1725 Gabriele Boldù
Relazione
13 novembre 1727 relazione di Gabriele Boldù da Cattaro
Serenissimo Prencipe.
Sostenuta per il corso di 23 mesi la grave carica di Proveditore estraordinario di Cattaro, appoggiatami dalla benignità clementissima dell’eccellentissimo Senato, devo nel mio regresso in patria, in ossequio alle leggi, rassegnare a Publico lume quanto nell’essercitio della medesima ho ritrovato relativo al Suo Reggio interesse.
Quindi mi farà umilmente a spiegare, nella presente divotissima relatione, le cose da me osservate e le deboli mie direttioni nelle fastidiose emergenze di quel confine, scortato però sempre dalle Publiche auttorevoli prescrittioni e sotto li fausti auspitii di due Primarie Rappresentanze. Ardirò dispensarmi dal rifferire varie circostanze, tante volte umiliate a notitia dell’eccellentissimo Senato dalla virtù degl’illustrissimi Precessori, e massime la descrittione di quel suddito Paese e delle Piazze soggette all’ispettioni della Carica, havendo anco supplito a questo punto particolarmente co’ miei riverentissimi dispacci terzo e decimo.
Elle non hanno migliorato nel loro sistema e continuano pocco meno ne bisogni e diffetti da me rappresentati, che chiamano a Publica providenza. Li sudditi de respettivi territori, quanto sono feroci e facili a trapassi, sono altrettanto divoti e fedeli a Vostra Serenità. Formano essi un buon corpo di gente animosa et armigerada, cui può promettersi in ogni caso un utile servitio alle Publiche premure.
Si distinguono però, e nella coltura e nel coraggio, quelli del Canale e li ho anco ritrovati li più rassegnati ai commandi della Rappresentanza e notabile in quelli di Castel Novo, che doppo essere stati ridotti in bomtà(?), fanno servire il spetioso privileggio loro concesso, alla più contumace disubbidienza. Professano tutti indistintamente essere disobligati dall’angarie e nei frequenti casi ch’insorgono, non v’è da chi la Rappresentanza possi essigere un pronto servitio. Se però si osserva il sentimento della Publica gratiosa concessione, sembra eretta la Comunità in Topla e parerebbe che quei soli habittanti suburbani dovessero goderne l’indulto, pure l’estendono a tutte le Ville del territorio, con evidente neccessaria confusione quando v’habbi a concorrere l’universale e con certezza del Publico disservitio. Io devo umilmente suggerire il disordine, essendo risservato sempre alla Publica Sovrana Autorità il remedio, quando credesse con specifica dichiaratione, togliere la troppo dilatata inteligenza del decretto et col restringere il numero, seccare il prettesto all’utile della prettesa scandalosa esentione. In presente viene accresciuto il numero dei sudditi di quella Provincia da Zuppani, Maini, Pobori e Braicchi, popolationi contese al Veneto Dominio doppo la guerra, ma negli ultimi mesi, col noto Reggio Firmano dichiarate di Publica indubitata ragione. La più numerosa fra questa è quelle di Zuppani, in comoda e vantaggiosa situatione alle Piazze di Cattaro e Budua, e che in tutti gl’incontri m’ha dimostrato una lodevole moderatione ed ubbidienza. Quant’all’altre, se pure nutriscono sentimenti sinceri di fedel vassallaggio, rittengono però intieramente li primieri costumi, rivolte ancora le loro inclinationi a Montenegrini, e se bene non apertamente, egualmente che quelli infeste a vecchi sudditi di Vostra Serenità. Essi Montenegrini poi, che sono habitanti de monti della Nitione Ottoma [Natione Ottomana], divisi in varie popolazioni, hanno molto volte posti in angustie li luoghi ed habbitanti di quella Superiore Provincia. Mai però io credo fossero animati tant’oltre li loro eccessi, quanto nei giorni che precessero il mio arrivo a quella Carica.
