1575 - 1577 Giovanni Correr
Relazione
Con tutto ch’io ritorni dal maggior principe del mondo, et che a parlar anco mediocremente della grandezza del suo Imperio, della quantità delle sue forze et delle sue ricchezze mi bisognasse spendere molto tempo; pure, non ostante questo, ardisco promettere di essere breve, et son anco sicuro di osservarlo. Né però crederò lasciar adietro nessuna di quelle cose che a mio giudicio siano degne di esser rapresentate hora in questo eccellentissimo Senato. La causa è anco in pronto, perché quanto più ’l suo Imperio è grande, tanto più egli è noto et manifesto ad ogni uno: delle sue forze se ne parla da per tutto, l’historie ne son piene, et le signorie vostre eccellentissime ne son dotte per propria esperientia. Poi dove si ritrovano forse vintidoi regni uniti insieme sotto un sol dominio, ben si ha da presupponer ragionevolmente che là anco ci siano de molte richezze. Come cose donque note et manifeste, et che però non apportariano utilità né dilettatione a chi l’ascoltasse, non m’haverano da trattener molto, ma basterà solo che le tochi et trascorri quanto potrà far bisogno, per maggior dechiaratione di quello che mi ho proposto, et c’ha da esser principal fondamento della mia relatione, che sarà rapresentar alle signorie vostre eccellentissime con che rispetti viva hora il Signor Turco con diversi principi del mondo, quai siano al presente i suoi pensieri et quai possono esser nell’avvenire i suoi dissegni.
Sultan Amurat, al presente imperator de Turchi, terzo di questo nome et XIII signore di casa ottomana, può dir (non è dubio) di esser asceso a un tanto Imperio molto felicemente, però che, lasciando stare che ciò gli sia successo in quell’età che suole più appetere il commando et la superiorità, che non haveva più de XXVIII anni, et hora n’ha XXXI, et tanto più quanto è dalli XXVII d’agosto in qua, è stato anco sempre libero in vita e in morte del padre da quei pericoli che sogliono accompagnar i principi ottomani quando hanno fratelli in età proveta; anzi puote esso subito sentato in sedia liberarsi da ogni sospetto con la morte de cinque fratelli, che’l maggiore non eccedeva otto in nove anni, i quali tutti in tante cassette sono hora presso la sepoltura del padre et (parlando humanamente) rendono pietoso spettacolo a chi li vede; né di questa crudeltà riceve egli imputatione alcuna, perché per decisione del muftì, capo della religione de Turchi, è dechiarito che ciò sia non solamente lecito, ma ancora necessario per la conservatione del stato, escludendo con questo rispetto ogn’altro ordine che s’habbiano di religione o di giustitia.
È quel principe, quanto alla statura del corpo, molto picciolo, et se fosse veduto senza ’l tulbente in testa, che lo solleva assai, per la sua picciolezza parerebbe molto strano. Soleva esser magro et di cativo colore; hora il colore alle volte non è in tutto buono, et fatto assai grasso, vero è d’una grassezza che non dimostra carne soda, ma che più tosto partecipa della gonfiezza. Ha l’occhio grosso, bianco et rilevato in fuori, il naso aquilino un poco carnoso, le labra alquanto riversciate, et porta quattro dita di barba bionda, ma di un biondo smortizzo, la quale non gli copre niente la faccia, caminandogli per di sotto ’l mento via. Et certo che, considerato da tutto l’aspetto, non dimostra principe di cativa natura, ma più tosto promette di sé humanità et clemenza che altramente. La sua complessione è delicata et, per giudicio de medici, non da indizio di vita molto lunga; pure potria in ciò giovarli grandemente la regola del viver, perché non fa disordini di sorte alcuna: non crapula, non sbevacchia, et, biasimando ’l vino, biasima spesso la memoria del padre, dicendo che imbriacco el venne all’Imperio et imbriacco el se ne partite. Et più volte anco è stato in forse di far rovinar una lozetta fatta da lui accanto ’l seraglio, che risguarda sopra il porto, dove spesso el si riduceva a bevere, et per ogni bichier di vino che’l prendeva faceva tirrar un colpo d’artigliaria dal seraglio, overo dal Topana, che tanto vuol dir come casa delle bombarde, perché ivi si tengono, si fondono et si serba ogn’altra cosa pertinente all’uso di esse. I suoi essercitii sono anch’essi moderati, lontani da ogni violentia, et quantunque egli habbia per quei contorni forse vinti giardini, con bellissimi allogiamenti da ritirarsi a piaceri, pare nondimeno che per il più i suoi solazzi si ristringano nel passar col caico ad uno, che è presso l’Arsenale, quale soleva essere di Hibraim bassà, dove monta a cavallo et se ne va per far vollare qualche uccello alle Acque Dolce, né vi passa manco che non sia più che bonaccia, perché si turba et teme il mare grandemente; et vogliono che questo spavento gli nascesse quando venne all’Imperio, che all’hora patì un poco di borasca, la qual gli resta ancor impressa nella memoria. Sarebbe, dicono, inclinato per natura a disordinar con le donne, perché si diletta grandemente della conversation loro; pure, con tanta commodità et quantità che n’ha, si tien per fermo che’l sia contento della sola moglie, la qual se ben non le ha per ancora fatto chebin, che tanto vuol dire come indotata et sposata, ama grandemente, né mai dorme lontano da lei, et con essa ha tre figliuoli, una femina de XI anni et dui maschi, il primo di IX, et l’altro di V anni. Et per un segno manifesto della sua continenza si racconta che dalla madre et da qualche altra sultana gli siano state presentate de bellissime schiave, perché havesse a far con esse, le quali tutte ricusasse, dicendo non voler che alla sua morte piangano de quelle madri che non haveranno nessuna causa di rallegrarsi, inferendo con queste parole la morte de tutti i figliuoli fuor che di quello c’haverà da succedergli, et se sarano tutti d’una madre, con tutto che ella haverà da dolersi et da piangere la morte de gli altri, almeno si rallegrerà di vederne uno assonto all’Imperio et fatto patrone d’un tanto regno.
Ma, lasciando queste considerationi ch’appartengono alle qualità, essercitii et voluptà del corpo, si diletta quel Signor de diverse sorte di studii, come l’historie, poesia et astrologia, vero è che gli basta a tingersi, senza passar più oltre; et hora faceva far diversi istromenti per osservar i moti celesti, volendo che un arabo, qual n’ha cura, faccia un almanac, havendo trovato che quello ch’osservano al presente co ’l tempo ha fatto qualche mutatione. Si va instruendo anco nelle cose della sua legge, et pare ch’habbia per mira principale la religione et la giustitia, da che molti van conietturando ch’egli habbia da esser amico dell’honesto et huomo di sua parola, come anco per esser inclinato alle littere et per non nutrire spiriti molto vivaci, si va discorrendo che’l debba esser amico della quiete, et non curarsi molto della guerra. Ma sopra questa consideratione non consigliarei che si facesse molto fondamento, perché ben si sa che i principi per il più si governano co ’l parere di quelli che loro sono a torno, poi dalle occasioni sono ben spesso tirrati a far delle deliberationi anco contra la propria inclinatione naturale.
Ma lasciaremo per hora queste considerationi che riguardano il futuro, et dirò che quel Signor con tutta la sua potenza, la qual certo è grandissima, non può fuggire la conditione humana, et di non esser anch’egli sottoposto a de quei contrarii che sogliono frenar gli appetiti dei principi et sturbar i lor dissegni, percioché posso dir d’haver veduto nel mio tempo due cose notabilissime, et non solite a vedersi fra Turchi: l’una fu che bravavano et non potevano far niente, et l’altra d’esser entrati in tanto sospetto et con tanta alteratione d’animo, che più propriamente poteva esser chiamato timore che sospetto. Il bravar era contra l’imperatore Massimiliano per le cose di Polonia, et l’impotenza procedeva dalla carestia che regnava all’hora generalmente per tutti quei paesi, della quale, a consolatione delle signorie vostre eccellentissime, non sarà fuori di proposito che ne dica vinticinque parole. Era questa per tutto l’Imperio turchesco di qua in Europa, fuori che nelle più intime parti dell’Ungaria, si estendeva poi per il corso del Mar Maggiore dall’una parte e dall’altra, et, continuando per le riviere della Natolia, si faceva sentire signanter a quelle scalle di onde sogliono esser portati frumenti a Constantinopoli. Et la sua grandezza può esser conietturata da questo, che Constantinopoli, dove era la persona del Signor, con quanta commodità che riceve da dui mari, i quali o per un verso o per l’altro li conducono sempre infiniti navilii d’ogni sorte, con quanta diligenza usavano infiniti chiaus espediti perché facessero venir de i grani di dove ne ritrovassero, non solo pativa strettezza di viveri, ma ancora macamento tale che molti stavano lì otto et dieci giorni senza veder o gustar pane. La mattina per tempo li pistori da un picciolo balconcino dispensavano quel poco pane che potevano, et le persone dalla calca si soffocavano per haverne, con tutto che fosse nero, pieno di terra, puzzolente et che facesse nausea solamente a vederlo. Né il mancamento si ristringeva nel pane solamente, ma ancora nel pesce et nella carne, seben per l’ordinario ne soglia esser copia grandissima. Il pesce pareva che la natura et quei mari per all’hora lo negassero, che non ne compariva se non pochissimo, et per aggionta non bisognava dissegnar sopra salami perché quei luoghi di Mar Maggiore che sogliono mandarne, astretti dalla medesima necessità, se li ritenevano per sostentarsi; la carne, perché non ne veniva di Bogdania, et ciò per causa de Tartari, i quali l’anno inanti, che furono a correr nella Polonia, passarono per quella provincia et, secondo ’l solito loro, vi lasciarono ’l signo con la distruttione d’infiniti animali, et di là suole esser fatta la provisione per il più delle carni che bisognano a Constantinopoli. Tanto che co ’l mancamento delle sudette cose, se non fussero stati i frutti sechi, come nose, amandole, uve, et simili altri frutti, molti al sicuro se ne sarebbero morti dalla fame, secondo a punto che intravenne a infiniti cavalli, perché non vi era il modo di sostentarli, a talché quasi tutta la Porta si ritrovava a piedi, né si vedeva altro andar a torno che muli, et quelli anco ben magri. Il Signore si ramaricava che sotto di lui fosse successa tanta miseria, et stava su le orationi publiche et private. Li bassà cominciavano dubitar di quelche disordine, perché finalmente nescit plebs ieiuna timere, et già risuonavano le voci da ogni banda che non erano state fatte le debite provisioni, et che essi havevano ben i magazeni pieni di grano, et forse anco per mercantia; onde, per liberarsi da questa imputatione, tutti l’un dopo l’altro apersero i magazeni et dispensarono quanta provisione ritrovarno esser sta fatta per sostentatione delle loro case.
