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1740 Marco Querini

Relazione

Relazione di Marco Querini 13 luglio 1742

Serenissimo Prencipe,
poichè, con l1aiuto del Signor Iddio e con il favore che ho ricevuto dalla buona grazia di Vostre Eccellenze, ho dato fine all’impiego da me debolmente, ma con ottima volontà, sostenuto di Provveditore estraordinario di Cattaro e d’Albania; mi resta ora di soddisfare all’obligo, dalle publiche leggi ingiontomi, di rifferire a questo eccellentissimo Senato quello che ho giudicato per esperienza poter essere beneficio suo, quale certamente nel conoscimento di altra cosa più non può conseguire, che in quello de Stati suoi e de Suoi sudditi.
Di quella importante Provincia averei che dir molto a Vostra Serenità, ma non dovendo per ogni riguardo levar il tempo alli altri affari, mi restringerò a quel solo che stimerò dover per necessità riferire. La sua situazione e grandezza, le città e terre colle sue adiacenze, il numero e la costituzione di que’ popoli, et il rapporto de confinanti Ottomani, sono tutte cose alle quali dalla virtù de miei Predecessori fu già perfettamente suplito, e come che sono immutabili e certamente per qualche tempo almeno irremovibili, così il renderne ora distinto conto, saria piuttosto occuparle sovverchiamente e con tedio, che farle sapere quello è più necessario. Mi ridurrò per tanto ad alcuni pochi essenzialissimi punti, quali sebbene sempre egualmente sotto i riflessi di que’ Nobil Huomini che mi precedettero, nonostante, come per il variar de tempi, delle persone e delle tante circostanze, ricevono si può dire ogni giorno alterazione e nuova forma, così ancora essiggono di tempo in tempo nuove regole e nuovi provvedimenti.
Sotto un tal ordine doveria prima di ogni altra cosa cadere in essame lo stato importantissimo di quella piazza, quale è noto a tutti, quanto abbi ad essere stimata e con quanta gelosia e diligenza custodita, e per riputazione publica e a presevazione de rimanante Stati, e perchè colla perdita di quella Provincia tanto opportuna non aggrandiscano, a segno di non aver più argine, le forze degli ottomani, che la circondano d’ogni intorno e che sovra di ogni altro aquisto ardentamente vi aspirano. Ma intorno ciò ancora fu più volte fatto riflesso da gravissimi Soggetti, che il dilungarmi sopra un tal punto, sebbene per se stesso importantissimo, saria incommodare a torto l’eccellentissimo Senato, cui sta certamente a cuore, quanto deve esserlo, la sicurezza de Stati suoi, essistendo in oltre ne publici registri la diligente scrittura di Sua eccellenza Marescial Conte di Scolemburg, quale per publico comando, riveduta attentamente la Piazza stessa, vi ha essattamente esposta la sua intiera constituzione e quello si renderia necessario per ridurla a buona sussistenza e capace di una vigorosa difesa. Quando lo comportino i tempi sarà sempre di grave interesse di Vostra Serenità, prendere le scritture stesse in essame e dar pronta mano all’opera, tanto più che le cose suggerite non montano a grave dispendio et assicurano una piazza di tanta conseguenza, lontana da pronti soccorsi, circondata da troppo vicini nemici e che certamente può dirsi uno de più forti propugnacoli di questo Serenissimo Dominio.
Frattanto, a mio umilissimo credere, non ammettono veruna dilazione ordinaria (?) alcuni pregiudizii che dal tempo ha riportati e de quali, quanto necessario altratanto agevole e di lieve spesa, è il riparo. Sarà dunque in ora espediente l’assicurarla, almeno nelle sue Porte e ponti levatori, quali sino a che sostennero la fittura, furono da me fatti riparare con gli effetti essistenti in que’ depositi, ma resi ormai incapaci di acconciamento, stanno già per cadere disfatti e di nessun uso.
Eguale anzi che più sollecito provvedimento esigge il deposito delle polveri situato nel recinto di quella piazza; è questa meschina fabrica di una semplice muraglia coperta di soli copi, ad uso un tempo di Chiesa, ora di provisionale ricovero a ottocento barilli in circa, di tal genere che restano egualmente esposti alle ingiurie del cielo e degli uomini, agli accidenti ed alla malizia.
