14 settembre| 1703 Francesco Pasqualigo
Dispaccio del 30 agosto| 1704|
N. (senza numero)
Serenissimo Principe,
venerato l’incarico di Vostra Serenità nelle ricevute ducali di 9 cadente, che mi prescrisse il mettodo con cui dovevo contenermi contro quei cittadini della terra d’Albona che si rendessero contumaci all’intera essecutione della mente publica per occasione della corrente caratada, distribuii gl’ordini opportuni, e sono stato in attentione dell’ubbidienza per render adempito il publico sovrano commando.
Recando però ogni titolo mi rendeva persuaso potessero comparirmi li riscontri d’una pronta rassegnatione di quei Giudici, si è presentato avanti me in nome de medesimi il dottor Antonio Francovich, e mi ha rese lettere segnate in data di 4 cadente levate all’eccellentissimo Colleggio de XX Savii Ordinarii dell’eccellentissimo Senato, con le quali essi Giudici, appellandosi dalla sentenza da me pronunciata li 21 luglio spirato, essecutiva della publica suprema volontà a favore delli Zupani del territorio e Procuratori del popolo della terra predetta, pretendono sospendere ogni novità in matteria sì grave et importante, che restringe tante consequenze di publico e privato interesse.
Sopra tal emergenza, a scanso d’ogni disordine, ho però creduto neccessario soprasedere l’essecutione d’esse lettere, che mi commettono la citazione de Zuppani e Procuratori predetti avanti esso eccellentissimo Colleggio, come pure ogn’altro passo relativo al tenore delle ducali prenarrate, mentre da lettere di 27 cadente di quell’illustrissimo signor Podestà raccolgo che li sudetti Giudici recusano la ritansa d’essa caratada col fondamento sia già stata sodisfatta dalli Zuppani del territorio e Procuratori del Popolo, e che la matteria sia tra essi riddotta in contesa civile.
Perché però cada sott’il riflesso della Publica Sovrana Sapienza l’intiero de fatti, trovami in obligo di spiegarlo con esata chiarezza a Vostre Eccellenze per quelle deliberationi che fossero reputate consentanee per riddurre all’ubbidienza li contumaci, sollevando tanti miserabili contro il giusto et honesto, eccedentemente aggravati, e troncare la radice a quei strani successi che potessero insorgere.
Pervenutami la facoltà del getto della caratada predetta, feci formare con decretate mesure il consuetto riparto delle somme spettanti a cadauna communità.
Drizzai anco a quella d’Albona l’ordine d’essigere la somma toccatagli con solite formalità sopra cadaun capo di famiglia, non admettendo partialità, concedendo a chi si sia essentioni.
Imposta da Giudici essa gravezza con mettodo contrario alla mente pu(blica), essentando i cittadini più comodi e facendo cadere il peso maggiore sopra li più miserabili, fecero in copioso numero li Zuppani e Procuratori predetti a me riccorsi perché fosse regolato il disordine, e rifformata la tansa a norma de sovrani publici prescritti.
Essaudii prontamente l’instanza per effetto di giustizia, rilasciando relative commissioni a Giudici precitati, ma non essequito da questi l’incarico, scrissi replicate lettere a quell’illustrissimo rappresentante, acciò dovessero a me venire; ma costanti essi nella contumacia, stimai partito di necessità, per non veder ritardato il publico servitio, d’insinuare ad essi Zuppani e Procuratori l’esborso della somma impostagli da Giudici della communità, senza pregiuditio delle loro ragioni, anzi con impegno di rassegnare alla suprema notitia dell’Eccellenze Vostre per il necessario provedimento.
Con tale fede contarono essi il danaro, ed io suppliti ai riguardi del publico ser(vitio) ne humiliai a publico lume l’emergente, quale valse poi a render persuasa la Publica Sapienza di devenire al precitato decreto, commetter a me il farlo essequire, et incaricare l’illustrissimo signor Podestà d’Albona di portarmi le notitie in caso di renitenza.
Quei popoli però, animati dalla speranza di vedere con la reggia mano di Vostra Serenità regolato il disordine, e che li Giudici stessi non fossero per recalcitrare dall’essecutione de publici precetti, scoperta la repugnanza et rimasti delusi, doppo haver sofferte molte spese, et incomodi, sono ne giorni scaduti quasi in forma tumultuaria nuovamente avanti me comparsi, protestando che quando non sarà rifformata la tansa predetta, ed essi rissarciti, non potrà questa carica in evento di nuove caratade promettersi alcun esborso.
Io tuttavia, con maniere soavi, gli ho insinuato il ritorno alle case loro con impegno di consacrare, come faccio, questi nuovi emergenti alle ponderationi sovrane dell’eccellentissimo Senato, per quei compesi che fossero proprii dell’auttorità sua grande e della sua infallibile sapienza. Gratie etc.
Pinguente, li 30 agosto 1704.
Francesco Pasqualigo, Capitanio di Raspo.
AS Venezia, Senato, Dispacci, Istria, b. 85.
Trascrizione di Umberto Cecchinato.