Bravavano donque, ma per causa di questa così eccessiva carestia, o per dir meglio penuria, et tanto generale da per tutto non potevano far niente. Pure, considerando il bassà che se fosse riuscito ’l pensiero dell’imperatore d’ottener quel regno, et ottenerlo con tanto buona intelligenza del Moscovito, come s’intendeva, et che andassero ambasciatori su e giù per quest’effetto, havrebbe talmente Sua Maestà stabilite le cose sue, che là dove hora gli prendono hoggi un castello, [4] domani un altro, allargando i confini da ogni banda, et tutte s’accomodano con dire del passato non si parli, ma si darà ordine che da qui inanti si vicini meglio, non solo non havrebbono potuto far questo, ma forse con l’unione di quei due sì gran potestati s’haveria potuto vedere qualche rivolta nelle Vallacchie, state altre volte della ditione di Polonia. Si riduce dunque per questo rispetto sua magnificentia, non potendo dessignare sopra le forze di quell’Imperio a minacciare di far passare una molitudine infinita de Tartari nella Polonia quando da Polachi gli fosse stato dato alcun favore, et così parimenti altrettanti nell’Ungaria a danni di Sua Maestà Cesarea, tentano con questo mezo di spaventarla et di ritararla dalla sudetta pretensione.
Sono i Tartari, che si ritrovano alla devotione del Signor Turco, quelli che habitano la Taurica Chersonesso, che con nome più vulgare et più conosciuto la chiameremo la Peninsula del Caffa. Tiene il Turco la città di Caffa, altre volte colonia de’ Genovesi, et un altro luogo alla marina; il resto tutto è posseduto da essi Tartari, et può circundare quella peninsula, quanto a punto secondo si dice, circonda anco la Morea. Vogliono che’l loro signore, qual chiamano chan, possi metter in campagna 40 in 50 mila cavalli; vero è che se quando si risolve d’andar a depredar qualche provincia, invitarà degli altri Tartari suoi vicini, che si governano a comuni, che dimandano horde, ne haverà anco maggior numero perché questi, tirrati dall’avidità del guadagno, volentieri sogliono seguitarlo. Usano per arme l’arco et la scimitara, la l’arco un poco più lungo del turchesco. Il fine loro nelle guerre non è di combattere né di superar l’inimico, ma di scorrer il paese depredando ciò che ritrovano, et dissipando con grandissima crudeltà quanto non possono portar via, et la virtù loro consiste signanter nella prestezza. Per questa causa ogn’uno di essi mena seco lui due e tre cavalli, quali legano uno alla coda dell’altro, cacciandoli con una gran sferza che portano in mano, montandoli et rimontandoli secondo la diligenza che vogliono fare; et perché vanno espeditissimi d’ogni cosa, ciascun di loro porta per la provisione del mangiare una sachetta di farina de miglio meschiata con late di cavalla, la qual poi destriano con dell’acqua et si nutriscono con essa. Et se questa provisione per sorte venisse meno, non può loro mancare la carne di cavallo, la quale mangiano con quel gusto anco quando sono a casa, che facemo noi quella di vitello, et così ben s’imbriaccano co‘l latte di cavalla, come farebbe un thedesco con del buon vino.
Giunti che sono nel paese inimico, lasciano una parte dell’essercito fermo in qualche luogo con quelle poche bagaglie che si ritrovano, poi si dividono in più et manco squadroni, secondo che dissegnano d’allargarsi più et meno, con ordine espresso che tutti in un medesimo giorno habbiano a ritrovarsi nell’istesso luogo di dove partono; et quelli che non arrivano in tempo li lasciano in dietro, et si ritirano senza di loro. La subita partita che fanno dalle loro stanze, che a pena sentono l’ordine che sono a cavallo, la celerità che usano nel viaggio, che alle volte han fatto 125 miglia in un giorno, et il dividersi in più squadroni scorrendo in diverse parti, è causa che quelle povere genti de più provincie sottoposte al regno di Polonia, et d’altre della Rossia che obediscono al Moscovita, prima se li vedano sopra et se trovino fatti schiavi che intendano che se siano mossi, o sappiano a che parte siano per voltarsi; et veramente possono esser chiamati un flagello de tutti quei popoli. Non sariano già se vi fosse buona intelligenza tra Polachi e il Moscovita, anzi basteriano soli i Polachi con qualche poco di calore che ricevessero dalli Moscoviti a disertarli fino nelle proprie case, perché non vi è fortezza né altro che potesse impedirli; et essi non sariano bastanti a difendersi sì per la picciolezza delli loro cavalli, non buoni da incontro, come per esser disarmati, et poco atti a combattere. Per questa causa anco non piaceva a Turchi che l’imperator aspirasse al regno di Polonia con tanta buona intelligenza del Moscovito, perché mentre quelle due potentie stan disunite bastano i Tartari per tener a freno l’una et l’altra. Hora mò quello che non piace a’ Turchi doveria di ragione piacer et esser desiderato dai Christiani: non piace a’ Turchi l’unione de Polachi co‘l Moscovita, né piace che’l Moscovita si domestichi con principi christiani da questa parte. Et però l’imperatore, che meglio può farlo de nessun altro per beneficio suo particolare et di tutta la Christianità insieme, doveria intrinsicar più che fusse possibile l’amicitia con quel principe, et domesticar seco la prattica, perché di esso vien tenuto molto conto, né mai s’udì che andassero ambasciatori sui, et giù da lui alla corte cesarea che non entrassero Turchi in grandissima gelosia. Di più, oltre la sudetta commodità che ricevono Turchi da Tartari, et quella ancora ancora di chiamare un numero di essi negli esserciti quando che vogliono, ne ricevono un’altra che, se sarà ben considerata, non è di poca importanza, perché si ha da sapere che tutta la servitù de Turchi appartenga agli huomini o alle donne, sia in casa o fuori, tutta consiste in schiavi huomini e donne, et non solo quella de Turchi, ma de Hebrei et de Christiani ancora, perché non si trova le persone mercenarie che vadino a servire qua et là, come in queste nostre parti. Anci se vogliono fino una baila convengono andar a comprarla, né ciò può esser senza molto interesse, perché non costerà una schiava manco di 70 in 80 cechin; poi usano i Christiani di metterli in libertà in capo di sette anni, ma rare volte arrivano a questo segno, che prima non siano levati dalla peste. Hora a questo bisogno suppliscono per eccellenza i Tartari, perché se ne vanno essi alla caccia d’huomini nella giurisditione di Polonia, di Moscovia, et spesso anco fra Circassi; poi riducono la preda al Caffa, dove sono compri da mercanti et condotti a Constantinopoli, tanto che vi è sempre il bazaro di schiavi, come d’altra sorte d’animali, et innumerabili sono quelli che senza venir a Constantinopoli sono trasportati nella Natolia et applicati al lavoro de terreni, overo ad altri esercitii, quali tutti se fanno turchi. Se mancasse mò questa continua miniera d’huomini, che mai cessa, non è dubio che stante la peste, la quale si fa ordinariamente tanto sentire in quelle parti, che un padre si contentarebbe di generar i dui terzi delli figliuoli per lei, là dove hora Constantinopoli cresce sempre più d’habitatori, et di fabriche, massime fuori alle Vigne di Pera, et per il corso del canale che va al Mar Maggiore, in poco tempo per necessità farebbe grandissima diminutione.