Ne ho io già rassegnato all’eccellentissimo Senato la pericolosa contingenza e fu anche prima da Vostra Serenità conosciuta, poichè si trovano spediti in quelle munizioni li piombi sufficienti per la erezione di un nuovo deposito, in sito più adatto, e vedonsi inoltre trasportati non pochi sassi al Porto di Santo Steffano, dove parea divisata la costruzione. La Divina Provvidenza l’ha finora custodito e quella dell’eccellentissimo Senato ancora non (?) è accorsa co’ suoi decreti, un maggiore abbandono saria abusare manifestamente e dell�una e dell’altra. Così li restauri delle mura furono più volte commandati, ma mai eseguiti; le tezze [tettoie] per tener a coperto li letti di artiglieria di non facile ritiro, essistevano una volta ripartitamente ne varii siti del monte, ora non se ne contano vestigie. E l’imbonimento di giare nella Fiumara, che rende da quella parte commodo l’accesso e sortita dalla Piazza, fu sempre conosciuto di pregiudizio, ne mai riparato. L’eccellentissimo Senato mi vorrà compatito, se in cosa sua e di tanta gelosia a conseguenza, mi fo lecito di rassegnare il sincero mio sentimento.
Conosciuta l’attual costituzione di quella piazza, in se stessa e nel suo materiale, non sarò men conferente di conoscerla ancora in rapporto alla gelosa sua situazione e alla condizione de popoli, si sudditi che confinanti, a quali in certo modo può dirsi soprastare e dar legge; degli uni e degli altri la considerazione che suole in altra Provincia andar disgiunta, deve in questa con insolito tenore procedere di paripasso. La natura de luoghi, l’antica communione, il vincolo delle parentelle, delle amicizie, del comercio, della uniforme credenza e finalmente la memoria di essere vissuti un tempo uniti sotto i medesimi capi, rimane come a stabilire un sol corpo di alcune popolazioni suddite e confinanti; sebbene altressi la diversità alcuna volta d’interessi e la ferocia dell’indole infesta e rapace, le divida bene spesso in contrarie fazzioni, sempre moleste alla Carica e di gelose conseguenze a publici riguardi.
Giace la città di Cattaro a piedi del Montenegro, abitato questo da popoli di genio [Dalmatia a margine] altiero e feroce e sempre contaminati nelle vendette e nelle rapine. Questa gente indomita e disperata non si rende meno molesta ai Stati di Vostra Serenità, situati al confine, che a quelli dello Stato Ottomano, cui in ragione dell’antico suo nido viene soggetta, ma con animo sedizioso e ribelle, sdegnandone e scuotendone alle occasioni il grave giogo. Una viva imagine di queste feroci popolazioni deve essere presente all’eccellentissimo Senato, per le frequenti relazioni delle loro molestie e rapine, colle quali tengono oppressa quella miserabile Provincia. Sino da primordii della mia Reggenza ho pensato di contra opporvivi colla forza e con animo costante e rissoluto, giacchè il male troppo inoltrato non ammetteva tergiversazioni e la loro malnata indole trovava di che inferocire tra gli allettamenti e i beneficii medesimi. Ho perciò loro di primo incontro rissolutamente vietato il libero accesso, che si usurpavano entrando armati nella città e in numero superiore ai dovuti riguardi di una gelosa custodia, e sotto pretesto della importante materia di salute, ch’esclude ogni replica, li ho confinati alle Stangate fatte eriggere a tal oggetto fuori dalla citt�, e custodire da un distaccamento di milizie regolate. Sdegnati costoro di una tal soggezione hanno preteso di liberarsene con nuove violenze. Allora fu che per abbattere intieramente la loro audacia, ho precluso ad essi ogni adito di accostarsi alle marine, dove hanno costume di scendere per provvedere alle esiggenze della vita. Mossi da ogni parte in assedio, piegarono finalmente la dura cervice; mi si presentarono con insolita sommessione tutti li Capi del Montenegro, anche per opera di quel Sopraintendente Cavalier Giovanni Nicolò Bolizza attento sempre al publico servizio, e con solenne promessa protestarono di usare sempre co’ sudditi di Vostra Serenità il più moderato contegno. Non credei di aquietarmi a tal fatta di gente, pronta all’inganno e al tradimento, che però, a sicurezza de loro impegni, li ho obligati a deposito di quatro ostaggi, quali dopo varie resistenze finalmente accordati e rimessi a libera publica disposizione, furono anche da me consegnati al Nobil Huomo mio successore. Questo pegno, da non abbandonarsi giammai, e l’uso continuato delle stangate, conosciute per esperienza oltre modo proficue, sono i due più forti mezzi per tenere in moderazione quelle malnate genti e sopra i quali, quanto più premeranno per liberarsene, tanto più doverà resistere la costanza publica, onde non mai rimettere il freno della loro natural ferocia. Che siano costoro, nonostante par mantenere sempre i suoi impegni, non può assicurarlo il rapace lor genio e costume, si averà però sempre il modo di rimetterli a dovere, ne sarà scarso prezzo dell’opera l’aver ottenuto di allontanarli da più gelosi recinti.