Quelli di Gregusi (?) che sono li più vicini e può dirsi sul limitare di Cattaro, oltre varie insolenze, havevano commessi due homicidi in vista della Piazza e tenevano in tal soggettione li suoi habitanti, che non osavano ne meno sortire ne suburbii. Quelli di Cettigne, di genio forse più infesto, s’erano insanguinati con Pastrovicchi, tre de quali rimasero estinti, e da (...) tutto spiravano animosità e sentimenti de più funesti successi. Ritrovai li capi renitenti a rassegnarsi, secondo il costume, alla Carica ne primi giorni del suo arrivo, non disposti nemeno ad alcun atto d’uffittiosa dmostratione. Valsomi d’una destra dissimulatione (studiando però sempre li mezzi di trovare il prograsso a disordini) potei imprimere colle mie riserve qualche gelosia e render loro desiderabile e precario l’accoglimento della Carica. Vedutili al segno a cui ho procurato condurli, mi sono mostrato disposto a riceverli, ma prima (valendomi dell’occasione) volta che densuassero (?) da loro stessi volontarie esibittioni di quiete e sicurezza, ricevendo in grado di loro dovere, ciò che era da me sommamente sospirato. Quanto anco venni d’ottenere, contro ogn’essempio e la stessa mia aspettatione, l’ho umiliato all’eccellentissimo Senato ne miei dispacci ottavo et undicesimo, così che non ne rinovo l’incomodo a Vostre Eccellenze. Ben mi sii umilmente permesso considerare, che per il corso del mio incarico, non ho havuto mottivo di molestare la Serenità Vostra con notitie de mali, sol’avanti così frequenti, e quindi inferire che l’impegno massime degli ostaggi (ch’ho sempre voluto fra principali delle popolationi) continuerà ad esser un freno assai efficace a divertire gl’eccessi di quelle genti, non considerabile, in riflesso d’un si buon effetto, il tenue aggravio alla cassa del loro mantenimento. Per altro venerando il sentimento dell’ossequiate ducali 8 ottobre (?) 1725, fu sempre del mio studio il coltivare li capi ed in essi (a quali per il più si ripporta l’utile) nutrire sentimenti di divotione verso il Publico e di moderatione verso li sudditi.
Ad ogni modo non è sempre bastante un simil contegno verso gente assueffatta a barbari trattamenti de Turchi, et oserà con proffonda umiltà credere, che sempre mai la dolcezza e le gratie non giungano ad essiger tutto il rispetto e la tranquillità di quella parte, se forse non servono di fomento a renderli più temerari ed ingrati.
Sarebbe bensì desiderabile che appunto le gratie, che vengono con larga mano proffuse dalla Publica generosità a favore di quei Communi, fossero dispensate almeno coll’intervento di quell’Estraordinaria Carica, onde li capi ravissasero nelle Carica la mano beneffatrice ed in essa la fonte da cui le derivano tante liberalità. E ciò mirabilmente potrebbe giovare all’occasioni di qualche facenda da trattarsi, mentre nei frequenti incontri di distribuirsi le benefficenze, ferebbe il Rappresentante cognitione de capi e questi contraherebbero con esso una spetie di debito et un particolar mottivo d’ubbidienza e rispetto. Ne faccio l’umilissimo cenno a scarico del mio dovere e per quei riflessi de quelli fosse fatto degno dalla publica ossequiata prudenza. Il stato poi in cui presentemente si attrovano quegl’affari, l’ho brevemente toccato coll’ultimo mio dispaccio del numero 31, già che sarà stato diffusamente umiliato dall’eccellentissimo signor Proveditore generale, ch’ha onorato della sua presenza quella Provincia.