Non sapevano ancora in che fosse per risolversi l’imperatore, o di proseguir la pretesione di Polonia o pure di ritirarsi, quando intesero la morte del re di Persia, et in suo luogo esser successo Ismael, suo primo figliuolo, stato tenuto dal padre forse XVIII anni continui prigione ad istanza de gli Ottomani, con la qual morte si sparse anco voce che sarebbe guerra, et che già se ne vedevano diversi inditii. Alla qual fama non si può dire quanto tutti si commovessero, et certo parve a punto, come quando un principe aspetta di esser assalito da uno più potente di lui, et che i suoi sudditi, considerando la disugualità delle forze, si van pronosticando sachi, incendii et ruine, o simili altri incommodi che sogliono accompagnar le guerre, et toccar signanter alla parte più debole. La qual alteratione tanto più si faceva considerabile quanto che repugnava grandemente alla potenza de’ Turchi, et all’arroganza et superbia loro. Pure, perché di tutto si trova la cagione, se si haverà riguardo a diverse cose, presto si venirà in cognitione che quella guerra non fa niente per i particolari, et che’l Signor Turco poco vi potrebbe avanzar in essa, et perder molto; né per questo si dirà che egli non sia molto più potente del Persiano, che’l non possi metter insieme eserciti senza comparatione molto più numerosi et meglio forniti d’armi offensive di lui. Anzi, tenendo ciò per fermo, et presupponendo anco che con queste sue forze el se cacci inanti et penetri nella Persia senza che l’inimico habbia animo d’aspettarlo, o di dimostrarsegli contra, però fatto questo el non veniria ad haver fatto niente, perché bisognaria finalmente per necessità ritirarsi, et così abbandonar tutto quello c’havesse trascorso, che per la luntananza de confini sarebbe impossibile ritenerlo. In questo mezo mò potriano fra tante genti, o per diversità dell’aere, o d’altro disaggio, generarsi delle infirmità d’importanza; potriano mancar le vettovaglie, massime essendo soliti Persiani nel ritirarsi abbruggiar et dissipar ogni sorte di viveri siano per gli huomini, o per gli animali, et potria anco l’esercito impedito da simili incommodità nel ritirarsi esser assalito alla coda, et nei passi più difficili dall’inimico fresco, et prattico delli luoghi, et così patire conseguentemente qualche danno notabile. Pure quando il principe, spinto da una certa generosità d’animo stimasse più questa contentezza di haver trascorso ’l paese inimico senza trovar chi ardisca mostragli la faccia, che quante incommodità o pericoli che potesse scorrere, cosa indubitata è che i particolari per la lunghezza del camino, et per il molto tempo che ricerca quella guerra, che non vorrebbe manco di tre anni; se pur ritorneriano, ritorneriano come han fatto altre volte, spogliati et consumatissimi d’ogni cosa. Et de qui avviene che non misuarando essi il loro interesse con la satisfattione del principe, abhoriscono quella guerra, non altrimenti che se la fosse il purgatorio dei loro peccati. Si vede donque che per i particolari ella non fa, et che’l principe anch’esso poco vi potrebbe avanzare. Né debbo tacer quello che si racconta in questo proposito di sultan Soliman, l’esempio del quale è molto stimato e riverito da ogn’uno. Dicono che aprendo un Alcorano statogli portato di Persia, perché quel re nelli presenti che fa sempre ne manda molti, facendo Persiani professione di scriver bene et di far bellissime miniature, vi trovò dentro un grano di frumento, et subito se lo porse in bocca; poi, voltosi ad uno che era presente, disse ridendo: «Grand’obbligo devo havere al re di Persia che mi fa mangiare del suo frumento stando a casa commodamente, che se in altri tempi ne ho voluto mangiare, non ho potuto farlo senza molto travaglio».
Ma ripigliando quanto è tocco di sopra, cosa certa è per i rispetti discorsi et considerati che il Signor Turco al presente poco potrebbe vanzare col Persiano, et all’incontro si vede che se egli penetrasse niente niente nel paese turchesco causerebbe facilmente in quell’Imperio grandissime rivolutioni, et cagione di questo è la non buona volontà dei popoli perché, lasciando stare che quelle provincie dei confini, come Bagadet, Diarbech, Serezul, Van, Esdrun, state altre volte sotto ’l Persiano, conservino molta divotione verso di lui, quello che più importa è che et quelle et le altre più in qua, fino a vista di Constantinopoli, per la maggior parte sentono nella religione con Persiani, et quanto questo affetto di religione habbia forza ne’ nostri petti lo dechiarano le tragedie de tempi presenti. Riceve poi questa inclinatione de popoli grandissimo fomento dalle voci che vanno a torno della qualità et particolar proceder del novo re, intendendosi che egli sia di grave et bellissima presenza, in età di 40 in 42 anni, amato dalli suoi et stimato dalli vicini, che raccoglie gratamente tutti i forestieri che ricorrino da lui, et attende con somma diligentia a raffinare la sua militia; cose tutte da eccitar maggiormente i pensieri di coloro che desiderano cose nove. Né s’aggionge poi che egli habbia fatto morir tutti i fratelli, o (come vogliono alcuni) fuori che uno solo, et di più quasi tutti i ministri del padre, perché nella successione inclinavano più tosto ad ogn’altro delli fratelli che a lui, onde egli ha voluto vendicarsene et assicurarsi insieme, con levarseli dinanti et con sostituir in loco loro huomini dipendenti da sé, oltre che con la vita ha loro anco tolta la robba che importa, dicono, molto thesoro. Hor queste operationi, che dinotano ardire et molta risolutezza, e sono grandemente considerate da Turchi, han dato anco occasione di considerar a me che in tutto l’imperio turchesco, seben grandissimo, non ci sia pur un minimo cantoncino che si contenti del dominio presente, il che si conoscerà chiaramente se andaremo essaminandolo a parte a parte. Et prima si sa che tutto quello che possiede in Europa è tutto habitato da Christiani, i quali altro non bramano né d’altro pregano continuamente il Signor Dio che di esser un giorno liberati dalla servitù et molta miseria nella quale si ritrovano. Se di Europa passamo nell’Asia Minore, subito si trova l’infettione di religione et desiderio in quei popoli di cose nove, et quanto più di va in là tanto anco la si comprende maggiore. Se parlamo d’Aleppo, et quei contorni, ogn’uno sa che i Mori non vogliono sentir Turchi, et è cosa notissima che gli Arabi, sì della Arabia deserta come felice, l’odiano estremamente, né miglior volontà si ritrova nei Mori del Cairo et d’Alessandria, et per conclusione non è da dubitare che in Africa quelle genti tanto stimano l’amicitia de Turchi quanto la necessità li costringe, overo qualche commodità che ricevono da loro, come è quel novo re di Fessa che per esser stato posto in stato dalle armi turchesche, et havendo anco bisogno di esse per conservarsi, mostra molto ossequio verso il Signor Turco, et si dice che nelle moschee faci prima pregar Dio per la vita di sultan Amurat che per la sua. Né certo saprei assimigliar l’imperio turchesco a nessuna cosa più propriamente che ad un horologio, nel quale una rotta sola con la sua violenza ne fa caminar molte, ma se quella si sdenta, o guasta in altro modo, tutte l’altre restano parimente impedite; così l’imperio turchesco, se questa forza che con tanta violenza si estende da per tutto ricevesse qualche sinistro potria in ogni banda per la mala dispositione di popoli seguire notabilissime revolutioni, et così quanto più egli è grande far anco maggior caduta, massime che non segue là, come in queste nostre parti, che se un essercito è rotto si possa presto riffarne un altro, se non de proprii sudditi, de forastieri, che volentieri vanno dove sentono correr il denaro. Anci, battuta che fusse quella militia, che’l Signor Turco tiene ordinariamente in piedi, sarebbe, si può dire, impossibile se non con longhezza di tempo a poterla rimettere da novo, et questo sì perché non vi sono nationi che facciano professione dell’armi et vadano al soldo di questo et di quello, secondo che si vede in queste bande, come perché i proprii sudditi o sono Christiani, overo talmente inermi et da poco che sopra di loro non sarebbe da far alcun dissegno.
