14 settembre| 1703 Francesco Pasqualigo
Dispaccio del 23 ottobre| 1704|
N. (senza numero)
Serenissimo Principe,
ricevute con divotissimo ossequio le venerate ducali di Vostra Serenità in data 13 spirato, che mi prescrissero render illuminata la Publica Sovrana Sapienza con relatione distinta del numero de banditi che infestavano questa provincia, della qualità de loro bandi, e de reggimenti da’ quali siano state pronunciate le sentenze, se da questo o da quello di Capodistria, oppure da cariche inferiori e subordinate, a’ lume delle publiche deliberationi, sodisfo al debito dell’ubbidienza con il presente riverentissimo recritto.
Estese da me le diligenze più accurate et attente per raccogliere tutto ciò che si rendesse in questo proposito corrispondente al comando, m’è sortito rilevare essere cinque li capi fattionarii di natione albanese del territorio di Parenzo, banditi con sentenze capitali dal reggimento di Capodistria, che sono Zuanne Chiuro detto Lion, Andrea suo fratello, Marco Nioro, Andrea Pugnaletto, et un tal detto Passia; cinque altri banditi dal reggimento di Montona con bandi per certo differente limitato tempo, e molti altri seguaci banditi pur a tempo dalli reggimenti di Pola, Parenzo, Rovigno, Cittanova et altre cariche inferiori.
Del numero preciso de banditi stessi non m’è veramente sortito traherne sicuro rincontro, solo andarsi di quando in quando aumentando il numero dividendosi poi in truppe, e rendendosi molesti et infesti a’ sudditi; penetrato anco che tal’uno, secondando il proprio pravo genio, benché non bandito, siasi unito a tale trista gente, e col manto di questa vada commettendo rapine e delitti. Come però questi sono tutti quei lumi che sin hora ho potuto raccogliere, e che consacro all’alto intendimento di Vostre Eccellenze, così, per tenere al possibile in quiete la provincia come in esse ducali vengo incaricato, non ho ommesso di ben intendermi con l’eccellentissimo signor Capitanio delle Rive, che con prontezza pari all’acclamato suo zelo non cessarà di dar mano al publico e privato bene, com’anco con il reggimento di Capodistria, il quale ne scaduti giorni, essequendo commissione dell’eccelso Consiglio di Dieci, non mancò con numerose forze di far tentare, se bene con poco buona sorte, l’arresto di qualche capo contumace. Io intanto non trascurarò il debito di invigillare alla commune quiete, calcando quelle vie che dal mio zelo divoto saranno reputate più aggevoli per conseguire l’intento.
Nelle ducali precitate mi fu in oltre prescritto di ben intendermi con esso reggimento di Capodistria, acciò non habbino a frapporsi maggiori ritardi alla sodisfazione di quanto va difettiva la comunità di Rovigno per la carratada dell’anno 1696, ed io avessi modo di render essequito il commando di Vostra Serenità con l’esborso di quanto risulta creditore Mattio Bartolich, per la condotta de publici legni della caratada medema.
Non frapostasi dal mio zelo ossequioso dilatione all’ubbidienza dell’incarico, spiegato ad esso publico rappresentante in divote mie il venerato sentimento di Vostre Eccellenze, m’accennò non haver egli ricevuto alcun cenno dalla Serenità Vostra, come sarà sempre pronto ne concorsi alle mie ricerche in tal affare qualunque volta gli pervenga il publico supremo volere. Preclusa perciò a me la strada per mancanza di forze d’astringere la comunità predetta all’adempimento de proprii doveri, e render essequite le venerate commissioni dell’Eccellenze Vostre con la sodisfatione d’esso creditor Bartolich, non posso dispensarmi dal rendermi sopra tale matteria novamente molesto alle publiche orecchie, onde possino esser rilasciati al reggimento medesimo gli ordini opportuni.
