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14 settembre| 1703 Francesco Pasqualigo

Dispaccio del 30 marzo| 1706|

N. (senza numero)

Serenissimo Principe,
in ubbidienza ai supremi decreti di Vostra Serenità mi sono ne’ primi del cadente conferito nella terra di Pirano per l’ordinaria visita praticata egualmente dagl’Eccellentissimi precessori, per essaminare li maneggi di quel Santo Monte di Pietà, Fontaco, Comunità e Scuole laiche subordinati a questa carica, et emendare i diffetti; e però di quant’hanno le fisse attentioni del mio zelo divoto contribuito in quel soggiorno per il maggior vantaggio d’essi pii luoghi ne consacro all’Eccellenze Vostre ossequioso la relatione.
Versarono i miei primi studii sopra la direttione del Fontaco, come capitale più pingue e più esposto a’ pregiuditii, e lo trovai soccombente per la somma di lire vintinovemille ottocento novanta sei, soldi 6, delle quali gl’antepassati amministratori rissultano diffettivi, e di lire quattrocento vinti due, soldi dieci per conto di semine.
Fattegli correre le minaccie dell’essecutioni per vederlo rissarcito, non ho potuto sortire contento maggiore che di renderlo reintegrato di sole lire tredeci mille sei cento cinquantadue, soldi diecinove, per la scarsezza de’ raccolti d’oglio e sale e d’altra natura di vendite, originata dalle strane influenze corse nell’anno scaduto e dalle tempeste, che hanno flaggellate le campagne con lo spianto di numerosa copia d’olivi, e che m’hanno in consequenza levato il modo di spremere l’intiera somma d’esso debito.
Passato poi all’essame dello stato del Santo Monte di Pietà, ho convenuto compiangere l’infelice sua constitutione, mentre di lire cinquanta tre mille cento e undeci, che dovrebbe rilevare il suo capitale, l’ho trovato riddotto in sole lire undeci mille ottocento cinquanta sette, a mott(ivo) d’un intacco seguito sino già molti anni di lire quaranta un mille due(cento) cinquantatre. Il zelo veramente degl’Eccellentissimi precessori nelle loro visite tentò reddimere un capitale sì rilevante, ma ristrette le visite stesse da’ publici decreti in soli giorni vinti, questo breve tempo non ha giamai permesso, né può permettere ventilare la matteria e venir in chiaro dell’ident(ità) de’ beni di quei molti pieggi che dovrebbero render rissarcito l’intacc(o), obligata questa carica a tanti altri publici riguardi nel giro di sì pochi gior(ni).
Anco la Communità, per effetto della mala aministratione delle sue rendit(e), si mirò scoperta di lire ottomille settecento novantanove soldi dieci, delle quali sono andati diffettivi gl’affittuali, livellarii e daciarii della (...).
Contro di questi non ho pure tardato punto drizzare i passi di giu(stitia), ma trascorsa la mettà della visita prima possino esser da’ Ministri intieramente ponderate le partite di tanti maneggi, e formati gl’estra(...), non m’ha servito il tempo delli giorni vinti predetti per supplire ad ogn’incombenza. A fronte tuttavia di tale ostacolo e della mancanza de raccolti, ho fatta render reintegrata anco la Communità predetta di mille settecento ottanta sette soldi sette, onde compariscano le mie zelanti attentioni sempre fisse al publico adorato servitio.
Nel rifflesso poi alle somme miserie de’ poveri debitori ho fatto a sollevo seguire li giri di quelle pene che per vigore delle leggi si dovevano. Le Scuole laiche all’incontro sono state ne’ mane(ggi) delle loro rendite e spese trovate così ben dirette che non hanno dato al zelo mottivo maggiore d’essercitarsi ch’in quello d’essaminarli.
Non devo ommettere di spiegare con tal’opportunità a publica sovrana notitia un disordine da me rimarcatto, di somma consequenza, che camina a pregiudicio del Fontaco, e che quando non gli venga troncato il corso andarà constituendo quel publico deposito nel sommo dell’angustie, et in stato di trovarsi quasi sempre esausto di danaro.
Già alcuni anni, per non mirar desolate molte famiglie rilevate debitrici d’esso Fontaco in occasione della visita, fu introdotto d’habilitarle alla sodisfatione in rate con tanto credito de’ sali.
Caritativa fu la mira, pietoso l’indulto, ma caminato in essempio ha prodotto perniciosissimi effetti, come l’esperienza fa conoscere, perché li fonticari di formenti e farine, e li daciari ancora, accomodando li loro particolari interessi con il danaro che maneggiano d’esso Pio Luogo, riddotti al tempo de’ loro saldi, compariscono diffettivi di grosse somme, e per sodisfarle si fanno con l’essempio stesso habilitare anc’essi in rate con tanto credito di sali, comprando da private persone le bollette con un vantaggio di trenta per cento, di modo che il Fontaco a quest’hora, per quello rilevo dalla revisione fatta dal mio raggionato, rissulta creditore di tale natura di lire cinquanta nove mille settecento e ottanta, senza potersi di questa somma valere nell’investite de’ grani. Da tale disordine ne scaturisce poi un maggiore, ed è che non toccandosi danaro in cassa d’esso Fontaco, né potendosi in consequenza comprar il formento a prezzo avvantaggioso per mancanza d’effettivo contante, si rende molte volte necessario riceverlo a credenza a prezzo eccedente e di qualità inferiore, con quel somo pregiud(itio) e mormoratione di quei poveri popoli, che dalla sublime intelligenza dell’Eccellenze Vostre può ben esser compreso.
L’ottimo tra rimedii per restituire nel suo primo essere deposito sì precioso, che deve servire per suffraggio della povertà e troncare la radice alla pur tropp’avvanzata sua desolatione, crederei per mio humilissimo senso fosse quello di abbolire tutti li decreti d’habilità di tale natura concessa a’ debitori in rate, le quali trovo state dilatate sino a sei, otto e dieci anni, assegnando a quelli che già sono stati gratiati un termine più congruo, ma con obligo preciso però di saldare il loro debito non con credito di sali, ma con danaro effettivo, con severe comminationi a’ ministri di pagare del proprio e d’esser criminalmente castigati quando in avvenire girassero partite della natura predetta. Con tale mettodo in poco giro di tempo entrarebbero in cassa le predette lire cinquantanove mille settece(nto) ottanta, et il Fontaco prenderebbe grande respiro, con contento e sollevo di quei poveri sudditi, quali rilevo stat’in punto di farne a Vostra Serenità sopra tale matteria positivo riccorso.
Alla suprema sapienza dell’Eccellenze Vostre consacro tale mio hum(ilissimo) zelante sentimento sempre rassegnato però alle loro infallibili deliberationi.
Havendo nella predetta visita consonte le vinti giornate sopra prescritte, imploro con divotissimo ossequio ch’a immitatione del praticato anco con gl’Eccellentissimi miei precessori sia da Vostra Serenità commandato mi restino nella resa de’ conti bonifficate. Gratie etc.
Pinguente, li 30 marzo 1706.

Francesco Pasqualigo, Capitanio di Raspo.

AS Venezia, Senato, Dispacci, Istria, b. 87.
Trascrizione di Umberto Cecchinato.