Non devo però tacere all’eccellentissimo Senato altro motivo della loro inquietudine e continui reclami, cioè a dire la pretesa ripristinazione delle consuete paghe. Solite queste nelle passate guerre ad essere dall’eccellentissimo Senato accordate a que popoli, come a ben affetti, restarono poscia con provvidi oggetti da alcuni anni sospese nella tranquillità della pace, in mezzo alla quale averian forse potuto eccitar torbidi e diffidenze. Ogni somministrazion de danaro a questa gente, nemica tanto ed infesta a Munsulmani, come lo fu grandemente nell’ultima passata guerra con Cesare, averia risvegliato il sospetto del publico favore et averian trovato credito facilmente le doglianze bene spesso suscitate da confinanti Ottomani, contro di alcune popolazioni suddite, che pretendono essi mischiate nelle incursioni e ne misfatti medesimi. Succedono quindi le strette e dure angustie nelle quali suol alle volte restar impegnata la Carica, nell’espedizioni fatte de Turchi all’esterminio di quella gente ribelle. Calano in tal caso a turme ne publici Stati li Montenegrini, uomini e donne, et inseguendoli ferocemente li Turchi, si accostano parsino alle mura di Cattaro. Il valore della vendetta può indistintamente portarli sovra le stesse suddite popolazioni, imputate di unione nei derubbamenti o nell’assistenza e ricovero dei Montenegrini medesimi. Ne saria nuova la pretesa, onde assicurarsi dei (?) fuggitivi, se volessero gl’insecutori l’ingresso nella Piazza stessa di Cattaro, con quelle pericolose conseguenze nelle quali trovossi al tempo dell’ultima spedizione contro di questa gente, essequita sul momento che stava già per scoppiare il fulmine dell’ultima fatal guerra. Sopra il punto per tanto di loro paghe, tante volte promosso e sopra il quale per publici commando ho dichiaratamente informato col riverente mio dispaccio del numero 13, segnato 10 febbraio 1740, non ho voluto maggiormente rendermi importuno all’eccellentissimo Senato colle frequenti loro istanze e meno permettere i tumultuosi ricorsi, che voleano portare persino al Trono di Vostra Serenità. Ne altro infine ho fatto loro assaggiare, che una qualche lusinga di averle un giorno a conseguire, qualora avessero essibite continuate e sicure prove di moderazione verso de sudditi.
Il male si è che la loro insistenza per esse e le violenze medesime sopra de sudditi sono per lo più promosse e fomentate dal Vescovo Greco di Cetigne Sava, la di cui avidità suol ritrarre e dell’une e dall’altre non indifferenti profitti. Come sono que popoli di Greco Rito, circondati da scisma e da superstitione, così ritien egli appresso loro posto riguardevole di auttorità e coll’appoggio di religione, regola gli animi a talento e a seconda di sue particolari passioni. E’ fama che egli sia stipendiato dalla Corte di Napoli, onde averlo favorevole all’amasso di gente per il Reggimento Macedone, e ben ne accresce la presunzione il contegno di un di lui nipote, che nell’essercizio di una tale incombenza inciampò nelle publiche forze; commandatone poi dall’eccellentissimo Senato il grazioso rilascio e da me, in essecuzione degli ordini dell’eccellentissimo signor Provveditor General, essequito, con quel rissalto che ben doveasi al favor publico, fu dal Vescovo riconosciuto con sentimenti di particolar gratitudine. La di lui amicizia non può essere che proficua alla quiete di tutta quella Provincia e sarà molto ben coltivata anche con quelle dimostrazioni, che sogliono più colpire la venalità del di lui animo. Non doverà però ommettersi nel tempo stesso la più attenta vigilanza, onde non venga egli ad estendere, come pur troppo anela, la sua auttorità altre il dovere.
