1742 - 1745 Giovanni Donà
Relazione
Serenissimo Principe.
Essendo dalli publichi sapientissimi instituti comandato a cittadini che hanno servito la Serenissima Patria in estere corti di dover rassegnare al loro ritorno dalle medesime la relazione del loro stato, sistema e governo, con quel di più fosse degno delli publici riflessi e considerazioni, in obbedienza alli medesimi, havendo servito a Vostra Serenità alla corte ottomana, sono nella precisa indispensabile necessità di rassegnarle la relazione di quello che nel corso del mio imperfetto e mal sostenuto ministero ho potuto rilevare, sì d’interne che dell’esterne cose di quella corte, e crederò degno delle publiche riflessioni.
Quale sia lo stato e la grandezza e la forza dell’Imperio ottomano, non lo rapresenterò che con brevità alla Serenità Vostra.
Esaminando lo stato suo per la sua vasta estesa, si riconosce atto a formar un grande e rispettabile Imperio, e dovrebbe pur considerarsi una forza insuperabile quando alla vastità de’ tereni che lo formano corrispondessero gli abitatori necessarii al coltivarlo, non solo per il sostentamento delli medesimi, ma per dar maggior vigore all’Imperio stesso et una maggior et più valida forza.
Questa forza dunque non è corrispondente alla vastità et grandezza dello stato ottomano, ma questo diffetto, che in sé stesso è grande, non dà mottivo a persuadersi che nel medesimo vi sia della debolezza; anzi, si riconosce il suo vigore in tale mancanza, posto che sia al confronto degl’altri principati d’Europa così che ha huomeni in numero, superiori di fortezza e robustezza di corpo et animo, atti ad intraprender le più azardose imprese et egualmente pronti alla difesa et forti per difender lo stato e ripulsar l’offese che da molti principi uniti si tentano d’inferirgli.
Con questa imensa vastità di terreni, e con questa mancanza di abitatori, comparisce l’Impero ottomano nel esaminarlo fondamentatamente. Per riconoscer poi le cause di tali contrarie e differenti figure, ne rassegnerò a Vostra Serenità li mottivi, premettendo gli istituti e leggi con le quali è diretto, sì nel civile che nel ecconomico e criminale.
Considerando le sue leggi et instituti, certamente la raggione persuaderebbe che atti fossero ad ampliar il concorso d’abitatori, et acrescer il numero de’ sudditi.
Prescrivono le statutarie leggi che qualunque desiderasse terreni per coltivarli, li siano con agevolezza accordati, con annua corresponsione di cannone.
È stabilito dalle leggi che qualunque cosa inserviente al sostentamento della vita humana sia esente da ogni corrisponsione al reggio errario, et fissano il tributo annuale che contribuir devono li sudditi in così ristrette e proporzionate misure che né il suddito ricco né quello comodo possono dolersi di esser soverchiamente agravati, et il povero che non ha o sofre tenuissimo agravitione deve esser intieramente assolto.
Nelle civili questioni poi vi è facilità e solecitudine nel difinirle, e studio per ricconnoscere la verità necessaria per render giustizia. Egual è la prontezza nelli casi criminali, che però di raro succedono, mentre quasi nel momento che è commesso il delito ne sucede il castigo del delinquente.
Devo pur aggiungere la generosità che si prattica dal ministero e del sovrano d’accordar ampli privileggi et esenzioni a molti suoi sudditi, per puro atto di grazia.
Non si discosta l’auttorità sovrana da questi instituti, ma o deliberando a partitanti li tributi per li sudditi abitanti nella capitale, o addossando la riscossione alli comandanti destinati al governo delle soggiette provincie, impone nell’uno et altre proporzionata alli medesimi l’annuale rendita alla cassa imperiale.