Parevan risvegliate le animosità tra quei di Cettigne e Pastrovicchi, ne l’opra prudentissima et auttorevole di sua Eccellenza, sotto il di cui occhio può dirsi è nato l’ultimo disordine, ha valso a calmare gl’animi et a riuddurli alla tanto bramata arbitraria. Sembrano in colpa quei di Cettigne, ma in vero io la considero nel noto Vescovo Danilo, residente (?) a Maini entro il confine di Vostra Serenità. Questi, moderatore degl’animi di quelle genti, in vece di nutrire sentimenti confacenti al suo carattere, impiega la propria auttorità a seconda del pravo [malvagio] suo genio e delle sue torbide macchinationi. Io l’ho coltivato quant’hanno voluto i riguardi della prudenza e la lusinga d’interessarlo nelle premure della Carica, sempre dirette al Publico venerato servitio, ma non posso esserle testimonio d’alcuna buon opra, anzi devo considerarlo la pietra del scadalo di quella confinatione. In egual aspetto egli si attrova anco appresso Turchi, e s’è ricovrato nel stato per isfuggire qualche colpo de commandanti, non però attratto dai rigaurdi della Religione nè d’alcun interesse per Vostra Serenità.
Ed al passo di questo Prelato, auttorevole e di reprobe massime, è rifflessibile ch’oltre li nuovi sudditi molti ancor degli antichi, che sono Pastrovicchi, Gustizza, Cartoli, varie altre Ville del Territorio di Cattaro, osservano il Rito Serviano, professatto dallo stesso Monsignor Vescovo Danilo, ne devo meno tacere l’osservatione fatta, ch’in quella gelosa Piazza vanno aumentando le famiglie e le case di simile Rito, certamente averso a Cattolici, onde tutto serva d’oggetto alle Publiche sapientissime ponderationi. Frequenti sono li mottivi alla Carica di trattare con Commandanti Turchi dell’Albania e della vicina Herzegovina. L’occasioni m’hanno documentato che non v’è affare per giusto, che possi ottenersi, quando non vi preceda il loro interesse. Pure non havendo mancato di coltivare una buona corrispondenza e di cooperare alle premure de Commandanti medesimi, sono stato in qualche caso iscambiato con alcuna sodisfatione alle mie istanze. Non può ad ogni modo sperarsi ch’in affari d’importanza, a fonte anco de Reggii commandamenti spediti alle Cariche, possi senza prezzo conseguirsi l’ubbidienza, come lo dimostrano tanti inefficaci Firmani cro (?) de Dulcignotti, per le rappressaglie commesse a sudditi e per l’infestatione del Golfo, in unione ai noti pirati Reis Begiet (?) et Ali Cozza. Tuttavia merita la maggiore insistenza l’affare della nota rappressaglia sofferta da quei di Castel Novo e Pastrovicchi, che se a me è sortito tenerli in freno colla speranza del rissarcimento, posso giustamente temere, col riflesso alla ferocia di quei sudditi, che voglino un giorno pagarsi sopra qualche innocente mercante per dar mottivo a ricorsi alla Porta, dove non sono mai riggettati, anzi ne derrivano al Publico disturbi e dispendii.
Li riguardi della Religgione e l’allettamento delle Publiche pietosissime massime, hanno reso desiderabile a molte famiglia dell’ottomana Albania la sudditanza di Vostra Serenità. Coltivata con destra maniera la loro inclinatione (doppo haver venerata l’intentione della Primaria Rappresentanza) ne ho accolto diverse e spedite in più volte a Zara, alle disposizini dell’eccellentissimo signor Proveditore generale (?) in che ho osservato tali cautele, che non è nato verun disordine o reclamo de Turchi, contento perciò d’haver levati sudditi al Paese nemico e stabilitone un buon numero al stato di Vostre Eccellenze, massime in progresso d’anni, che saranno moltiplicati dalla natura. Ho havuto anco qualche buona sorte, nel veder concorrere dalla detta Albania qualche numero di reclute Oltremarine, che se bene non è corrispondente al bisogno della Natione ed alle Publiche ossequiate premure, può sperarsi che l’essempio, il credito di qualche capo e massime una continua attentione a cogliere le favorevoli congiunture, o di fame o di persecutione de Turchi, habbi ad attraherne in qualche maggior quantità.
