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24 marzo| 1709 Ferigo Calbo

Dispaccio del 20 agosto| 1710|

N. (senza numero)

Serenissimo Principe,
molto prima che cadesse l’affittanza di questi datii, spirata col giorno di 25 luglio, estese l’obligo del mio zelo le parti della più attenta diligenza e premura, per riuscire la loro condotta. Con l’uso degl’incanti e del concorso che procurai di promuovere, otteni anche, a riserva del solo del vino, vederli tutti abboccati, sostenuti, come mostra il foglio che umilio a Vostra Serenità, nelle summe dell’anno decorso, tuttoche alcuni d’essi già sin hora, rispetto alla loro tenue rendita, fossero dagli essercitii fruttuosi del mio debito non poco migliorati e accresciuti.
Per quello del vino, per quanto n’habbi contribuito d’applicazione la più appassionata e indefessa, non è stato possibile d’affittarlo. Rapite in gran parte l’uve dal flagello della tempesta, e distrutte viè più dal furioso dibattimento de’ venti, hanno queste miserabili fatalità alienato le persone d’offrirvi in apprensione d’un certo discapito. Meditando però al modo di farlo custodire per conto della Serenità Vostra, nell’esame de’ mezi più cauti, ho compreso affacciarsi più gagliardi gli ostacoli e più estremi i pericoli.
S’essigge questo datio da’ possessori de’ beni a misura della quantità dell’uve che raccolgono, rilevando il maggior pagamento un orna di vino, che alcuni lo corrispondono, ed altri il soldo in sua vece, resa così da cert’uso la libertà di sodisfarlo ad arbitrio nelle mani del conduttore. Fu instituito con la marca d’esser veramente tenuti al suo pagamento con vino, e con questo probabilmente proffittarebbe negli anni di scarsezza assai più che col soldo per il basso prezzo, a ciò (?) è limitato il vino stesso che deve pagarsi; ma, a maggior facilità degl’obligati et a comodo ancora de’ datieri, fu introdotto riceverlo alternativamente a piacere de’ debitori.
Hora, se dovesse chiudersi per conto di Vostre Eccellenze, l’uno e l’altro modo si renderebbe sommamente spinoso, poiché accordando il pagamento con soldo, verrebbe a diminuirsi sensibilmente la rendita appresso il degrado naturale a che si vede portato in quest’anno, e volendosi vino, oltre la difficoltà et il dispendio per gli arnesi, l’aggravio di governatore e d’alcun ministro per custodirlo e esitarlo, v’è il rischio sempre del guasto e di perdersi l’intiero del datio. In questa evidentissima contingenza mi sono dato a ritentar l’affittanza. Disperato ogn’impiego per la summa dell’anno decorso, crederei di publico servitio superar qualche offerta. Doppo inutili vigorose sperienze per quest’effetto, finalmente, a forza di fatica e di stento, l’ho conseguita e ridotta sino a lire seicento e cinquanta, inferiore di sole lire sessanta alla scaduta condotta.
Pare che tutto ciò che ho umiliato consigli attenersi alla certezza della rendita, non ostante l’irreparabile accennata diminutione, più tosto che ridursi alla necessità di dover soffrire per conto publico, se non l’intiero suo sagrificio, almeno un più pesante degrado. In ogni modo, non sospirando il mio ossequio che avanzar i passi dell’obedienza e del debito con la scorta sempre delle regie venerate intenzioni, rassegno alla Serenità Vostra la notizia distinta del combattuto emergente, in cui tutta l’opra e la passione del zelo non hanno potuto, in colpa degli avisati accidenti, essercitarsi con miglior frutto. Grazie.
Pinguente, 20 agosto 1710.

Ferigo Calbo, Capitanio di Raspo.

Allegato: nota delle rendite dei dazi della camera di Raspo (1 c.).

AS Venezia, Senato, Dispacci, Istria, b. 90.
Trascrizione di Umberto Cecchinato.