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19 giugno 1701 Marco Zen

Dispaccio del 21 aprile 1702

N. (senza numero)

Serenissimo Principe,
l’accaduto hieri l’altro nel porto di Parenzo mi dà motivo d’essercitare gl’atti della propria rassegnata obbedienza, colle noticie che n’humiliò alla Serenità Vostra. Approdò colà il giorno della santissima Pasqua un fregadon di Segna montato da dieci marinari, che tentorono di partire la stessa notte ma, rinfacciati dal vento, convennero trattenersi. La seconda festa passorono di là le dite navi francesi di qua partite, l’una in vicinanza, l’altra discosta otto miglia dal porto medesimo, all’osservazione de quali detti segnani si posero in atto di difesa sopra lo stesso loro fregadone armato, ma continuando le navi il loro viaggio, benché una d’esse fosse vicina, niente successe. Questa però, trattenutasi in qualche distanza, osservando le mosse del fregadone, s’accostò al porto stesso il dì 19 corrente, ma li segnani, retiratisi vicini al molo, abbandonarono il bastimento e fuggirono; dopo di che, ricercata da un ufficiale della detta nave audienza a quel rappresentante, che anco l’ammise coi rispetti di Sanità, gli espose che, essendosi colà il fregadon medesimo, intendeva ridurlo all’obbedienza della nave stessa, ricercando perciò la permissione d’esso publico rappresentante.
Questo, cui havevo in quei giorni privatamente con mie lettere insinuato, a scanso d’ogni sinistro, di contenersi ne’ termini generali, le rispose non sapere cosa alcuna di ciò che veniva ricercato, e che meno poteva prestare verun assenso in tale proposito, per il che ricercata dall’officiale francese una fede di haver addimandata tale permissione e non esserle stata concessa, dichiarossi lo stesso rappresentante che come amico d’ambe le corone non poteva ingerirsi ne’ loro interessi, così che partì l’officiale medesimo soddisfatto, e con atti di stima e rispetto, ritornando alla nave, dalla quale, spedita con una lanza ad avvisare che tutte l’altre barche si tirassero in disparte dal fregadone, come anco seguì, fece tosto scaricare diversi tiri di cannonate, danneggiando il detto fregadone, indi spedita gente sopra due picciole barche fu levato dal proto e condotto via.
Una d’esse navi si trattiene per il più nel porto d’Orsera, chiamando all’obbedienza ogni legno che transita, come pratica pur anco l’altra, dove fatti arrivare pochi giorni sono la peota sopra cui s’incamminava alla brazza il nobil huomo ser Francesco Balbi, destinato rettore colà, datosi questo a conoscere, riportò atti di tutta la stima e fu regalato d’alcuni rinfreschi da francesi, anzi salutorono anco con sbarro la peota medesima.
Ricavo che havessero le dette navi predato tre barche austriache, e che minacciassero di dar queste alle fiamme e la morte a’ marinari, esacerbati li francesi per il caso accaduto a Lucino coll’omicidio seguito per mano de’ segnani d’un loro capitano, edotto il quale fu trovata la commissione del Comandante Furbin del tenore come nell’unito foglio, sospettandosi sempre più che s’avvicinino altre navi francesi, ritraendone io qualche maggiore riscontro da una lettera scritta dal Capitanio di Fiume ad una sua sorella, monaca et abbadessa nel monastero di Santa Chiara di questa città, nella quale gli motiva che altre otto navi siano incamminate in questa parte, aggiungendo però che il maggiore suo rammarico era l’ammassamento de’ Turchi che si faceva in qualche parte confinante coll’Imperio, che pressento possa essere a’ Biachi.
Io in tanto non ritardo a far approntare in questa città le piazze per esponere giusta (?) i publici comandi l’artigliaria, e perché erano totalmente rovinate ho dato l’ordine acciò sieno con diligenza risarcite coll’impiego de’ villici, senza publico aggravio, facendo sostener e salizar il terreno da buone pietre. Scoperta, nel distribuirsi l’artigliaria destinata al porto importante del castello di Muggia, la caduta in parte di quella publica mura, e richiedendo pronto il restauro prima che maggiormente s’avanzasse il danno, ho creduto non differirne punto l’accomodamento colla proviggione de’ materiali necessarii, ad oggetto di render assicurato quel sito e facilitato il modo per l’armo del castello medesimo, non abbandonando intanto dall’attentione maggiore la rimonta dei 13 pezzi di artigliaria che restavano a perfetionarsi, e che vedo pur questa molt’avanzata; ed havendo nel tempo stesso compreso di non minor importanza la costruzione de’ rastelli, almeno alle due porte principali di questa città, e particolarmente a quella di terra, chiamata della Muda, et all’altra del porto, che prima non v’erano, li faccio approntare; ma perché soli ducati cinquanta mi restano delli mille dispensatimi di ragione obbligata, impiegati nella rimonta dell’artigliaria, provvigioni et altro, né possendo con quelli supplire interamente al bisogno, convengo humiliarne alla Serenità Vostra ossequioso il motivo per le sue sapientissime deliberationi, onde non havesse a rimanere ritardata la perfetione delli tredeci porti già detti, et abbandonate l’altre necessarie operationi al castello di Muggia per le piazze e rastelli alle porte, mentre massime servirebbero questi anco per altre publiche occorrenze di Sanità, comodo alle milicie, quando ne dovessero esser introdotte, e di maggiore sicurezza della città, persuadendomi che l’impiego d’altri ducati quattrocento circa distribuiti coll’uso della più esatta economia, sin hora da me praticata, potessero supplire per tutte l’operationi soddette.
Assicurato che si siano acquietati gli abitanti di Muggia, disimpressi dal timore concepito degli austriaci e rimessi nella pristina quiete, con tratti di buona vicinanza colli triestini, ne humilio alla Publica Sapienza la notitia, essendo pure seguito il rilasso delli marinari e portador di barca che furono rettenti a Trieste, come nell’ultime mie avevo partecipato, e mi traspira che in quella città, pure colla lontananza delle navi francesi, s’havesse di molto rimesse le confusioni che v’erano.
Il giurisdicente di Leo imperiale mi replica con premura l’instanza, acciò voglia mandar a ricever il da lui condannato alla galera, stante l’offerta già fattane, e da me rassegnata in lettere di 6 corrente, onde attenderò anco sopra questo particolare le publiche sapientissime prescrittioni. Gratie etc.
Capodistria, 21 aprile 1702.