Per i rispetti donque sudetti, che fan dubitar della volontà dei popoli, il Persiano vien ad esser molto più stimato che non sarebbe; et se seguisse guerra con lui, cioè che egli si movesse, inviarebbono per tenerlo lontano ogni loro sforzo alli confini, et bisognarebbe che principalmente si servissero della cavalleria d’Europa, nella quale confidano molto, sì perché non è sospetta di religione, come l’asiatica, come perché è tutta di rinegati, o di figliuoli di rinegati, che i Turchi naturali non sono tenuti per valorosi, né stimati a gran lunga rispetto a questi. Si tiene anco per fermo che sarebbe necessario che’l Signor v’andasse in persona, accioché la sua presenza ritenesse in più freno le genti, et in maggior obedienza. Questo mò al presente non è così facile per diversi rispetti, come era per il passato, et prima perché i principi christiani non si ritrovano così occupati fra loro, né in tanta differenza, come al tempo di sultan Soliman et di Carlo quinto, poi con Francia si trattenivano all’hora con molto maggior corrispondenza che adesso, essendo cessati i disegni sì di qua come di là, l’uno et l’altro se la passa assai leggiermente. Vi s’aggionge anco che di questo stato non dubitavano punto, et hora, se bene credono che Vostra Serenità voglia pace, né sia mai da sé per interromperla, pure conoscendo essi d’haverla offesa ingiustamente et senza nessuna causa, convengono dubitare che se per sorte ricevessero da Persiani alcun sinistro, che ella havendo compagnia non fosse per lasciar scorrer l’occasione, ma ben di abbracciarla et vendicarsi delle ingiurie passate. Di più s’aggrega alle cose sudette che’l Signor mai anderebbe tanto lontano senza assicurarsi prima con una buona armata dalla parte del mare, e in altri tempi bastava mandar fuori sole cinquanta o sessanta galee, perché quelle con li corsari d’Algier et d’altrove, che erano molti, restavano patrone assoluto di tutto il mare; hora mò che non vi è più corsaro alcuno di nome, et li vasselli d’Algier sono ridotti a così poco numero che non meritano di esser tenuti in più che tanta consideratione, sarebbe necessario che tutto ’l corpo dell’armata uscisse da Constantinopoli, et fosse anco, per quello c’han provato dalle forze de Christiani, molto gagliarda. Né qui debbo tacer a consolatione delle signorie vostre eccellentissime che per il passato inanci la guerra, Turchi, per quanto ne facevano professione aperta, confidavano grandemente nel numero et nella bravura loro, sprezzando in tutto per questo rispetto con molta arroganza le forze de Christiani, da che ne nasceva che ogni volta che usciva armata a concorrenza vi montavano sopra, sicuri in un certo modo di venir a botin fermo e a indubitata vittoria. Hora mò le cose passano molto diversamente, perché non si vede più quella prontezza et desiderio né soldati di andar in armata come solevano, anzi che là dove in altri tempi l’officio di rais era non solo ambito, ma procurato con donativi fino 1.000 ducati, adesso essendo cessata la concorrenza, è communicato ad ogni sorte di persone; oltre di ciò, se ben è restata la confidenza del numero, che questa non si può lor torre, hanno però rimossa la bravura, et non solo non sprezzano le galee christiane, ma le stimano et le temono, confessando liberamente che nel combatter ognuna delle nostre sia buona almeno per una e meza delle turchesche. Né lascerò di dire che Mehemet bei di Negroponte, già schiavo in Roma, come quello che possiede benissimo la nostra lingua, sì nel legger come nel scriver, è ritornato a Constantinopoli istruttissimo delle cose de Christiani, havendo egli et con la lettura delle historie et con le particolari informationi prese mentre si ritrovò prigione, assai ben accomodato il giudicio in discorrere sopra la qualità et uso delle forze nostre. Questo si è lasciato intender liberamente che non consigliarà mai a combatter se non lontanissimo da paesi del Signor, inferendo con queste parole che in tal caso più confiderebbe nella necessità che costringesse Turchi a menar le mani, disperati di fuggir in terra, che nella virtù et valor loro.
Ma, ripigliando quanto ho detto sopra, non è verissimile che’l Signore andasse mai alla guerra di Persia che prima non s’assicurasse dalla parte di mare; et il mandar fuori gross’armata per più anni continui, che non sariano meno di tre, tirra con sé gran conseguenze, perché è cosa certa, né si ha da dubitar niente, che le armate, per il gran consumo d’huomini che fanno, sono finalmente la distruttione et disertatione dei paesi di quel Signor. Per questa causa, non solo fu udito volentieri don Martino nella proposta di suspensione d’armi per sei anni co‘l Serenissimo Re Cattolico, ma vi concorsero avidissimamente, massime che egli giunse a punto nel colmo del sospetto di guerra. Della qual trattatione, perché ne ho scritto di tempo in tempo assai diffusamente, essendo io sicurissimo che non sia passata cosa, per minima che la si fosse, che non l’habbia saputa, non starò a dire altro per hora; né meno entrarò a discorrere se detta sospensione possa esser utile per la Christianità, o non, et signanter per questo stato.
Ma lasciando da parte quelle considerationi, che sono proprie di questo consiglio, mi ristringerò a quanto può dipender da diverse osservationi fatte mentre son stato a quel servitio, et dirò che le forze di Turchi da mare da un canto possono, per modo di dire, esser chiamate infinite, et da un altro terminatissime. Infinite per il numero de’ vasselli et per la molta gente che hanno per armarli, perché, seben hora non si ritrova in quel Arsenale più di centosessanta galee et sedici maone, quasi tutte sì queste, come quelle marcie, che non possono tener loro le stoppe ferme, tanto sono allargate le fissure; il che è proceduto sì perché furono fabricate dopo la rotta c’hebbero di legnami non stasonati, come anco perché mentre si fermorono all’impresa della Goletta, tutte s’abissorono. Onde è avvenuto che in questi dui anni che’l capitano è uscito con poche galee, seben erano delle migliori, pure in certe borasche che scorse, hebbe a perderne alquante, et sino nella sua compagna v’entrò l’acqua. Con tutto ciò, per la commodità grande c’hanno di legnami, di ferramenta, pegola, sevi, sartiami, tellami et maestranze, che chiamano da tutte quelle isole et Mar Maggiore, sempre ne farano quante vorrano. Non mancarà loro mai neanco ciurme né huomini da comando perché, spogliati di quei rispetti che riguardano la pietà christiana, cacciano le genti da vogare come pecore co‘l bastone, et hanno sempre quattrocento rais descritti, che tirrano soldo ordinariamente. Hor da queste commodità pareria, come ho detto, che le loro forze di mare toccassero dell’infinito. Pure, se veniremo al ristretto, et se essaminaremo la qualità di questa gente, la scopriremo assai debole et piena di mille imperfettioni. Però che degli huomini da commando il numero non fa che vi sia esperienza et prattica nell’arte marinaresca, che quasi tutti i buoni perirono il giorno della Vittoria; poi cosa certa è che nel maneggiar l’artigliaria non vagliano molto, et nel tirrar l’archibuso non riescono più che tanto. È ben vero che sopra tutte le galee vi mettono delli gianizzari, che ne fan gagliarda professione, pure anche questa militia è molto adulterata, et chi la vede, come n’ho veduta io, forse seimille insieme, non la giudicherà mai degna di quel nome tanto famoso et sì temuto da Christiani. Se consideraremo poi di che conditione siano le ciurme, sapendo ognuno che quei popoli poco son atti all’uso di mare, concluderemo per quello che si vede ogni giorno, che quanto più ne conducono tanto più materia preparino alla peste et altre infirmità, che fan diventare presto le galee peggio che hospitali. Onde avviene che’l nervo dell’armata turchesca, sia di che numero si voglia, et la principal sua virtù consiste in 50 o 60 galee armate de schiavi, et schiavi franchi con qualche greco di quelle marine. Possono esser tutti i schiavi che sogliono esser adoperati sopra l’armata, sì delli capitani particolari come del Signor, circa settemille cinquecento, compresi in questi quelli delli bassà et del capitano del mare, qual con li suoi rinegati ne ha forse dui mille delli migliori. È mò vero che dal sopradetto numero s’ha da detrahere li vecchi et li impotenti per qualche diffetto, a talché de buoni possono esser al presente poco più di sei mille. Questo numero se non è continuamente reintegrato, convien per necessità in spatio di sei anni annichilarsi grandemente poiché la peste, che ben spesso si fa sentir per quei bagni dove stano, ne leva molti, et molti anco mancano d’infirmità ordinarie per il gran patimento che fanno; altre che quelli che si riccattano et che fuggono non son pochi. Et se questo succederebbe senz’altro nel spatio di sei anni, quando Turchi non habbiano occasione di far prigioni, maggiormente converia seguire, concludendosi la sopradetta suspension d’armi col Serenissimo Re Cattolico, perché adesso, per quanto si è osservato sin qua, con tutto che non vogliano far impresa, pure ter tener il mondo sospeso solecitano al tempo dell’autunno il lavoro dell’Arsenale perché si sparga la voce fuori di prepararsi grossa armata per l’anno venturo; et con questa occasione il capitano non caccierà in l’Arsenal