Da questa generale e semplice espositione, con raggione si crederebbe che non vi potesse esser suddito più felice e trattato con maggior carità e clemenza che il suddito ottomano, e che in forza di ciò esservi dovesse concorso di huomini per vivere sudditi all’Impero ottomano, se per la tenuità degli aggravii e per la prontezza della civile giustizia, e per la sicurezza che deriva dal pronto castigo del delinquente, e per li privileggi che può con facilità conseguire; ma tutte queste leggi e statuti, e tutta la facilità e privileggi sono nella sua esecutione guastati e corrotti, e prevalendo l’avarizia, vizio commune negli Ottomani, non vi è raggione, o giustizia et equità che possa a fronte della medesima prevalere.
In forza di questa corruzione, il vilico che coltiva le terre, se per l’industria e fattica sua le rende fertili e ricava qualche proffitto, questo vantaggio le promove persecuzioni tali che sofrir deve d’esser spogliato di tutti li vantaggi riportati, et è aventurato se si sotrae d’altre pene e castighi. Disertano dunque gli agricoltori per fugir il pericolo, e se la fattalità li costringe ad esser soggetti, cercano di ritraer il semplice e parco sostentamento delle loro famiglie e di viver nella miseria, unico riparo per possibilmente preservarsi dalla violenza et avarizia de quelli che sopraintendono alli publici reggi terreni.
Le stesse angarie sofrir devono di tempo in tempo pur li privilleggiati, dalle quali non si possono esimer che con satiare l’avarizia de principali ottomani. Il tributo poi datto in apalto, quantunque nel suo impianto l’esazione apparisca conforme alla legge, non mancan artificii al partitante per aumentarla, replicando l’agravio alli sudditi, e chiudendo qualunque via alli riccorsi et alla giustizia, costringerli a spogliarsi volontariamente di tutto per non esporsi a pericoli di esser maltrattati con ingiusti castighi.
In egual misura si dirrigge la civil giustizia, così il prepotente gode il favor del giudice, e se mancano li mezzi alli litiganti non vi è modo di ritrovar il momento per definire le loro vertenze. Questi sono li mottivi che causano la mancanza d’abitatori corrispondenti alla vastità delle tenute ottomane, e non è sufficiente a trattenerlo l’osservanza della criminale giustizia, che sommariamente punisce le delinquenze, con che produce che vasti siano gli acidenti d’interfezioni, assassinii e per ciò vi si trova la sicurezza.
Non è suficiente però a riparar questa disercione de sudditi il creder che dalla auttorità sovrana vengono con gli ultimi suplizii corretti e puniti li comandanti delle provincie, gli apaltadori de’ tributi, li giudici, o sia li primarii ministri incolpati di estorsioni, perché da tale castigo non ricava alcun profitto il popolo, ma vede che il frutto delle sue sostanze si diffonde a solo vantaggio del reggio errario, e molto ancora a profitto particolare.
Esposti li mottivi per quali non corrispondono gli abitatori alla vastissima estesa delle ottomane tenute, et in conseguenza provano il difetto della competente forza, devo discender alla relazione delle cause per le quali l’Ottomano Impero, non ostante una tale mancanza, ha più forza et vigor maggiore di qualunque altro potentato di Europa. Devo però premettere che di due generi sono li sudditi ottomani, distinti dalla differente religgione che professano e dal differente servizio che devono prestare all’Imperio.
Quelli che non professano la religione maumetana sono soggetti alla corrisponsione de’ tributi, et ad altre angarie e più servili funcioni, et esposti e soggetti all’opressioni che ho di sopra esposto. Li Maometani poi sono esenti dalli tributi, ma solo obligati al servizio militare, civile, et al culto della religgione.
Quantunque li primi prevalgano di numero, composti di Greci, Armeni e di qualunque altro genere di gente di varie e diverse religgioni, tutte tolerate nello stato ottomano, non è però così indifferente il numero degli Ottomani, et ha tanto di attività che impone soggezione non solo, ma tiene in una servitù tiranica li sopradetti più numerosi.
