1582 - 1585 Giovanni Francesco Morosini
Relazione
Relazione di Gian Francesco Morosini ritornato da Bailo a Costantinopoli
1585
Letto nell’Eccelso Senato l’anno 1585-86
Collezione Cicogna. Codice N. 964
Di tutte le materie, che si possono trattar in questo eccellentissimo Consiglio, niuna è di tanta importanza, né degna di così grande attenzione, come quella, dove si tratta della grandezza del Gran Turco, della qualità del suo Impero e de’suoi popoli, delle sue forze, delle sue ricchezze, della forma del suo governo e finalmente di quello che si può sperare o temere da quella parte, perché havendo questo Serenissimo Dominio cosi lunghi confini con quel Signore et essendo egli quel solo dal quale si possono temere offese importanti, non si deve mai un buon Senatore stancare in udir ogni particolarità di quelle parti volentieri, per restar quanto più si possi del tutto ben informato e per poter nelle occasioni saper il modo più facile per conservarsi in pace con quell’Impero, quanto più lungamente si potrà, ovvero prevalersi nel tempo della guerra, quando al Signor Dio piacesse travagliar questo Serenissimo Dominio per quella via. Però dovendo io al presente, secondo l’antico e lodevolissimo istituto di questa Serenissima Repubblica, riferire quello che nello spazio di 35 mesi che sono stato bailo della Serenità Vostra a quella Porta, ho avvertito e considerato, e giudico degno dell’intelligenza di questo Eccellentissimo Senato, supplico riverentemente la Serenità Vostra e le Signorie Vostre illustrissime et eccellentissime, a volermi favorir con la loro benigna attenzione, perché io li prometto, con quella maggior brevità che mi sarà possibile, darle una reale e succinta informazione dello stato presente di questo Impero, e spero con il favor del Signor Iddio che il mio ragionamento non li habbi ad essere né inutile, né ingrato, anzi s’io non m’inganno utilissimo. Il presente Imperator de’Turchi, nominato Sultan Amurath terzo di questo nome, è il XII Imperator della Casa Ottomana, la quale per opinion comune si tiene ch’habbia havuto origine da alcuni popoli, che habitavano su’confini della Scithia sopra le Porte Caspie, li quali popoli vivevano alla campagna in paesi disabitati, nutrendosi di frutti e di quello che pigliavano alla caccia. Questi intorno l’anno di Nostro Signore 800, calarono dalla Scithia nelle provincie dell’Asia minore e s’impadronirono di molti paesi in quelle parti, nelle quali regnando all’hora la maledetta setta di Macometto et essendo essi popoli senza religione, parendogli questa assai conforme alli loro mali costumi, l’abbracciarono. E perché la moltitudine del popolo era grande, mise in gran spavento tutti gli habitanti di que’paesi e s’impadronirono di alcune città senza haver né re, né capo segnalato che li reggesse, governandosi loro per molti anni per compagnie e per quadriglie, fino all’anno di Nostro Signore 1300, ch’un huomo di questa gente nominato Ottomano, persona assai bassa, incominciò ad acquistar riputazione fra loro per esser huomo di gran forza e d’ animo generoso, molto fortunato e di sottil ingegno, il quale havendo preso occasione delle discordie ch’erano fra quelle genti, si diede a guerreggiare e conquistar paese, facendosi Signore d’alcune città e provincie, così delle proprie de’Turchi, come delli vicini, e di questa maniera essendosi fatto potente diede principio al Regno et Impero de’suoi discendenti, che sino al giorno d’hoggi hanno continuamente regnato e si può dir meravigliosamente, sempre da padre a figliuolo, dico meravigliosamente, perché accostumando loro per sicurtà e mantenimento dell’Imperatore, quando uno di essi succede al padre far immediatamente morire tutti li suoi fratelli, pare in ogni modo gran cosa che in tanto tempo non si sia mai estinta questa discendenza, perché di continuo viene mantenuta da un solo. Succedono questi nell’Impero senza alcuna sorte di cerimonia, perché non sono eletti né coronati, ma morto il padre, se bene per la legge de’Turchi, che in questo si conforma con la legge comune, doveria succedere il primogenito, tuttavia quello dei figliuoli che primo degli altri si può metter dentro del serraglio di Costantinopoli è chiamato Imperatore et ubbidito da popoli e da soldati, perché restando in mano sua tutto il tesoro del padre, può facilmente acquistarsi il favore de Jannizzari e con questi può metter freno a tutto il resto de’soldati e de’popoli. E perché la forma di quel governo è fondata nella forza, ne succede che quello de’fratelli che supera gli altri è tenuto et ubbidito per Signore, siccome anco è successo quando un figliuolo ha potuto discacciar il padre, in che non sogliono i Turchi aver alcun riguardo. Di qui nasce che ordinariamente il Gran Signore, quando i suoi figli pervengono all’età di poter portar 1’armi, non si assicura di tenerli appresso di sé, ma li invia a qualche Sangiaccato, dove se ne hanno da stare fino alla morte del padre, vivendo sempre in continuo sospetto, perché siccome li padri non si confidano de’loro propri figliuoli, cosi anco li figli non s’assicurano del loro padre, stando sempre in grande spavento d’esser fatto morire, ch’é il misero fine che si cava dalla sfrenata ambizione e dalla gloria del regnare, da che nasce un infelicissima condizione et non vi è alcuna sorte d’amore fra padre e figlio, e molto meno fra figli e padre. Di questo poco amore si può attribuir la causa anco in qualche parte alla multiplicità delle donne con le quali hanno figli li Turchi, perché potendo loro per libertà della legge di Macometto tener sino a quattro mogli e mandar quelle via quando li piace e pigliar delle altre, e praticar ancora con tante loro schiave, quante possono nutrire, non è dubbio, che non vi può esser quell’amore che vi saria, se havessero una sola moglie e di quella sola figliuoli. Possiede quel Signor XXXVII Regni con quantità grandissima di Paese, essendosi il suo dominio in tutte tre le principali parti del mondo in Africa, in Asia et in Europa, e sono questi suoi paesi talmente uniti e contigui l’uno all’altro, che per il spazio di ottomille miglia di circuito di mare può andar per il suo dominio, senza quasi mescolarsi punto co’Stati d’altro principe. È anche padrone di quasi tutte 1’isole del Levante e per terra si può dire che habbi una maggior lunghezza d’Impero, perché se bene nell’Africa si distende poco fra terra, però nelle altre parti si dilata assai e specialmente nell’Egitto, che li suoi confini s’allargano sino al mar Oceano verso mezzo giorno e quella parte di paese è quasi tutta fertile e ben coltivata. Tutto questo Impero è diviso in XXXV Beglierbey, et hanno anco nome di Bascià e sono questi:
in Africa, Algeri Tripoli e Tunisi;
in Asia, il Cairo, Cabessiri, Gemen, Balsara, Lassa, Messul, Cars, Revan, Demircapi, Tiflis, Sivas, Esdrom, Caramitta, Marassa, Aleppo, Tripoli di Seria, Damasco, Caramania, Natalia, Trabisonda, il Gallo, Cipro;
in Europa, Costantinopoli, Grecia, Gallipoli, Bada, Bosna, Temisvar, le tre Provincie o Regni di Transilvania, sibben il Turco di questo non è padrone come degli altri, Valachia e. Bogdania, dove il Gran Signore manda Cristiani a governar quei popoli con il suo stendardo e con nome di Vaivoda, e li muta e leva quando li piace, eccetto quelli di Transilvania.
In Africa confina il Gran Turco con il Re di Fez e con Mori, e si può ancor dir con il Re di Spagna, non solo per le fortezze che Sua Maestà Cattolica possiede in Africa, ma anco per la strettezza del mare che divide la Spagna dall’Africa.
Nell’Asia confina con Persiani per un grande spazio di paese, con Georgiani, con Tartari, con Circassi, con Mengrelli, con Arabi, col Prete Jani, con Mori e con Nubi.
Nell’Europa con l’Imperatore, col Re di Polonia, con l’Arciduca Carlo e con la Serenità Vostra.
Tutto questo amplissimo Impero non è adornato di quelle belle città che si veggono in paesi de Cristiani, ne meno è abbondante di castelli et altri villaggi inferiori. Le città più principali che si trovino nel dominio del Turco sono Costantinopoli, Andrinopoli e Bursia, che sono le tre sedi regali, dove hanno costumato gl’Imperatori de’Turchi far le loro residenze. Bada ancora è assai stimata, siccome anco nell’Asia il Cairo, Damasco, Aleppo, Babilonia et altre, né queste ancora hanno di quegli ornamenti che sogliono far belle le città, perché Costantinopoli, che è la più principale di tutte le altre, posta nel più bello e vago sito che l’huomo si possa imaginare, manca lei ancora di quelle parti che fanno comparire le città, che sono di belle strade, di piazze adornate, di belli palazzi, perché dalle Moschee in poi, Serragli, Carvansera e Bagni, de’quali ne sono in grandissimo numero, tutto il resto della città è confusione e sporchezze: né questi ancora fanno notabile adornamento alla città, se non quello di fuori alla lontana, per haver tutte le cube coperte di piombo con alcuni perni di rame dorato nel mezzo, che a quelli che di nuovo entrano nella città fanno una bellissima mostra e danno speranza di gran cose, ma come prima entrano dentro restano assai ingannati, La sicurtà di questo paese non consiste in numero di fortezze, né in qualità di sito forte, perché i Turchi dalli confini in poi in tutto il resto del loro Impero non attendono a fortificare e molto meno che al presente lo solevano far per il passato, che pur hora nella guerra di Persia si è veduto c’hanno fortificati diversi luoghi, di quelli c’hanno conquistati di mano de’ Persiani, con intenzion di conservarli e levar la speranza ai loro nemici di poterli più in alcun tempo ricuperare. La vera sicurtà del paese del Turco consiste prima nell’abbondanza che ha di tutte le cose necessarie alla vita humana e non solo per il bisogno de’suoi popoli, ma anco per poterne mandar fuori del paese, perché oltre alla grandissima abbondanza di viveri di tutte le sorti, può mandar fuori di Costantinopoli lane, cuoi, pelle e ciambellotti; dalla Grecia gottoni e filati, dalla Soria sete, cenere, speziarie, gotoni, galla, filati, pestacchi, gotonine, mussuline e tappeti; d’Alessandria speziarie, cenere, legumi, datteri, bordi, tele, tappeti, zuccheri, et altre case; dalla Marea formenti, et altre biave, e potria far anco d’avvantaggio, quando ci fusse più numero di popoli che coltivassero li terreni, né vi mancano miniere d’ogni sorte di metalli, se ben di non molta considerazione. Di poi consiste ancora principalmente nella gran quantità di forze così terrestri, come marittime, con le quali si rende formidabile a tutto il mondo. Trattiene quel Signore a suo soldo di continuo intorno a 380 mila persone ben pagate, delle quali 80 mila si pagano ogni tre mesi del suo proprio orario e questi sono incirca 16 mila Jannizzeri, sei legioni di cavalleggieri, che si chiamano Spahi e sono intorno a 12 mila, li quali siccome li Jannizzeri servono per antiguardia alla persona del Gran Signore, così questi altri servono per retroguardia della sua medesima persona, nella qual guardia entrano ancora li Mutferagà, Cesiueri e Chiaussi, et sono intorno 1500. Ci sono poi armaiuoli, bombardieri, stimogliani, gente che servono alle stalle, officiali della casa, garzoni del Serraglio, medici et altri, che tutti insieme fanno il numero delle persone c’ho detto, le quali non sono pagate come si accostuma fra Cristiani a un tanto il mese, ma tutte le paghe si contano a un tanto il giorno. Li Jannizzari non possono passare la summa di 9 aspri il giorno, ma ne sono molti che non-ne hanno che 4, se ben la maggior parte ne ha 6. Li Spahi, perché sono obbligati a tener cavalli, non hanno meno di 20 aspri il giorno e 30 e 40 e più ne possono havere ,secondo che sono favoriti. In tutta questa gente spende il Gran Signore ogni tre mesi 680 somme di aspri che a duemila scudi per somma fanno un milione e 360 mila scudi, che in ragion d’anno vengono ad essere cinque milioni 440 mila scudi l’anno. Li altri 200 mila cavalli si chiamano Spahi di Timaro, perché non sono pagati con denari, come gli altri, ma hanno assegnazion di terreni sopra i quali sono obbligati di tener di continuo per ogni 5 mila aspri d’entrata che renda il Timaro un cavallo, e quello presentare ad ogni richiesta del capo che governa quella Provincia, dove si ritrova il Timaro. Questi Timari sono li terreni, o come diciamo noi li campi e possessioni che si ritrovano in tutto il paese del Turco, perché nell’acquisto che fanno quelle genti d’un Regno o d’uno Stato non si contentano della giurisdizione e degli utili regali, ma vogliono anche l’utile di tutti li terreni che sono in quel paese, li quai terreni distribuiscono poi alli soldati, per loro trattenimento e paga, e li chiamano Timari. Questa milizia de’ Timariotti non è punto inferiore di qualità e bontà a quella che viene ogni tre mesi pagata con denari contanti, perché questi Timari non sono beni ereditari come li feudi delli principi Cristiani, de’ quali in ogni luogo si suol fare poco conto, essendo che spesse volte occorre che colui che è padrone del feudo non è soldato, né ha inclinazione all’esercizio dell’armi, e bene spesso possono cadere in donne, ovvero in pupilli, ma fra Turchi tutti questi che hanno li Timari convengono esser soldati, non si accostumando darli ad altra sorte di gente, e morto quello che lo ha ottenuto viene di subito dato ad un altro pella medesima professione, di maniera che resta sempre questa milizia piena di gente inclinata al mestiere della guerra et il suo numero va di continuo crescendo, siccome s’accresce anco l’Impero de’ Turchi, perché nelli paesi che di nuovo conquistano distribuiscono li terreni di quel modo medesimo, che si fa degli altri, con che mantengono un numero così grande di soldati, che non si potria mantenere con 10 e più milioni d’oro ogni anno. Della qualità di questa gente, che nel mondo é stata tanto stimata, a parlar secondo il mio senso, per quello ch’io ho veduto nell’ espedizione di Ferrat Bassa, che tenne il suo esercito più di un mese a Scutari, et in quella di Osman Bassa, che si trattenne lui ancora molti giorni in quel medesimo luogo, dove io andai diverse volte per negoziar con quei Bassà et anco privatamente per veder la gente accampata, e camminai per tutto l’esercito e considerai minutissimamente ogni particolarità così della qualità della gente, come delle armi che adoperavano e del modo che tengono nell’ accamparsi e fortificar gli alloggiamenti, e parmi di poter sicuramente cavar questa conclusione, che più confidino nella moltitudine e nella ubbidienza, che nell’ordine o nella bravura. In questi due eserciti, dove vi erano in ciascheduno di essi intorno a 4 mila Jannizzari, et 8 in 10 mila Spahi, con molti pezzi d’artiglieria minuta da campagna, grandissimo numero di gambelli e muli, alloggiati tutti sotto padiglioni da campo, non si sentiva alcun strepito, come se in questo luogo non vi fosse stato alcuno. Alloggiavano tutti nelli propri quartieri del loro capo senza alcun disordine, né pur parola, e se bene andavano caminando pell’esercito Cristiani, ovver Ebrei, non era da alcune fatto un minimo dispiacere, e più sicuramente si andava per gli alloggiamenti dei soldati, che non si faceva per la città di Costantinopoli, perché siccome nella città andavano questi soldati dimandando dinari a quanti incontravano per le strade, maltrattando quelli che non gliene volevano dare, così al campo, per timore dei loro capi, non ardivano di dir pur una parola, né alcuno dimandava pur un aspro. Per l’esercito camminavano li medesimi soldati qua e là senza portar addosso alcuna sorte d’armi, come se fossero stati tanti frati, né fra di loro si sentiva alcuna contesa. Anzi nell’esercito medesimo vi si tengono le botteghe di cose da vivere e da vestire, e vi si vende e vi si compra come si faria in una città ben regolata, senza che ad alcuno sii fatta violenza, per minima che sia, facendosi rigorosissima giustizia contra gl’insolenti, e per il vero la disciplina non potria essere migliore, né l’ ubbidienza maggiore. Di questa gente li Jannizzari (so bene al presente secondo l’opinione di quelli che in altri tempi li hanno veduti, non pare che siano così buoni come solevano essere per il passato) si possono non di meno tener per il meglio delle forze turchesche, perché per il più sono di buona presenza, e maneggiano assai bene l’arcobugio, che col murione e la scimitarra sono le proprie lor armi. Questa gente è assuefatta al patire, ma rare volte suol combattere, se non in estrema necessità, perché voglion sempre haver la guardia della persona del Gran Signore, ovvero del generale che conduce l’ esercito, né in tempo di bisogno vogliono andar agli assalti. Li Spahi, che sono gente da cavalli, alcuni d’essi sono armati alla leggiera con una lancia debole assai, una rotella molto grande et la scimitarra, e fanno più tosto mostra di una momaria che di genti da combattere, altri vanno disarmati della persona, ma portano la lancia e la scimitarra, se bene più si servono dell’ arco e delle freccie con le quali per il vero fanno de' grandi mali. Questa gente comparata colla Cristiana, che io ho veduto nelle guerre di Francia e nell’ acquisto che il Re Cattolico fece del Regno di Portogallo, sicome nell’ ubbidienza e nell’ ordine supera assai la Cristiana, così nell’ardire e nella bravura è assai inferiore, come anco nell’apparenza e nell’armi, onde per il mio debol giudicio crederci che con certa speranza di vittoria