manco di sei in settecento schiavi delli suoi, et de’ suoi rinegati, tirrando per ciascuno di essi dieci o dodeci aspri al giorno, che vien ad essere gran aiuto di costa, come si suol dire, per nutrire tutto il resto della ciurmaglia, poi ha sempre procurato, et gli è riuscito il pensiero, che si mandi fuori qualche corpo d’armata; né possono mandarne così poca che egli non luoghi tutti i schiavi della sua casa, con utile di XX scudi per testa, pagati da coloro che sariano obligati mandar li huomini, et di più la paga del Signore per sei mesi. Se si facesse mò sospensione d’armi cessariano gli utili dell’Arsenale, et quello parimenti delle galee; onde i schiavi restariano infruttuosi, et sariano forciati i loro patroni, parlando del capitano che ne ha tanto numero, et così altri capitani particolari, riuscirne a buon mercato in qualche modo. Et se Turchi restassero senza schiavi, essendo essi, com’ho detto il nervo della loro armata, si potria dir d’haver fatto maggior acquisto che d’un regno ben grande. Di questo beneficio sariano causa le tregue, overo sospensioni d’armi per sei anni, alle quali, come ho detto ancora, vi corse il bassà, et ogn’altro avidissimamente per rispetto del re di Persia. Né si ha da dubitar punto che per causa sua Turchi non siano per portar rispetto anco a tutti i principi christiani, in quanto però che non ardiranno dissegnare né occuparsi in impresa d’importanza, dalla quale non potessero ritirarsi a loro piacere, onde con gran ragione si ha da pregar Dio che le voci sparse della morte di quel re siano false, perché sicuramente ciò non potrebbe essere senza grandissimo pregiudicio di tutta la Repubblica Christiana. Che sia mò per seguir veramente guerra col’l Persiano, o non lasciarò che’l tempo lo scuopra lui, et basterà che affermi asseverantemente che le cause per le quali Turchi dubitano dell’animo del Persiano, come ben fondate et di tenacissime radici, non possano cessare così facilmente. Prima ognun sa che’l Persiano, per certa inclinatione naturale, ha fatto sempre professione aperta d’odiar in estremo tutta la casa ottomana, et portato da questo impeto contra la volontà del padre ben giovinetto ruppe la guerra alli confini, per la qual cosa, volendo pur il padre continuar in pace co'l Signor Turco per darli satisfattione restrinse il figliuolo in un castello, dove lo ha tenuto ad instanza sua XVIII anni continui prigione mentre che visse. Nel qual tempo bisogna ben creder che l’odio e’l sdegno si facesse molto maggiore, et che poi si sia anco convertito in rabbia et desiderio di vendetta, havendo inteso che sia stato fatto ogn’opera perché cadesse in ogn’altro delli fratelli, più tosto che in lui, la successione del regno. Si è anco eccitato grandemente vedendo che non gli sia stato mandato ambasciatore per rallegrarsi della sua assontione alla corona, con tutto che pochi giorni prima fosse sta fatto dal padre un officio tale co ’l Signor Turco, arguendo da questo che volessero mostrar al mondo di non stimarlo. Se la memoria, mò anzi la continua rimembranza di queste offese, oltre la inclinatione naturale, può esser sufficiente stimulo per eccitarlo gagliardamente alla vendetta lo rometto al giudicio delle signorie vostre eccellentissime. Et quanto a me non mi curerei che quei dui principi venissero a guerra aperta, perché le guerre finalmente convengono terminare, et l’essito loro è molto incerto, ma ben mi contentarei che vivessero in questa diffidenza la quale, senza dubio, saria bastante di reprimer l’ingordigia de’ Turchi et far che mai ardirebbono occuparsi in cosa di molta importanza per tema che’l Persiano, presa l’occasione, non si movesse contra di loro. Et posso affermare che si sono pentiti grandemente di non havergli mandato ambasciatore, et se sapessero come poterlo mandare senza pregiudicio della dignità loro, a tal che la risolutione fosse interpretata prociedere da officiosa volontà, et non da timore, lo farebbero volentieri. So anco che da qualchuno di quei più grandi è stato discorso che si potrebbe invitarlo al ritaglio delli figliuoli del Signore, che si farà presto, et con quest’occasione supplir a quanto è stato pretermesso, et darli così qualche honesta satisfattione, dalla quale mosso egli s’inducesse a mandar ambasciatori per honorar il ritaglio, la venuta di quali havesse forza d’introdurre o confirmare l’amicitia tenuta col padre. Ma di questo sia detto abbastanza, et passarò hora alla seconda parte promessa nel principio, che risguarda i pensieri et la particolar inclinatione del Signor Turco.
Si vede che quel Signore ambisse in tutte le attioni sue di esser tenuto religioso et giusto, et con questa intentione si dimostra inimico dei vitii, havendo più volte fatto far rigorose inquisitioni contra donne et giovani dishonesti, relegando quanti n’erano trovati in diverse parti del suo Imperio. Oltre di ciò, lasciandosi intender di voler per ogni modo sollevar i popoli dalle estorsioni de’ ministri, che erano come presentiva gagliarde in ogni parte, si pose a ricever tutti i roccà, o suppliche, che gli venivano presentati, tanto che con questa facilità comune che ogni donnizzuola può accostaregli a suo piacere, ne raccoglie sempre di essi numero infinito, i quali poi, con una pacientia mirabile, leggeva tutti, che adesso par pure che’l si sia rimesso alquanto, et letti li manda fuori nel Divano perché dal bassà sia fatto quanto egli vi scrive sopra, o vi fa scriver da altri. Questa tanta commodità di presentar roccà ha partorito buonissimo effetto, come dirò, seben perché il troppo fu sempre vitioso, non sia senza qualche disordine, rinovandosi con essi mille cose passate che le persone, sapendo di non poter perder niente dan luogo all’appetito et formano le querele et le dimande a modo loro. Onde per questa causa si son ritrovati in mio tempo tutti gli intrichi et le vanie mosse per fino de XVIII anni sotto i clarissimi miei precessori, et perché il bassà conosceva l’humore del Signore, per non mostrarsi men pronto in suffragar i supplicanti di quello che ne fosse l’altezza sua, subito mi mandava i chiaus a casa con dirmi che dovesse proveder in ogni modo perché al Signor non piacevano simili lamenti, et io rispondeva che veramente non doveano piacergli poiché erano tutte falsità, come ben lo sapeva sua magnificentia che tante volte se li havea cacciati dinanti; ma non per questo si smarivano essi, anzi ritornavano a dar altri roccà fin che chiaritisi di non mi poter mover da per loro se ritiravano, et prometto alle signorie vostre eccellentissime ch’io era talmente assuefatto a vedermi andar su e giù chiaus per casa che mi pareva strano quel giorno che per sorte non ne veniva. L’utile mò che n’è seguito dalla facilità del dar roccà, è che tutti i ministri sono entrati in grandissimo timore, et però procedono hora molto più riservatamente che non facevano, massime che si è veduto privarne alcuni all’improviso, per semplice ordine venuto di dentro, et senza partecipazione del bassà. È ben vero che in certe cose il principio prometteva anco maggior severità, ma si vede che quantonque il Signore sia di prima impressione, et che si mova con impeto, non par però che sappia così da sé prender l’ultima risolutione, et spesso anco si lascia mutar di proposito, in che han gran forza sopra tutti le preghiere della madre, la qual egli mostra d’amar et stimar molto, et con lei possono grandemente i donativi, co‘l mezzo de’ quali s’ottiene facilmente il suo favore. La ferma intentione che mostra il Signore di voler tener in freno tutti li suoi ministri è causa ch’egli sia curiosissimo d’intender tutto quello che si fa et che si dice, et in questo lo serve per eccellentia il suo sciech, che tanto vuol dire come santone, il quale cacciandosi per ogni luogo, et mandando altri di qua et di là, gli riporta ogni particolare di che si parla. È questo huomo assai giovine, nato vilissimamente d’un zamoglano, de costumi rozzi et ignorantissimo, ma con tutto ciò, col mezo ch’io dirò, si è fatto molto inanti nella gratia del Signor. Si guadagnava egli il viver col meschiar insieme paglia et credazzo, per l’uso del fabricare, et mentre passava la vita a questo modo così miseramente, mosso non so da che spirito, cominciò a far professione di spianar insogni; onde, essendosi il Signor quando era al sanzaccato insognato di veder il padre et la madre natar insieme nel mare a paro a paro, esso li predisse che sultan Selin suo padre fra poco tempo havrebbe fatto chebin, o dechiarita per moglie sua madre, come successe. Da che il Signor cominciò non solo stimarlo, ma ad haverlo ancora in riverenza, massime che Turchi regolano tutte le attioni loro con le sorti, dando molta fede alli insogni, et fanno ordinariamente molto conto di questi che con diversi mezi fan professione di predire le cose future. Soleva costui anche essergli anco in maggior concetto, ma li molti roccà dati contra di lui, accusandolo che per denari desse favor a questo et a quello, et che sia dotato di molti vitii, gli han scemato in qualche parte la riputatione, et fatto che’l Signor più volte l’ha ammonito et avvertito a non impacciarsi in quello che non gli tocca; pure con tutto ciò, et che le imputationi siano verissime, egli si mantiene assai ben in gratia, et ogni giorno divien più ricco.
