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8 aprile 1651 - 1652 Marco Bembo

Dispaccio del 16 maggio 1652

N. (senza numero).

Serenissimo Principe,
il trattato ch’appoggia alla virtù e fede del Cavalier Bolizza col Voivoda Illico da Cuzzi, stimatissimo tra li principali de popoli montanari sopr’Albania, ciò puotess’indurlo ad alcun impegno per divertire l’unione di quelle gente col Sangiacco di Scutari, che sempre aspira a’ danno di questi luochi, partorisse apparenza felici, havendo colla risposta alle lettere inviato persona sua congionta et confidente, esprimendosi et con la voce di questo et nelle medesime lettere affettuoso et sperarne il fine bramato, dato già a tal segno principio di contesa tra quelli di Grudde et Clementi, intento a far lo stesso a Podgorize per tenerl’ubligati all’assistenza di se stessi gl’uni contro altri, senz’haver modo d’unirsi col Sangiacco. Quando ciò segua ottimo bene, potrà dirsi conseguito mentre il nervo più valido delle forze di quel sangiacato, consistendo nelle genti di Barda, levato questo si leva anco il dubio de maggior mali qui a’ sudditi et alle lor terre. Ad oggietto però di non tralasciare le forme migliori nell’affare, li ho fatto correr nove col mezo d’esso Cavalier Bolizza che, confermate le sue parole dall’effetto, sii per attender’ a proprio tempo le rimostranze di grata remunerazione per allettarlo con ciò alla continuatione perseverante, ragallatolo in tanto con una veste di panno et con alcun altro piciol dono. Tra il detto Sangiacco et quello di Herzegovina il Cenghiich pare stessamente rallentata quella pratica de trattati che frequentavano di già con continui corrieir, per quello nuovamente si ode, intendendosi pure la depositione del Bassa della Bosna, fatto in suo luoco Zesli Bassa che fu suo ultimo precessore, mutatione che fa sperare qualche vantaggio a Publici rispetti per li pensieri bellicosi et apparente gagliardi, a’ quali stav’intento il medesimo, onde prego Dio Signore dar sempre maggior respiro alla Publica felicità.
Doppo che già mesi cominciò sentirsi alcun mottivo dover il detto Sangiacco Giusufbegovich capitar alla destrutione di Zuppa, nacque (?)temma quasi vile fra quelle genti, non dimostrando quel coraggio al quale sempre procuro tenerli animati; quest’appertura diede modo all’infido animo d’uno che volse supporsi principale tra quelli capi, qual si chiamava Governatore di Zuppa, nominava Bosco Bades, in compagnia d’un prete Marco suo paesano et confidente, scriver lettere ad esso Sangiacco fingendole fermate e sottoscritte d’assenso comune di quei popoli. La verità di questo hebbi da confidenti rellationi et poi la confermatione da più parti, favorita anco dal zelo et aplicatione mia ardentissima, a segno, si scorgeva haver questi due felloni indotto in speranza esso Sangiacco di rihaver coll’armi Zuppa alla devotione, profferendoli al vassallaggio col tributo; et già stav’apuntato l’ordine d’abbordare nel paese con un tal d’Allia Ramadanovich et Sellim Tun(?), confidenti d’esso Sangiacco, per stabilire le forme. A primi avisi (?) fatta matteria, niun’alteratione giudicai fare, anzi tenendosi coperta sotto il più cauto sillentio, pensai d’osservare sotto diversi pretesti ad assicurarmi delle persone de predetti due, et datone primo minuto raguaglio all’eccellentissimo signor Provveditore Generale, aprovò li mie devoti avisi, et in fine la notte di 13, venendo 14, stante inteso tant’inoltrato l’affare et che in città la sera fossero rimasti due da Cetigne capitati a chiamarli, fra quali fosse appunto quello che portò le prime lettere al Sangiacco et che del tutto n’era partecipe, come pure li nominati Bosco et Prette Marco, la stessa notte hebbi tutti nelle prigioni, et lodato Iddio ch’ha assistito al mio devotissimo zelo nel bene della patria, che tutti gl’inditiati sospetti sian capitati nelle forze. Parimente doppo l’aresto non s’è fatta palese la vera causa d’esso, tolto anzi appaliato mottivo per quelli di Zuppa da alcune depredationi fatte già a quelli del Monte contro gli ordini della giustizia, et per gl’altri due da Cetigne dall’incendio d’alcune case a Mahine, nuovi sudditi, ingiongendo contro loro il sospetto ell’intelligenza con gl’incendierii et per ciò non ho presseguito nè al constituto loro, nè ad altri essami, nè a qualsi sia delliberatione che cellere dovurebbe farsi, publicandosi la qualità dell’affare rillevato a gran segni, ma ne porto distinto raguaglio all’eccellentissimo signor Generale medesimo per ricever gl’ordini circa la trasmissione dei rei col processo, dal quale non rissorge che minima intelligenza vi sia, nè del comune, nè d’altri capi o privati di Zuppa; anzi li capi medesimi ricorsi da me, congieturando il vero ancor che cellato, han’implorato effetti del sommo rigore soggietando se stesso all’ubedienza punt’ad ogni cenno, perchè sempre resti assicurata la mente publica della lor fede. A questo gratissime parole ho usato ver’essi, con loro e mia consolatione, vedendo troncata la base a dannosissimi disordini. Hanno anco ridotto a perfetione quasi totale il taglio dell’acque a disfacimento delle salline in questa pianura, offertisi a quel più gli si mostrasse dall’ingegnere, senza risparmio d’opera, dal che pure ho puotuto comprendere la buona volontà di quelli popoli vers’il servitio della Serenità Vostra, per il che ho compito loro la dispensa de formentoni che restavano, come apportai humilissimo a Vostre Eccellenze nelle precedenti lettere di 5 corente.
Tanto devo significare negl’affari corenti a notitia riverentissima dell’Eccellenze Vostre, aplicatissimo con tutt’ardenza di spirito ad ogni miglior servitio della patria. Sott’ho d’aggiungere con mia estrema afflitione, non sapendo più che partito prendere per sostentamento delle militie, per non mi restar più ove possa contraher debbiti, che fin ora ascendevano a circa ducati seimille con promessa di restitutione al primo giunger del dannaro, che ultimamente m’ha convenuto astringer gl’operati delli mercanti Forella di Venetia, che dall’estratto d’alcune lor biave qui contino in Camera lire tremille cento e cinquanta, et di consegnar nel fontico stara settanta di fava che pur importavano lire mille duecento e sessanta, con che ho puotuto suplire a questo ultimo terzo di dieci giorni a’ soldati del pressidio, oltre a quello mi si deve per narch’armade e resto poi nell’                                                           agitatatione di gravi travagli per le venture prossime soventioni.
Formenti non restano, che per li principii del solo venturo mese di giugno, onde quando pur ciò manchi li consideri l’esaltatissimo sapere dell’Eccellenze Vostre, come resti la piazza di Cattaro ove ogni mese vi vogliono per esse sol militie e bombardieri circa trecento stara, stessamente biscotti per la gallea e barch’armade, circa il detto tempo suplir puotranno solamente, onde humilmente imploro che la benignissima publica providenza riffletta et soccora a segni conferenti l’estrema urgenza. Gratie etc.
Cattaro li 16 maggio 1652.
Marco Bembo Proveditor Estraordinario.

AS Venezia, Senato, Dispacci, Cattaro, b. 3.
Trascrizione di Giulia Giamboni.