Marco Zen, podestà e capitanio.

Allegato: copia dell’ordine dato da monsignor di Furbin cavalier delle navi francesi sì giunte nel Quarnero a monsignor Cleron capitan d’una delli medesime ritrovato nella tasca dello stesso ucciso dalli segnani.

Li vascelli regii la Galante e la Gentile anderanno nell’isola di Curzola, e perciò farete diligenza che vadano in porto della Fasana nell’Istria, quale è alla porta delle Promontore, et in caso che non fosse ancora colà assieme doverete essere in porto Sant’Antonio o nel canale di Veggia, dove si doverà aspettare tre giorni, e quando in detto tempo nemmeno si foste assieme si doverà poi unirsi nell’isola di Pago a porto Tarvernale, quale è dalla parte dell’isola di Orsesi (?). Quando la Gentile incontrasse sudditi imperiali doverà arrestarli et abbruciarli, quando però non stimasse meglio di mandar quelle in qualche proto del dominio di Spagna, e incontrando ragusei o sudditi di Spagna, tenirli solo in arresto come di sopra; ma se troverà bastimenti delle altre nationi, che non siano sudditi dell’Imperio o mentovati, e che fussero carichi d’effetti per l’Imperatore o per la sua gente, che faci gettare tutte la robba in mare e licenziare i legni con la gente.
Data dalla nave Galante, li 16 marzo 1702.
Il Cavaliere di Furbin Guardanne.

ASVe, Senato, Dispacci, Istria, b. 83.
Trascrizione di Umberto Cecchinato.