Si dimostra anco quel Signore, oltre quanto c’ho detto, più avido del denaro che non si conviene alla sua grandezza, né medesimamente gli manca in questo chi lo serve mirabilmente, perché il defterdaro grande huomo della Natolia, venuto seco dal sanzaccato, vi attende con somma diligenza, senza haver rispetto ad alcuna sorte di persone; et seben si ha acquistato per questa causa l’odio universalmente di tutti, et signanter del magnifico bassà, pure è guardato si può dire come una cosa sacra, che così vuole il Signore. Si è posto costui tra l’altre cose a inquisir circa i timari d’importanza, et ritrovando alcuno che ne goda de maggior rendita della sua concessione, glielo leva et lo pone in Signoria, assignandogliene dei altri conforme alla sua gratia. Ha di più casso un numero grande d’huomini de diversi servitii, come superflui, et ha regolate le spese dell’Arsenale, che quelle sole erano un caos di rubarie. Voleva anco por mano nelli spay vecchi della Porta con dar loro in luogo di soldo aspettative di timari, overo la metà di quanto tirrano al presente, et che fossero liberi dal servitio; ma questa voce, sparsa che fu, causò grandissima alteratione fra li spay et fra tutti gli huomini da spada, et tanto che furono dati fino molti roccà al Signore, senza che si sapesse da chi, ne’ quali lo trattavano da un putto senza giudicio, dicendo che i suoi maggiori avevano acquistato l’Imperio co’lmezzo delli schiavi et, riconoscendolo, da loro li havevano sempre trattati amorevolmente; se mò esso mostrasse di non curarli, potria venir tempo che non si curassero di lui. Questa mala satisfattione fu causa che non si procedesse più oltre. Et tra gli altri le novità dispiacevano sopramodo al magnifico bassà, il quale con quest’occasione hebbe a dire più d’una volta che quell’Imperio non havea né capo né coda, per il capo intendendo il Signore, che si lasciava così governare da chi non havea cognitione delle cose di Stato, et per la coda figurando sé stesso, che non poteva essercitar l’auttorità sua come soleva. Può mò esser che’l defterdaro, oltre l’inclinatione del Signore al sparagno, ve lo inducesse con ponderargli il disordine che ritrovava nella spesa ordinaria, perché l’anno passato il tratto netto di tutte le provincie, compresa qual si voglia utilità spettante al Signore, et portato a Constantinopoli in mano de’ defterdari non fa più che 2.777 somme di aspri, che a 2.000 ducati per somma fanno cinque milliona cinquecento cinquanta quattro mila scudi; all’incontro la spesa uscita pur di mano di essi defterdari ascese a forse 117 mila scudi d’avantagio. È vero che nella summa sudetta non è compresa la casenda del Cairo, che importa forse cinquecento mille scudi, perché quella è di lungo portata entro il seraglio, et è assignata, come dicono, per la scarsella del Signore, et di quella fa tutti i donativi che gli occorreno alla giornata. Sono portati medesimamente entro il seraglio tutti i donativi estraordinari, come sono stati li 300 mila pagati dalla Serenità Vostra per la conclusione della pace gli anni passati, et per maggior cognitione dell’entrata et spesa di quel Signore si ha da considerare i timari, cioè assignamenti de terreni, che sono tutti della corona, coi quali mantiene in Europa cinquanta in sessanta mille cavalli, et forse ottanta o novanta mille di là nell’Asia. Onde, per un conto havuto da buona banda, la spesa sì de timari come di denari contanti ascende a circa quarantamille scudi al giorno, che saranno quattordeci milliona seicento quarantamille scudi all’anno; et questo mettendo i timari per quanto sono concessi, che se fussero calculati per quello che rendono la summa senza dubio arrivarebbe anco alli vinti milliona et d’avantaggio. Che quel Signore mò habbia denari riposti o non, i pareri sono molto diversi, però che, pascendosi alcuni dell’opinion volgare, giudicano che quando si nomina ’l Signor Turco s’habbia da presupporre in conseguenza thesori et richezze inestimabili, altri, regolando il giudicio con discorso più fondato, van considerando la spesa ordinaria, la quale con la morte di dui Signori in non molto spatio di tempo è cresciuta grandemente, perché costumano in tali casi, oltre i grossi donativi che fanno alli gianizzari, d’aumentar loro il soldo sino a otto aspri al giorno, et quelli che ne han otto a nove, che più non possono haverne; crescono parimente alli spay della Porta cinque aspri al giorno per uno, che importa assai, et oltre ciò sultan Selin condusse seco dodici mille huomini pagati, et questo dui mille, che tutti han continuato il soldo c’havevano, et a molti anco è stato aggrandito. Vanno insieme essaminando le spese estraordinarie fatte in diverse guerre, che per la qualità loro convengono esser state grandissime; et mettendo in molta consideratione che sultan Suliman inanci che partisse per la guerra di Zighet fece fonder tutti gli ori et argenti lavorati ch’haveva, cose di rarissima fattura, concludono (se ben alcuni vogliono che mosso da religione volesse privarsi di quelle delicie), che non vi possa esser molta adunanza di denari. Pure con tutto ciò non è da credere che gli ne possa mancar così facilmente, perché non ha quel Signore in dimandarne et volerne da i suoi popoli de quei rispetti, che sogliono esser tenuti in molto conto da gli altri principi; ma, prevalendosi dell’assoluto dominio, commanda liberamente, come a punto è successo quest’anno, che quantonque non habbia armato più trenta galee, pure la contributione dei paesi è stata per ottanta mille galeotti, a vinti scudi per uno, che è importata un million e seicento mille scudi. Et per non trattenermi più in questa parte, finirò con dire che quanta gratia ha acquistata quel Signore presso i popoli con la buona intentione che dimostra di giustitia, tanta ne perde per la troppo ampla facoltà che permette al defterdaro in essigere et regolare la dispensatione del denaro.
Trapassarò hora a discorrere verso che parte et contra de chi potesse col tempo quel Signore indricciare i suoi dissegni, parendo quasi che impossibile ad ognuno ch’egli, con tutto che non sia giudicato molto ardito et che mostri d’amar la quiete, non si risolvi finalmente a qualche impresa; perché quando anche la propria natura lo repugnasse, convengono haver gran forza in eccitarlo i gesti et l’essempio de suoi maggiori, oltre che gli sarà sempre non picciolo sprone ai fianchi le voci che fra Turchi sono volgatissime, et si sentono da per tutto, che non sia degno di tanto Imperio colui che non l’havesse con qualche acquisto particolare. Lascio stare che la satisfattione dei soldati, a quali suol rincrescere la troppo longa quiete, ve lo potrebbe indurre, et che il consiglio de chi prevalesse in auttorità et in gratia saria bastante, come si vede anco altrove, di persuaderglielo. Credendosi donque che sia per moversi in qualche tempo, cascano in consideratione quei principi che per vicinanza o per altro rispetto versano più degli altri fra le menti et fra gli interessi de Turchi. Et dovendoli connumerare cominciarò dal Persiano contra il quale, se’l mondo non fa altra mutatione, non è verissimile che il Signor Turco prenda l’armi così facilmente se non sarà provocato da lui.
Il re di Portogallo per le cose d’Hormus è spesso nominato ma, perché l’impresa è lontana et è giudicata difficile, par che’l desiderio termini con le parole.
Il Moscovita è stimato et volentieri lo vedrebbono abbassato in qualche modo, ma la distantia l’assicura né lascia che sopra esso fermino molto il pensiero.
Della Polonia ne han gran voglia, et per mostrar d’havervi un non so che di dominio sopra per causa del presente re, già tributario del Signore per la Transilvania; facendo mentione di essa nella confirmatione delle tregue con l’imperatore usarono queste precise parole: la Polonia, che è nel pugno del nostro Imperio. Cercheriano anco di occuparla apertamente, quando che non dubitassero che Polachi, indotti da disperatione, s’unissero col Moscovita; ma guardasi quel regno da divisione, perché in tal caso non perderiano l’occasione, come quando ultimamente si diceva, che la maggior parte della nobiltà non s’intendeva bene col re, al quale senza dubio, se la cosa andava inanti, si sariano offerti in dar soccorso per poterne, sotto questo pretesto, secondo a punto che fecero della Grecia, impatronirsi di tutto il regno.
L’imperatore scorre gran pericolo, se per sorte venisse voglia al Signore d’andar in persona alla guerra, et di veder, come son soliti per il più i principi giovani, tutte le sue forze unite insieme, perché in tal caso altrove che nelle campagna d’Ongaria non havrebbe commodità di distendere cento cinquanta mille cavalli, che notrisce ordinariamente sotto li dui bellerbei di Grecia et della Natolia, et oltre a questi circa dodeci mille spay della Porta, dieci in dodici mille giannizzari, con tanti altri stipendiati che per brevità, et perché sono cose che facilmente possono esser vedute altrove, ometto di farne particolar mentione. A questi s’aggiongono poi li venturieri, in numero forse di venticinque in trenta mille cavalli, quai vivono sotto un capo di famiglia, che per heredità ha sempre questo carico, godendo in tempo di pace molte esenzioni, et con obbligo all’incontro di servir alla guerra senza nessun stipendio. Né qui la finisce che, se vorrà chiamar Tartari, n’haverà quanti vorrà; et se vorrà servirsi de Moldavi, Valachi o Transilvani per guastadori, o per simil altro bisogno (che de soldati non crederei che’l si fidasse così facilmente) n’haverà parimente quanti ne saprà dimandare. Hor tanto numero di gente non potria, com’ho detto, allargarsi altrove che nelle campagne d’Ongaria, né altrove esser notrito che nell’abbondanza di quel paese, et con la commodità del Danubio, per il quale gli sariano condotte tutte le cose necessarie. Per questa causa donque torno a dire, havrebbe Sua Maestà Cesarea da temer molto quando s’intendesse che’l Signor volesse far impresa et intravenirvi in persona; ma se in lui non ci sarà questa caldezza, potrà facilmente Sua Maestà sperar di passar inanti ancora qualche anno a questo modo; massime che senza moversi guerra aperta li levano Turchi continuamente castelli et territorii, restringendoli sempre più i confini da ogni banda.