Circa alle rendite di quella Provincia, che dipendono da datii e da canoni di Castel Novo, che sono assai deboli per la scarsezza del traffico, difficoltato dall’esorbitante valor del cechino, per le molte esentioni che godono varie di quelle popolationi et per la frequentza de contrabandi. Ho invigilato ad accrescere li Publici proventi et a divertire li pregiudizii, ma le poche forze che assistono quella Carica, non possono essere distribuite ai molti posti et alle tante essigenze. Non può negarsi che anco quelli del Canale non procurino defraudare il Publico patrimonio, ma molto più li Pastrovicchi, con ogli e tabachi che conducono ne Stati Austriaci. E per quanto ho potuto ritrahere nella materia, usano questi passare a Trieste ove (non sempre farsi) fatta la contumacia, diffondono poi liberamente il negotio nel Friuli e sino nella Piazza di Palma, tenendo ivi corrispondenze et amici. Il zelo divoto per il Publico interesse, m’obliga a non trascurare la notitia a lume de Publici provedimenti. Sarà farsi migliore la conditione del Publico interesse, all’or che siino eretti li Lazzaretti in Castel Novo, fabrica già deliberata dalla Publica maturità.
Serviranno essi non solo al negotio della Dominante, per la facilità del concorso delle merci all’espurgo, ma l’impiego de sudditi Bastimenti, quando sii dalla Publica volontà, che senza eccetione possino tutti presentarsi al carico, toglierà loro il bisogno d’applicare ad una navigatione crimonosa e prohibita. Così potessero li Lazzaretti servire di contrapunto all’insidie de Ragusei, che tutto studiano per attrahere il traffico alla loro Scalla.
Il punto è della maggiore importanza, per quanto la mia debolezza ha potuto iscoprire, ma non ardisce l’umiltà esaminarlo in cadauna sua circostanza, piochè tutto è già presente alla Sovrana intelligenza di Vostre Eccellenze.
Tralascio d’umiliare le mie zelanti sollecitudini in tante insorgenze del Publico adorato servitio, o natemi senz’admetter ritardo per istruttioni e consiglio o demandate alla carica dall’auttorità degl’eccellentissimi signori Proveditori generali precessori et attuale, poichè già mi sono dato l’onore di rassegnare di volta in volta le materie e li casi all’eccellentissimo Senato. Ben confesso ch’ogni felicità delle mie operationi, ha riscosso dalla prudenza e virtù di così illustri e riverentissimi senatori, ch’hanno diretto la buona mia volontà e la pontuale rassegnata mia subordinatione. Ho posta tutta la mia gloria nell’ubbidienza, e come crederò sempre un atto di Religgione (?) il servir alla Patria, così ho conosciuto debito di Cattidino (?) di non scordarmi la dipendenza. Per tutto ciò non attendevo altro premio, ne havrei osato supplicare che il Publico magnanimo compatimento, reputandomi abbastanza fortunato e contento di non sentire alcun rimorso dal zelo e dal dovere verso il servitio di Vostre Eccellenze. Pure la grandezza del loro Reggio cuore ha volsuto far cadere sopra l’umilissima mia personna le sue beneficenze, colla risserva della Ceffalonia (?).
Se bene esse riguardano l’attioni del Capitano delle Galiazze mio fratello, ch’ha reso in guerra e continua in pace un honorato servitio, sento in me non ostante e così l’umilissima frattellanza il peso delle copiose gratie, desiderando in ossequiosa riconoscenza spargere tutto il sangue (com’ho cenato senz’alcuna risserva nella passata guerra) per le glorie della mia augustissima Patria. Gratie.
Venetia 13 novembre 1727
Gabriel Boldù ritornato da Cattaro
AS Venezia, Collegio, Relazioni, b. 65.
Trascrizione di Lia De Luca.
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