Questo numero si divide il due classi, la prima di huomini di legge, divisa in due differenti mansioni, cioè di quelli che aplicano alla civile e criminale, impiegati negli affari e bisogni della corte e nelli tribunali per amministrar giustizia, e l’altra di quelli impiegati nel culto della religione, nella funcione e cura de templi loro e nella istruzione della gioventù. Questo corpo, che non è numeroso, è sotto la dirrezione di un capo denominto il muftì, rispettabile per le sue prerogative e per il rispetto della religgione, che porta influenza in tutti gli affari, anco politici.
Quantunque sia rispettabile questa classe per l’influenza che secco attrae in tutti gli affari, ella è limitata in tal guisa dalla autorità sovrana, che dipende totalmente dalla medesima con una precisa servile condizione.
Distrata questa tenue porzione, tutti gli altri numerosissimi Ottomani sono descritti nella milizia et educati nella medesima sin dalla più tenera infanzia.
Questo stato militare ha il suo particolar sistema, circoscritto da disposizioni et ordini per la sua direzione e governo e in esso si sono stabilite e descritte in corpi particolari, li differenti esercizii necessarii all’uso della guerra.
Non sarà forse disagradevole che esponga a Vostra Serenità in qual guisa ha diviso tutto questo corpo militare, e per far ciò devo rapresentarle che ha il primo luogo, e quella che è in magior riputazione e stimata è la milizia giannizzera, sì per l’antichità della sua istituzione che per il suo valore, e per l’imprese e conquiste fatte con la medesima dagli imperatori ottomani ne’ tempi passati. Questa milizia non è in presente raccolta con li mettodi prescritti da primi antichi instituti, con quali si ordinava di raccoglier e carpire dall’estere tenute la gioventù più fresca e di complessione la più robusta, per esser educata nella medesima, così che altri non riconoscesse che il sovrano che la nutriva. In adesso ella è formata di soli ottomani, e da loro figli, arrolati dalla più tenera infanzia. Tenue è il suo assegnamento, che consiste in sette aspri al giorno, moneta che corrisponde al nostro soldo, e pocco sorbà, o sia riso. Vero è che a misura del servizio e delle occasioni di guerra se gli accresce l’assegnamento, ma con molta ecconomia.
Numerosissimo è questo corpo, il quale per quanto si può ricavare con li possibili riscontri assenderà a teste 200 mila, diviso e ripartito nelle varie ottomane provincie. È però dirretto con tutti gli ordini militari di bassa e subalterna officialità, come da graduati e da generali, e dal suo particolar maresciallo, chiamato l’agà de giannizzeri.
Per conservar nella medesima la riputazione, sono descritti come semplici soldati molti de principali ottomani, e sin l’istesso sultano.
La tenuità della paga non disanima l’unione e il volontariamente arrolarsi, perché la sobrietà è naturale negli Ottomani, che desiderano bensì molto ma si contentano del poco.
Vi è pur un altro allettamento, e questo consiste nelle facilità accordate dall’officialità alli giannizzeri d’impiegarsi in altri esercizi più lucrosi, con rilasciar alli sopradetti qualche porzione della paga, cosa che non diminuisce il numero e che non lo rende mancante all’occasione della guerra.
Dissendendo alla milizia a cavallo, ella è formata di due spezie, cavaleria grossa chiamata de gebezì. Questa pur ha la sua officialità, et un particolar generale che la comanda, detto gebezì bassì, che è descritto nella medesima; ha paga per mantenere il suo cavallo, ma non ha certa riputazione, né è molto considerata. Il secondo ordine di cavalleria leggiera detta spaii. Questo corpo è formato da feudatari, detti zaimi timariotti, li quali a proporzione del fondo hanno debito di servire all’occasioni di guerra con proporzionato numero di huomini a cavallo. Questa milizia è decaduta dalla antica riputazione, e vivendo li capi alli loro feudi per il loro maggior vantagio, li è mancato quel appoggio e partito che le dava potere per figurare negli incontri delli più importanti affari dell’Impero ottomano.