potriano 10 mila Cristiani affrontar 30 mila Turchi, se bene per reggerli e governarli, crederci che più facilmente si potessero tener in freno 100 mila Turchi, che 2 mila Cristiani, e molto peggio se fossero Italiani. Le forze marittime con le quali il Gran Turco difende il suo Imperio sono tali che non ci è nel mondo altro Prencipe che ne mantenga maggiori di lui, perché ha nel suo arsenale un grandissimo numero di galere, e ne può molto facilmente far d’avvantaggio quando vuole, perché ha abbondanza di legnami, di ferramenta, di maestranze, di pegola, di sevi e d’ogni altra cosa necessaria per questo effetto. É vero che al presente non si ritrovano in pronto tutti quelli attrezzi che sariano necessari per armar i corpi delle galere, che sono in essere, e molto meno quelle che di nuovo ha ordinato che si faccino. Ha mancanza di gotonine, di che fanno le vele, e d’altre cose, ma è così grande la sua possanza che con prontezza e facilità, quando gliene venga voglia, potrà far provvisioni di tutto quello che gli manca, come ha già dato principio a provvedere. De’ galeotti quando il Gran Signore vuole dal paese huomini e non denari, né haverà sempre abbondantemente per far ogni grossa armata, sicome anco havendo tanta gente pagata, come la Vostra Serenità ha inteso, potrà sempre mettervi sopra quel numero di soldati che verrà, li quali anco vi sogliono andare per lo più volentieri che non vanno per terra, così per la comodità come anco per la manco spesa. É ben vero che la fortezza dell’armata Turchesca consiste in 30 ovvero 40 Galere che sono armate di schiavi Cristiani, et il resto tutto è simile e forse peggiore delle Galere che si armano qui di contadini, e tutte insieme confessano li medesimi Turchi che non sono così buone come quelle de’Cristiani. Et in questo proposito non voglio lasciar di deplorare l’infelicità de’Principi Cristiani, che potendo levar in gran parte a Turchi il nervo delle loro forze marittime, non pare che vi pensino e questo saria procurando con destro modo di ricuperare tutti li schiavi Cristiani che si possono haver con denari, perché questi sono li marangoni, li calafati, li compagni, li comiti e li padroni, et anco li galeotti che fanno buone le loro galere, li quali con molta facilità si potriano liberare, con grande gloria del Signore Dio e beneficio di quei infelici e sicurtà di tutta la Repubblica cristiana. Tutta la gente necessaria per armare, dalli galeotti in fuori, è tutta ordinariamente pagata, così uscendo come non uscendo armata, e di continuo sono trattenuti con soldo ordinarie 500 Rais, che noi chiamiamo sopracomiti, et numero grande di assap che servono per marineresca, di maniera che con poca spesa più dell’ ordinario manda fuori quel Signore la sua armata: anzi molte volte con guadagno, perché sempre che vuole armare qualche quantità di galere, pone una gravezza, che dimandano avarii, la quale non solamente supplisce al pagamento che si da alle galere, ma se ne avanza ancora di continuo una buona parte. Queste genti pagate sono le muraglie, le fortezze, li terrapieni, li baluardi e le cortine, che difendono et assicurano li grandi et immensi stati posseduti dal Gran Turco, e tengono in continuo sospetto tutti gli altri Principi del mondo, poiché senza toccar tamburo, ne far altro moto sono sempre pronti d’andare dove bisogna. Delli Turchi se ne ritrovano di due sorti; 1’una di quelli che sono naturali nati di padri Turchi, e l’altra di rinegati che sono figliuoli di padri Cristiani presi violentemente nelle depredazioni che sogliono fare le armate e li leventi in paesi cristiani, ovvero levati dal proprio paese per forza di mano de’sudditi e terrazzani di quel paese, li quali da fanciulli sono e per lusinghe o per forza ritagliati e fatti Turchi, essendo questo costume di quella Porta di mandar ogni quattro e cinque anni per tutto il paese e levar la decima delli putti, come si faria di tante pecore, e questi fatti Turchi si allevano secondo la capacità o ventura di ciascheduno. Di questi rinegati non solo consiste la maggior parte della milizia de Turchi, ma a questi anco solamente solevano esser dati tutti li gradi principali della Porta dal primo Visir sino alli ultimi capi d’essa milizia: essendo per antica consuetudine introdotto che figliuoli di Turchi non potessero haver di questi carichi. Ma il presente Gran Signor, senza aver alcun riguardo a questo costume, ha fatti nella distribuzione di questi carichi quello che più li è piaciuto et ha giudicato essere di maggior suo servizio, senza far quella distinzione che prima si soleva fare. Questi rinegati, che sono presi da fanciulli, sono posti in diversi luoghi per esser disciplinati secondo la professione alla quale sono destinati. Quelli che hanno meglior presenza degli altri e che dimostran maggior spirito sono posti nel Serraglio del Gran Signore, ovvero in uno de’due altri che si tengono per questo effetto solamente, ne quali senza haver alcun riguardo che siano più nati di padre nobile che di pescatori e pecorari, sono tutti disciplinati per il medesimo fine, ch’è di ascender alli primi gradi di quel governo e di qui nasce, che se bene riescono molti di loro di costumi rozzi, quando sono fatti grandi nondimeno sono tutti di nobile e grata presenza. Li altri che non mostrano così buono aspetto, ma che sono robusti di corpo sono scritti Aimoglane, che si può dir un seminario per esser fatti Jannizzari e però affine che siano esercitati nelle fatiche e nel patire, sono mandati a lavorare nei giardini del Gran Signore a governar cavalli, a navigar sopra vascelli che navigano, a condur legne, sassi et altre mercanzia, a lavorar nelle fabbriche, e finalmente di giorno e di notte li fanno travagliar, non li dando letto da dormire e poco da mangiare, e questi quando incominciano a far la barba sono creati Jannizzari. Li primi che sono indirizzati a’maggior gradi e de quali al presente se ne ritrovano ne’serragli interno a sei mila, sono educati con una strettissima disciplina e molto più che fossero tanti frati. Non escon mai dai serragli, né pur delle proprie stanze, né parlan fra loro se non per estrema necessità. Sono governanti da eunuchi, la maggior parte negri, li quali per ogni poco cosa gli danno molte e crudelissime bastonate, accostumando loro di darne rarissime volte meno di cento, ma spesso fino a mille, e voglion che dopo di haverle ricevute vadan anche a baciar le vesti e ringraziare colui che gliel’ha fatte dare, di maniera che sono educati in gran viltà e bassezza d’ animo. Da principio li fanno imparare le cose della lor falsa religione, in che sono così diligenti, che fanno gran vergogna a noi altri, ogni giorno quattro volte fanno tutti uniti orazione senza preterir mai l’ora statuita, li fanno anco imparar a leggere e scrivere turchesco, ma nel resto non hanno alcuno nobil esercizio per riuscir valorosi né di cavalcar, né giuocar d’arme, né d’altro, ma più tosto di spazzar la casa, far la cucina e cose simili. Di questi giovani quattro d’essi sono deputati a servir continuamente la persona del Gran Signore, li quali però non sogliono entrar a questo servizio se non hanno almeno XVIII ovvero XX anni, e questi sogliono quasi sempre uscir con grado d’importanza, essendo costume ch’a questi appartenga di ragione d’essere Agà de’Jannizzari, Capitani del mare, Beglierbei della Grecia e della Natolia e finalmente Bassà della Porta. L’ officio di questi quattro e di vestir e spogliar il Gran Signore, e farli tutta la notte la guardia mentre che dorme, e quando gli occorre di cavalcare così per la città, come alla guerra, ovvero alla caccia, uno li porta 1’armi, l’altro le vesti da pioggia, il terzo un vaso di sorbetti da bevere, e l’ultimo un’altra cosa. Ogni tre anni accostuma il Gran Signore di permettere a questi suoi giovani dei serragli, quando sono pervenuti all’età di poter servire alla guerra, che possino uscire se vogliano dandoli grado o di Coisivier con 40 aspri il giorno di paga, ovvero Spahi con 25 o 30, secondo il favore c’ hanno nel tempo della loro uscita. Di questi ho detto un poco più forse di quello che non dovevo, ma la Serenità Vostra, le Signore Vostre illustrissime non se ne devono maravigliare, perché di essi si cavano li Capitani inferiori e superiori, li Governatori delle Provincie, e finalmente anco li medesimi Bassà, se bene il più delle volte sono figliuoli di villani e di gente bassa, educati poi senza alcuna cognizion delle cose del mondo e senza alcuna sorte di esercizii militari, eccetto che di tirar d’arco, e tenuti in estrema bassezza e viltà, si che è stupore quando facciano buona riuscita e pur questi finalmente governano tutti quel vastissimo Impero. Alli Turchi naturali poi è riservato il governo delle Moschee, il giudicio delle cause civili e criminali e l’officio della Cancellaria, di questi si fanno li Cadi e li Cadileschieri, li Coza et il loro Mufti, ch’è il capo della loro falsa religione e li Cadì sono come li podestà, et rendono ragione a ciascuno, e li Cadileschieri come giudici d’appellazioni d’essi Cadi. Tutti questi Turchi così naturali, come rinegati, vivono con poca ceremonia e politia, perché venendo la sua origine da gente allevata alla guerra, hanno tutte le lor cose raccomandate a quest’esercizio, però non si curano molto di belle case, né di grandi edificii e molto meno d’archittettura, perché nell’edificare attendono solamente al comodo proprio di colui che fabbrica, non si curando punto, che questa habbia da servire alla sua posterità, nemeno che habbia alcuna apparenza o ornamento per di fuori. Usano di far le stanze per le donne in tutto e per tutto separate da quelle degli huomini, perché essendo gelosissimi non vogliono che in modo alcuno si possano vedere, non che parlare insieme. Vivono nelle lor case poco differentemente da quello, che potriano far anco in campo quando vanno alla guerra, perché non usano di guarnir le muraglie di razzi, né d’alcun altra sorte di tappezzaria, né meno di fornimenti di sorte alcuna ai letti, per il più usano di sedere in terra, almeno sopra un semplice tappeto o carello, mangiano anco in terra usando per tovaglia un cuoio e per salvietta bene spesso le sole mani nel medesimo luogo dove mangiano, levato il cuoio, pongono un semplice materasso e bene spesso una sola coltre e schiavina, sopra di che dormono, et il più delle volte molti nel medesimo luogo. Le loro vivande sono molto semplici, usando quasi per ordinario minestre di riso con butirro e poca carne, e bevono acqua, il che possono così ben fare negli eserciti sotto i padiglioni, come fanno anco nelle proprie case. Vestono abiti larghi, che non li danno affatto alla vita per poterla ben adoperare. Li rinegati sono tutti schiavi e si tengono per grandezza il poter dire, io sono schiavo del Gran Signore, poiché si sa che quello è il Dominio o la Republica de’schiavi, dove loro hanno da comandare, li altri Turchi, sebbene non sono schiavi come questi, non dimeno si possono loro ancora tener per tali e si reputano ad honore di esser chiamati con questo nome, e specialmente quelli che sono adoperati nel servizio del Gran Signore nelli carichi, come ho detto di sopra. Non è alcuno di questi o sia rinegato o figliuolo di Turco, anco che fosse figliuolo di Bascià, che habbia in tutto quell’Impero alcuna sorte di giurisdizione, di modo che la forza delle ricchezze dei particolari consiste in denari contanti, gioie, e vestimenti. È vero che gli huomini ricchi hanno pur ritrovato un modo per lasciar qualche entrata alli figli, il qual é perché fabbricano una Moschea e la dotano di molte e grosse entrate, come di case, carvanserà e bagni, che si affittano, delle quali entrate lasciano il governo ad uno de’suoi figliuoli, che ha cura di dare per la Moschea tutto quello che fa bisogno per trattener il culto della falsa religione e quello che sopravanza dell’entrata rimane a beneficio e comodo di colui che ne ha per il testamento del padre la cura. Tutta questa gente è molto vile, di costumi bassi e di pochissima industria, di maniera che per il più consuma il tempo in grandissimo ozio. Quasi di continuo stanno a sedere e per trattenimento usano di bevere pubblicamente cosi nelle botteghe, come anco per le strade, non sono huomini bassi, ma ancora de’più principali, un’ acqua negra bollente quanto posson sofferire, che si cava d'una semente che chiaman Caveé, la quale dicono c’ha virtù di far star l’ huomo svegliato. Altri mangiano l’ahccì per star allegri, alcuni teriaca, ovvero letificante di Galeno, e cose simili, delle quali par che sii impossibile che i Turchi di qualcheduna non vogliano usare. Quelli poi che bevono vino, lo fanno di tal maniera che non si levano da mangiare e bere sino che non sono ubbriachi: Non vogliono passeggiare mai, anzi si burlano quando veggono Cristiani a farlo e dicono che sono pazzi a camminar senza necessità. In tutti li lor costumi fanno il contrario appunto di quello che fanno li Cristiani e pare ch’ il suo legislatore habbia appunto havuto questa mira nell’ordinar le sue ceremonie e però quando portano a seppellir i morti, li portano con la testa innanzi, quando vogliono distinguer le ore, in cambio di campane mandano huomini nei campanili a gridare: in conclusione può la Serenità Vostra e le Signorie Vostre illustrissime rendersi certi, che in tutte le loro ationi fanno il contrario di noi. Pochissimi Turchi, e specialmente nelle parti c’ho vedute io, attendono alle opere meccaniche, non coltivano la terra, né fanno altro esercizio di considerazione, né si dilettano d’alcuna sorta di virtù, non usano di giuocar né a palla né a pallone, non maneggiano cavalli, non tirano palle di ferro, ma il lor passatempo non è altro che tirar d’arco. E vero che alcune volte il Gran Signor nel suo serraglio vecchio con alcuni da suoi giovani di dentro e con qualche muto o buffone suol correre a cavallo, quasi come si accostuma in Spagna nel far il giuoco delle canne. Sono i Turchi avidissimi del denaro, intanto che con quello sono pronti a far ogni sorta di tristizia e con quello si può sperar d’ottener da loro ogni gran cosa, né e meraviglia, poiché se non tutti, almeno la maggior parte è gente vile e ignobile et abietta, figliuoli di pecorai e contadini, ch’entrano in grandezza senza alcuno capitale, essendo loro stessi li fabbri della propria fortuna, perché non ereditano dai loro maggiori né virtù, né possessioni, né case, né richezze, ma vitii e scellerati costumi. Sono sfacciatissimi nel dimandare et importunissimi nel voler havere. Con tutto ciò non é sempre mal havere da negoziare con loro, poiché si sa il modo di guadagnarli, ma è necessaria grandissima pazienza e molti denari. Sono in apparenza molto osservanti della loro falsa Religione, perché con questo coprono infinite scelleratezze e però oltre l’esser frequentissimi alle ore delle loro orazioni et hanno sempre il nome di Dio in bocca senza mai biastemmare, ognuno anco c’ha denari fabbrica qualche Moschea, nelle quali spendono gran quantità di denaro, usando di farle quanto più pomposa si possono immaginare e le dotano di molte entrate, perché si possano mantenere, e sono tenute con tanta nettezza e politezza che fanno gran vergogna alli Cristiani, e queste Moschee non sono fabbricate dai Gran Signori, dalli Sultani e dai suoi Bascià, ma anco da gente di più bassa condizione. Oltre di ciò fabbricano ance hospitali molto più superbi di edificio, che non sono le proprie case, in molti de’quali si da il mangiar per tre giorni continui a chi ne vuole, non solo a Turchi ma anco a Cristiani e Giudei. Usano anche per le anime loro far ponti di pietra, ove sia qualche fiume, per comodità de’ viandanti, saleggiano strade e fanno dei carvanserà per alloggiamento de’pellegrini e passeggieri, non si accostumando per il paese de Turchi di tener hosterie. Ma tutte queste spese si può dire che siano fatte del sangue di molti innocenti persone c’hanno rubate et assassinato, essendo tutto il loro negoziato di vivere di rapine e se bene anco appresso di loro il rubare è peccato, tuttavia le cuoprono con altre apparenze. Sono i Turchi sopra tutti gli altri huomini bugiardi, mancatori della fede e della parola, né ciò reputano che sia male, anzi quando li vien detto che dovriano osservar quello c’hanno promesso, rispondono che non sono Giauri, che vuol dire infedeli, con il qual nome chiamano li Cristiani, che vogliono osservar quello che promettono. Della qualità della loro falsa Religione non occorre dir molte parole, sapendo ognuno che non fu mai ritrovata più apparente favola e che autore di quella è stato lo scaltrissimo Macometto, che con il consiglio di un monaco Cristiano, ma heretieo, astutissimo huomo chiamato Sergio, scacciato dalla Chiesa Costantinopolitana per l’heresia Nestoriana, s’imaginò d’andar inventando una sorte di legge che promette libertà di costumi per tirar a se gli huomini carnali e che potesse dar soddisfatione cosi alli Cristiani, come agli Hebrei, poiché con li Cristiani dice che Cristo benedetto Nostro Signore sia nato di Maria Vergine senza Padre, che sia spirito di Dio vero Profeta e sopra tutti gli altri buone et eccellente, e castigano severissimamente quelli che lo biestemano, se bene poi quanto alla santissima sua persona, credono in gran parte secondo la heresia di Ario. Con li Hebrei poi ha introdotto la circoncisione, ha prohibito il mangiar carne di porco e non ammette alcuna