La religione di Malta è odiatissima da ognuno per i molti danni che ricevono da quelle galee, et nessuna impresa dalli particolari è desiderata più di questa; ma perché tengono benissimo a memoria la molta gente che vi persero sotto l’altra volta, et sano che la fortezza è ridotta in molto miglior stato che non si ritrovava all’hora, credo che non così facilmente si metteranno a tentarla.
Del Papa non si parla perché, essendo esso capo della nostra religione, crederiano d’eccitarsi contra tutti i principi christiani, et signanter quelli d’Italia.
Contra il re Cattolico (se le tregue non mutassero pensieri) vi è grandissimo sdegno, et so che’l Signor istesso ne ha tenuto proposito, et con qualche passione, più d’una volta, parendole che quel re solo possa disturbar i suoi disegni, et solo con far professione d’essergli perpetuo inimico, ordisca di competer seco. Ma con tutto ciò non sano che cosa fargli, poiché contra esso non possono eserciatar le forze di terra, nelle quali consiste principalmente la forza de’ Turchi; perché il passar in Italia l’han ritrovato in altri tempi troppo difficile et lo conoscono di troppo interesse de molti, onde non credo che vi applicassero mai il pensiero; assalirlo mò con semplice armata, perché questa convien essere di forze determinate, senza aspettarne d’altre, quando non ritrovassero contrasto in mare lo potriano ritrovar in terra, havendo il re molto ben il modo di non solo presidiar le terre, ma di metter ancora grossi eserciti insieme dove conoscesse esser maggior bisogno. La facilità donque c’ha Sua Maestà Cattolica di difendersi (se mò non andassero a Oran, et quell’impresa anco è giudicata molto lontana per l’armata) fa che Turchi tanto più si sentano roder dal sdegno quanto meno vedono occasione commoda di sfogarlo. Lascio stare, che non potriano tentar luogo alcuno con speranza di ritenerlo, quando bene l’espugnassero, et che hora il far botino et depredar anime, per le continue guardie che sono fatte alle marine, non riesce così come soleva in altri tempi, a talché questi dui anni che’l capitano è uscito fuori con intentione a punto di simil depredationi non ha condotto a Constantinopoli altro che una sola vecchia presa a Trebisazze.
Resta ch’io dica di questo Stato contra il quale militano quei dui rispetti c’hanno sempre gran forza nelle deliberationi di guerra, che sono la commodità et la facilità: la prima per causa della vicinanza et l’altra perché le forze della Serenità Vostra non possono esser comparate a quelle dell’avversario; et poi che saria impossibile levargli le commodità, che la natura non lo consente, si ha da attender con ogni studio di sturbargli la facilità, la qual crederei che potesse essergli intorbidita quando si facesse quanto son hora per aricordar non già per via di consiglio, che troppo grand’ardire sarebbe il mio, ma solo per non ritenere in me cosa alcuna che a mio giudicio, seben debole, possa riuscire in beneficio di questo Stato. Et prima tornarebbe grandemente a proposito che si desse fine alle fortezze principiate, perché si leverebbe così l’occasione a coloro che per mala volontà o per mettersi in gratia di quelli che son desiderosi di cose nove, diligentemente osservano et rapresentano tutti i mancamenti loro; né debbo tacer, che non si poteva deliberar cosa migliore né più necessaria per divertir qualche sinistro incontro, che di far la nova fortezza di Corfù, perché la vecchia, dopo il ritorno di Sinan bassà dalla Goletta, qual nel passare hebbe commodità di considerarla, oltre le informationi che ne prese, era in così debole opinione presso d’ognuno che pubblicamente si vantavano, et signanter detto bassà, di spiantarla nonché prenderla in quindici giorni. Di quanto pregiudicio mò poteva esser quest’opinione, tanto fermata negli animi di tutti, sarà chiaramente conosciuto se si considerarà che le fortezze non stimate aprono da per loro la strada alle speranze et ai dissegni, et che per forti che siano, come sono tentate si ritrovano in grandissimo pericolo, perché mille sono gli accidenti che possono occorrere bastanti a farle cadere. All’incontro se sono tenute forti, quantonque debolissime, restano sicure, perché si vede ordinariamente che i dissegni altrettanto s’allontanano dalle cose difficili et dubiose, quanto s’appropinquano a quelle che si spera d’ottenerle facilmente. Utilissima donque è stata la deliberatione della nova fortezza di Corfù, poiché con essa quell’isola è restituita alla sua pristina riputatione, et tanto che quando quei sanzachi là vicini videro andar la fabrica inanti con tanta diligenza, scrissero che se non si prendeva Corfù quell’anno s’havrebbe ben potuto guardarlo et biastemarlo, ma non mai sperar di espugnarlo; et usano a punto questa parola, di biastemar, quando vogliono denotar una cosa che tenga dell’impossibile. Et perché poco possono giovar le fortezze se non sono anco ben munite, direi che si dovesse usar qualche maggior diligenza in provederle, et signanter Candia, delle cose necessarie al viver; quest’aricordo potria apparir molto commune, perché chi non sa che le fortezze devono esser ben munite altrimente la spesa tutta o è gettata o ridonda a beneficio degli inimici; pure per quello che dirò, l’avvertimento in questo caso ha molto maggior forza, et è con particolar consideratione. Si ha da saper che per il continuo comercio c’hanno li Candioti in Constantinopoli, li navilii che vanno et vengono sono frequentissimi, et sobito che ne gionge qualch’uno li passagieri et mercanti sono interrogati da renegati et da altri loro conoscenti, che comprano della robba, di quello che si fa in Candia, et se il raccolto è stato o mostra buono, con simili altri quesiti. Quei tali rispondono, senza pensar più oltre quello che è veramente; et se temono del raccolto, subito vien pubblicato et discorso che con quella occasione di strettezza di viveri si doveria far l’impresa di Candia et mandar fuori cinquanta o sessanta galee anticipate che attraversassero i navilii che vi potessero esser mandati; et seben queste voci han principio da persone basse, pur son portate finalmente all’orecchie de gli huomini d’auttorità i quali, secondo la disposizion in che si ritrovassero, potriano accettarle et servirsi di esse a pregiuditio della quiete di questo Stato. Ma se in quell’isola vi sarà un grosso deposito de grani, quei sempliciotti che fossero interrogati dopo ’l dubio di cattivo raccolto conveniranno per necessità soggiunger che, con tutto ciò, per la grossa provision reposta, quando anco non n’havessero d’altrove, non potriano temer di mancamento; le quali parole dette così spontaneamente et con tanta sicurezza da quelle genti, sarian bastanti di chiuder la bocca ad ognuno, et di troncar conseguentemente ogni discorso. Ricordarei anco riverentemente che tutte volte che si sente farsi di là preparamenti d’armata grossa, di qua anco si faccia subito subito senza mettervi tempo di mezo qualche motivo che ne dia inditio et di armata et di voler accrescer i presidii delle sue fortezze; et desidero sopra il tutto la prestezza, accioché presto anco intendano a Constantinopoli che non si dorme ma che si è pronti alle debite provisioni, la qual cosa potria partorir buonissimo effetto perché i Turchi, con tutta la loro potenza, si guardano d’ingerirsi dove credono ritrovar delle difficoltà, né li particolari le consigliano volentieri per tema che, non riuscendo tutto, il sdegno come si è veduto ordinariamente si riversi sopra di loro. Onde non saria gran cosa che giongendo questa fama a Constantinopoli inanti che l’apostema fosse ben matura, gli humori ingrassati contra di questo stato si sfantassero, overo si volgessero altrove. Ma se si tardasse, che gli ordini fossino già dati et publicata la deliberatione, come fu di Cypro, con tutto che anco all’hora stessero un pezzo sospesi, intendendo le gran provisioni che si facevano, pure in tal caso non potriano ritirarsi senza grave intacco della dignità et suberbia loro. Gioveria anco, perché saria segno che Vostra Serenità non si fidasse delle proprie forze, né si confonde o entra in timore immoderato al solo nome de Turchi, come alcuni van predicando. Et certo niuna cosa ferisce più l’animo et il core di questa Repubblica che titubare et mostrar con Turchi depression d’animo, perché essi, come conoscono questo, rilasciando in tutto la briglia all’insolentia, ardiscono di tentar, et di voler ogni cosa; et però tornaria grandemente a proposito che nelli nostri ragionamenti particolari che si fan di qua et di là, perché vien scritto ogni minutia, andassemo più riservati. Né debbo tacer che il far quanto ho detto non solo sarebbe segno di promettersi delle proprie forze, ma conveniriano creder, vedendola procieder con animo quieto, et senza turbarsi, ch’essa fosse certa et sicura di non dover esser sola quando che venisse il bisogno. Il che può importar grandemente, per continuar nella quiete che si desidera, la qual restarà anco maggiormente corroborata se si procurerà di mantener in Turchi quella opinione c’ho detta un pezzo fa, che Vostra Serenità voglia pace, né sia mai da sé per interromperla, et insieme insieme confirmarli nella credenza che tengono che a lei stia per quello ch’è stato scritto in diversi tempi, il concluder di novo la lega, il nome della quale è tanto abborrito da loro, che niuna cossa più li offende di esso. La prima a mio giudicio si può conservar con li officii, con la destrezza de’ negociatori et col proveder prontamente alli disordini che possono occorrer alli confini, over altrove. La seconda poi non può con altro esser stabilita meglio che con la buona intelligenza del re Cattolico, la qual sia intesa et saputa da loro continuamente; et certo che i rumori di Fiandra mi travagliano grandemente perché quel re è molto stimato, et la stima che fanno di lui, col dubio di unione, risulta tutta a sicurezza di questo stato, et se lo vedessero molto occupato nelle cose proprie saria da temere che questo stato non diventasse presto, cessando i rispetti di Persia, bersaglio dei dissegni et degli appetiti de’ Turchi.