Due altri corpi stanno descritti, e questi in continuo esercizio, inservienti alle militari occasioni. Uno è detto de baltazì, e questi in fatti formano un corpo de guastatori il quale precede l’esercito, e gode dalla reggia cassa giornaliera la paga. L’altro è e meterbasì, e questo pur sta destinato con l’istesse misure, essendo sua ispezione il travaglio delle tende, padiglioni, e di pintarli dove fosse stato dissegnato l’acampamento per l’esercito. Né manca pur il corpo de vivandieri, e di condutori del bagaglio, così che ad ogni cosa necessaria non manca gente pratica et esercitata nelle precise particolari funzioni.
Altro corpo sta pur arolato, e giornalmente pagato; è quello de bombardieri e bombisti, detti li primi topzii, e li secondi cismbarazì. Di questi è generale il notto Boneval, detto cismbarazì bassì. Tutto questo corpo è comandato dalla sua offizialità, essendovi li stessi gradi che esistono nella milizia giannizzera, et ha il suo primario generale detto topigi bassì, il quale ha l’ispezione e la dirrezione della fonderia de cannoni, mortari et attrezzi inservienti a questo ufficio, et a tutte le fondite di qualunque sorte d’artigliaria.
Tale è il corpo militare ottomano con il quale si tratta la guerra terrestre, et in questa sola viene impiegato. Dirretto con buone ordinazioni, et instituito sopra gli allettamenti naturali del avanzamento, imprime desiderio e fervore in tutti per esser arolati, mentre in forza del serviggio prestato, e di valorose azioni, può il più infimo soldato ascender alli primarii gradi della milizia, e dell’istesso ministero. Un altro effetto vantaggioso allo stato ne succcede da queste lusinghe, et è la premura e l’interesse particolare che ogni uno ha fisso nell’animo per la gloria, et interesse e grandezza dell’Imperio. Altro non manca a questo corpo che una miglior militare disciplina, quando si facia confronto con gli usi et instituti moderni de prencipi, ma per il suo temperamento non è capace di riceverla, né fu possibile d’introdurla, e forse, se fosse introdotta, produrrebbe effetto differente, per che non sempre giovar posson le stesse cure alli diversi temperamenti de corpi, che devono essere assogettati alle riforme.
Un altro genere di milizia susiste, detta de bostangi. Ella rassomiglia in parte all’antica pretoriana milizia. Le funzioni sue si restringono alla custodia della città principale, del Serraglio stesso e di tutte le reggie fabriche; è tenuta di far pur l’ispezione di custodia alle rendite reggie et d’impedire le contrafazioni. Questa miliza è pagata separatamente dall’altra, e diretta da varii capi del proprio ordine sotto un capo principale detto bostangi bassì; carica rispettabile per esser all’occasione di vedere, servire e parlare con il sovrano medesimo, e perché un tal capo più volte fu esaltato alle primarie dignità dello stato. Ella è poi disobligata dal servizio nell’occasione della guerra, ma succedendo la medesima, sempre ha fatto volontaria esibizione di prestar servizio nella medesima, ma mai è comparsa in figura honorevole, né si è distinta con azioni particolari di valore.
Esposto la milizia terrestre dell’Ottomano Imperio, Vostra Serenità attenderà che le riferisca di quale milizia egli si serva sopra l’armata maritima, sì sottile che navale.
Devo dunque discender a rasegnarle l’ordine istituito da quella potenza per questo maritimo servizio. Questo consiste in un genere di gente denominata leventi, che suona nella nostra lingua huomo di marina.
Per spiegare a Vostra Serenità con la possibile chiarezza quale sia questo genere di gente e come impiegata a servire, è necessario che l’esponga il mettodo con il quale regola l’Imperio ottomano le sue armate maritime.