sorte d’imagini. La somma della loro religione consiste in far quattro volte il giorno la orazione, alla quale prima che vadino usano di lavarsi le mani insino al gomito et anco li piedi e pochi sono quelli ch’alle hore statuite non lo facciano, cosi nelle Moschee come nelle case, nelle piazze, e strade pubbliche, né temono d’esser chiamati obiettini, se bene fanno in pubblico queste loro devozioni, anzi si reputano a grande honore essere stimati zelanti della loro religione. Hanno obbligo di digiunar un mese intiero et il loro digiuno consiste in non mangiar cosa alcuna sino alla notte, ma all’ora possono mangiar perfino all’alba del giorno in una o più volte quello che vogliono senza distinzion di cibi, purché non sia carne di porco, né bevono vino, le quali cose in tutto il tempo sono loro proibite sotto pena di peccato. Quelli che osservano queste cose sono chiamati buoni Musulmani, dei quali se io volessi dire qual sia la sporca e viziosa vita contaminarei le caste orecchie di questo Eccelso Senato. E ben vero che sanno li Turchi nascondere le loro ribalderie, più che non sogliono far li Cristiani, perché nelle parole si guardano assai di non parer disonesti. Le loro donne vanno sempre con la faccia coperta, né si lasciano vedere dalli lor propri fratelli, non che da altri, habitano, come ho detto, in tutto e per tutto separate dagli huomini, e però in tutte le case tengono una ruota, come fanno le monache, per dove se le fa bisogno d’alcuna cosa le viene in quel modo data e se sono ritrovate in adulterio, senza alcuna remissione, sono fatte morire. E vero che con danari molte volte si liberano con dire che non era vero quello che li veniva apposto. Possono li Turchi ognuno d’essi interpretar l’Alcorano a modo suo, purché non tocchi le cose appartenenti al temporale. Al presente si trovano tre sette di Macomettani. La prima è quella che tiene il Gran Turco, al quale tutti gli altri portano riverenza non tanto per la sua grandezza, quanto anche per atto di religione, perché stimano che quello che cuopre la Meca, dove sta la sepoltura di Macometto, sii il capo di tutti gli altri Musulmani. La seconda è quella del Persiano e la terza quella de’ Mori, le quali sette si possono dir una sola, perché la differenza ch’é tra questi è così poco sostanziale, che si può dir ridicola, come anco tutto il resto della loro legge, che può bastare in assicurar ogni huomo c’habbi mediocre intelletto, che quella a modo alcuno non può esser buona religione. Questo é quello che voglio che mi basti haver detto da Turchi del molto che ci saria da dire e degli altri popoli c’habitano quell’Impero dirò poche parole. Dissi da principio che nell’Africa e nell’Asia era il paese abitato da più numero di Mori et di Turchi, come anco l’ Europa più da Cristiani. Questi o siano Mori e Cristiani sono talmente tiranneggiati et oppressi da Turchi, et il suo paese talmente distrutto e dissipato, e loro tenuti in tanta viltà e desperazione, che ogni giorno si va disabitando il paese, e si può credere ch’anderà anco di male in peggio. Li pigliano quella poca roba c’hanno li propri figliuoli e di continuo li tengono martirizzati con bastonate, di modo che passano un’ infelicissima vita, onde si può ben credere, anzi tener per certo, che Turchi poco di questi possono fidare, anzi che sariano sempre pronti ad abbracciar tutte quelle occasioni che se li presentassero di mutar governo e liberarsi da tanti mali. Questa tirannia de Turchi con i suoi popoli è causa che il paese non rende quel frutto che di esso si potria cavare, perché essendo instinto degli huomini affaticarsi per guadagnare e vedendo loro che dopo le molte fatiche che passono per avanzarsi qualche miseria, quella anco le viene miseramente levata di mano, si risolvono di contentarsi più testo di quel poco che li bisogna per sostentarsi, che travagliar per altri. La forma della giustizia, con la quale governano Turchi i suoi popoli, è tutta summaria secondo l’uso della guerra. Nella criminale non si forma processi, ma con testimoni sono i rei convinti in voce e quando questi non bastano e che sii bisogno della confessione del reo, li danno asprissimi e crudelissimi tormenti, peggiori che 1’ istessa morte, se confessano sono fatti morire e se negano sono immediate liberati. Nel far morire poi usano supplicii barbari e crudelissimi. Nella Giustizia civile non si fa conto alcuno di scritture, ma è necessario, che la parte che dimanda conduca il suo avversario dinanzi al Cadî, ovvero li Cadileschieri, dove ognuno dice la sua ragione, rimettendosi il giudizio nelle cose di contratti al detto dei testimoni, e nel resto d’eredità o altro si governano secondo le decisioni dell’Alcorano, il qual non vuole che alcuno possa testare della sua facoltà con pregiudizio dell’erede naturale, salvo che con alcune loro limitazioni e riserve. Il dipender che fa la giustizia dal detto de’testimoni causa le molte vanie che si usano in Turchia, perché con denari mai mancano testimoni falsi a chi ne vuol havere. E per concludere, tutta questa Giustizia così civile come criminale si può chiamar grandissima ingiustizia, poich’ella depende da testimoni che si comprano e viene fatta da giudici, che per il più la vendono, di maniera che quelli sono più rispettati che hanno più danari, e meglio di quelli si sanno prevalere. E ben vero che a questi ancora vengono bene spesso mosse delle vanie, perché quelli che le muovono, sapendo c’hanno il modo da spendere vanno sempre in speranza di guadagnare, e però li savii degli altri procurano sempre da principio d’accordarle, ancorché habbino ogni gran ragione, perché più a lungo che va la causa, tanto più al sicuro le haverà da costare. Havendo detto della qualità dei popoli e del modo di governarli, dovrei parlar anco del numero, ma d’un paese tanto grande difficilmente si potria dir cosa certa, se ben si può credere che sia popolo numerosissimo. Di tutto questo Impero quello che ne cavi d’entrata ordinaria il Gran Signore, oltre il frutto delli Firmani che sono assegnati alli soldati, per quelle informazioni ch’io ho potuto havere con molta diligenza da me usata per saperne la verità, ho intese con assai buon fondamento, che ascende a otto miliona d’oro all’anno, ma d’estraordinario non é possibile saperne la verità, perché oltre alli donativi che li vengono fatti dai suoi Ministri e da altri e quello che egli per forza piglia da’suoi sudditi quando gliene vien voglia, è impossibile ridurlo a summa ordinaria, perché dipendono dagli accidenti che occorrono alla giornata, essendo che quando muore uno, piglia il Gran Signore della sua roba quello che più gli piace, perché essendo assoluto padron d’ogni cosa, si reputa per grazia tutto quello che lascia alla moglie et alli figliuoli del morto, non li mancando mai pretesti di mostrar di muoversi per giustizia, come anco spesso suol fare con quelli che hanno molto danaro, havendo facil modo da cavarglielo dalle mani, perché di quello che fa non e alcuno che ardisca parlar in contrario, poiché la volontà del Gran Signore basta per tutte le giustificazioni del mondo. E di qui nasce, che non potrà mai mancar a quel Gran Signore modo di ritrovar denari, quando ne vorrà, perché essendo ne’particolari molta somma d’oro, potrà sempre che le venga volontà servirsi, e per bontà e per forza, di quella summa che più le piacerà. Di più, di questo vi sono poi le rendite dei Timari, che servono non solamente alli Spahi, come ho detto di sopra, ma a molti altri ministri ancora, perché tutti li Bascià hanno per il loro trattenimento assegnazioni di terreni, siccome anco le Sultane et altri ministri della Porta e queste dicono che puonno ascendere ad altri 8 milioni all’anno, ma di questi non ne entra nel Casnà o tesoro del Gran Signore un solo aspro, essendo tutti assegnati, come ho detto, a particolari. Questa entrata del Signor Turco molti credono che superi di gran lunga la spesa e per questo vogliono, secondo la più comune opinione, ch’egli abbi cumulato un grandissimo tesoro, del quale però non ho sentito da alcune parlare con fondamento, ma chi va considerando per le congietture ragionevoli, crederei io che non ci fussero tante cose. Perché chi considera le molte importanti spese che ordinariamente si fanno a quella Porta, oltre quelle che da tutti non si veggono, ma ben sono provate da quelli c’hanno maneggiate simili cose, si veniria facilmente in cognizione che poco avanzo possa fare quel Signore delle sue entrate. Prima la Serenità Vostra e le Signorie Vostre illustrissime hanno inteso che nella milizia e gente pagata spende quel Signore ogni anno intorno a cinque milioni e mezzo d’oro, oltre la qual spesa vi è il trattenimento d’un arsenale, dove si mantiene un numero molto grande di vascelli, che ben può sapere la Serenità Vostra quanto importi, considerando da quelli che lei spende nel suo, dove le cose passano con miglior ordine e maggior governo, quello che possi spender il Turco nel suo, dove tutto vien maneggiato da schiavi e da ladri, e se bene si suol dire che a lui non costa un corpo di galera più che 1000 ducati, posso io nondimeno affermare alla Serenità Vostra, che in un solo caicho fatto a tempo mio per servizio del Gran Signore si é speso intorno a 100 mila ducati, non perché tanto si spendesse in effetto, ma perché tutti rubano, siccome ancor si fa nell’arsenale, che principiando dal Capitano del mare sino all’ ultimo ufficiale, non e alcuno che del legname e ferramenta del Gran Signore non fabbrichino per loro medesimi nave e vascelli da mercanzia, e bene spesso anco le case dove habitano. Il capitanio, quando li suoi schiavi non hanno camicie piglia delle cotonine, che preparate stanno per far vele, e di quelle li veste, nelle sue fabbriche, delle quali ogni giorno ne va facendo, non compra mai né legname né ferramenta, perché piglia il tutto dall’arsenale. Quando sta in Costantinopoli introduce almeno 500 delli suoi schiavi a lavorar nell’arsenale e li fa pagare per maestri, se bene da 200 in poi tutti gli altri sanno assai poco di quel mestiere, e questi tutti essendo Cristiani e per conseguenza nemici dei Turchi, fanno quel peggio che possono a distruzione della roba del Gran Signore e non é meraviglia, perché sebbene il capitanio cava da Sua Maestà 10 aspri al giorno per testa della maestranza, nondimeno egli non dà poi alli schiavi che due pani al giorno per uno, convertendo tutto il resto in sé stesso, onde cenvenendo que’miseri industriosi vivere et vestirsi, non hanno altro modo da mantenersi che il rubare et il medesimo capitanio lo comporta e mostra di non lo vedere, perché sa che d’altra maniera non si potriano sostenere, da che si può facilmente comprendere quanto sia grande et importante questa spesa, poiché oltre alli schiavi del capitanio ne entrano anco degli altri e molti Greci, che tutti uno a gara dell’altro attendono a rubare. Chi considera ancora la spesa grandissima che fa il Gran Signore nel suo vivere, potrà conoscere ch ella ascenda ad una gran somma di denari, perché da il pane cotidiano non solo alle genti delli serragli, dove vi possono essere fra huomini e donne e putti più di 12.000 persone, che oltre il pane hanno anco tutto il resto delle spese ordinarie del vivere e del vestire, ma anco lo dà a tutti li Bascià, alle Sultane et a molti altri. Ogni giorno di divano si dà da man giare alli Bassa et a tutti li altri ministri inferiori, che sono in gran numero. Alli Ambasciatori de’principi dà ordinariamente fieno, biava, legne e denari, a quello di Persia e dell’Imperatore, oltre le cose dette, da anco galline, castradi, riso, zuccaro, specierie, candele ed altro che può bastare per la loro spesa e per donare. Chi considera poi le vesti ordinarie ed estraordinarie che il Gran Signore dona ogni anno, non dico a forastieri solamente, poiché l’uso di quella Porta non é di donare mai altro che vesti ed indifferentemente per ogni picciolo accidente si donano a ciascuno, conoscerà che quella é una grandissima spesa, perché d’ordinario dona due volte all’anno a tutti li Jannizzari et Aimeglani panno per vestirsi, alli Bascià al principio dell’inverno dona due vesti per ciascheduno, foderate di bellissime pelli di gebellini, et al principio dell’estate due altre senza fodra, et il simile dona al Mufti, alli Cadilescheri, alli Beglierbei, alti Agà de Jannizzari, al Nisangi bassi, al Cancellier grande, et altri ministri ancora. Le veste poi che dona alle Sultane di dentro e di fuori, a tanto numero di donne e di garzoni che sono ne’serragli importano una grandissima somma di danari, poiché tutte le vesti, da quelle dei Jannizzari in poi, sono tutte di seta e di oro. Chi considera poi le spese dello stalle, dove di continuo si tengono molti cavalli, muli e gambelli, le spese della caccia et altre sorti di ricreazioni, convien confessare che consumino di gran danaro. A tutte queste importantissime spese, che non si accostumano di fare da altri principi, si devono anco aggiungere quelle che necessariamente si convengono per conservazione di un grande impero e nella corte di un così gran Principe. È ben vero che non ha il Gran Turco alcune spese che sogliono havere li principi Cristiani, come saria espedizioni di corrieri, porti di lettere, corruzioni di ministri d’altri principi e spie, né manco ha spesa de’suoi ambasciatori che manda per il mondo, perché quando espedisce un Chiaus in Francia, ovvero alla Serenità Vostra, non li da un quattrino e nondimeno non è uomo alla Porta che non ambisca esser mandato. Per giunta poi delle spese che fa ordinariamente il Turco, se si haverà in considerazione quello ch’à speso in otto anni continui che mantiene la guerra con il Re di Persia, nella quale, sebbene non spende tanto quanto faria un altro principe, poiché la gente è in ogni modo pagata, così andando alla guerra come standosi a riposare, nondimeno conviene di continuo somministar danari per l’artiglierie, cavalli, munizioni e viveri, oltre molte altre cose necessarie che non si possono schivare, nelle quali si consumano molti danari. Credo io per il mio debole giudizio che considerando insieme tutte queste cose si possa facilmente concludere, che la spesa del Signor Turco non solo consumi tutte le sue entrate ordinarie, ma anco la maggior parte delle straordinarie, per non dir d’avvantaggio e che la necessità di proveder di denari per supplir ai bisogni sii causa, che non avendo ancora usato Turchi a cavar danari straordinarii dai popoli con la via della equalità e della destrezza, li piglino per forza dove li trovino. Dirò un’altra considerazione ch’io ho fatta sopra questo particolare, giudicata da me assai importante, la qual é che tenendo il Gran Signore due Casnà, l’uno che dicono di dentro e l’altro di fuori, si sa di certo che in quello di fuori, dove vanno tutte le entrate ordinarie, eccetto quella del Cairo, di continuo non solo si vede strettezza, ma spesse volte mancamento di danari, intanto che bene spesso è necessario che il Gran Signore ne somministri di quello di dentro per supplire alle spese ordinarie. In quello di dentro poi si può facilmente considerar che non sii meno quella quantità di denari che Turchi vogliono fra credere, perché d’entrate ordinarie in quello non entra altro che 500 mila zecchini, che si cavano dal Cairo, che servono alla scarsella del Gran Signore, e poi li presenti straordinarii, li quali, sebbene non si può sapere quanti siano, nondimeno non possono esser molti, perché la summa dei presenti per il più non consiste in danari contanti, ma in gioie, in vesti et altre cose simili, in modo che si può appresso a poco considerare quello che possi avanzare un principe così grande, ch’a tante donne e tanti garzoni, a chi di continuo dona, che ha tanti appetiti e di fabbriche e di comprar gioie, donar a buffoni, a nani, a muti e far molte altre spese simili, oltre quello che ben spesso convien somministrar per li bisogni della guerra. Onde pare a me, che con gran ragione si possa credere, che non abbi il Signor Turco quella quantità di danari, che il vulgo crede. Con tutto ciò non si può né anco confidare, che questo Signore debba restar mai di far una guerra per mancamento di danari, poiché egli fa li suoi eserciti e le sue armate con manco quantità di danaro straordinario che possi far altro principe e quando volesse prevalersi di danari di particolari, basteria solo che gliene venisse voglia, perché non ha di quelli rispetti che convengono aver gli altri principi di non dar mala soddisfazione ai suoi popoli, perché essendo tutti suoi schiavi li par di poterli trattar a modo suo. Avendo detto sin qui, se ben assai succintamente, della origine del Signor Turco, del numero e qualità dei suoi Regni, delle forze così terrestri come marittime che trattiene, non solo per propria difesa, ma anco per offender altri, dell’abbondanza dei viveri, che à il paese, della qualità dei popoli, della loro religione e della forma della giustizia con la quale sono governati e finalmente dell’entrate e delle spese di quel Signore, parlerò ora della persona sua e del modo del governo del suo Imperio, nella qual parte toccarò una parola della origine e successi della guerra di Persia e di alcuni accidenti occorsi nel tempo del mio Bailaggio, aggiungendovi quello che per congetture si può credere dei pensieri e disegni dei Turchi e delle intelligenze loro con altri principi, con che darò fine al mio discorso.