Nelle pretoccate ducali rilevo comparsi nell’eccelso Collegio gli interventi della comunità d’Albona ad esprimere la rassegnatione di quei Giudici e cittadini nel concorrere alla contributione della caratada da me ordinata, confirmata da lettere di quell’illustrissimo Podestà trasmessemi in copia. Come però mi viene in esso decreto spiegato esser publica volontà sia essequito il comparto da me fatto, e che in caso fosse effettuata la condotta de legni, io habbi a tenere il danaro in deposito fino a ragione conosciuta per restituirlo o rissarcire gli indebitamente aggravati, così, trovandomi con l’incarico di rassegnare ai riflessi sapientissimi dell’eccellentissimo Senato una distinta e ben ordinata informatione dell’intiero di quest’affare, con aggiungere li fondamenti co’ quali detti Giudici e cittadini pretendino l’essentione dal concorrere a simili esborsi, sodisfo anco in questa parte ad ogni numero di mio preciso incombente.
Stabilita la carratada, con il sovrano publico assenso e con le prescritte consuette mesure, sopra cadaun capo di famiglia della provincia per la condotta de publici legni all’imbarco, imposi alle comunità obbligate la dovuta corrisponsione. Fatto il riparto da Giudici di quella d’Albona, comparvero avanti me li Zuppani e Procuratori del popolo di quel territorio, e, professando esser stati eccedentemente aggravati, caduto sopra li più miserabili il peso maggiore et essentati li cittadini più comodi, invocarono dall’autorità di questa carica nuova ritansa per il loro sollevo. Conosciuta da me l’instanza piena di giustizia rilasciai lettera a quell’illustrissimo rappresentante con ordine ne facesse all’inconveniente succedere l’emenda con quelle mesure per l’adietro praticate e che sono nella mente pietosa del Prencipe. Successi eguali disordini in altre comunità, ho havut’il contento senza rendermi molesto all’Eccellenze Vostre di vederli prontamente corretti con nuove ritanse, a consolatione e sollevo de poveri sudditi indebitamente aggravati. Non così però ho potut’essigere da quella d’Albona, la quale non solo si rese contumace nell’ubbidienza a prescritti di questa carica, ma anco, se bene con pressanti mie replicate lettere stimolata, mai volle spedire a questa parte alcun suo Giudice o intervenente da me premuto con l’unico fine d’accordare le discrepanze e tenere luntani li tedii dalle publiche orrecchie, applicate a cure più gravi et importanti.
Recalcitrando in tanto li territoriali all’esborso della somma troppo gravosa impostagli da Giudici della comunità, e stringendo la premura della condotta de publici legni all’imbarco, stimai partito di necessità, per non vederla maggiormente ritardata con publico disservitio, d’insinuare a Zuppani e Procuratori predescritti l’esborso medemo con l’impegno di farne, come feci, humilissimo cenno a Vostre Eccellenze, acciò la reggia publica mano potesse riddurre all’ubbidienza li contumaci, obbligarli a nuova ritansa, et ad essequire i miei ordini, perché se l’innobbedienza passasse in esempio, poco e nulla potrebbe questa carica promettersi nelle publiche congionture, né da questa né da altre communità. Sborsato con questa fede da essi Zuppani il soldo, hebbi io campo di sollecitare le condotte de publici legni, e di vederle anco, con mio sommo contento e con gloria del zelo, terminate assai prima del tempo che fu accordato agli appaltadori. Essi Zuppani e Procuratori poi nell’attentione di vedere dalla publica sovrana autorità emanato decreto che valesse a consolarli con il sperato rissarcimento di quanto furono indebitamente aggravati, e delle spese da essi fatte in tal occorrenza, sono più volte avanti me comparsi per rilevarne il riscontro; ma intesa la reiterata contumacia della comunità, che in vece d’essequire quanto da me gli fu prescritto relativamente al publico incarico, m’ha heri fatta presentar lettera dell’eccellentissimo signor Avogador Malipiero, che vincolandomi ogni arbitro mi commanda di non far contro quei Giudici e cittadini alcun passo se prima dalla Publica Sapienza non sarà deciso ciò fosse di giustizia, erano quei miserabili in punto di portarsi a’ piedi di Vostra Serenità ad implorare in persona i soliti effetti della publica sovrana providenza. Io però per più degni rispetti ho creduto bene con soavi maniere di divertire la loro mossa, assicurandoli di rassegnare ossequioso sotto l’occhio della Publica Matturità l’intiero dell’affare per i necessarii compensi.
