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24 marzo| 1709 Ferigo Calbo

Dispaccio del 22 agosto| 1710|

N. (senza numero)

Serenissimo Principe,
si è ingannato l’Eccellentissimo signor Podestà e Capitanio di Capo d’Istria, significando a Vostra Serenità, senz’haverne alcun sicuro riscontro, che Antonio Borri, già squerarolo in Pirano, si sia ricovrato in Trieste per un bando di questo Reggimento. Egli è stato bensì inquisito a denoncia del Capitanio de’ Boschi Varuda, della quale umiliato un solo cenno all’Eccellentissimo Senato dalla puntualità del mio ossequio, fu di suo positivo comando, in ducali sino dì 27 giugno dell’anno decorso, la prossecutione del processo per devenirne al castigo. Hebbe origine dal bollo d’alcune brazzere, che fu trovato travagliare quest’huomo con roveri della più ottima e perfetta qualità riservati ai lavori importanti delle publiche navi. Con l’esame de’ testimonii si rilevò di vantaggio che, usando egli una dispotica indipendente auttorità e padronia sopra depositi publici così preziosi, rimarcati da tante sovrane venerabili leggi per sagri, sia stato solito per il corso di moltissimi anni portarsi senz’alcuna licenza ne’ boschi, et ivi sfiorar di persona e far seguire a suo arbitrio il taglio del legname più esquisito e migliore, esteso sino al numero considerabile di cinquanta e più roveri all’anno.
Col fondamento di tali gravissime colpe, che constano accresciute viè più dall’haver, col manto d’una licenza ultimamente ottenuta dall’Eccellentissimo Capitanio precessore per legni permessi, prosseguito in ogni modo il taglio stesso in roveri d’egual perfettione, fu decretato il suo arresto, che, non riuscito, restò proclamato fino li 4 decembre dell’anno decorso.
Adempiti questi atti indispensabili, relativi de’ primi passi della giustizia, anzi essecutivi del publico venerato comando, per formar un qualche riparo ai trasgressi, differii di spedirlo. In ciò crebbi andar secondando col mio naturale indulgente instituto il regio clementissimo genio di Vostre Eccellenze, anche con speranza che, se ben detto Borri s’è espresso al tempo del bollo con troppo ardire, e di mal esempio di non haver pensiero alcuno della giustizia, già stabilito nell’animo suo di passar sott’altro Dominio, compreso il dolce sentimento con cui s’andava sofferendo, si rimovesse dal publicato proposito. Ma sendo suddito imbevuto di pessime idee, privo di quell’amor giusto che si deve al suo Principe naturale, quasi in vendetta che si fosse toco il suo nome, passò in ogni modo a Trieste.
Fu, sopra la predetta denoncia e nello stesso processo, obligato con mandato per minori colpe, ma della medesima specie, un tal Antonio d’Este, anch’esso squerarol in Piran, a cui bollò pure il Capitanio Varuda alcune brazzere. Questo, doppo haver date continue confidenze di rassegnarsi, e d’esser concorsa la giustizia a tolerarlo egualmente in termine più d’otto mesi, senz’haver ne meno in ombra motivo alcuno d’absentarsi, ben sapendo che sopra l’accennato mandato, il decreto più mette, che potesse usar la giustizia non poteva d’alcun modo esser spedito, restò assicurato che, penetrate l’insinuazioni umiliate alla Serenità Vostra a favore del Borri, si sia lasciato persuadere di passar anch’esso, et unirsi al medesimo a quella parte, con quel’iniqui oggetti che l’alta maturità dell’Eccellentissimo Senato bastantemente comprende, e che rendono all’eccesso odiosa la contumacia di detto Borri, per non chiamarla con vocabolo più abominevole e degno del suo delitto.
Questa è tutta la serie purissima di questo negotio, alla puntuale relazione del quale uniscono le mie sommissime copia così del proclama del Borri che del mandato dell’Este, a maggior publico lume, e per intiera obedienza alla commissione venerata di Vostra Serenità e dell’Eccellenze Vostre in ducali di 30 luglio scaduto, solo in quest’hoggi inchinate. Grazie.
Pinguente, 22 agosto 1710.

Ferigo Calbo, Capitanio di Raspo.

Allegati: copia del proclama diretto verso Antonio Borri (2 cc.); copia del mandato diretto ad Antonio d’Este (1 c.).

AS Venezia, Senato, Dispacci, Istria, b. 90.
Trascrizione di Umberto Cecchinato.