La grandezza di questo Impero con tutto 1’altre qualità ch’ò descritto, dipende in tutto e per tutto dalla semplice e sola volontà del Gran Signore, il quale non solamente é assoluto signore d’ogni cosa, ma di tal maniera comanda e dispone di tutto, che non fu escogitata, non che esercitata maggior tirannide nel mondo, perché non solo fa morir a voglia sua gli uomini, ma anco che vadino prontamente alla morte senza far alcuna resistenza, non solo leva la roba alli suoi popoli, ma anco li figliuoli e si può dir le proprie carni, non solo viene obbedito quando comanda, ma fa anco tremar gli uomini al solo nome della sua persona. Regola ed ordina lui tutte le cose della sua religione pene e leva li ministri di quella, fa leggi divine e umane come più li piace, distribuisce li governi, dandoli e levandoli e quando e come li piace, essendo ubbidito a cenni, non che a comandamenti, marita gli uomini e le donne come li piace, e fa lasciar le mogli ai mariti quando gliene vien voglia, in somma non fu mai re, né principe nel monde più assoluto padrone de’suoi popoli di lui. È vero che comanda a pecorai et a villani, poiché la gente tutta che lo serve è di tal qualità, perché la sua tirannidé non comporta d’ haver attorno di sé gente nobile, né meno li propri parenti e congiunti, a quali tutti, quando ce ne sono, per assicurar il suo dominio fa levar la testa. Nacque il presente Imperator de Turchi Sultan Amurat del 1546 a XXVII d’agosto, figlio di Sultan Selim e di madre Veneziana, siccome lei medesima diceva, raccontando che fu presa a Corfù dove suo padre era andato a Reggimento, ma non seppe mai dire il nome della sua famiglia. Questa donna quando li nacque questo-figliuolo lo fece secretamente battezzare, non tanto per causa di religione, quanto per una opinione che regna fra Turchi, che i lor figliuoli quando sono battezzati habbino miglior ventura e non sogliano patire di mal caduco [NdC epilessia], al qual pare che in Costantinopoli molti siano sottoposti, ma con tutto ciò non ha potuto liberar di così fatta indisposizione questo suo figliuolo. Ottenne Sultan Amurath molto felicemente cosi grande Impero, perché non l’haveva più che 28 anni quando incominciò a regnare, nella qual età sogliono più gli huomini gustar la superiorità et il comandare. Fu anco sempre libero da quei sospetti e pericoli che sogliono accompagnar li Principi ottomani quando pervengono in età provetta, perché puoté subito che entrò al dominio liberarsi da ogni sospetto con la morte di cinque fratelli c’haveva, il maggior dei quali non passava nove anni, il che non solo non li fa attribuito a crudeltà, ma per decisione del Multi fu obbligato a farlo per la conservazione dello Stato, siccome anco per sentenza del mcdesimo può il Gran Signore, senza alcuna causa, far morire per la quiete del suo Imperio un terzo del suo popolo. È questo Signore di statura molto picciolo, ma assai ben fatto, più tosto tende al grasso che altrimenti, ha gli occhi grossi e bianchi, il naso aquilino, le labbra alquanto rinversate, porta la barba grande di pelo biondo, non ha mal colore e quanto all’aspetto ha assai buona presenza quando.si vede a sedere, ovvero a cavallo, perché all’hora con il turbante intesta non appare tanto la sua picciolezza, la quale per il vero a vederlo a piedi lo rende deforme. Nella faccia non dimostra cattiva natura, la sua complessione è assai debole e delicata, né promette lunga vita. Li suoi esercizi sono moderatamente lontani da ogni violenza, rare volte, anzi rarissime, esce fuori da suoi serragli e quelle poche sono ovvero: per andar alla Moschea, ovvero per andar a caccia, la qual caccia è piuttosto caccia d’apparenza che d’effetto, perché non suol andare più oltre che alle acque dolci, che è poco fuori di Costantinopoli, dove per ordinario suol andare con il suo caichio et ivi giunto, se non si trovano uccelli da far volare, ne cavano dalle bisaccie alcuni, che portano vivi a questo effetto, et in poco più di due ore se ne ritorna al suo serraglio, et una di queste uscite basta per molti giorni. Alcune volte suole anco nel suo serraglio esercitarsi a tirar d’ arco e quando sta nel serraglio vecchio usa di correre a cavallo, come ho detto di sopra. Soleva già dilettarsi di leggere diverse sorta di libri e tuttavia dicono ch’alle volte prenda piacere del medesimo, ma alli quesiti che suol fare alli suoi huomini dotti si conosce chiaramente ch’ha imparato poco. Fa quel Signore a mia-parere una vita poco desiderabile, perché se ne sta quasi di continuo rinchiuso ne’suoi serragli in compagnia di eunuchi, di garzoni, di nani, di muti e di schiave, che mi par assai peggio che dir donne, senza conversazione d’alcuna persona virtuosa, con chi possa trattare, non v’essendo nel serraglio da qualche donna in poi persona che passi trent’ anni, e tutte queste della qualità che di sopra ho detto. La mattina si leva assai tardo dal letto et uscito ch’è del luogo delle donne, dove ogni notte senza interposizione d’alcun giorno dorme, si fa vestire d’altri habiti e vestito che è subito mangia, e se è giorno di divano da udienza all’Agà de Jannizzari, alli Cadieschieri e finalmente anco alli Bascià, e se alcune è creato di nuovo Beglierbei, Sanzacho o altro, va all’hora a baciarli la mano senza dir alcuna parola, né ricever alcuna risposta, in quel tempo ancora fanno il medesimo ufficio gli ambasciatori et altri ministri de prencipi che vanno a quella Porta, ai quali se bene espongono le loro ambasciate, non viene però fatta alcuna sorte di risposta, né in altro tempo suole mai il Gran Signore trattar con alcuno de’ suoi ministri, se non per via di polizze, come appunto soleva anco in tempo mio fare il Re di Spagna. Partiti li Bascià, che suol essere in brevissimo spazio di tempo, il più delle volte se ne ritorna dentro dalle donne, della conversazione delle quali se ne diletta in estremo, e quando resta fuori si ritira in qualche parte de’suoi giardini a tirar d’arco e burlar con li suoi muti e buffoni, fa spesso suonar istromenti strepitosi e si diletta molto di fuochi artificiati con salve di molte artiglierie e codette, consumando in ciò una grandissima quantità di polvere. Suole anco spesse volte far far commedie, con li quali trattenimenti, mescolati sempre con qualche polizza che li viene scritta o dal Bascià o da altri, si trattiene sino all’hora di compieta, ch’all’hora sempre rientra dalle donne e cena cosi d’estate, come d’inverno innanzi notte. Mangia in piatti d’ oro et è servito di molte vivande, sì ben le ordinarie sono riso cotto con gallina e castrato, ma ordinariamente li portano, cosi la mattina come la sera, 50 gran piatti di diversi cibi delicatamente acconci secondo quel costume, che a noi altri causerian più tosto nausea che piacere, e di questi mangia moderatamente. Li portan anco d’ordinario una cesta con 50 pani, poiché per il più d’un pane mangia un solo boccone e poi lo tira ad uno di questi suoi nani o muti che li stanno intorno, li quali lo ricevono per favore, li portano anco un gran piatto pieno di cucchiari di legno per mangiar la menestra, poichè di uno non si serve, che per un solo boccone. Soleva esser continente con le donne, ma bora ha passato all’ altra estremità. Per molti anni si è contentato d’una sola donna, che da lui era grandemente amata e sebbene non l’ha mai fatto il chebin, che tanto vuol dire come fatta libera e assegnatole una conveniente dote, nondimeno era da tutti chiamata la Sultana moglie. Questa donna è di nazione Albanese, assai bassamente nata, ma è di gran spirito, con il quale si è saputa così ben valere, che con tutto che non si bella, ha nondimeno per molti anni trattenuto quel Gran Signore, che con tutte le comodità ch’aveva di bellissime donne che da diversi li eran presentate e con le persuasioni della madre e delle sorelle, che lo esortavano a praticar con altre donne per veder di aver figliuòli, poiché questa più non ne faceva, non fu però mai possibile, per il grande amore che portava a questa, che la volesse intendere, sino a tanto che invaghito di una schiava che li fu donata dalla sua sorella, che fu moglie di Mehemet Bassa, sebben da principio non haveva intenzione di mescolarsi con essa, ma dilettandosi solamente di vederla e farla suonar e cantar alla sua presenza, che trasse in tanta rabbia e gelosia la moglie, che per assicurarsi del marito incominciò con il mezzo di alcune donne a procurar con malì, e con incanti di tenerlo incatenato nel suo amore e privarlo di poter haver pratica con altre donne, il che riuscì alla povera donna tutto in contrario di quello che si haveva pensato, perché havendo il Gran Signore scoperto per via della madre, come all’hora scrissi alla Serenità Vostra, queste operazioni della moglie, ne prese tanto sdegno che quello che prima per rispetto di lei, sebbene ne haveva qualche voglia, non ardiva di tentare, all’hora perso il rispetto si diede tutto in preda di questa giovane, nella pratica della quale, havendo scoperto di esser maliato, per provar se così era con tutte, introdusse molte altre giovanette di grandissima bellezza, che da ogni parte gli venivano presentate, e cosi diede principio alla vita, ch’hora tiene assai differente dalla passata, perché al presente non si contenta né di una né di due, ma conversa con più di venti donne e quasi ogni notte dorme con due e bene spesso con tre, e perché havendo havuto pratica con una non può andar all’altra, per il comandamento della sua legge, se non si lava, suole perciò bene spesso in una notte andar due e tre volte nel bagno con estremo pericolo della sua vita, perché essendo debole per natura e travagliato dal mal caduco, potria un giorno all’improvviso molto facilmente restar morto, come fu tenuto in tempo mio per un simil accidente che gli venne, con molto pericolo di far saccheggiar tutta la città di Costantinopoli e di Pera. Si dimostra quel Sultano molto osservante della sua falsa religione, ma di quella si serve per eseguir senza mormorazione del popolo tutte le sue voglie e per esser da tutti tenuto per tale si dimostra molto amico della giustizia e nemicissimo dei vizi, facendo castigar tutti quelli che sono ritrovati in delitto. Si dimostra anco assai nemico dei Cristiani, havendo per peccato guardarli in faccia. Non è stimato crudele, tutto che sii collericissimo e di natura molto subita, non si vede che si diletti di spargere sangue humano, ma il più delle volte si contenta di pigliar la roba e donar la vita a quelli che forse meriteriano la morte. È di natura ostinatissimo, ch’ é la principal causa che continua tuttavia la guerra in Persia, e nelle azioni private si conosce anco il medesimo, perché di quanti personaggi ch’ egli per qualche causa habbi privati della sua grazia, per cari e domestici che li fossero, non ha mai più voluto servirsi di loro, come si è veduto di tanti Bascià et altri Officiali ch’a’ mutati, e con la moglie ancora, sebene per il rispetto delli figliuoli ch’a havuti seco la mantiene in grandissima riputazione e si governa assai con il suo consiglio, tuttavia dopo che successe il caso narrato di sopra, non ha mai più voluto-né dormir né praticar seco, et ella usando della sua prudenza mostra di non lo desiderare, anzi è quella, che di continuo procura di ritrovarli belle schiave con che si mantiene nella grazia e nella riputazione che al presente si trova. E quel Sultano avarissimo sopra modo, anzi si può dir sitibondo della roba altrui, si compiace assai d’essere presentato, e questo è il solo rimedio che li Bascià e tutti gli altri ministri di quella Porta usano per mantenersi in istato, e per questa avarizia é malissimo voluto da tutti i popoli e specialmente dalla gente da guerra. É stimato huomo di pochissino animo, ma più superbo che il demonio dell’infern, non pare che dimostri grande ingegno con tutto che solo si può dir che governi tutto il suo Impero, perché non ha alcun consiglier ordinario che consulti seco le materie, né huomo alcuno d’intelletto che lo possa consigliare a chi lui voglia prestar fede. Le spesse mutazioni che fa delli suoi ordini dimostra la sua poca fermezza, il che per comune opinione dipende dal lasciarsi volgere hora dalle donne et hora dai eunuchi, perché ritrovandosi di continuo fra quelle genti e negoziando il Bascià per via di polizze, che non possono rispondere alle obbiezioni che vengono fatte alle sue proposte, questi per il più prevagliono nei loro consigli, e quando il Bascià replica mette di nuovo in dubbio 1’animo del Signore, né questo repugna alla sua natura ostinata, perché la ostinazione nasce dopo fatta la risoluzione, ma innanzi per il timore ch’a di essere ingannato e che il suo Bascià corrotto da denari li consigli contra quello che sii di suo servizio, le fa essere irresoluto e mutar molte volte pensiero sopra quello ch’a da eseguire, ma dopo che si é risoluto non si lascia più persuadere. Non si fida di alcuno e ne ha gran ragione, perché conosce che tutti quelli che lo servono sono venali, di che non può attribuir la colpa ad altri che a sè solo, perché dando li carichi e li governi a quelli che più in grosso e più spesso lo presentano, insegna a tutti gli altri di rubare, poiché d’altra maniera non havendo modo di presentarlo, restariano esclusi d’ogni grado et honore. Si ritrovava avere quel Signore al mio partire due figliuoli maschi e tre femine, ma dipoi per quello che si è inteso con le ultime lettere di Costantinopoli, pare che li sii morto un figlio et una figlia, il primo ha finiti 18 anni questo mese d’aprile passato e si chiamata Sultan Mehemt, nato di quella che si chiama la Sultana moglie Albanese, questo è giovane di bellissima e gratissima presenza, di grande aspettazione, che dimostra fierezza e grande ardire, amato in estremo dai popoli e specialmente dai Jannizzari, mostrasi liberale e grazioso con tutti, e però il Padre ha gran sospetto di lui, lo tiene molto basso, con grandissima strettezza di danari, perché non possa con il denaro acquistar maggior grazia con i soldati. L’altro figliuolo nacque questo gennaro di una schiava, che li fa donata da Sciaus Bassa, ch’é quello ch’è morto dapoi la mia partita da Costantinopoli. Le due figlie sono nate della Sultana moglie e si dice che la prima si mariterà in lbrain Bassà. Con tutto che Sultan Amurat nel governo del suo Impero usi della sua propria e suprema autorità senza sottomettersi ad alcuna sorte di consiglio, conviene nondimeno per necessità della condizione umana servirsi de’ministri per eseguire i suoi comandamenti, e supplire a quello ch’egli per se solo non potria in alcun modo fare. Di questi ministri li principali sono li suoi Bascià chiamai Visiri della Porta, delli quali al presente ne sono otto, non vi essendo di essi alcun numero limitato, perché secondo il suo appetito ne crea di nuovi e ne leva di vecchi quando li vien voglia, con tutto che per li tempi passati li suoi precessori procedevano in questo con maggior rispetto assai di quello che al presente si faccia, e perché il primo di questi ha sopra le sue spalle tutto il peso di quel Governo e negotia sempre con li baili e con li ambasciatori de’principi, trattando lui di continuo tutti li negozii cosi del proprio Paese come anco di altri principi, poiché non s’accostuma di trattar mai con la persona del Gran Signore, et essendo gli altri quelli che possono succedere in luogo del primo, e che sono adoperati per generali negli eserciti e nelle armate, mi par necessario dar di essi succinta informazione alla Serenità Vostra ed alle Sereniss.