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19 giugno 1701 Marco Zen

Dispaccio del 14 maggio 1702

N. (senza numero)

Serenissimo Principe,
in ducali primo aprile spirato della Serenità Vostra venerai le supreme commissioni d’informare sopra il contenuto dell’occluse lettere di Gratz humiliate a publici riflessi dall’eccellentissimo signor Ambasciator veneto in Vienna, concernenti le doglianze di quei Consiglieri di Stato a motivo dell’asserte insinuationi fatte da questi sudditi ad alcuni esteri, per divertirli dall’approdare con loro bastimenti alla città di Trieste o altri litorali austriaci, onde applicandosi da me tutto lo studio per haverne le più certe notizie, mi risulta ricavare che nel fine del decembre decorso, o principii di gennaro spirato fossero nel porto di Pirano con loro bastimenti il patron Giacomo, figlio del patron Nicolò da Puglia, et il patron Anzolo Navaglia da Fermo, dicendo essi che il loro disegno fosse d’approdar a Trieste, ma che per timore d’essere caricati con botti di proviande che di là si disegnavano spedire per l’armata in Italia, si dichiarassero dubbiosi d’arrivare alla detta città, senza però che ne fosse loro da’ sudditi della Serenità Vostra dato verun motivo che potesse divertirli dall’intrapreso loro viaggio. Come però da ciò chiaramente spicca la causa del riguardo che divertì li marinari suddetti, così s’aggiunge il riflesso che uno d’essi poco dopo, cioè l’accennato patron Giacomo da Puglia, passasse, come tuttavia s’attrova, sopra una delle navi francesi, né col mezzo della più accurata inquisitione da me praticata per la provincia mi è riuscito havere altri rincontri in tale proposito, così che sempre più mi giova credere che il contenuto delle lettere precitate di Gratz sia fondato sopra il falso pretesto assunto da’ marinari predetti per esimersi dall’incontro di soggiacere coi loro bastimenti al carico delle proviande in Trieste. Tanto humilio a lume della Serenità Vostra, et in adempimento de’ miei doveri.
Con tale opportunità non lascio di riferire all’eccellentissimo Senato come una delle navi francesi diede a’ fondi nel giorno 5 corrente in distanza di due miglia in faccia la terra di Pirano, dove spedita la lanza, e posto piedi a terra un comandante, fu incontrato da uno di quei Proveditori alla Sanità, cui ricercò detto francese d’essere ammeso alla pratica esprimendo bisogno di provedersi de’ commestibili; gli fu risposto dal Proveditore che ordini superiori gli impedivano di ammetterlo alla libertà della pratica senza le fedi di sanità, ma che bensì sarebbe stato immediate proveduto di ciò che avesse desiderato, e con ogni cortesia gli fu anco somministrato quanto seppe richiedere, così che se ne partì.
Poche ore dopo ritornò la lanza con uomeni armati, dalla quale smontato il comandante con altra persona, ricercando d’abboccarsi col publico rappresentante, gli si fece incontro di nuovo il Proveditore alla Sanità, ricercandole ciò che bramasse. S’espresse allora il francese che, havendo notizia ritrovarsi nel detto porto due legni austriaci, intendeva ridurli all’obbedienza della sua nave, additando nel tempo stesso i legni medesimi.
Lo stesso Proveditore alla Sanità fece comprendere al francese che li due legni creduti austriaci erano uno di Fermo, Stato pontificio, e l’altro di Lesina, suddito della Serenità Vostra, ostendendogli le fedi che seco portavano, per il che mostrando d’appagarsi, restituitosi alla lanza, senz’aggiongere d’avvantaggio partì.