Ho detto nel principio che i principi per il più seguono il consiglio di quelli che loro sono a torno, et però non sarà fuori proposito ch’io dica alcuna cosa circa la natura et dispositione dei principali di quella Porta, et cominciarò dal magnifico bassà, per seguir poi degli altri per ordine di mano in mano.
Mehemet bassà è huomo de forse settanta anni, grande di persona et di buonissima complessione. Nacque in Bossena, et nel venir ho veduto il monasterio che si chiama di San Sabà dove fu levato figliuolo che attendeva a risponder messa, et stava con un suo barba, che da lui fu poi fatto far metropolita di quella provincia, et morse non è molto. È quest’huomo molto atto per quel governo, ma più tosto per la longa prattica c’ha di esso che per esquisitezza d’ingegno che’l si habbia. Si tiene che sia ricchissimo patrone di molto oro, et con tutto ciò non li dispiaciono ancora i presenti, seben adesso sia assai più riservato in pigliarne che non faceva. Si dimostra desideroso della pace, et ciò si può creder signanter per commodità propria, perché meglio può essercitar in tempo di pace l’auttorità sua senza partecipazione d’altri che in tempo di guerra, et meglio anco resister et superar le persecutioni de’ suoi avversarii, i quali, perché sono dei principali, non è dubio che nella guerra sarebbero adoperati, et potriano col servitio acquistarsi maggior gratia et riputatione presso il Signor. Credo che egli habbia buona volontà verso di questo stato, ma con tutto ciò, se non cessano i tanti rispetti coi quali hora vive, non si può sperar da lui favori estraordinarii, et massime in quelle cose che convengono esser con saputa de gli altri bassà. Né però si può restar di non mostrargliesi obligati non altrimenti che se si ricevessero, perché quando egli dice “M’hanno per sospetto nelle cose vostre”, “Anch’io ho cara la mia testa”, et simili altre parole, non dano indicio che’l servirebbe volentieri se’l potesse, altro non si può far che ringratiarlo, et dargli anco tutte le ragioni del mondo.
Pyali bassà lo lasciai mezzo moribondo, né per giudicio de’ medici può durar molto, et perché egl’è un gran pezzo che l’infirmità lo travaglia et lo tirra all’idropesia, si può presuporre che i suoi pensieri al presente poco tendino ad altro che a viver. È di natione ongaro, ha pochi denari et ne vuol spender molti, onde crederei che volentieri el sarebbe amico a chi lo appresentasse.
Acmat bassà, terzo in ordine, è di Bossena, huomo che non penetra molto ma gratioso nel suo proceder; con i rappresentanti di questo stato si dimostra tutto cortese, et gode allegramente senza desiderar cose nove, le tante richezze della soltana sua socera, moglie che fu di Rustem bassà et figliuola di sultan Soliman, che tutte colano in lui et in suoi figliuoli.
Mustafà bassà è anch’esso di Bossena, huomo di settanta anni, spiritoso et che non si contenta della presente fortuna ma, sapendo che sarebbe adoperato nelle cose importanti, desidera qualche novità et per dire il vero non vi è, seguendo la commune opinione, più atto a governar un essercito di lui, né che per esperientia et giudicio dovesse succieder al magnifico Mehemet bassà di esso. Questo, parlando di questo stato, mostra haver buona intentione, dicendo spesso che bisogna smenticarsi tutte le cose passate et tender a stabilir l’amicitia et la buona pace che si ha con quel Signor; ma perché, signori eccellentissimi, egli sa simulare per eccellentia, et sa insieme di esser odioso a tutto il nome venetiano per le crudeltà usate al clarissimo Bragadino di gloriosa memoria, et a tanti altri cavallieri honorati, si ha da dubitar grandemente che l’intrinseco non corrispondi ben al suono delle parole.
Sinan bassà, ultimo de tutti, è albanese, huomo altrettanto essecutivo et fiero quanto imprudente, et se stesse a lui per l’odio che mostra apertamente contra tutti i Christiani, poco si starebbe in pace, onde sarà se non bene pregar Dio che presto lo levi dal mondo.
Luzzalì, capitano del mare, ha più che parte nella gratia del Signore, havendosi acquistato questo credito in non pensar ad altro che al servitio di Sua Altezza, et veramente per quanto si vede ogni giorno proposto la stima di sé medesimo, tanto li fa andar a Marmarà con la sua galea a prender pietre et confinarsi sopra qualche fabrica del Signore a solecitar il lavoro dei schiavi, come uscir fuori et comandare a ducento o trecento galee. Quest’huomo, da chi lo ha considerato et ben essaminato nelle occorrentie, è giudicato più tosto buon corsaro da robbare et fuggire che valoroso et prudente capitano. Di che animo egli sia verso questo stato, essendo di natura instabile, et variando le dimostrationi estrinseche per poca cosa, bisognerebbe haver spirito profetico a parlarne con fondamento, ma, considerando che per lui non fa la pace, s’ha da dubitar che le isole di questo stato, come più propinque et più commode, lo movino anco più delli altri.
Nelle cose di conscentia concernenti la religione et giustitia, stima grandemente il giudicio del suo coza, il quale è huomo molto destro, che sa trattenersi con tutti, et io l’ho lasciato assai ben edificato verso questo stato.
Fa anco gran conto del consiglio d’Acmat bassà, suo musaypo, o vogliam dire suo famigliare, che mangia spesso seco et sempre lo accompagna, trattenendolo con diversi ragionamenti quando va fuori. Questo è persona di conditione, di buon discorso et bel parlare, et perché fa professione di poeta, si ha posto il nome di Semps, che vuol dir sole. Il suo favore è molto procurato da ognuno, e può tornare a grandissimo commodo di questo stato conservandoselo per amico.
Mentre son stato in quel baylagio ho ritrovato il negocio et procieder di quella Porta molto difficile, sì perché si tratta con persone che soglion prevalersi in tutte l’occorrentie della superiorità, come perché si covien parlar con la bocca d’altri, al qual contrario, per mio giuditio grandissimo, s’aggionge che mai si parla col proprio Signore fuori che nel presentarsi o nel prender licenza. Et pur si sa che gli officii fatti in nome del principe et la destrezza de’ negociatori sono bastanti non solo di conservar l’amicitie antiche, ma ancora introdurne di nove. Però adherendomi al senso d’alcuni clarissimi miei precessori, raccordarei che si presentasse quel Signore alle volte estraordinariamente, attendendo più alla vaghezza et varietà delle cose che si mandassero che al valor loro, massime che questo Signore, per esser giovine et non prattico, si meraviglia facilmente di qualonque cosa che per invention o forma sia niente riguardevole; né si ha da dubitar che se per sorte se gli donasse cosa che fosse di sua satisfattione, et li toccasse l’humore, che l’istessa havrebbe sempre forza di voce tutte volte che fosse da lui veduta et di captarne benevolentia. Il che importarebbe molto per la conservatione della quiete presente, massime che fra turchi corre un proverbio vulgatissimo che dice “Sopra l’acqua non t’appoggiar, et nella casa ottomana non ti fidar”; poi ogn’un sa che Turchi, secondo che ci ha dimostrato l’esperientia di tempo in tempo per l’ingordigia loro han finalmente per inimici tutti i vicini; et però si ha da far ogni cosa per divertire o prolongar l’humore, con simili et altri mezi, quanto più sia possibile.
AS Venezia, Collegio, Relazioni b. 5
Trascrizione di Maria Pia Pedani, in Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, vol. XIV, Relazioni inedite. Costantinopoli (1508-1789), a cura di Maria Pia Pedani, Padova, Ausilio, 1996, ora in https://unive.academia.edu/MariaPiaPedani