[NdC Signorie?] Vostre illustrissime. Di tutti questi Visiri, il primo solo è quello che negozia e tratta con tutti, e per ordinario quel carico è dato a quello che primo degli altri è stato creato Visir, e mancando quello succede l’altro, che li siede appresso, e cosi successivamente non si essendo mai accostumato d’interromper questo ordine e metter uno creato di poi innanzi quello che fu creato prima. È ben vero che quando il Gran Signore ha volontà di servirsi d’altro per primo Visir, che sii creato di poi gl’altri, priva quelli che li sono innanzi sino che non li resti alcun superiore. Per ordinario non si soleva privar uno del grado di Primo Visir se insieme con 1’ufficio non era anco levata la vita, ma nel tempo del mio bailaggio se ne sono privati due et uno mandato alla guerra, di maniera che mi è convenuto trattar li negozii della Serenità Vostra con quattro Primi Visiri, con quel travaglio che si può facilmente imaginare, perché quando haveva fatta un poco di pratica con un Bassà et amicizia con la sua Corte, venendo mutato, bisognava ritornar a far nuova pratica non senza interesse della Serenità Vostra e molta industria e fatica mia. Il grado di primo Visir al presente è di Osman Bassà, perché ha lui il sigillo del Gran Signore, sebben al presente l’offizio per la sua absenza viene esercitato da Messich Bassà. Questo Osman Bassà è huomo di età interno 60 anni, nato di padre Turco, stimato huomo valoroso e guerriero, havendo fatto lui l’acquisto di Demircapi et adoperatosi sempre in tutta la guerra di Persia. È di assai bella presenza, grande di persona e molto cortese nel parlare, e per quel tempo che é stato alla Porta come primo Visir non si è mostrato cosi avido al danaro e cosi venale come erano li due ultimi suoi precessori. Nel suo parlare non dimostra di saper molto, specialmente delle cose dei principi cristiani, e poco anco del governo delli medesimi Turchi, perché essendosi quasi di continuo allevato fuori di Costantinopoli, non può havere quell’esperienza, che bisogneria per un simil carico, oltre che non è paziente in dar udienza e dimostra d’haver pochissima memoria, di che io medesimo ne ho veduto un segno manifesto, il quale é che essendo almeno tre volte andato da lui per udienza ed avendo trattato seco diversi negozii, alla quarta che vi andai mi occorse entrar da lui subito dipoi uscito l’Ambasciator di Francia, il quale era stato seco più d’un’ora continua trattando li negozii del suo Re, e nondimeno quando io entrai dimandò al mio dragomano, chi era quell’Ambasciator che prima di me era stato da lui e se io ero il Bailo di Venezia. Contuttociò é tenuto per il miglior uomo e per il più valoroso capitanio ch’abbia oggidi l'Impero Ottomano, è molto amato e stimato dal Gran Signore, temuto assai dalli altri Bassà e molto più dalla gente inferiore e sopra tutto è amatissimo da soldati. Questo uomo mostra di desiderare grandemente la pace con il Persiano, e per contrario la guerra con Cristiani, e per questo rispetto ha contentato di andar in persona alla guerra di Persia con ferma intenzione di concluder una pace. Il secondo Visir é Messich Bassa, eunuco, ch’al presente fa l’officio di primo Visir, e uomo che passa 70 anni, educato nel serraglio del Gran Signore, dove fu posto giovanetto, di nazion Schiavone. È stato Bassà del Cairo, nel tempo del suo governo si é anco portato molto bene. Il suo particolar pensiero è di conservar il danaro del Gran Signore e far pagar quelli che vanno debitori del Casnà, in che usa una esquisita diligenza senza aver rispetto a qualsivoglia persona. Questo é uomo molto destro et intende meglio del primo le cose di quel governo, ma é poco stimato per non aver alcuna esperienza delle cose della guerra, e perché si crede ch’abbi poco animo: con tuttociò è stimato assai crudele ed avaro, come sogliono essere tutti questi eunuchi, ed é anco ostinatissimo nelle sue opinioni. Per quanto valerà il suo consiglio, non entrerà mai il Gran Signore in guerra, perché avendo la sua vista alla conservazione del danaro, mal volentieri lo vederà entrar in spesa. Fa gran profession di devoto nella sua legge e per divozione veste molto dimessamente e mangia con grandissima sobrietà, tiene anco una casa assai umile e la sua stanza dove da udienza poveramente adornata in comparazione degli altri Visiri, sebbene comunemente si crede ch’abbi molti denari. Il terzo Visir è Mehemet Bassà, di nazion Schiavone, uomo di circa 35 anni, che ha per moglie una sorella del Gran Signore, che fu già prima maritata in Piali Bascià, con il quale ebbe quei figliuoli che sono Sangiachi di Chersego e di Clissa, e di poi la sua morte fu meritata in quest’altro, il quale si é allevato nel serraglio e serviva il Gran Signore di barbiere, uomo di poco giudizio e si può dir un vero pecoraro, ignorantissimo e superbissimo. Fa gran profession di nemico dei Cristiani, ma piacesse al Signore Dio che tutti li nostri nemici fossero come lui, non ha mai veduto alcuna guerra, né intende punto le cose del mondo. Con tuttociò per esser marito di una Sultana molto amata dal Gran Signore e confidentissima della Sultana moglie e donna di grandissimo spirito, viene tenuto in molta riputazione, oltreché essendo lui stato quello che ha di sua propria mano ritagliato Sultan Mehemet figliuolo del Gran Signore, si sa che questi principi sogliono tener grato conto di quelli che li hanno serviti in simili cose. A tutti questi rispetti vi si aggiunge che fra Osman Bassà e lui non vi è altro dimezzo che Messich Bassà, vecchio e mal condizionato, onde sta in gran speranza di esser molto presto primo Visir, il che in ogni modo li accresce la riputazione. Il quarto Visir é Ibraim Bassà, uomo di circa 36 anni, di nazion Schiavone, educato nel serraglio del Gran Signore, al quale anco ha sempre dimostrato particolar affezione. Questo é uomo di sottil ingegno e molto bugiardo, nella conversazione è assai cortese e piacevole. A questo si tiene per certo che il Gran Signore voglia dar per moglie la sua prima figliuola e per questa causa, sapendo ch’era povero, lo ha mandato al governo del Cairo, perché si faccia ricco, come ha procurato di fare per ogni verso. Non é. mai stato ad alcuna guerra, ma è uomo assai animoso e per quello che appare di qualche prudenza, e però si crede che dovendo esser genero del Gran Signore sarà presto primo Visir. Della sua inclinazione non si potria facilmente far giudizio, essendo lui molto accorto e sapendosi molto ben trattenere con ognuno. Si mostra amico dell’ Imperatore, del Re di Francia, di quello di Spagna ed anco della Serenità Vostra, né lascia di tener amicizia anco con quello del Gran Duca di Toscana, e con ognuno si dimostra parziale amico, ma con tutto ciò poco si può fidar di lui, perché sebbene faceva professione di grande intrinsichezza con Francesi, fu nondimeno quello che condusse a fine il negozio delle tregue col Re di Spagna, che dai Francesi erano in estremo abborrite. Il quinto è Ferrat Bassà, uomo di circa 40 anni, di nazion Schiavone, uscito ancora lui dal serraglio, nato bassissimamente ed il suo primo esercizio fu di far la cucina, di maniera che di cuoco è riuscito Visir e generale d’un esercito, essendo due anni continui alla guerra di Persia con carica di generale, e lui è stato quello che si é impadronito di Revan e che lo ha fortificato, con tuttociò non è stimato per uomo di molto valore, né di giudizio, sebbene avendo saputo di così basso ascender a tanta grandezza, si deve credere che non li manchi cervello. È stimato uomo molto crudele et avarissimo sopra modo e per quest’avarizia è stato privo del grado del generalato e posto in pericolo di perder la vita, essendoli apposto ch’abbia rubati molti danari nella fabbrica della fortificazione di Revan e ch’abbi fatto mercanzia con li soldati delli viveri del Gran Signore. Il sesto è Giafer Bassà, uomo di 56 anni circa, di nazione Schiavone, persona molto gentile e di trattabilissima conversazione, allevato da Sultan Suliman, uomo che intende molto bene le cose di quel governo e che è stato in diverse guerre, dimostra buon ingegno e si tiene che saria attissimo ad ogni carico, ma perché non sa o non vuol trattar con quella barbarie turchesca e con quella insolenza ch’è naturale di quella gente, fra Turchi non lo tengono per uomo di cuore, e per il vero non sa tener quella riputazione, che pare che ricerchi il suo stato e la sua condizione. Il settimo e Ali Bassà, uomo di circa 40 anni, di nazione Schiavone, di robusta presenza. Costui era schiavo di Mehemet Bassi, primo Visir, il quale vedendo questo giovinetto di bella presenza lo donò al Gran Signore che lo tenne alcuni anni nel serraglio, sino a tanto che fece la barba, ch’allora il medesimo Bassà procurò di farlo uscir fuor con grado di Cesimer, che non è di quei gradi principali, da quali si soglia venir a riuscire Visiri della Porta, ma la sua buona fortuna, per esser uomo di bella presenza, l'ha condotto di schiavo ch’era di Mehemet Bassà, a riuscir marito della sua moglie, ch’è sorella del Gran Signore, per causa della quale è cosa certa che sii stato fatto Visir. Questo è appunto il rovescio della medaglia di Giafer Bassà, perché pare appunto nei costumi un villano travestito, è superbissimo e pieno di arroganza e da tutti tenuto per pazzo, a che lo aiuta assai la gonfiezza di aver per moglie la più favorita sorella ch’abbi il Gran Signore e che viene tenuta per ricchissima. Non è stimato uomo di valore, sebben fa gran professione di bravura, con tuttociò si è trattenuto molti anni al governo di Buda alli confini d’Ongaria senza riportarne vergogna. Desidera sopra modo il grado di capitano del mare, non tanto perché faccia fondamento di farsi conoscere per uomo di valore nel mestier del mare, quanto per la speranza di farsi ricco con quella carica, stimando li Turchi, che da primo Visir in poi non vi sia altro governo più utile alla Porta del Signor Turco, che quello del capitanato del mare. L’ ottavo ed ultimo Bassà è il Cicalà Genovese, che può aver intorno a 42 anni. Questo fu creato Visir da Ferrat Bassà condizionatamentc, cioè che avesse a star due anni in Revan in difesa di quella fortezza, ma pare che avendo egli di nascosto procurato di restar generale di tutto l’esercito e fatti di mali officii contro Ferrat Bassà e ch’egli avendo scoperti questi pensieri di esso Cicalà, l’habbi levato di Revan e che si metta dubbio se dovrà esser Visir. Questo è stimato uomo molto valoroso et ha fatto in questa guerra di Persia onoratissime fazioni, ma per esser Italiano non si fideranno mai di lui compiutamente. Questi sono quelli, che al partir mio avevano nome di Visiri della Porta. Ma parmi necessario dir anco una parola d’alcuni altri personaggi, che vengono in considerazione per gl’ interessi della Serenità Vostra. Due di loro, per essere stati in tempo mio primi Visiri e che potriano forse anco ritornar in grado, che sono Sinam e Chiaus Bassà e tra altri uno è il Beglierbei della Grecia favoritissimo del Gran Signore, il secondo il Nisiangi Bassi, il più pratico del governo, ed il terzo il Capitano del mare. Sinam Bassà, di nazione Albanese, uomo di circa 60 anni, che nella sua effigie ed in molte altre qualità rassomiglia assai al cardinale Granvela, e specialmente nella ricchezza dello spirito e nelle preste azioni, era primo Visir quando io giunsi a Costantinopoli. Questo era tenuto per uomo di valore, nemicissimo de’Cristiani, di costumi e creanze molto barbare e tenuto quasi per matto. Non parlava mai con alcun ministro de’principi cristiani, che non li dicesse qualche ingiuria o almen che non lo minaciasse con parole e bravate impertinentissime, anzi per far carezze ad alcuno soleva dire con certo sgrigno: ti voglio far impiccare o darti cento bastonate, ma con tutto ciò è stimato uomo di buon intendimento e quando non è trasportato da quei primi impeti è assai capace della ragione. Ha condotto eserciti e si stima che fra Turchi non vi sia uomo più atto di lui per far qualche impresa. È di natura avaro e con quel mezzo solamente, quando era primo Visir, si poteva trattar con lui. É grandemente amato dalla Sultana moglie del Gran Signore ed anco da Sultan Mehemet suo figliuolo, in tanto che quando succedesse la morte di questo Signore, si tiene per certo che costui ritornerà al suo luogo di primo Visir, che seria poco desiderabile da tutta la Cristianità e specialmente dall’Imperatore, poiché egli ha sempre mostrato inclinazione di rompere da quella parte, e però crederci io che fosse utilissimo consiglio procurar di continuar seco l’ amicizia, come ho sempre fatto in tempo mio, perché se la occasione portasse ch’egli di nuovo avesse da ritornar in grado, gli conveniria per ogni modo tener conto di questa cortesia. Dirò anco il medesimo di Sciaus Bassà, il quale per il vero si è sempre mostrato affezionatissimo a questo Serenissimo Dominio, sebbene per la sua eccessiva avarizia metteva spesse volte difficoltà nelli negozii della Serenità Vostra, sperando per quella via di conseguir maggior utile. Questo ancora per haver per moglie una sorella del Gran Signor potria ritornar di nuovo al suo grado e li suoi vivono di ciò in gran speranza, però sarà sempre bene trattenersi seco in compagnia. Questo è di nazione Unghero, huomo di 40 anni e di nobilissima presenza e molto cortese nel parlare, amico della pace, che intende molto bene le cose di quel governo e che sapeva meglio d’alcuno di questi altri esercitare il carico di primo Visir. Con questo si ha il mezzo del dottor Benvenisti Ebreo, che è suo medico et ha seco tanta autorità che più non si potria desiderare, et esso medico è certo molto affezionato al servizio della Serenità Vostra. Il Beglierbei della Grecia è al presente il più favorito huomo del Gran Signore che sia, né forse anco che mai sia stato a quella Porta, essendo che lui solo è quello ch‘ ardisce dire a sua Maestà ogni cosa che li vien voglia, poiché tutto viene da lei preso in buona parte. E huomo di circa 32 anni, di nazione Armeno, di statura piccola e negro, ma molto vivace et ardito, di buonissima conversazione e faceto nel suo parlare, s’è messo innanzi col Gran Signore più tosto col far dinanzi a lui qualche buffoneria che per altro, da che è riuscito che pigliandò sua Maestà gusto di lui lo ha fatto suo musaipo, che vuol dire uno che parli seco domesticamente e l’accompagni sempre quando va a caccia o a piacere. Per questa causa è tenuto in grandissima stima da tutti li Bassa e da tutta la Porta, e quando alcuno desidera qualche grazia dal Gran Signore, o sia il Capitano del mare, o qualsivoglia delli Bassà, ricorrono tutti a lui, e Osman Bassà lo ha lasciato alla Porta suo Procuratore, sapendo che nessuno meglio di lui lo può sostenere appresso il Gran Signore. Questo huomo, per il gran favore che ha, è molto insolente e sprezza ognuno, pure per grazia del Signor Dio s' è lasciato vincere con gli officii che mi sono occorsi di far seco e molto più per il presente che se li è fatto delli 2000 zecchini, per la occasione di accomodare il negozio della galera, ond’io l’ho lasciato, per quanto si può giudicar dall’esteriore, benissimo affetto verso questa Serenissima Repubblica e giudico molto a proposito di continuar a conservarselo amico, almeno fino a tanto che continua nella grazia del Gran Signore. Ho detto fino a tanto che continui in grazia, perché ognuno crede che abbia presto a cadere, parendo che siino troppo grandi i suoi favori e maggiormente anco quello che lui se ne promette. Questo, al mio partire, come all’hora fu scritto alla Serenità Vostra, mi ricercò con molta istanza che li mandassi due papagalli di ponente e due cagnolini. Se alla Serenità Vostra parerà bene di gratificarlo, crederà che il presente sarà benissimo impiegato. Il Nissangi Bassà (che si dimanda Mehemet Bassa per esser stato Visir della-Porta e fu privato ad istanza di Sinam Bassà) fu figlio di padre Turco, ch’era nella sua legge molto dotto et uno dei più principali Cadi di questo Impero e però egli ancora s’è allevato nei medesimi studii con intenzione di camminar per la via del padre e però fu fatto Cancellier grande, per fino in tempo di Sultan Suleiman et ha sempre dimostrato buonissimo ingegno. É huomo di 70 anni e d’avantaggio, stimato per il più intelligente e pratico di quella Porta, osservantissimo della sua legge e fa professione d’huomo giusto et incorruttibile. È inimico dei Cristiani e per tale 'è stimato da tutti, nondimeno io l’ho ritrovato assai ragionevole et anco nelle occasioni si è dimostrato buon amico della Serenità Vostra, perché se bene da principio faceva meco assai del rigoroso, tuttavia con li continui officii e con li presenti non solo si è moderato, ma datemi anche molti avvertimenti per condur a buon fine li negozii della Serenità Vostra, come di tempo in tempo gliene ho dato riverente avviso con mie lettere. La sua amicizia sarà sempre utile a questa Serenissima Repubblica e però sarà per mia opinione molto a proposito conservar quella confidenza che si è principiata, perché non solamente può giovare nelle occasioni che di raro vengono e seria bene che mai non venissero, ma anco nelli ordinari negozii, poiché tutti li comandamenti passano per sua mano e bene spesso ne straccia di quelli che sono comandati dal Bassà, come anco dal Gran Signore. Del Capitano del mare, ch’è l’ultimo di quelli che mi resta parlare, ci saria molto che dire, ma essendo di già molto ben conosciuto dalla Serenità Vostra, me la passerò con poche parole. Questo huomo dicono che sia vicino alli 80 anni, ma ancora tanto prosperoso e gagliardo che fa meravigliare ognuno. E di nazione Calabrese nato vilissimamente in un luogo detto le Castelle, non sa né leggere né scrivere e fu fatto assai giovanetto schiavo, di maniera che tutto quello che sa lo ha imparato vogando il remo, di che egli non se ne vergogna punto a confessarlo. È huomo di natura crudelissimo et inumano, specialmente quando entra in collera, perché all'hora si lascia trasportare a stravagantissime iniquità, né v’e alcuno per grande che sia, che ardisca di parlar seco in quel procinto. Per la lunga esperienza ch’ha delle cose da mare, essendo di schiavo, camminando per gli altri gradi della marinara, riuscito finalmente capitano di mare di così gran Signore et havendo ottenunto quel grado in tempo che per essersi fuggito dall'armata il giorno della felice vittoria, si credeva che il Gran Signore li dovesse far tagliar la testa, e per essere nelle fatiche indefesso e per essere liberalissimo, viene assai stimato nelle sua professione, con tutto ciò se non procurasse di servire il Gran Signore, non solo per capitano, ma anco si può dire per bastaso, poiché egli non parte mai dalle fabbriche che si fanno per sua Maestà, e va lui in persona a raccogliere con gli suoi schiavi la neve per servarla per la state, e presentando abbondantissimamente non solo il Gran Signor, ma ancora li Sultani e tutti li Bassà, saria di già privo del suo carico, nè con tuttociò si può tener molto sicuro, perché al mio partire si ritrovava in qualche pericolo. Della volontà di quest’huomo, a non si voler lasciar ingannare da belle parole, si deve dubitar assai, perché l’interesse suo non ricerca altro che di far armata, essendo che con questa non solo viene a cavar utile di mille aspri, sempreché si arma, per ognuno delli suoi schiavi, dei quali ne ha poco meno di tre mila, ma anco guadagna assai per altre vie, e ben si sa che per persuader il Gran Signore a far armata, non è più facil via di esortarlo di mandarla contra questa Serenissima Repubblica. Con tutto ciò egli nelle sue parole ha procurato sempre di farmi credere d’esser buon amico della Serenità Vostra e spesse volte mi ha interpellato a doverli dire, quando mai egli habbi fatto un minimo danno né a vascelli, né all’isole di questo Serenissimo dominio. Con me s’è dimostrato veramente molto cortese, perché oltre all’havermi liberamente donato un povero Veneziano di questo arsenale, ch’era suo schiavo, il miglior calafato et il miglior huomo da remo che fusse nella sua propria galera, et havermi anco aiutato assai in ricuperar li 30 schiavi del Gran Signore, ch’io inviai qui in cambio delli 29 Turchi liberati delle galere di Malta, mi fece anco un altro favore stimato da Turchi molto più di tutti gli altri. E fu ch’essendo fuggito di casa mia, istigato dal demonio, poiché non v’ era alcuna altra causa, un mio stalliere et essendo andato da lui perfarsi turco, lo interrogò minutissimamente per due ore continue delle cose di casa mia e poi lo mandò a dormire con risoluzione di farlo la mattina turco, ma havendo io la medesima notte inviato Mattheca dal suddetto capitano a dimandar il mio huomo, se bene da principio si escusò dicendo che non lo poteva dare, per essersi fatto turco, e che se bene desiderava compiacermi, che però la sua legge non lo comportava, tuttavia facendoli Mattheea nuova istanza, disse che stimava più la mia amicizia, che ogni altro rispetto, e che però se bene il Mufti lo havesse da far abbrugiare, che in ogni modo me lo voleva dare e cosi per forza comandò che fosse posto in una peoma e consegnato al mio huomo et al Jannizzaro andato con lui, li quali me lo condussero a casa. È vero che il medesimo capitano mi mandò a pregare instantemente che non li dovessi far alcun male nella vita, però io lo mandai di subito in Candia. Questa dimostrazione fu grandemente stimata da ognuno, essendo cosa insolita fra Turchi e molto più da questo capitano, e di qui nacque che tutti quelli di casa sua pensavano ch’io havessi seco grandissima autorità, ma io non me ne sono mai confidato, come la Serenità Vostra ha potuto vedere nelle lettere che io li ho scritte in proposito di questo huomo, né credo che si debba punto confidar di lui, se ben per il mio debol parere giudico che sia molto utile dissimulare e procurar di tenerlo in uffizio quanto più si possa, perché in mano sua sarà sempre il trattar bene o male li sudditi e vassalli di questo Serenissimo Dominio che navigano nel