Non ho mancato egualmente di far riflesso al tenore del constituto di essa communità trasmessomi in copia nelle predette ducali, in cui quei Giudici e cittadini pare dimostrino, tuttoche essenti, la rassegnatione loro nell’esborso della caratada, avvalorata l’espositione da lettera di quel publico rappresentante. Non può è vero negarsi che la communità stessa non habbi contato in Cassa lire cento e trentadue, ma il punto della ragione che milita a favore de poveri territoriali consiste che li Giudici nel riparto habbino fatto cadere il maggior peso sopra i più miserabili, consistente in lire seicento e vinti tre, soldi disdotto, essentando i cittadini più commodi, contro la mente pietosa e rissoluta dell’Eccellenze Vostre, e perciò hanno con reiterate suppliche invocata la ritansa et il loro rissarcimento con le spese, implorando in oltre sia decretato che in avvenire habbino anch’essi Zuppani e Procuratori del popolo ad intervenire ne comparti a divertimento delle partialità e degl’inconvenienti.
Essaminati finalmente in privileggi et i decreti, per vigore de quali professano quei cittadini d’esser essenti dall’obbligo di contribuire alcun esborso per occasione di carratade, trovo che quella communità e territorio nell’anno 1420 si rassegnò sotto i gloriosi auspicii di Vostra Serenità, e che tra gli altr’indulti gli fu accordato che in avvenire non gli sarebbe stato imposto alcun dacio o gabella oltre quelle che erano all’hora.
Nell’anno poi 1632 l’illustrissimo signor Podestà e Capitanio di Capodistria, con la facoltà impartitagli dall’eccellentissimo Senato d’emendare molti disordini e dar regolato motto alle diretioni d’essa communità, decretò nel terzo capitolo di sua diffusa terminatione, confirmata dalla Publica Suprema Auttorità sotto li 9 maggio dell’anno stesso, che li cittadini di quel Consiglio dovessero esser liberi et essenti dall’obbligo de carichi per la carratada, che vien imposta da questa carica.
Trovo però tra queste publiche memorie registrato infranto dalla rissoluta publica volontà tale privilleggio con triplicati decreti dell’eccellentissimo Senato, emanati sotto li 29 gennaro 1688, 2 agosto 1690 e finalmente sotto li 4 ottobre 1698, con i quali fu commandato che, essenti e non essenti, dovessero contribuire a tale gravezza, com’è stato anco doppo il primo sin hora prontamente essequito, mentre se dovesse haver luogo il proffessato indulto della communità predetta, potrebbero anco l’altre, con tal essempio, come instano anco li territoriali, farsi strada all’essentione, e constituire con tal modo in necessità la publica Cassa di supplire essa alle spese rilevanti e frequenti che seco portano le condotte de publici legni all’imbarco. Io tutto spiego con divotissimo ossequio alla notitia sovrana dell’Eccellenze Vostre, per rassegnarmi et ubbidir sempre ciecamente a quanto fosse dall’alto loro infallibile intendimento deliberato.
Nell’esaustezza della publica Cassa, impartitami da Vostra Serenità facoltà nelle precedenti ducali di valermi del denaro delle decime e soldi per lira per l’accomodamento di queste publiche monitioni, posto da me ogni studio al publico risparmio, ho sortito di restringere la spesa già prima calcolata delle lire trecento cinquanta sette, soldi dieci, in sole lire duecento sessanta, e di veder stabilita l’opera in forma sussistente e durabile, e perciò imploro dalla publica benignità il decreto della bonificatione nella resa de miei conti. Gratie etc.
Pinguente, li 23 ottobre 1704.
Francesco Pasqualigo, Capitanio di Raspo.
ASVe, Senato, Dispacci, Istria, b. 84.
Trascrizione di Umberto Cecchinato.