca. Anzi ho potuto raccogliere che i francesi siansi dichiarati nel luoco stesso d’Isola, non riconoscere quel sito per porto di franchigia, né haver obbligo di rispettare che i porti reali et armati; sopra di che riflettendo io allo stato in cui si ritrova questa piazza, che se bene hora provveduta d’artigliaria non è stata però distribuita per anco a’ suoi posti per non havere massime milicia che la custodisca, ho creduto tanto più doverne humiliare alla publica sapienza riverente il motivo.
Succede pure che una picciola barca pontificia di quelle che servivano per i trasporti delle proviande in Trieste siasi oggidì ricoverata senza alcun carico in questo porto, dopo aver negato, quantunque chiamata, di portarsi all’obbedienza di esse navi, e rilevo che perciò si siano chiamate offese dalla fuga medesima, onde per scansare maggiori impegni a questa parte, procurerò che pur essa questa notte colle forme più caute s’allontani come la prima dall’osservazione o col proseguire il suo viaggio, ovvero in altro modo.
In occasione, che alle ore 22 circa ritornava dalla Dominante a questa città sua patria il peota Andrea Seriato, portatosi, chiamato, all’obbedienza d’esse navi, che sino alla sera di questo giorno erano per anco ferme nelle vicinanze d’Isola, e ricercato del suo viaggio, le addimandarono pure se havesse le sue patenti d’essere veneto, e rispostogli non usarsi tale cautela in queste parti, gli imposero dirmi essere necessario per l’avvenire l’uso di fedi o patenti, col mezzo de’ quali potessero distinguersi li sudditi della Serenissima Repubblica, perché coll’assertione d’essere barche venete fossero stati delusi da alcuni che tali veramente non erano, lasciandosi intendere, che disegnavano avanzarsi di breve verso Chioza.
Di Fiume non mi traspirano per anco maggiori novità delle riferite nelle antecedenti mie di 29 marzo spirato e 6 corrente, tutto che vengano da me procurate con ogni attentione, sentendosi solo che colà pure vi possano essere tre navi, e che se ne attendano delle altre.
In questo giorno mi sono pervenute le annesse del Capitanio di Pisino, con le quali mi ricerca se, in caso che li bastimenti francesi volessero sbarcare la gente in terra e, passando per questo Stato, insultare questo contado, gli sia per essere ciò permesso, a che ho creduto rispondere non aver io in tale proposito che le commissioni più premurose di concedere la pratica a’ bastimenti esteri per i riguardi della Sanità, e che essendosi due navi accostate a Fasana per ivi sbarcare, alla notitia che gli fu data dei rispetti che correvano, s’erano contenute ne’ limiti di tutta la modestia, e che però mi persuadevo che in avvenire fossero per tanto usare anco in ogni altro luoco di questo Serenissimo Stato.
Reputo però di rassegnare con brazzera a posta tali raguagli alla Serenità Vostra, onde vagliano a lume publico, mentre io intanto studierò i mezzi tutti per tenermi lontano da verun impegno, come ho già in mie private avanzati gli stessi motivi a’ rappresentanti principali della provincia, né sopra la pretesa dell’uso de’ patenti, o fedi a’ patroni di barche ho creduto rinnovare cosa veruna, e molto meno per l’armo di questa piazza, coll’oggetto d’attendere prima quelle prescritioni, che fossero per essermi ingionte dalla publica Suprema Auttorità. Gratie etc.
Capodistria, 12 aprile 1702.
Marco Zen, Podestà e Capitanio.
Allegato: dispaccio del capitano di Pisino, barone di Raunach, datato 11 aprile 1702, col quale si chiedono delucidazioni della condotta veneziana in caso di sbarco da parte delle truppe francesi (1 carta).
ASVe, Senato, Dispacci, Istria, b. 83.
Trascrizione di Umberto Cecchinato.