paese Turchesco e di travagliar anco facilmente li suoi Baili in Costantinopoli, oltre che per dir il vero dagli esempi passati si può anche credere che ognuno sia chi si voglia che sii fatto capitano del mare dal Signor Turco, sarà ancor più nemico di questa Serenissima Repubblica, di quello che sia esso Luciali, poiché li privati interessi militeranno sempre in ogni uno che habbia e habbiano quel carico. Parmi che questi siano quei personaggi che possono venir in considerazione per l’interesse del servigio della Serenità Vostra, poiché saria troppo tediarla a voler parlar anco di quelli che stanno dentro del serraglio del Gran Signore, se bene ai tempi presenti possono far del bene e del male assai e specialmente la Sultana moglie fra le donne et il Capiagà fra gli huomini, dei quali dirò questo, che se il Capiagà fosse così ben disposto verso la Serenità Vostra come è la Sultana, potria più giovare che lei alli suoi negozii, perché havendo insieme con 1’officio di Capiagà anco quello di Odabassi, che è tanto come fra li Cristiani maestro di camera, ovvero gran Ciamberlano, conviene per necessità ritrovarsi di continuo alla presenza del Gran Signore et havendo tanta comodità di poter saper tutto quello che si tratta e di conoscere l’inclinazione del Gran Signore, e potendo con opportunità trattar quello che desidera, saria attissimo, così a rimuovere qualche mal pensiero, come anco ad introdurre maggior confidenza fra la Serenità Vostra e quel Gran Signore, ma o sia mancamento d’animo, ovvero di buona volontà, non ho mai potuto cavar da lui alcun officio, anzi ritrovato sempre contrario a tutti li miei disegni con tutto ch’io habbi usato ogni possibil diligenza per renderlo amico, come anco ha fatto la sua madre, la quale per il vero non haveria potuto far d’avventaggio di quello che ha sempre procurato in servigio della Serenità Vostra, ma essendo lui Turco vero e molto ambizioso, teme assai di non esser tenuto per fautor de’Cristiani. Ma per contrario la Sultana moglie apertamente favorisce tutti li negozii della Serenità Vostra e sarà sempre savio consiglio trattenersi con lei in questa buona amicizia e procurar d’ acquistar quell’altro, se mai sarà possibile, il che non credo io che si possa sperare, se non con presentar lui medesimo, perché tiene poco conto di quello che si fa con la madre e con parenti et è avarissimo. Questa é quella informazione che m’è parso conveniente dover dar alla Serenità Vostra delle cose del Signor Turco, della discendenza, degli stati, della qualità de’popoli, della milizia, dell’ entrate, delle spese, del modo del suo governo, delle qualità della sua persona e finalmente de’suoi Visiri ed altri personaggi. Hora per metter fine a tutto il mio ragionamento, parlerò brevissimamente della intelligenza che tiene con gli altri principi del mondo, nel qual proposito dirò anco succintamente dello stato presente della guerra di Persia, pregando la Serenità Vostra e le Signorie Vostre illustrissime a voler attentamente ascoltar questa parte, perché è forse la più importante di tutto il resto. Dovendo hora, Serenissimo Principe, illustrissimi et eccellentissimi Signori, parlar dell’intelligenza ch’il Signore Turco tiene con li altri principi del mondo, mi par necessario di far questa poca digressione. La Serenità Vostra e le Vostre illustrissime Signorie hanno da considerare che se bene questo principe e in effetto molto grande, perché hoggidì al mondo non pare c’habbia alcun superiore né per grandezza d’Impero, né per quantità di ricchezze, né per moltitudine de’vassalli, né per numero di soldati, nondimeno non é invincibile, perché se bene comparandolo con ognuno separatamente pare ch’abbi con gli altri avvantaggio, nondimeno è cosa più che certa che all’unione de Cristiani egli in modo alcuno non saria atto di poter resistere e quando l’avesse in un medesimo tempo da far esercito per terra et armata per mare, si conosceria facilmente la sua debolezza, ma li nostri peccati vogliono che quello che di comune consenso si doveria procurare, che si sii quasi affatto levata la speranza di poterlo conseguire per la disunione e poca sicurtà che li principi cristiani possono haver 1’uno dell’altro, il che non è dubbio che non sii il principal fondamento della grandezza de’Turchi, onde si deve pregar il Signore Dio, a levar gli impedimenti e dar grazia al suo popolo di potersi liberare dal timore di questi infedeli. Però non solo conoscendo il Signore Turco la qualità della sua grandezza, ma stimandola anco d’avvantaggio assai maggiore di quello che sii in effetto, causa ch’egli non mostra di desiderare, né di stimare l’ amicizia d’alcuno e che con una superba arroganza dica che la sua Porta sta sempre aperta, così a quelli che dimandano amicizia, come a quelli che ricercano il contrario. Questa sua insolenza non solo nasce dalla natural alterezza di quella gente, che lo fa chiamarsi ombra di Dio, donator d’Imperii e di corone, con quegli altri arrogantissimi titoli che attribuisce a sé stesso, ma anco dal vedere che non é principe al mondo, per grande che sia, che non mandi alla sua Porta per dimandar la sua amicizia, il che pigliano loro per una ricognizione e per una tacita confessione della sua superiorità sopra tutti gli altri e li fa credere che se bene mancano di fede con quelli che contranno amicizia, come sempre faranno quando le metterà conto, che nondimeno quelli medesimi in ogni modo ritorneranno sempre a procurarla e però si vede che né con 1’Imperatore, né col Re di Francia, né meno con la Serenità Vostra osservano le capitolazioni, se non quanto gliene vien voglia e con offici e presenti sono stimolati e pregati. Hora, per tornar al mio proposito, dico, che per parlar prima dell’intelligenza de’Turchi con infedeli, viene prima in considerazione il Re di Persia, come più potente degli altri e come quello che al presente si ritrova in guerra con loro, la quale sono già passati otto anni che continua. È stata sempre mala intelligenza fra Turchi e Persiani e si può dir natural nimicizia fra di loro, perché se bene così gli uni come gli altri sono della Setta di Macometto, nondimeno fra loro sono così diversi d’opinione, come siano li Calvinisti con Luterani, oltreché havendo molte volte fatto Turchi di gran soperchierie ai Persiani, havendo loro levato una gran parte di dominio, sta fra di loro concentrato un odio invindicabile. Con tutto ciò la necessità l’ha fatti anco vivere lungamente in pace, perché havendo li Turchi molte volte sperimentato che le difficoltà della guerra in quella parte erano quasi insuperabili, si sono contentati di pacificarsi insieme. Come successe al tempo di Sultan Suleiman, il qual essendo entrato con potentissimo esercito nel loro paese et havendo preso molti luoghi e distrutto molto paese, quando pensava haver fatto un grande acquisto, li vennero a mancar li viveri e fu dalla necessità costretto a ritirarsi et abbandonar tutto quello che aveva acquistato, non senza manifesto pericolo di perder il suo esercito, con tutto che mai, si può dir, vedesse la faccia dell’inimico, il quale quanto più Sultan Soleiman si spingeva innanzi, tanto più lui si ritirava addietro, né mai v'ennero a termine di combattere, ma subito che Sultan Suleiman Si ritirò con il suo esercito fuori del paese di esso Persiano, egli ritornò a conquistar tutto quello c’haveva perso e con certe condizioni si concluse fra di loro la pace, la quale ha poi continuato sino alla morte di Sciach Tames re di Persia. Di poi la morte del quale successe nel Regno il suo figlio chiamato Schiach Ismael, che molti anni ad istanza de Turchi era stato tenuto dal padre prigione in un castello, perché facendo professione di gran soldato, si haveva anco mostrato inimico loro e con alcune operazioni haveva messo in sospetto di voler romper la pace. Questo Ismael, alla morte del padre, non volendo mandar suo ambasciatore al Signor Turco per la confermazion della pace, ch’era prima fra di loro, credendo che quest’ufficio convenisse più al Turco che a lui, per corrispondere a quanto il suo padre haveva fatto seco nel tempo che successe all’Impero, che li mandò una honoratissima ambascieria con molti presenti. Di questa risoluzione restò Sultan Amurath malissimo soddisfatto e come quello che per la sua alterezza li parve d’aver ricevuto grand’ingiuria, senza molto pensarvi, diede subito ordine alli confini che si principiasse la guerra, che ancor dura, non si havendo mai potuto concordar in far pace insieme, se bene in questo mentre è morto quell’lsmael, è successo nel regno il suo fratello, soprannominato Codabende, che per la debolezza della Vista è dimandato orbo et ha due figliuoli, 1’uno chiamato Miriza Abas e l’ altro Miriza Ambza e quest’ ultimo è molto bravo. In questa guerra il Signor Turco, sino al mio partire, haveva conquistato Cars, Teflis, Samachia, Demicarpi e Revan, se bene si diceva che Persiani havevano ricuperato Samachia. Questi sono luoghi di grande importanza e tengono un largo e buono paese, e specialmente Revan, che da quelli che vengono di là che hanno parlato meco, mi vien affirmato che il Gran Signore in tutto il suo impero, non ha né il più vago, né il più fruttifero paese di quello, con tutto ciò non ne cava, né può sperare di doverne mai cavare alcuna utilità, anzi li sarà sempre di continua spesa, essendo necessario tenervi per ordinario grossi presidii. Questa guerra da Turchi é grandemente abborrita e stimata fastidiosissima, perché fra li confini de Turchi et il. paese habitato da Persiani si ritrova una interposizion di molti terreni sterili e disabitati, che non possono servire per sostentar gli eserciti, di maniera che é necessario portarsi dietro tutti li viveri, li quali difficilissimamente si possono portar per un grosso esercito, e l’ andar innanzi con poca gente non si stima sicuro. È vero che nel resto è guerra assai piacevole, poiché in tanti anni non si sono mai gli eserciti condotti a fronte 1’uno dell’altro, non si sono mai espugnate, né meno difese fortezze o piazze di qual si voglia sorte, ma dove gli uni sono inviati, gli altri si sono sempre fuggiti. Vero è che spesso volte alla sfuggita et all’improvviso si sono fatte delle scaramucce con perdita di molta gente, e più di Turchi che di Persiani, e quelli poi che restano vivi ritornano tutti consumati dalle carestie dei viveri e dalla lunghezza del viaggio, di maniera che per il più riescono mendichi e nudi, da che nasce il gran dispiacere che sentono quelli che sono descritti per andar con l’esercito in quella guerra, et il comune desiderio ch’hanno tutti della pace. Della qual pace, quello che ragionevolmente si può discorrere è ch’essendo sempre lei il fine della guerra et essendo questa hormai continuata per tanti anni, con assai maggior perdita che guadagno, cosi dall’una come dall’altra parte, per il gran numero di gente che in essa si è consumata e persa, si può credere che in ogni modo alla habbi finalmente a seguire, siccome al mio partire mostravano di sperare assai, poiché comunemente si diceva che per questo solo fine Osman Bassà sii andato in persona a quella guerra. È vero, che tuttavia si diceva, che il Signore Turco continui nella risoluzione di voler in ogni modo ritener quello che ha conquistato e che il Persiano sii ostinatissimo di voler la restituzione di quello che li è stato tolto, ma potrà facilmente essere ch’essendosi ridotto in Tanris il figlio del Persiano con 100 mila persone da combattere et andando innanzi Osman Bassà con il maggior corpo d' esercito che in questa guerra ultima si sii più posto insieme, che la necessità riduca una delle parti a ceder alla altra e che per questo verso si metta fine a questa guerra. Siccome anco al mio partir si tenevano per accomodati i moti de Tartari, de’quali io non intendo di parlare, salvo che di quelli che habitano la Taurica Chersoneso, ch’altrimenti si dimanda la peninsula del Caffa. Perché questi sono quelli ch’hanno principiato il rumore et erano soliti di vivere alla devozione del Gran Turco, intanto che se bene solevano per il passato succedere nel dominio per discendenza di padre a figliuolo, tuttavia non havendo voluto a tempo mio il re, ch’all’ora viveva, andar alla guerra di Persia, come il Gran Turco l’haveva ricercato e lui promesso, fu non solo privato del Regno, ma anco della vita con il mezzo di Osman Bassà, che ritornava da Demircapi, e di Luciali capitano del mare, che con una banda di galere andò a portar nella peninsola Islau Cam fratello del Re morto, che fu da loro posto in stato. Ma perché a questo di ragione non appartiene la successione di quel Regno, non è mai stato possibile, che li popoli lo habbino veduto volentieri, anzi anno sempre procurato di chiamar nel paese due figli del Re morto, li quali si erano fuggiti dal Nozai fra Tartari stimato il più potente, che invitati dalla voce de’popoli con l’aiuto d’esso Nozai et altri Tartari entrarono con potente esercito nella Provincia et in pochi giorni si fecero padroni di tutto il paese, salvo che della città del Caffa, che si ritrova in mano de Turchi, e che è assai honestamente fortificata, dove si salvò Islam, posto per Re dal Gran Signore, per fuggire dalle mani de’suoi nipoti. Questo moto fu estimato per importantissimo e molto pericoloso, ma quello che più premeva al Gran Signore era perché, siccome quando fu con tanta sua riputazione scacciato e morto il Re passato, fece di ciò segno di grandissima allegrezza parendoli che ciò accrescesse assai la sua gloria, poiché haveva lui così felicemente conseguito quello che li suoi precessori non havevano mai ardito di tentare, così vedendosi hora privar di questo honore per mantenerlo era risoluto d’impiegarvi tutte le sue forze, di che avvedutosi Osman Bassà e conoscendo la natura del Gran Signore, per darli contento si risolse d’offerirsi d’andar in persona a sedar quei rumori, sperando però che il Gran Signore non accettaria la sua offerta, ma riuscì tutto il contrario, perché Sua Maestà ne mostrò grandissimo contento e perché vi andasse volentieri le diede tutta quella maggior autorità che mai più havesse alcun altro primo Visir, e li promise che alla sua Porta non si faria alcuna espedizione d’importanza, ma che tutte si rimetteranno a lui. Con questa risoluzione parti Osman Bassa, conducendo seco quel maggior numero di gente che si puotè metter insieme e prendendo il cammino per terra, come più facile e più presto, fece anco partire il capitano del mare con 26 galere piene di soldati, a fine di poter soccorrere immediatamente il Caffo, del quale si dubitava assai che non restasse preso, e di poi traghettar altra gente dell’Asia nella peninsula, se fosse bisogno, delle qual provvisioni essendo avvertiti li figli del Re morto e non si conoscendo atti a potervi resistere, se ne sono di nuovo fuggiti, e però il Capitano del mare se ne ritornò a Costantinopoli et Osman Bassà s’è incamminato alla guerra di Persia. Questa peninsula del Caffo circonda quanto la Morea et e posseduta tutta da Tartari, eccetto che la città del Caffo e due altri luoghi alla marina, che sono tenuti da’Turchi. Non hanno nel paese fortezze di alcuna sorte, ma si può anco dir che non abbino case, accostumando loro per il più di vivere alla campagna, ovvero portarsi dietro le loro case sopra un carro. Sono i popoli molto barbari e rozzi, non mangiano mai pane, né bevono vino e per il più delicato cibo usano le carni de’ cavalli, siccome anco bevono con gran gusto il latte delle medesime cavalle, con il quale anco s’ubbriacano. Sono questi popoli governati da un Re, che loro chiamano Chan, al quale rendono grandissima riverenza et obbedienza, e per quello che si dice può quel Re metter in campagna 40 mila e 50 mila cavalli, ma sono tutti cavallucci, che non sarian atti a servir negli incontri. Il loro fine non è mai di combattere, ma solamente d’andar a rubare, in che riescono eccellentissimi, perché quando entrano in un paese pigliano tutto quello che ritrovano e possono portar seco, e quando li avanza alcuna cosa con una barbara crudeltà l’abbrugiano o la distruggono, perché non possa più servir ad altri. Vanno per il più disarmati, né portano altra sorta d’armi che l’ arco e la