24 marzo| 1709 Ferigo Calbo
Dispaccio del 1| aprile| 1710|
N. (senza numero)
Serenissimo Principe,
tentato il giorno di 21 del scaduto in villa di Vodizza, giurisdittione di San Servolo, Stato austriaco, dove si trovavano offiziali dell’esatorato di Trieste, l’arresto di due sudditi di Vostra Serenità della villa di Dana di questo distretto, incerta la causa se per havervi giorni avanti condotto sali per vendere, o per fomento havuto da alcuni di que’ habitanti che gli assistirono, e che si pretendevano mal contenti per occasione d’un cane, le riuscì anche d’uno d’essi, sottratosi l’altro con l’abbandono dello schioppo e con la fugga.
Passata la notizia di ciò al Zuppano di Dana, un solo miglio discosta, s’avanzò immediate a Vodizza dove, seguito d’alcuni altri della sua villa, successe un fatto funesto de sbari e ferite reciproche con la morte infelice di più persone.
Ricevuto da questa carica con estrema pena l’aviso, spedii immediate a prendere l’informazioni del caso per applicarvi li ripieghi che havessero ricercato non meno il servitio della giustitia, che l’importante premura di ben attenersi con i confinanti. Dal detto degl’offesi e d’alcuni testimoni di Dana, si rilevò che s’avanzasse il Zuppano a quella parte con sola intenzione di ricuperar l’armi de suoi, ch’eran publiche, e de quali, come anche Capo di Cento, doveva lui Zuppano renderne conto; che lo seguissero alcuni altri del suo comun, più tratti dalla curiosità che da altro fine, e che appena colà, quindi, fosse accolto il Zuppano stesso con un sbaro d’archibuggiata, che se ben da questa rimasto illeso, ne derivò la serie tutta susseguita fatale e riparabile, con l’interfettione d’uno de predetti offitiali, d’una persona di Vodizza ed altra mortalmente ferita, e di tre sudditi dell’Eccellenze Vostre pure mortalmente feriti, uno de quali anzi è morto, l’altro che languisce tra l’ultima penos’agonia, ed il terzo, ch’è il Zuppano medesimo, respira ancora ma senza certa speranza di vita.
Dubioso che il successo funesto potesse produre un peggior rilascio a conseguenze maggiormente infelici nel genio indomito e reto di quei di Dana, pensai prevenir ogn’altro accidente col spedirvi il publico Valperto Giulio Cesare Bochina, ch’è anche Capitanio dell’ordinanze de Carsi, e ben affetto a que’ popoli, perché quietasse gli animi loro risoluti, che prevedevo in tumulto.
Lo munii di mandato, inhibitivo ad ogn’uno d’essi spetialmente di portarsi in avvenire a Vodizza, senz’espressa permissione della carica, con oggetto d’assicurarmi prima della loro rassegnazione e de sentimenti insieme de confinanti. Non riuscì vana la speditione, poiché restò col di lui ritorno accertato d’haver con la sua molta desterità quietata la gente, che faceva causa comune la morte et offese de suoi; anzi, chiamati successivamente molti di loro alla mia presenza, le ho comandato in appresso d’astenersi da ogni insulto e trapasso con qual si sia austriaco, e di far passar a Vodizza alcun’arma che scoprii haver essi levata a loro offensori, con il fine che tal dettenzione non serva a svegliar in alcun tempo con nuovi rischi la memoria del fatto.
In tanto ch’io versavo tra queste riputate indispensabili disposizioni, mi giunsero l’unite del Vicario Luogotenente di Pisino, nelle quali raccogliendo il fatto stesso in misure diverse, tutte in colpa de sudditi della Serenità Vostra, ne dimanda giustizia.
Veramente, come non ho potuto haverne lumi distinti che dagli stessi offesi et habitanti di Dana, non è difficile che lo habbino rifferito col loro vantaggio, e l’unione con la quale s’avanzarono a Vodizza con armi, pone in gelosia della loro precedente intentione. Tuttavolta ho riputato rescriverle, che si rileva da questa carica ne’ pari termini umiliati a Vostre Eccellenze, e che confido risultarà tale egualmente alle sue diligenze, quando l’estenda la giustizia in persone che siano disappassionate e sincere. E perché incalza con vigore per l’arresto di molti di Dana che nomina, l’ho assicurato che proseguendosi di più il processo sarà ogn’uno castigato a misura delle colpe e degli eccessi che si liquidassero, studiando di sodisfarlo in qualche parte per scansare possibilmente gl’impuntamenti e gl’impegni non mai utili tra confinanti.
Il mio ossequio supplisce in tanto al preciso debito della puntualità, humiliando alla Serenità Vostra la distinta relatione del fatal accidente, quale come giunse con la sua notizia a turbar sensibilmente il suo animo, così prende in presente alcuna parte di consolatione dalla lusinga d’haver potuto opporre il riparo all’avanzamento d’alcun altro più molesto e più miserabile. Grazie.
Pinguente, primo aprile 1710.
Ferigo Calbo, Capitanio di Raspo.
Allegato: dispaccio di Francesco Tranquillo, capitano di Pisino (2 cc.).
AS Venezia, Senato, Dispacci, Istria, b. 90.
Trascrizione di Umberto Cecchinato.