19 giugno 1701 Marco Zen
Dispaccio del 20 agosto 1702
N. (senza numero)
Serenissimo Principe,
partirono circa l’hore dodeci del giovedì decorso le navi francesi colla palandra dall’acque di Trieste, doppo haver nella note bombardata quella città con due mortari da 50 et uno da cento, per quanto si dice, rettiratisi in Porto Rose, e benché anco in questi giorni si siano lasciati vedere con bordi verso quella parte, non hanno però fatta maggiore dimostratione.
Da quant’ha potuto riccavarsi pocco è statto il danno causato dalle bombe in Trieste rispetto la quantità che ne fu gettata, mentre solamente otto in dieci case rimaste incendiate, ma però diverse altre danneggiate, poiché molte delle bombe o non hanno colpito in sito dove fossero case, o non sono scopiate, per il che quegl’habitanti, che prima, se ben temevano, non però credevano che da francesi potesse farsi una tale risolutione, rettirano di presente con tutta solecitudine il meglio, attesa massime la voce sparsa che possa di nuovo essere bombardata la città medesima con altro legno in forma di palandra, che si dice venga preparato, e che li francesi si siano espressi di tener ordine dal loro sovrano di distrugger quel luoco.
Sono pure attenti li francesi a Porto Rose a rissarcire la prima palandra che, per essere statta formata colla barca di Grao già presa, come in altre mie ho humilmente rappresentato all’eccellentissimo Senato, non gl’era in tutto riuscita, e perché si sono serviti per tal effetto di tavole, viene mormorato che queste gli possano essere statte somministrate da qualche persona di Pirano, per il che faccio estendere le più caute diligenze per venir in chiaro di questo fatto, havendone anco portate vive premure a quel publico rappresentante ad oggetto di rillevarlo, e poter, in essecutione de publici decretti, devenire a quei passi che vagliano a rimovere la libertà di soministrare ad alcuno de partiti alcun altro favore che di qualche rinfresco.
Alcuni messi, spediti da questi cittadini a Trieste con lettere a loro amici e congionti, rifferiscono che, ricconosciuti per veneti, siano statti neccessitati dall’esclamationi e minaccie di quell’universale a fugirsene, per scansare la solevatione che contro di loro veniva fatta, e che a gran fattica sortissero salvare la vita, continuandosi perciò le minaccie sopra la terra vicina di Muggia, gl’habitanti della quale molto temono, e benché venga procurato anco dal zelo di quel publico rappresentante disimprimerli e levar l’occasioni de discorsi, ad ogni modo le troppo frequenti dichiarationi de triestini fanno che riescano pocco meno che inutili gl’impieghi della desterità per aquietarli, temendo qualche sorpresa e svantaggio per esser solo circa 200 habili all’armi e li triestini molto più numerosi.
Oltre la nuova proviggione da me colà spedita di qualche numero de moschetti, balle, polvere e michia, ho creduto proprio far avvanzare senz’osservatione in detta terra il Sopraintendere Sala per rivedere quel porto, e come la di lui comparsa rese loro qualche corraggio, così mi rifferisce lui che, dipendendo la diffesa maggiore d’essa terra dal castello, questo, benché munito d’artigliaria, sia però totalmente sproveduto di granate, pignatoni e bombe, considerando lui che qualche numero di queste potesse più valere e far miglior effetto dell’artigliaria medesima in caso di qualche tentativo di avvicinamento, col gettarle dal castello stesso sopra chi tentasse accostarsi al medesimo, il che ho creduto soggettare a riflessi sapientissimi dell’eccellentissimo Senato per le proprie sovrane deliberationi, mentre queste municioni sono prive di tali requisiti, ed incominciano a scarseggiare pur anco d’armi, polvere e balle per haver io convenuto soccorrere Rovigno, Parenzo la terra e castello di Muggia, il castello di questa città, et in quest’hoggi anco Pirano, dove procuro a tutto potere che da reggenti di quella communità venga solecitatà la rimonta dell’artigliaria, et supplito a quel pro che loro incombe giusta le publiche commissioni.
Si discorre sempre più che a Trieste possa di breve callare buon numero di milicia, e da persona di Buccari viene rifferito che quattro mille cavali siano per muoversi dalla Transilvania per Goricia con un Generale per passar in Italia, riccavando pure, da lettere qui scritte da un mercante di Goricia, che in questi giorni dovessero essere colà due Commissarii cesarei, senza penetrarsi a qual fine.
In ordine alle commissioni dell’Eccellenze Vostre in ducali 14 giugno decorso, ho permesso la condotta in questa città delle cere di Zagabria di ragione di cotesti mercanti, e sì come sin hora ne sono statti portati colli 166, così dissegnano far capitare di breve il rimanente, mentre la maggior parte d’essa si rittrova in Albona, colà scaricata con peote di Buccari, da dove fu levata, ma non prosseguito il viaggio intrapreso per Venetia a causa dell’osservatione fatta delle navi francesi.
Come però li colli medesimi vengono qui accompagnati da persone di Transilvania per essere poi scortati, come riccercano, con mio passaporto per la Dominante, mi nasce il dubbio se ciò penetrando li francesi potessero in ferir molestia veruna, o impedirne il transito, a preggiudicio anco di questi peota, che non ricceverebbero il carico, stanti le prohibitioni che corrono, senza la publica permissione, e perché pare nelle precitate riverite ducali che le fedi di sanità da quali vengono accompagnati essi colli habbino a servirle di libero transito verso la Dominante, imploro humilmente il modo di dirigermi, non solo rispetto al decoro della publica auttorità, per l’impegno de passaporto che a presservatione della mercantia e sicurezza di chi l’accompagnasse, onde il riflesso ch’haver potessero li francesi, che la cera provenisse dalla Transilvania e da Bucari, come lo dimostrarebbero le fedi della sanità, e che il carico si facesse in questo porto, non causasse qualche sconcerto. Mi supplico però con ossequio il publico generoso compatimento, acciò non havesse già mai a demeritare la mia pontualità nell’essecutione de publici commandi, o essere defficiente in mancanza de mezi per adempire alle parti del mio humilissimo dovere. Gratie etc.
Capodistria, li 20 agosto 1702.
Marco Zen, Podestà e Capitanio.
ASVe, Senato, Dispacci, Istria, b. 83.
Trascrizione di Umberto Cecchinato.