scimitarra con animo più tosto di fuggire, che di combattere se ritrovassero incontro. La loro virtù consiste principalmente nella prestezza e per questa causa, quando disegnano di far qualche correria, ogni uno di essi conduce seco due o tre cavalli, li quali legano l’uno alla coda dell'altro e li vanno mutando, siccome pare a loro ch’essi cavalli si stanchino. E per andar liberi da ogni sorte d’impedimento si portano il mangiar in una sacchetta per ciascuno, che non è altro che farina di miglio mescolata con latte di cavalla, la quale distemperano poi con 1’acqua e una sol volta al giorno mangiano e di quello si contentano, come se fosse un delicatissima cibo. Questa leggierezza con la subita partita che fanno delle loro stanze, che appena sentono l’ordine che sono tutti a cavallo, la celerità che usano nel viaggio, che ben spesso fanno più di 100 miglia in un sol giorno, et il dividersi in più squadroni con ordine di ritrovarsi tutti in un giorno assignato nel medesimo luogo, è causa che molte genti di più provincie sottoposte al regno di Polonia et altri della Russia, ch’obbidiscono al Moscovita, prima se li vedano sopra e si ritrovino fatti schiavi, che intendere che si siino mossi dal loro paese. Li schiavi che pigliano per il più sono mandati a vendere a Costantinopoli, dove ogni giorno se ne fa mercato, cosi di maschi come di femmine, e si vendono, come appunto si faria se fossero tante pecore, né senza di questi sapriano viver i Turchi. Che vogliono andar a star con altri di loro spontanea volontà sono rarissimi i Turchi, onde non haveriano chi li servisse, si come anco avviene il medesimo delle femmine, in tanto che quando nascono figliuoli a’Turchi o altri, se la madre non li può lattare é bisogno che comprino una di queste schiave Rosse per nutrire le loro creature, e però non è casa in Costantinopoli, o sia d’artegiani o d’altri, ch’ habbi bisogno di servitù di qualche sorte, che non convenga comprare schiavo e schiava Rossi. Per questo rispetto fanno grandissimo caso i Turchi di questo paese del Caffo et anco perché di là vanno a Costantinopoli tutti li butirri che si mangiano, senza li quali non saprian vivere, perché il loro ordinario nutrimento è di riso con butirro e quando non li manca questo, si contentano poi d’ogni altra poca cosa. Si stima anco assai quella peninsula, poiché serviva molto alla riputazione de’Turchi, essendo loro soliti quando volevano minacciar cosi i Polacchi, come altri, dir che li spingeriano contro una inondazione di Tartari. Del Re di Fetz restano i Turchi molto mal soddisfatti, tenendo per certo ch’egli sia d’accordo con il Re di Spagna, e però comunemente si crede che non possa passar molto, che procureranno di levarli lo Stato, se potranno, il che è desiderato assai dal Capitano del mare, che spera con quella impresa d’haversi a far ricco. Il medesimo desiderano ancora tutti li Turchi e Jannizzari che sono in Algeri, e danno a credere al Gran Signore, che con poca spesa et in spazio di tre o quattro mesi lo faranno Signore di tutto quel paese. Hora per entrar a parlare di principi Cristiani, mi par di poter sicuramente affermare, che i Turchi sono di tutti capitalissimi nemici, e se bene con alcuni mantengono amicizia, tuttavia questo più tosto si può dir una falsa apparenza che una reale amistà, perché la diversità della religione ha troppo gran forza e specialmente con questa gente, e per questa causa più d’ogni altro è odiato il Pontefice, se bene delle sue proprie forze non ne fanno alcuna stima, ma credendo ch’egli possa esser istromento per unir gli altri principi della Cristianità li portano odio mortale. L’Imperatore da loro è pochissimo stimato conoscendo la debolezza delle sue forze, con tuttociò vanno di tempo in tempo rinnovando l’amicizia, per l’utile che ne cavano, perché non solamente Sua Maestà Cesarea manda ogni anno 45 m latalleri di presente, che da’ Turchi è chiamato carafo, poiché si ha da dar per obbligo ordinario ogni anno, ma oltre di questi fa anco altri presenti così al Gran Signore come alli Bascià et altri ministri della Porta, che ascendono alla summa di altri 60 mila talleri ogni anno. Né con tuttociò cessano mai i Turchi d’andar infestando il paese di Sua Maestà Cesarea, avanzando sempre terreno in Ongaria e prendendo uomini e bestiami, il che, se ben viene anco alle volte fatto per la parte degli Imperiali, tuttavia non si può paragonare con il danno che ricevono da’Turchi. È vero che all’ambasciatore che Sua Maestà Cesarea tiene di continuo alla Porta residente, danno un Carvanserà per suo alloggiamento, e quasi tutto quello che li abbisogna per nutrire la sua famiglia, ma li tengono anco di continuo un Chiaus alla sua guardia, che lo custodisce quasi come ostaggio. Non pare che al presente li disegni dei Turchi siano volti a rompere da quella parte, ma quando Sinam Bassà era al governo si lasciava chiaramente intendere, che nessuna impresa era più utile per il Gran Signore, che quella d’Ungheria. Con il re di Francia hanno i Turchi per molto tempo conservata intelligenza e specialmente mentre ch’ é vivuto 1’Imperator Carlo V, perché non essendo manco i Francesi che i Turchi inimici di quell’imperatore, essendo gl’interessi simili, era anco facile unir le volontà a procurar il danno dell’inimico comune, e questo solo rispetto pare ch’abbi anco sino a qui conservata questa amicizia, perché hanno sempre militato li medesimi interessi cogli Spagnuoli, sebbene alquanto alterati per le cose che dipoi sono successe. Con questi non avendo i Turchi confini, né altra sorte d’interessi, pare che fra di loro non possa mai nascer guerra, anzi si può credere, che in occasione che gli Spagnuoli pensassero d’offenderli, non mancariano loro d’ aiutarli, non tanto per affezione che li pertino, quanto perché il Re di Spagna non si faccia più grande di quello che è. Ma nel resto fanno i Turchi manco conto assai del Regno di Francia di quello che doveriano, perché hanno opinione che le guerre passate l’abbino in modo indebolito che non sii più d’alcuna considerazione e però vengono li ministri di quel Re poco rispettati alla Porta, e li suoi mercanti che trafficano nei paesi dei Turchi sono cosi maltrattati e forse peggio degli altri. Con il Re Cattolico hanno i Turchi malissimo animo e lo tengono per capital suo nemico, ma perché lo conoscono molto potente e che loro con molta difficoltà lo possono offendere, non hanno discara la trattazione d’amicizia seco e però desiderano sopra modo che vadi alla Porta un ambasciatore di Sua Maestà Cattolica a trattar pace e se vi anderà si può tener per certo che tutti gli offici che possino far o Francesi o altri per sturbarla, non gioveranno punto, essendo risolutissimi di volerla. E per questo rispetto due volte in tempo mio si é prolungata per un anno la tregua e si saria anco fatto il medesimo la terza volta se Giovanni Stefano de’Ferrari, mandato da Giovanni Margliani per questo effetto, siccome si fermò in Ragusi, fosse drittamente mandato a Costantinopoli, con tuttoché questa trattazione si facesse con pochissima sicurtà, poiché si capitolava con un semplice servitore del Margliani, senza alcuna sorta di lettera, né confermazione del Re. È vero che sebbene i Turchi fanno queste sospensioni d’armi, che nondimeno se li tornerà comodo di romperla, non resteranno di far il fatto loro, siccome credo anco che faria il Re di Spagna, ma il ritrovarsi 1’uno occupato nella guerra di Fiandra e l’altro in quella del Persiano patria causare la quiete comune, che l’animo però tra questi possa esser mai buono difficilmente si può credere. Preme infinitamente a’Turchi l’acquisto che il Re di Spagna ha fatto delle Indie di Portogallo, perché dopo che Sua Maestà Cattolica se n’è impadronita non vengono più speziarie nel loro paese, di maniera che al mio partire valeva tanto il pevere in Costantinopoli, che a portarne di qui si guadagneria 200 per 100 e però se ritrovassero modo di rimediar a questa loro necessità, si può tener certo, che non vi seria amicizia né sospension d’armi che li ritenesse da procurarla. Con la Regina d’Inghilterra mostrano i Turchi di tener buona amicizia, poiché non hanno mai potuto i Francesi sturbarla, sebbene hanno fatto tutto quel più che hanno potuto, così in parole come in fatti, avendo il Re Cristianissimo per questo solo rispetto di mostrar qualche risentimento levato il suo ambasciatore che risiedeva alla Porta, senza mandarvi il cambio, ma il Gran Signore non ha mai voluto intender di lasciarla, stimandola molto più per essere con una femmina che se fosse con un Re di quell’isola. Oltre di ciò resta anco quel Signor persuaso per esser lei discordi di religione con gli altri principi Cristiani, che non sia per unirsi con essi loro contro di lui, anzi che in occasion di lega fra Cristiani, ella sia istromento attissimo a sturbar in modo il Re di Spagna, che non possi attender ad altre parti, come lei fermamente li tiene di continuo promesso. Con tuttociò il suo ambasciatore alla Porta è poco stimato ed ogni uno per burla lo chiama Laterano, persino li medesimi Bassà, e con molto suo dispiacere, essendo lui Calvinista disperatissimo. È vero che poco innanzi il mio partire havendo una di queste navi inglesi fatto danno ad un vascello turchesco di un rinegato del Capitanio del mare, si mise in tanta collera esso Capitano che disse al Dragomano dell’ambasciator d’Inghilterra, che voleva lui in persona andar nella propria casa di esso ambasciatore e darli molte bastonate, né contento di ciò fece anco saperlo al Serenissisimo Signore, che ne mostrò gran dispiacere, onde se succedesse qualche altro caso simile e che i Francesi incalzassero la cosa, si potria sperar di far qualche bene, poiché in effetto conoscono che delle chimere in poi, ch’ò detto di sopra, che finalmente possono essere conosciute per vanità, come sono in effetto, non hanno dall’ amicizia di questa utilità di considerazione. Con il Re di Polonia hanno i Turchi pace, sebbene per causa delli moti Cossachi, che sono come Uscochi, furono li anni passati a termine di rottura, ma avendo quel Re fatto chiaramente conoscere di non aver colpa di questi disordini, mostrarono almeno in apparenza di restar contenti, non li permettendo la guerra di Persia di far in contrario, ma li animi cosi dall’una come dall’altra parte sono mal disposti. Ed il simile si può dir del Moscovita, sebbene ha mandato ultimamente un suo ambasciatore alla Porta a rinnovar 1’amicizia, ma di lui poco si confidano, conoscendo il suo mal animo e sapendo che quando si unisce con il Polacco, ovvero con il Persiano, averiano molto più travaglio, che non vorriano, e per il vero a voler far notabile offesa ai Turchi, non vi può essere modo più facile, né più sicuro che rompere per quella parte, a che aggiungendovisi un’armata per mare, che andasse drittamente verso li castelli del1’arcipelago, si potria sperar certo di scacciar facilmente i Turchi di tutta Europa e ben si vede nel moto che fecero li Cossachi in quanto spavento si misero. Non voglio parlar d’altri popoli, come Tartari, Mengrelli, Georgiani ed altri per non attediar la Serenità Vostra e le Signorie Vostre illustrissime in cose lontane dalli suoi interessi, ma venirò a dir di questo Serenissimo Dominio. Con il quale non è dubbio alcuno, che i Turchi in generale non abbino malissimo animo, perché concorrendo per prima la diversità della religione, è cosa più che certa, che per questa causa li sono, come di tutti gli altri Cristiani, inimicissimi. Ma considerando di più ch’essendo istituto ordinario dei principi Ottomani di guerreggiar sempre in qualche parte e molto più volentieri contro Cristiani, che contro infedeli, né sapendo loro vivere senza far qualche guerra, subito che pensano a far impresa, se li presenta immediate la comodità dei stati di questo Serenissimo Dominio, per la vicinità, essendo si può dire il regno di Candia nelle fauci di quella gente e tenendo li popoli di quell’isola assai più commercio con Costantinopoli che non fanno con questa città. Corfù é ancora nel mezzo dei loro paesi, poiché dall’isola a terraferma non ci sono più di 18 miglia et in molte parti è anco molto più vicina. Della Dalmazia non accade parlare, poiché tutta quella poca gengive vicina al mare che possiede la Serenità Vostra, si distende molto poco fra terra et è d’ogni intorno circondata da Turchi, onde chiaramente si può vedere, che maggior comodità di questa non possono avere con qualsivoglia altro principe del mondo. Dalla facilità ancora che sperano dover haver nelle imprese sono largamente invitati, perché non è dubbio alcuno, che le forze di questa Serenissima Repubblica sole non possono esser comparate con quelle del Gran Turco. A questa comodità e facilità vi si aggiunge un certo natural odio, che il più delle volte si suol nutrire fra popoli vicini e confinanti, per le continue contese che sogliono esser fra di loro, volendo ognuno usurpar quel del compagno di che mai mancano querele a Costantinopolitani, delli quali se bene si può dir con verità, che i Turchi abbino quasi sempre il torto, vogliono nondimeno aver sempre loro la ragione e forse che altre volte anco là hanno, perché li sudditi della Serenità Vostra ai confini di Dalmazia sono tanto ristretti di territorio, che non si potendo in quello contenere vanno alle volte intaccando nel paese de’Turchi. Tutte queste considerazioni possono con molte ragioni tener la Serenità Vostra in sospetto della loro amicizia, della quale sarà sempre savio consiglio a non si confidare. Ovvero che dall’altra parte conoscon molto bene i Turchi, che alla comodità della vicinita del paese, vi si oppone le fortezza delle piazze possedute dalla Serenità Vostra, et alla disugualità delle forze supplisce quell’opinione che hanno ch’ in ogni occasione questo Serenissimo Dominio si possa unire con altri principi Cristiani, con tutto ciò essendo che la natura de’Turchi non é di governarsi mai con ragione, meno si può con fondamento di essa ragione discorrere delle azioni loro per il tempo che ha da venire. Onde per il mio debol giudizio direi, che senza far più che tanto di fondamento, sopra quello che potessero far o non far i Turchi, sarà bene dal canto della Serenità Vostra operar quello che li parerà più a proposito per la sua propria conservazione et andar poi investigando i modi, che s’ averanno da tenere per conservarsi più lungamente che si potrà in amicizia con loro, come pare a me, che molto convenghi di procurare per la sicurtà e servizio di questo Serenissimo Dominio. E per me credo che il principal modo sia far buone orazioni al Signor Dio, pregando Sua Divina Maestà che ci voglia far grazia di conservarci in questa santa pace più che sia possibile e di poi procurar, che tanto i Turchi quanto tutto il mondo intenda che le fortezze della Serenità Vostra siano ben presidiate e ben munite e non lasciar che quella voce che va attorno prenda piede, cioè che la Serenità Vostra con molta facilità si lascia persuadere a fabbricar nuove fortezze e poi le lascia tutte imperfette e sprovvedute di tutte le cose necessarie da potersi conservare e difendere e quello che è peggio parmi, per quanto ho veduto nel mio ritorno, che con molta ragione le dicano, onde giudico più che necessario il rimediarvi. Servirà anco assai per mantenersi in questa pace procurar con tutti i spiriti d’attender a conservar la riputazione, la quale siccome giova con tutti i principi del mondo, cosi è in estremo necessaria co’Turchi, i quali stimano assai le apparenze. E per conservar questa tanto necessaria riputazione e per conseguenza anco la pace con Turchi, non é cosa migliore che procurar che loro restino persuasi che questa Serenissima Repubblica viva in buona intelligenza con il Re Cattolico e che in man sua sia sempre, che li tornerà comodo, rinnovar la lega, come parmi che al presente restino di ciò molto ben capaci. Gioverà anco assai per questo fine ogni prudente officio, che nelle occasioni sarà fatto da ministri della Serenità Vostra, trattando sempre li negozii che occorrono a quella Porta con vivezza di spirito, senza dimostrar alcun timore, rimediando in quanto si può che noi medesimi, quando vengono lettere da Costantinopoli, non andiamo abbassando le cose di questo Serenissimo Dominio, non meritando d’essere stimati buoni cittadini né degni senatori, quelli che credendo di far bene sogliono abbassar le cose nostre e non si avveggono che questo é veleno mortifero alla salute della Repubblica, essendo che con troppa difficoltà, che tiene quasi dell’impossibilità, può un uomo persuadere all’altro quello che non può persuadere a sé stesso. Non laude però, che per voler conservare la riputazione si facciano gli uomini insolenti e non vogliano misurare le proprie forze paragonandole con quelle degli altri, ma dico bene, che si doveria osservar in tutte le azioni che occorrono di trattar con Turchi quella mediocrità dove consiste la virtù. Sarà anco molto a proposito lasciar che vadino a Costantinopoli manco richiami che si può e specialmente della qualità di quelli che sono stati in tempo mio, e perché a questo non può la Serenità Vostra compitamente rimediarvi, perché quando ella ha dati li suoi ordini con la solita prudenza e circospezione, che è propria di questo eccellentissimo Consiglio, bisogna pregar il Signore Dio che illumini li ministri della Serenità Vostra ad operar conforme alle loro commissioni e quando pur succeda qualche inconveniente, ritrovandosi aver a quella Porta un bailo, com’è il presente, pieno di molta prudenza e di singolar bontà e carità verso la Patria, nelle cose d’ importanza aprir a lui largamente il suo desiderio e lasciar ch’egli operi conforme a quello che conoscerà esser di maggior utile a questo Serenissimo Dominio, perché mentre che egli avvisa di qui et aspetta di quello che scrive la risposta, si perde molte volte l’occasione di far bene il servizio della Serenità Vostra