Questo consiste nel far che nella staggione della campagna agiscano, e terminata la medesima siano disarmate. Nel tempo che armate devono uscire, si arrolano li leventi in numero proporzionato alla qualità de bastimenti che devono guarnire. Questa gente deve suplir a tutti gl’uffizii della marina, e manuali esercizii della navigazione, e deve impiegarsi pur in tutte le funzioni della diffesa e preservazione de’ bastimenti medesimi da qualunque agressione. Raccolti che sono li leventi, se ne instituiscono li ufficiali semplicemente subalterni, per comandarli in qualche ordinazioni, che sono comandate dal reis, o capitano della nave, o dal bei della galera.
Se le stabilisse la quantità della paga, che devono conseguire per il solo tempo della campagna che servono, e questa è corrisposta con proporzione all’habilità loro, sì per la navigazione che per il valore; oltra dinaro che forma la paga se gli unisce pocca quantità di biscotto e di riso, requisito inserviente al loro nutrimento.
Prima che esca l’armata, le sono soministrate due paghe in effettivo contante; non li viene corrisposto altro denaro per tutto il corso della campagna. Terminata la medesima, sì le nave che le galere sono disarmate di tal trupa, e tradotte nell’arsenal. Prima che segua il disarmo, sono li levanti prontamente saldati delli loro avanzi in effettivo contante, non conseguendo per tutta l’invernata alcun emolumento o mercede dal reggio errario.
Questo è il metodo che osserva l’Impero ottomano nelle sue maritime armate, mettodo che non le fa mancar l’afluenza et il concorso di leventi all’annuale servizio, e che mai le manca pure all’occasione di guerra. Questa sorte di trupa non è in alcuna riputazione apresso gli Ottomani, se si guarda il costume suo scorretto, dedito alle ruberie et alle violenze; et perché nella medesima vi entrano e sono descritti numero non indiferente li loro sudditi greci, li quali forse sono li più habili e più esercitati nella professione della marina.
Credo che non sarà disgradevole all’eccellentissimo Senato il sapere il modo che si osserva nel disarmo delle navi e galere.
Gionte queste nel real porto di Costantinopoli, in pochi giorni sono condotte all’Arsenale; sono colà spogliate di tutta l’artigliaria e letti inservienti alla medesima, di tutte le gomene e cai di campagna, le sono levati tutti gl’attrecci, sarchiami e vele, e tutto viene riposto nelli rispettivi depositi. Per assicurarle alle rive dell’Arsenale si fa uso de cai di rifiuto, e per sostenerle se le piantano ribocature vechie e con sarchiami di simil genere, conservandosi nelli depositi, e preservando dalli pregiudizii dell’invernale staggione tutti li preciosi attrezzi che servono all’uso dell’esercizio e navigazione nel tempo della campagna. Sin le ciurme delle galere, composte di schiavi, sono sbarcate e ricoverate in luogo per loro destinato nell’Arsenale medesimo, et impiegate in quelli lavori che occorrono dentro lo stesso. Questo mettodo produce che tutto è pronto e ben conservato ciò che fa bisogna per la solecita uscita dell’armata; tutta la cura e niente fa risparmia per la conservazione delle navi e galere, perché prima dell’uscita loro dall’Arsenale sono datte a tutta carena e perfettamente spalmate.
Nelli lavori poi di navi e galere, non hanno l’arte vera per perfettionare le medesime. Il caso però fa alle volte comparire sì dell’uno che dell’altro genere bastimenti travagliati con tutte le perfettioni, et attissimi alla navigazione.
Manca però legname di buona qualità per tali lavori, et impiegano il migliore nel opere vive, disponendo il lavoro nell’opera morta con quello d’inferior qualità, e di carico e diverso genere. Questo Arsenale però altro non è che di nome, infelice nell’aparenza e di poca sussistenza; nella aparenza compariscono fermate alle sue rive 24 navi, la mettà delle quali è totalmente inabile, e l’altra, eccettuate quelle destinate per li comandanti, e due caravelle, sono in positura di pocca sussistenza. L’armata sottile altro non ha che 12 galere. Riguardo al suo interno, ha venti depositi vasti e magnifici per conservar attrecci, legnami e tutto ciò è necessario per l’armare; ma non ha che un solo sito scoperto atto alla fabrica di due soli navi, e 18 volti per fabricar galere.