S’avanzò la nave medesima a questo porto il giorno seguente dei 6, ed arrivato il Comandante d’essa colla lanza in terra, dimostrò premura d’havere la libertà della pratica, ma reso capace della continuatione degli ordini che corrono nella materia gelosa di sanità, si trattenne per qualche spacio di tempo sul porto, dove introdotto discorso di varie cose, e particolarmente del vino levato ultimamente al patron Iseppo Scarpazza di questa città, et forziere diretto al Podestà di Due Castelli, asseriva lo stesso comandante fosse stato pagato il vino, ma fatti comparire alla sua presenza il paron medesimo et li di lui marinari, sostennero non esser stati riconosciuti, il che inteso dal Comandante, s’espresse che sarebbe loro data la dovuta soddisfatione. Nel giorno seguente ricercò da me audienza un famigliare per nome del Comandante stesso, che admisi colli rispetti di sanità, et a nome del suo patrone mi fece istanza perché a’ sudditi veneti fosse prescritto qualche contrassegno o passaporto, acciò valer potesse di sicurezza che tali fossero a divertimento d’asserti abusi, che venivano introdotti da molti, quali se bene d’altro Stato si professavano veneti, e rendevano con tal nome deluse le diligenze che andavano praticando le navi, ma come le risposi che vedevo difficile l’osservanza di tale regola, e che havevo scoperto ben disposto il signor Cavalier di Furbin, nell’incontro d’abboccarsi meco, di praticare tutta la desterità in tale proposito, così le soggionsi che mi promettevo pure dal presente di lui esponente la continuatione d’un tale buon genio, così che se ne partì soddisfatto, havendo tentato prima tanto questa, quanto l’altre navi d’havere marinari al loro servicio pratici di queste acque, facendone qualche istanza pure a me il familiare predetto, ma come io credei contenermi con dire che difficilmente haverebbe incontrato in persona capace, così anco prima di tale riccerca, havevo esteso qui e per la provincia le precautioni necessarie per divertirne l’effetto a scanso di alcun impegno.
Partita di qui la nave stessa si ridusse verso Trieste, dove ha dimorato due giorni, senza però che sia seguito immaginabile tentativo né per parte di essa, né dimostrazione veruna da quella città, dove solo si continuavano le operationi per fortificare quel porto e renderlo in positura di difesa da qualche sbarco francese.
Il dì 9 corrente sono pervenute lettere scritte da quei Proveditori alla Sanità, con quali avvisano haver risolto di camminar per l’avvenire colle cautele delle fedi, ricercando, in atto di buona corrispondenza e vicinanza, che da questi sudditi che intendessero portarsi a quella città vengano usate le fedi medesime, mentre sarebbero stati in consonanza di là praticati gli ordini stessi per quelli che havessero a passare di qua, ed esaminata con ogni studio la materia con questi Proveditori è stato creduto aderirvi, e di fare ciò noto a voce senza impegno maggiore anco in queste parti dell’Istria, solo per quelli che intendessero passar a Trieste.
Si vanno perdendo in detta città le speranze dell’arrivo delle navi olandesi, per il che va meditando quel Generale delle Proviande di noleggiare due grosse navi da guerra e spedirle con tale carico, ben munite di genti e d’armi, al Principe Eugenio, tutto che con espresso capitato al dì 4 corrente havessero dal Principe medesimo, che non s’attrovasse per allora in tanto bisogno de’ viveri, havendo anco dato principio in questi giorni a caricare di proviande le barche che s’attrovavano in quel porto.
Alcuni, cognominati Tosi da Murano, soliti praticare a Trieste colle loro barche, son approdati nel porto vicino di Muggia in questi giorni con carico di formentone, quale fu levato con barca spedita da Trieste et condutto in detta città, e come furono solleciti li stessi Tosi a partirsene per non essere scoperti da francesi, così restò a me impedito il farle comprendere non essere conferente nelle correnti emergenze tale loro traffico, e tanto meno per essersi restituiti alla loro patria, il che penetrato poi da’ francesi fecero qualche dichiaratione rissentita, esprimendosi che sarebbero stati necessitati divertir anco le barche quali fossero incamminate a Muggia.