e possono in questo tempo succeder molti inconvenienti, che non è poi in mano de’baili il rimediarvi. Però quando la Serenità Vostra non diffidi della bontà e prudenza del suo bailo potrà operare con grandissimo avvantaggio nel suo servizio, scoprendoli il fine della sua commissione lascierà operar a lui conforme alla necessità et alle occorrenzie che vengono. Gioverà anco assai procurar quanto si potrà d’introdur qualche confidenza con il Gran Signore, continuando in mandarli delle volte di quegli uccelli girifalchi, che altre volte ancora li ha mandati a donare, e qualche altra gentilezza di simil natura che sii di poca valuta e di rarità. Per questo fine sarà anco utile trattenere l’amicizia della Sultana e se fosse possibile anche quella del Capiagà, perché questi, che intrinsecamente e domesticamente praticano col Gran Signore, possono giovar assai per introdur questa confidenza. É anco più che necessario conservarsi amico il magnifico Bassà e tutti quelli che sono in grazia del Gran Signore, come il Beglierbei della Grecia, e sopra tutti il Nissangi Bassi, perché essendo egli il più vecchio uomo che abbi avuto carico a quella Porta, è stimato molto dotto nelle loro cose turchesche e stimano ancora sopra tutti gli altri il suo parere. E questo, se bene è Turco naturale et inimico de’Cristiani, tuttavia al mio partire io l’ho lasciato così ben disposto verso questo Serenissimo Dominio, che continuandosi la sua amicizia si potrà sempre da lui promettersi ogni buon officio. Quella che più d’ogn’altra cosa pare a ma che al presente possi turbare gli animi de’Turchi, é la cosa degli Uscochi, alla quale, quando non si pensa ritrovar altro rimedio, tengo per cosa certa, che abbi da partorire qualche mal effetto, o di tirar un’armata in Golfo o d’introdur una guardia di legni armati a Narenta, perché i Turchi né vogliono né possono a modo alcuno restar capaci che la Serenità Vostra, quando volesse, non potesse impedire le loro ruberie, anzi tengono per certo che li sudditi e ministri della Serenità Vostra li diano aiuto e favore per poter far maggior danno, di che se bene’io credo che quanto alli ministri della Serenità Vostra senza ragione si dogliano, così vorrei poter dir il medesimo de’sudditi, li quali per dir il vero danno grande occasione a’Turchi di lamentarsi, però sarà officio degno della singolar prudenza della Serenità Vostra in quanto tiene cara la pace con il Turco, veder in ogni modo di provveder a questo disordine, perché non lo facendo, io stimo grandemente che non segua qualche importantissimo inconveniente. Riceve anco la Serenità Vostra danno notabile con permettere che di Candia vada a Costantinopoli senza alcun ordine o regola tanta gente come va, e specialmente di banditi, li quali come mal soddisfatti desiderano o procurano sempre il mal di quell' isola, onde saria molto a proposito ritrovarvi qualche rimedio. Perché sebene sono stati con singolar prudenza fatte diverse provvisioni dall’ eccellentissimo Procurator Foscarini, che molto ben conosceva l’importanza di questo fatto e specialmente che alli banditi di quel regno fosse riservato sempre un luogo dove potessero abitare, ai fine che non vadino a vivere in paese de’Turchi, tuttavia pare che per zelo della giustizia venga questo luogo alle volte talmente ristretto, che non potendo il bandito, essendo forse povero, trovar modo in quello da sostentarsi e guadagnar il vivere, conviene per non morir dalla fame uscir del paese. E di questi ne sono tanti a Costantinopoli che sono soli, si può dire, fanno una gran parte della maestranza dell’arsenale del Turco. E quello che è anco peggio, questi vanno disseminando le imperfezioni delle fortezze, la debolezza del presidio e la strettezza delle munizioni e de’viveri. Dicono anco che i popoli sono molto desiderosi di mutar governo, perché non sono meno tiranneggiati di quello che fussero li Cipriotti, affermando che pochi grandi e ricchi sono quelli che tengono soffocati i popoli e per questo rispetto sono ridotti quasi tutti in disperazione. Nuoce anco in estremo alla Serenità Vostra la pratica degli Ebrei Levantini in questa città, perché non solo danno minutissimi avvisi di quanto passa, ma il più delle volte scrivono il falso e tutto quello appunto che leva affatto la riputazione alla Serenità Vostra. E ben spesso delle cose che scrivono fanno autori i primi senatori della Repubblica, con i quali non hanno forse né anco mai in loro vita parlato, onde saria molto a proposito tenerli lontani più che si può da questa scala e che nessun gentiluomo di che qualità si sia si domesticasse con essi loro, perché senza tema di levargli l’onore, si può sicuramente dire che se non tutti almeno la maggior parte di loro siano traditori e quando non fossero con l’intenzione, sono certo con gli effetti. Et io ho passati grandissimi travagli nell’accomodamento della galera per le cose che di qui erano scritte da questi Ebrei a quelli di Costantinopoli, posso di ciò renderne buon testimonio Hora per fine di parlar in questo proposito della volontà dei Turchi verso la Serenità Vostra le voglio dir questo solo, che per l’informazioni ch’io ho avuto da persone di molta considerazione, ho inteso per cosa certa che quando i Turchi per l’accidente della galera erano in pensiero di far la guerra a questo Serenissimo Dominio avevano risoluto di manda la loro armata all’impresa di Corfù, non solo per la gran comodità che pretendevano di poter haverc con inviar sempre nuove genti per via di terra in soccorso dell’impresa, ma anco perché speravano di quel modo impedire che l’armata della Serenità Vostra non potesse dar alcun aiuto a Candia e che per necessità quel regno avesse con poco contrasto a caderli in mano.
Conosco, Serenissimo Principe, illustrissimi et eccellentissimi Signori, che l’importanza della presente relazione ricercaria più distinto e particolar ragionamento e persona più atta a più intendente di me che ne trattasse, tuttavia resto persuaso che si contenteranno della mia buona volontà, però parendomi d’ haver toccati i passi più importanti e sapendo che all’imperfezione mia abbondantissima, supplisce la molta intelligenza della Serenità Vostra e delle Signoria Vostre illustrissime, per non abusar della loro molta benignità, voglio che tanto mi basti haverle detto in questo proposito. Ma per non mancar di quell’officio che si conviene, le supplico contentarsi d’udir anca queste poche parole che per obbligo di coscienza mi pare d’esser tenuto a doverle dire. Quando andai a Costantinopoli ritrovai bailo della Serenità Vostra l’illustrissimo messer Palo Contarini, che sia in gloria, il quale per la sua molta prudenza e destrezza era in molta riputazione, amato e stimato da tutti, della persona del quale con tutto che si ritrovi in luogo che non ha bisogno delle mie laudi, convenga nondimeno per testimonia della verità e per consolazione della Serenità Vostra dirle, ch’egli è stato degno suo ministro e l’ha servita con sua molta riputazione. Ho lasciato in cambio mio messer Lorenzo Bernardo, gentiluomo di molto valore e pieno di singolar prudenza, del quale si potrà la Serenità Vostra prometter ogni utile e fruttuosa servizio e che possa con le sue molte virtù supplire a quanto con le mie imperfezioni averò mancato io. Nel suo primo ingresso é stato gratissimamente veduto dal magnifico Bassà e da tutti li altri Visiri, et ha con tanto giudizio e con tanto decoro fatti li primi ufficii, che accompagnati da quella nobile presenza, molto stimata da Turchi, s’è acquistato la grazia d’ognuno. Piaccia al Signor Dio conservarla in sanità, perché la Serenità Vostra si potrà render certa d’aver un ministro utilissimo a quella Porta. Non voglio anco lasciar di dire alla Serenità Vostra, per renderle testimonio della verità, che siccome spesse volte per il passato erano frequentemente molestati li baili della Serenità Vostra da’Turchi per le cose di Tine, che in tempo mio sono stato libero da questo travaglio, per la molta prudenza del magnifico messer Nicolò Balbi Rettor in quell’isola, il quale con il suo destra e prudente modo, non solo non ha dato occasione a Turchi di lamentarsi, ma in contrario si è fatto così ben volere, che ognuno resta di lui più che soddisfatto, e specialmente li popoli di quell’isola, li quali straordinariamente l’amano. Delli dragomani che servono la Serenità Vostra a Costantinopoli, carico di grandissima importanza per il servizio di questo Serenissimo Dominio, essendo in mano loro tutti i suoi negozii, quelche posso dirle é che per la morte di messer Marco dei Scassi ella resta in gran bisogno di persona che la possa servire. Il Scassi veramente era un grandissimo uomo da bene, affezionatissimo quanto più si possa dire al servigio della Serenità Vostra, e se bene non era di tanto ardire quanto forse ricercava quel carico, non mancava mai d’eseguire con grandissima sincerità e secretezza quello che gli era comandato, e veramente la perdita sua merita d’esser pianta da ognuno che ama e desidera il servigio pubblico. Pasquale, per opinion mia e per l'esperienza ch’ho fatto di lui, è valentissimo uomo e atto più che ogni altro a far servigi d’importanza, per esser ardito e molto entrante con Turchi et assai pratico delli loro costumi e maniere. Con il suo mezzo ho acquistata l’amicizia di diversi personaggi d’importanza e specialmente d’un giovine che teneva il sacchetto delle scritture del Cancellier grande, dal quale ho avuto molte lettere et altre scritture importantissime, che di tempo in tempo ho mandato alla Serenità Vostra, le quali con altro mezzo era impossibile poterle avere. Di questo uomo io tengo per certo che si passa la Serenità Vostra promettere ogni sorte d’importantissimo servigio, perché altre che meglio d’ogni altro lo saprà sempre fare, mi persuado anco che per esser lui affezionatissimo e devotissimo servitore della Serenità Vostra, non risparmierà mai alcun pericolo per il suo servigio. Il male é che non è sano e che non può camminare, essendo travagliato dalla gotta e da molte altre sofferenze. È anco povero e desidera esser riconosciuto dalla benignità della Signoria Vostra, come io lo giudico molto ben degno, essendo ragionevole dar occasione a quelli che servono in cose tanto importanti di non aver bisogno di pensar ad altro che al puro servizio di questo Serenissimo Dominio. Egli si ritrova aver un figliuolo, che se bene è ancor di tenera età, ha nondimeno principiato a leggere e parlar Turco, avendolo il padre dedicato al servigio della Serenità Vostra e per aver di ciò caparra, m’ha molto pregato di supplicarla a volerlo ricever per tale, facendoli, per segno d’averlo ricevuto, grazia di quello che suol dar ogn’anno ai giovani che di qui si mandano per imparar la lingua turca, il che parendomi assai ragionevole, per gratificar un così devoto suo. servitore, la supplico a fargliene la grazia, la quale, s’ io non m’inganno, sarà utile a questo Serenissimo Dominio. Mattheca, che si ritrova qui venuto ad accompagnarmi secondo l’ordinario, è molto ben conosciuto dalla Serenità Vostra e dalle Signorie Vostre illustrissime, questi ancora ha un figlio che ha condotto qua seco nominato Zanettino, per memoria dell’avo ch’ha lungamente servito la Serenità Vostra per suo Dragoman grande, del quale Zanettino, nel tempo del mio bailaggio, ho ricevuto grandissimo servizio, avendolo tenuto di continuo in casa mia, che mi ha giovato assai per poter trattar con molti Turchi che mi venivano a ritrovare, perché non stando in casa gli altri con più difficoltà haverei molte volte convenuto mandar cercando qua e là dragomani, se questo con la continua assistenza non m’avesse aiutato, però io lo raccomando alla Serenità Vostra. Per la morte del Scassi, ritrovandosi cosi Pasquale come Mattheca, venuto 1’uno per accompagnar il clarissimo mio successore e 1’altro andato a Corfù per la consegnazione della galera, io fui costretto per pura . necessità a provveder di qualcheduno, che servisse per dragamano essendo necessario mandar ogni giorno in Divano a parlar con il-magnifica Bassà, sollecitar diversi comandamenti che si erano ottenuti e far molti altri importantissimi servizii, per il qual carico mi son servito d’Ambrosino Grillo Perotta, non vi essendo alcun altro né migliore, né tanto sufficiente come lui, siccome allora ne diedi con mio lettere riverente avviso alla Serenità Vostra della sufficienza del quale non starò a dir altro, riportandomi a quello che ne scriverà il clarissimo mio successore, poiché con molta ragione la Serenità Vostra ha dato il carico a Sua Signoria illustrissima. Delli giovani della lingua, che sono il Spinelli, il Bruti e 1’Alberti, dirò questo solo, che il Spinelli per parlar ed interpretare sufficientissimo, ma quello che importa più, serve la Serenità Vostra con tanto affetto e con volontà così sincera, che mai ha ricusato di esponersi a qualsivoglia fatica, a incomodo per servizio della Serenità Vostra, anzi è stato sempre pronto in servire in quelle cose che gli altri hanno ricusato di fare. Ho avuto in questo mio bailaggio per secretario messer Antonio Pauluzzi qui presente, il quale anco ha servito meco la Serenità Vostra nella legazione di Spagna e prima anoa haveva servito il clarissimo messer Francesco Molin in quella di Savoia, e siccome in tutte queste legazioni si é sempre diportato molto bene e con compita soddisfazione di quelli che ha servito, cosi in quest’ultimo carico ha superato sé stesso, in modo che io li resta abbligatissimo. Egli ha di già servito così lungamente ed onoratamente questo Serenissimo Dominio, che si è reso molto ben degno della sua buona grazia. Non voglio raccontar, per non attediar la Serenità Vostra, quello ch’egli abbia patito in questo bailaggio e per causa della peste, che per due anni continui é stata ardentissima in quei paesi, e per li sospetti che si ebbero della morte del Gran Signore ed ultimamente per l’accidente di questa galera e per molti altri, che saria troppo lungo il riferirli, ma le dirò solo che con tutti questi accidenti egli non è mai restato, né per timor di peste, né per caldo, né per freddo, né per minaccie de’Turchi, d’andar sempre in ogni luogo dove occorreva per il servizio della Serenità Vostra, ben spesso passando il mare con molto pericolo della sua persona, in modo che ragionevolmente merita che siano riconosciute le sue fatiche, cosi in dargli modo da vivere come anco in ponerlo per una de’suoi. secretarii di Pregadi, poiché, oltre il convenirsi ciò alla solita benignità della Serenità Vostra, potrà anco esser utile sempre al suo servizio servirsi di soggetto, che con l’esperienza che ha acquistato delle cose del mondo, sarà sempre atto a ben servirla. Per mio coadiutore ho avuto messer Girolamo Pauluzzi suo nipote, ancor lui qui presente, del quale se avessi a riferire alla Serenità Vostra le molte virtù e degnissime qualità, non mi basteria molto tempo per dirne una minima parte. Ma confidando io che la Serenità Vostra conosca molto bene la sincerità della mia natura, spero che facilmente mi crederà questa verità, la quale in mia co scienza affermo esser verissima, che né per sufficienza né modestia ho conosciuto io alcuno del suo ordine che li passi andar innanzi. Le fatiche che questo giovane ha fatte, la pazienza che ha avuto, la modestia con che è vissuto e la diligenza con che si é adoperato sono cose incredibili a chi non le ha vedute. Ha ingegno mirabile ed applicato tutto al bene, affezionato al servizio della Serenità Vostra quanto più si possa desiderare, lui scrive e legge la cifra, come faria ogni altra sorta di lettera comune, ha buone lettere latine, indefesso nelle fatiche, obbedientissimo in tutte quelle cose che li sono comandate e soprattutto è molto devoto e timoroso del Signore Dio, ch’é il fondamento di tutte le virtù. Parmi che queste rarissime e nobilissime condizioni lo devono molto ben far degno della buona grazia della Serenità Vostra e mi sii lecito il dire, che sia vergogna, che chi ha così ben servito e che anco sia atto a cosi ben servirla nell’avvenire, resti ancora estraordinario di cancelleria. Però io per obbligo di coscienza e per quello che mi conosco obbligato al buon servizio della Serenità Vostra, riverentemente la supplico a riconoscere questo suo veramente degno servitore e che con tutte le ballotte sia ricevuto-nel numero degli ordinarii della sua cancelleria, cosi per ricognizione propria di questo soggetto, come per invitar con il suo esempio tutti gli altri alle virtù ed al buon servizio della Serenità Vostra.
Di me, Prencipe Serenissimo, Signori illustrissimi et eccellentissimi non voglio parlare, restando certo che per la singolar loro benignità senza altre mie parole si rendano persuaso, che io abbia fatto tutto quel che ho potuto e saputo per ben servirle, senza risparmiar fatica, pensiero né spesa per questo fine e se nelle mie azioni non ho potuto con gli effetti corrispondere alla buona volontà, che ho sempre avuto, voglio supplicarla a voler con la singolar sua umanità escusar le molte mie imperfezioni, potendole io con verità affermare, né indisposizion di corpo, né travaglio d’animo, népericoli di peste, né minaccia di morte o prigionia, né moltitudine di fastidiosi negozii, né qualsivoglia altra causa ha saputo mai rallentarmi punto nel procurar il suo buon servizio, conoscendo molto bene che gli obblighi che io ha alla Serenità Vostra sono grandissimi; onde confesso di non poter mai né anco colla propria vita soddisfare ad una minima parte di quello le debbo. Piaccia al Signore Dio, fonte di ogni bene, rendergliene il merito e conservar e prosperar di bene in meglio questa Serenissima Repubblica sino al giorno del giudizio universale.
“Relazione dell'ambasceria a Costantinopoli di Gianfrancesco Morosini, Bailo della Repubblica di Venezia, dal 6 maggio 1582 al 12 giugno 1585” trascritta in “Per le nobilissima nozze Nievo-Bonin” Venezia, 1854.