Suol egli tenere la sua abitazione in Maini, una delle tre popolazioni venute sotto il Veneto Dominio nell’ultima passata guerra cogli Ottomani e staccate dal Montenero nella divisione de quei confini. Anco sopra di queste pretende il Vescovo superiorità e giurisdizione, ne lascia via intentata onde ampliarla sovra tutti i popoli di quella Provincia, sebbene a Vostra Serenità soggetti.
La uniformità della religione Serviana in moltissimi sparsa (?), li tiene a lui attaccati et avversi alla Cattolica romana, quale si va sempre più restringendo in pochi del territorio di Cattaro et alcuni di quello di Castel Novo, e questi pure, o in soggezione del maggior numero o per l’interesse de matrimonii e di comercio, o finalmente per le arti insidiose de Greci, vanno ogni giorno più scemando e stanno già, quando non vi sia posto compenso, per perdersi intieramente, con quelle pericolose conseguenze che la diversità di credenza e lo scisma, la moltitudine e dissonanza de Capi, suole introddurre nei Stati. Per quanto io ho potuto e saputo, mi sono sempre opposto a qualunque avvanzato passo di quel Vescovo, ne mai ho voluto accordarle la visita di que sudditi da lui pretesa e che puù forse furtivamente essequire, onde stabilirsi anco sopra di questi nel posto medesimo di auttorità che gode appresso quelli del Montenegro. Il di più non era in mie mani, ne può che la publica Auttorità troncare dalle radici il male prima che maggiormente estenda la sua maligna infezione.
Considerata quella Provincia nella sua gelosa custodia e nella sua tanto importante preservazione, restaria ora a dire alcuna cosa della utilità sua per rapporto al comercio e all’interesse di Vostra Serenità. Del primo, che pure averebbe dovuto fornire abbondante argomento a questa relazione, non ho di che trattener lungamente l’eccellentissimo Senato. Nato questo posso dire sotto i miei occhi nel felice riaprimento della Scale di Risano e Castel Novo, con ferme speranze di fortunati progressi, l’ho anche veduto quasi ad un tempo mancare, quando più pareva fosse per tendere alla sua robustezza. Nel breve spazzio di due anni ne’ quali si vide sussistere sotto la publica vigilantissima cura, l’eccellentissimo Senato vi accorse co’ suoi providi decreti, accordando facilità alle merci et ordinando restauri e nuovi commodi nel Lazaretto e nel borgo di Castel Novo, de quali ho già reso distinto conto col mio ossequioso dispaccio del numero 46. Ma riuscì inutile la publica provvidenza. A misura di quello andavano crescendo gli effetti e le confidenze di un più avvanzato comercio e s’incalorirono all’incontro i maneggi de Ragusei, onde opprimere questa nascente negoziazione, che veniva di mettere in rovina la loro e le rendite di quella dogana, che formano la sussistenza maggiore di quello Stato. A fronte de loro incessanti ricorsi alla Porta, il zelo e la desterità indefessa dell’eccellentissimo Bailo Cavalier Erizzo ottenne Regio Firmano che a fronte delle Scale di Ragusi, di antica istituzione, conferma quelle ancora di Castel Novo e di Risano, nuovamente introdotte. Ma l’abolimento di queste, che non ottennero li Ragusei nell’enunziato Firmano, riuscì loro con nuove profusini di denaro in Bossina, nella contraria sua intelligenza et esecuzione. Quel Passà, quale fu sempre avverso in tall’affare, come lo rilevarono le sinistre sue informazioni alla Porta, tutto che ben prevenuto da quelle del confinante Ibraim Passà di Trebigne, da me ottenute favorevoli in obbedienza ai publici commandi, proibì in appresso a mercanti Ottomani di calare con effetti (trattine li comestibili non mai vietati) alle Venete Scale, obligandoli di portarli a quelle di Ragusi. Si videro da poi partire furtivamente gli omini, o siano doganieri, che in esse giusto l’accordato risiedevano, col disegno forse di non più restituirsi, sebbene quello di Castel Novo, ultimamente staccato, avesse lasciati i proprii effetti nella sua stessa abitazione, quasi in pegno di suo proto ritorno; come di tutto a Sue eccellenze Provveditore Generale e Bailo alla Porta con mie riverentissime ne rassegnai la notizia. In somma gli effetti in Bossina non corrispondono alle dichiarationi in Costantinopoli ottenute, e quando o in quella Provincia non succeda mutazion di Governo o non arrivi dalla Porta alcun nuovo ordine qual pure dall’attuale Primo Visir, che sosteneva appunto in tal posto al riaprimento di esse Scale, potria confidarsi il comercio di quella parte può dirsi arenato e ridotto alla sua prima infelice costituzione.
