1 gennaio| 1704 Giacomo Barbaro
Dispaccio del 17 ottobre| 1704|
N. (senza numero)
Serenissimo Principe,
con profonda humiliacione rassegna la mia pontualità alla Serenità Vostra la comparssa nel giorno d’hoggi in questa città d’un Comissario della Camera di Graz, due Conssiglieri della stessa, il Capitanio di Pisin con altri di sua Corte, tutti al numero di quatordeci. Precorssami la noticia il giorno antecedente, col riflesso alla mala situacione di questo luoco sproveduto d’ogni requisito valevole a darvi almeno una honesta apparenza, ho creduto proprio comandar cento di queste cernide in città per esser disposte parte alle porte della medesima, et il restante al corpo di guardia del publico palazzo. Doppo haver cossì osservato parte dell’antiche reliquie desiderorono anche d’introdurssi nella fortezza, ma come questa è affatto mancante di tutto ciò vaglia a qualificarla per talle, così mi sortì destramente a vederli divertiti, abbondando peraltro delle maggiori dimostracioni di stima al loro carrattere, e perssone regalati in forma propria per quanto ha potuto il mio tenuissimo potere, accompagnati sin nel di partire con le maniere più cortesi e gradite anche a segno che valssero con espressa visita in questa casa di Vostra Serenità farmelo comprendere con la maggior pienezza. Con talli osequiose noticie doverei anche estendermi nel sottoponer alla Publica Sovranità l’infelice stato della fortezza medema, ridotta senza quartieri con pochi canoni e smontati, e la chiesa cadente, ma essendo stato di già dalla zelante applicacione de miei precessori esattamente ragguagliata, conosco in ciò superflue le repliche; non tralasciando però d’assogettare divotamente lo stato della giuridicione, che prova tutta l’infelicità e dissaggi per il gran numero de banditi che in sé rachiude, e nel littorale gran quantità de contrabandieri, non solo in sprezzo della giusticia, che a danno conssiderabile de suditti per gl’homicidi et infiniti furti che vengono comessi, per il che di continuo mi vengono portate lacrimevoli instanze e lamentacioni. La debbolezza delle forze di questa regenza, con mio infinito spiacere, non mi dà modo d’applicarvi li dovuti compensi, anzi mi necessita lasciar sconssolati questi miserabili, che perciò solamente dalla clemenza del suo adorato Prencipe chiamano il solievo. Direi per mio humilissimo e debbolissimo sentimento che l’unico mezo a tanti mali fosse la dimora per qualche tempo (della) publica galeotta in questo porto, acciò unitamente alle cernide del territorio pot(rà), nell’occorrenze di publico servicio e della giusticia, impiegar le sue forze (per) dar respiro all’angustie di questi miserabili popoli, non potendo (le) sole cernide comprometterssi cosa alcuna per la parentella che per lo più tengono con li stessi malfattori, ed io non manco di portar il tutto sotto l’ochio purgatissimo della Sovranità Publica, per le proprie inchinate deliberacioni. Grazia etc.
Pola, li 17 ottobre 1704.
Giacomo Barbaro, Conte e Provveditore.
AS Venezia, Senato, Dispacci, Istria, b. 85.
Trascrizione di Umberto Cecchinato.