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14 settembre| 1703 Francesco Pasqualigo

Dispaccio del 20 agosto| 1704|

N. (senza numero)

Serenissimo Principe,
avvicinantosi il termine dell’annuali condotte de datii del formento, vino, animali menutti, pane e beccarie di questo castello, e della muda e taverne del Carso, mi sono in varii giorni festivi conferito sopra l’incanto, e doppo molti replicati esperimenti, post’in pratica anco l’uso de maneggi a parte, ho finalmente havuto il contento e la gloria, a fronte della strana crisi che con estraordinaria sicità ha innaridita tutta la provincia e flaggellati li raccolti, di sostenere essi publici patrimonii non solo al prezzo delle decorse condotte, ma anco deliberarli per anno uno per lire tre mille cento ottantacinque, con qualche accrescimento dalla condotta dell’anno scaduto.
Non pretermesse pure le diligenze più attente per vedere egualmente affittati gl’utili delli publici molini d’Uraschiach e Chenesiach, mi è, se bene non senza fattica, sortito veder abboccati anco questi; il primo per anni due per lire cento sessanta una, soldi quattro; l’altro per anni tre per lire duecento in ragione di anno, che sono le somme stesse delle passate condotte.
Assicurate però le predette publiche rendite con idonee e sufficienti pieggiarie, ne consacro ossequioso a Vostra Serenità la notitia, in testimonio delle mie divote attentioni al publico reale servitio, e per l’opportuna approvatione quando tale sia il beneplacito dell’eccellentissimo Senato.
Trovandomi poi con l’incarico, esteso in venerate ducali di 2 giugno dell’anno scaduto, di render sodisfatto Mattio Bartolich, creditore di grossa somma, per la condotta de publici legni sino dalla caratada dell’anno 1696, rilevato procedutone il diffetto dalla communità di Rovigno, che non adempita caratada stessa, anzi debitrice di lire mille quattrocento trentaotto, soldi dieci, non lasciò giamai campo di render sodisfatto esso appaltadore.
Calcate da me molte vie per riddurla all’adempimento de proprii doveri, et haver io modo d’essequire i publici sovrani prescritti, resosi ogni passo inofficioso, mancante questa carica di forze bastanti per astringerla a praticarsi, confessato già il debito, necessario si rende che l’auttorità sovrana di Vostre Eccellenze n’applichi quel compenso che fosse reputato consentaneo al publico interesse, e servir potesse anco ad altre communità d’essempio.
A questo passo ho venerati gl’inchinati sensi dell’eccellentissimo Senato nelle nelle (!) riverite ducali di 9 corrente, che mi prescrivono il mettodo con cui devo diriggermi contro alcuni contumaci della terra d’Albona, per occasione della caratada corrente, in caso si rendessero maggiormente renitenti all’intiera essecutione della mente publica; e però, havend’io relativamente distribuiti gl’ordini, sto in attentione dell’ubbidienza per poter, in evento di diffetto, cieccamente adempire il publico sovrano commando.
In esse ducali leggo pure eccitato il mio zelo divoto a suggerire quei ripieghi che si rendessero più praticabili e valevoli a togliere il corso ai gravi danni che dall’avvisata numerosa truppa de banditi vengono commessi in questa provincia contro l’honore, le vite et le sostanze de sudditi.
Essaminata da miei fiacchi talenti la rilevanza della matteria, rimarco non poche oppositioni all’oggetto di veder estirpati tanti malviventi, mentre caminando uniti, o divisi in corpi poco distanti l’uno dall’altro, armati d’armi lunghe e curte da fuogo, oltre le sciabole, non lasciano campo, nella mancanza di forze corrispondenti, al bisogno di poter sperare il loro arresto.
Li communi, ben è vero, del Parenzano e di Polesana, com’assai numerosi di gente atta al maneggio dell’armi, potrebbero farne qualche non infruttuoso tentativo, ma rilevand’io tener colà essi banditi copiose adherenze e molte parentelle, non saprei qual buon successo si potesse promettere.
Tra tali e sì spinosi obbietti non so determinarne il ripiego per render liberi questi afflittissimi sudditi da gente sì infesta, quando la Publica Sapienza, nelle correnti moleste congionture, non devenisse in deliberatione di chiamarli a servire tra le truppe o della Terra Ferma o della Dalmatia, per quel tempo che fosse trovato corrispondente alla qualità de loro bandi.
Come però ciò porgerebbe un gran respiro alla provincia, et al commercio arrennato dall’universal timore di cadere nelle mani de banditi stessi, che ne’ giorni scaduti hebbero ardire d’avvanzarsi sin anco nelle vicinanze di questo castello, rubando animali e poi passando a’ confini di Fiume, per coglier l’opportunità del rittorno de mercanti da quella fiera con l’oggetto di svallegiarli, come rilevo accaduto a tal’uno; così non ha in tanto il mio zelo ommesso d’incaricare li communi a me soggetti di star vigilanti ad ogni insorgenza e, divertend’ogni strano successo, render sicure al possibile le publiche strade.
Tra le varie molteplici infestationi commesse da banditi medesimi non hanno però i miei fervidi studii lasciat’in abbandono le diligenze più accurate per render sollecitate le condotte de publici legni all’imbarco; et come il mio spirito è tutt’ardore per il miglior publico servitio, così, a fronte di tanti ostacoli, ho la gloria ed il contento, nella sola mettà del tempo accordato agl’appaltadori di veder non solo riddotta a sì felice termine la condotta de cimali d’olmo e frassini della corrente caratada, che pochissimi ne restano ad intieramente prefettionarla, ma anco quella degl’olmi e frassini, che recisi sin già due anni, tuttavia essistevanno in bosco, come ho anco rassegnata esata notitia all’eccellentissimo Reggimento all’Arsenale, in adempimento de miei humilissimi doveri, ed in prova di quel zelo che da me sarà sempre inseparabile per il miglior e più fruttuoso interesse della patria adorata. Gratie etc.
Pinguente, li 20 agosto 1704.

Francesco Pasqualigo, Capitanio di Raspo.

AS Venezia, Senato, Dispacci, Istria, b. 85.
Trascrizione di Umberto Cecchinato.