E qui darei fine alla presente mia umilissima relazione, se le ossequiate Ducali de di 10 agosto decorso, non mi chiamassero precisamente a render conto di quella publica economia, commettendomi di rifferire quale rinovamento di spese e quale accrescimento potesse darsi alle rendite di quella Provincia. Devo dunque dire con pronta obbedienza e con verità.
Tre essenzialissimi discapiti ho rillevato sofferire la publica Cassa a quella parte. Si è l’uno l’annuo assegnamento alli Capitani delle due Communità di Perasto e di Perzagno. Lo stipendio accordato al primo diversi anni sono, era assai moderato, ma con l’andar del tempo si vide accresciuto sino a ducati (?) 300 effettivi et assegnati con nuovo stile nella Camera di Vicenza, onde non risentire il discapito della valuta, cui pure soggiacciono le Rappresentanze di quella Provincia e la stessa Generalizia Carica. Sopra un tal essempio si è prodotta la Comunità di Perzagno per il proprio Capitanio et anco a questo fu l’anno decorso accordato dall’eccellentissimo Senato il stipendio di ducati (?) sedeci al mese dalla Camera di Zara. Non anderà molto tempo che si ripodurrà con nuove supliche, perchè questo assegnamento sia eguagliato a quello di Perasto e perchè ne sia parimenti ordinata la essazione in alcuna Camera della Terra Ferma, che averà da qui innanzi una nuova relazione ne pagamenti colle Provincie oltre mare, per dare un nuovo colpo alla publica economia. Si presenteranno tra poco quelli di Dobrota con simili istanze, onde veder ammesso a un tal beneficio anche il loro Capitanio; così ad esempio di una e dell’altra si produranno le rimanenti Communità, per non restar escluse da un si generoso evolumento.
[Sal a margine] Altro rilevantissimo discapito rissente le publica Cassa ne salli (?) graziosamente accordati dall’eccellentissimo Senato alle popolazioni di quella Provincia; stara mille novecento trenta se ne dispensano per il Territorio e Canale di Cattaro e mille sei cento dieci per quello di Castel Novo, che rapporto al basso prezzo della distribuzione formano lo scapito di circa lire vinti due mille di moneta regolata all’anno.
Condescese in più volte la munificenza publica ad essaudire le istanze dei ricorrenti, sul riflesso che un tal beneficio dovesse ripartitamente esser goduto da tutti, ma ne vanno privi appunto li più bisognosi e resta di tal modo defraudata la caritatevole intenzione di Vostra Eccellenza dalla malizia de Capi delle Communità e Ville, che per lo più lo convertono ad altro uso e a proprio vantaggio.
[Cattaro a margine] Le Communità stesse che vogliono i loro privileggi più dilatati dal vero suo sentimento e di quello dell’eccellentissimo Senato, formano il terzo non indifferente discapito della publica economia. Con mal fondata interpretazione pretendono esse la essenzione, non solo de loro prodotti, ma di qualunque altra merce ancora, così che l’introito della camera di Cattaro si vede ora ridotto a sole lire sette mille in circa moneta regolata all’anno, che si ricavano da dazii pagati da pochi marcanti forestieri e terrieri. Summa, ben vede l’eccellentissimo Senato, quanto sproporzionata ai molti aggravii e alle giornaliere indispensabili occorrenze di quella parte.
E questo è quanto in obbedienza al publico commando ho potuto rillevare intorno alla sbilanciata economia di quella Provincia e che ho dovuto esporre con verità, per quanto mi stiano a cuore i vantaggi di quelle benemerite popolazioni, quali sotto la condotta di due illustri generalati ho debolmente rette, ma con buona intenzione per il corso quasi intiero di tre anni. Non mi resta ora che suplicare con ogni riverenza la Serenità Vostra e cadauna di Vostre Eccellenze ad escusare i diffetti, così del mio impiego come della presente valutazione, e di restar sodisfatte e nell’uno e nell’altra della mia buona volontà, che costantemente prometto in tutti i giorni della vita al publico venerato Servizio. Grazie.
Venezia 13 luglio 1742
Marco Querini ritornato da Provveditore estraordinario a Cattaro

AS Venezia, Collegio, Relazioni, b. 65.
Trascrizione di Lia De Luca.


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