Dicessi per certo che il Cavalier de Furbin siasi portato a cotesta Dominante per conferire coll’eccellentissimo signor Cardinale d’Etré, ed io intanto non mancarò d’accudire colla più attenta osservazione a tutto ciò che di nuovo insorgesse.
Mi pervennero la sera di 12 corrente le supreme commissioni dell’Eccellenze Vostre in data 6 detto, e le ducali circolari per li rappresentanti di questa provincia, da me tosto speditegli per più soldati espressi, accompagnate da mie lettere premurose, perché resti totalmente divertito che sudditi veneti non habbino a prender ingerenza veruna, né con barche né colle persone in somministrar provigioni da bocca o da guerra, trasporti o altro per alcuno de’ partiti contendenti, havendo efficacemente raccordata l’esecutione più puntuale di tale publica volontà, et che in caso di trasgressione avvisino per le conferenti supreme deliberationi, potendo io accertare la Publica Sapienza che come continuato è lo studio che indefessemente presto a questa parte, con frequenti private corrispondenze, per divertire qualunque impegno publico nelle presenti emergenze, così non sarà dal mio debito mancato di sempre maggiormente uniformarmi a publici supremi incarichi.
Havendo rilevato in questo punto che li Tosi prenominati da Murano siano capitati di nuovo nel porto di Muggia, con altro carico di formentone destinato per Trieste, e riuscitomi farli venire alla mia presenza, gli ho seriamente avvertiti a desistere da un tale impegno, facendole particolarmente comprendere il pericolo delle loro vite e sostanze per l’avviso tenevano li francesi di tali condotte, così che rassignandosi protestano d’abbandonare il medesimo traffico.
Nel tempo stesso mi perviene avviso da Parenzo che la barca che ritornava dal molino a quella città con farina del Fontico sia stata chiamata all’obbedienza da una delle navi francesi il dì 10 corrente e, ricercatta del passaporto, havendone uno di quel publico rappresentante, che gli fu esibito, s’espressero li francesi che haveva havuto fortuna, mentre per altro senza di quello l’haverebbero trattenuta, protestandosi di voler tanto fare per l’avvenire quando trovassero carichi senza i passaporti, così che sempre più mi corre il debito d’implorare dalla Suprema Auttorità le publiche provigioni come habbi a contenermi con questi marinari che giornalmente mi ricercano tali passaporti.
Mi sopravviene pur avviso che, nello stesso giorno dei 10, habbi una delle navi preso il cammino verso Rovigno, con disegno d’avanzarsi nel Quarner per fare la scoperta de’ bastimenti imperiali, dell’arrivo de’ quali principiano a sospettare li francesi.
Nelle vicinanze di Rovigno, fermata una latina veneta d’un paron di Castello con un carico di biade, l’hanno trattenuta col pretesto che non havesse alcun passaporto, ma mi traspira che possino li francesi valersi delle biade stesse, e ch’abbino apparentemente obbligato il paron a portarsi alla Dominante per ricevere il fondamento che veramente sia legno veneto, con intelligenza però che al medesimo venga costà contribuito il pagamento del valore delle biade stesse.
Havendo sbarcato alla detta sera di Rovigno non poco numero di francesi, si sono anco avanzati nella medesima con tutta la libertà, negando l’osservanza degli ordini di sanità, benché da me pochi giorni avanti ne fossero state aggiunte le più vive premure al zelo di quel publico rappresentante, quale non potendo resistere alla forza, m’avvisa provare tutto il scontento per l’inosservanza degli ordini medesimi.
Tutto rassegno a notizia dell’eccellentissimo Senato per lume alle sue supreme deliberationi. Gratie etc.
Capodistria, li 14 maggio 1702.

Marco Zen, Podestà e Capitanio.

Allegato: dispaccio riguardante le doglianze dei consiglieri di stato austriaci sull’impedimento delle navi dirette a Trieste da parte dei veneziani, datato 21 aprile 1702 (1 carta).

ASVe, Senato, Dispacci, Istria, b. 83.
Trascrizione di Umberto Cecchinato.