Sopraintende e comanda nella direzione e lavori dell’Arsenale il capitan passà; e vi è destinato un luogotenente denominato terzani eminì, che in absenza sua sostiene la primaria dirretione, essendovi molti capi direttori delli differenti lavori che si travagliano nel medesimo. Il capitan passà pure è supremo comandante dell’armata navale e sottile, e questo sostiene il primo posto, non solo in forza della sua antichità, ma perché la carica di bei, o sia sopracomito, passa nella discendenza delle famiglie, e sono considerati in grado di nobiltà. Non sono in estimazione eguale li comandanti e capitani dell’armata navale perché gente di fortuna, et estrati dal corpo de leventi.
Nell’una e l’altra armata non vi è alcuno che abbia vera cognizione della nautica, eccettuato il capitano delle navi Solimano, huomo in età avanzata, e che si trovò in tutte l’occasioni e incontri della decorsa guerra. L’ho più volte veduto, e dimostrava amicizia per la mia persona, e in varie occasioni celebrò il valore de’ veneti comandanti, tra quali nominò con particolare estimazione l’eccellentissimo signor Marcantonio Diedo, rammemorandomi l’illustri azioni sue e in quanta riputazione fosse il medesimo presso tutta l’armata ottomana.
Non è però l’Arsenale di Costantinopoli il solo per la fabrica delle navi e galere; vi sono quelli di Sinope, Metellino e Rodi. In Sinope, città situta alle sponde del Mar Nero dalla parte dell’Asia, vi è situazione suficiente per la fabrica di dodici navi, e in quella parte vi si trova il legname di miglior qualità. In Mettelino non vi è luogo che per il lavoro di due navi, et in Rodi per una sola, così in questi due luoghi et alle Focchie si travagliano con più frequenza le galere.
Il rinforzo però dell’armate navali sta negli arsenali di Alessandria. Con reggio comandamento, auttore del quale fu il famoso Ibrahim visir, fu stabilito che sempre esistesero 24 navi in quel porto, e per che havessero impiego et esercizio senza agravio dell’imperiale erario, comandò che in tempo di pace le sopradette navi fossero impiegate nel commerzio.
In presente pontualmente si osserva il comandamento, e compariscono annualmente con carico degli effetti e prodotti dall’Egito le navi stesse, denominate cairine. Ho creduto di far praticar esata oservazione sopra le medesime, e nella aparenza si acostano alle navi di primo rango, ma la loro strutura non è formata di gran forza, et il legname è di qualità inferiore e di pocca durata. L’equipaggio poi che le copre non ha che pochissima esperienza della navigazione, quantunque sia numeroso, e questo numero per il strabochevole carico di mercanzie, non basta alla difesa nell’occasione di qualche sinistro incontro.
Tale è lo stato et il sistema dell’armate maritime, della loro forza e degli arsenali dell’Imperio ottomano, così che unitamente al sistema sopra esposto dell’armate terrestri, la pubblica sapienza formar ne possi le più aggiustate riflessioni per li riguardi del suo stato, de’ suoi sudditi e della preservazione de’ medesimi.
Per non mancare in parte alcuna al dover riferire con la possibile esatezza le parti di quell’Imperio, devo discender a rassegnare a Vostra Serenità lo stato e sistema ecconomico del medesimo.
La rendita che confluisce nel imperiale erario non è, rispetto alla vastità dell’Imperio, assai grande, per che non sorpassa li 30 millioni di piastre. Tutto questo dinaro si ricava dalle vaste reggie tenute di terreni, sopra quali gl’agricoltori sono obligati alla contribuzione del canone, delli tributi che sono esati da sudditi, e dalle dogane instituite sopra il commerzio de’ forastieri, e separatamente sopra quele de’ sudditi, e sopra varii diferenti generi di prodotti, esegendosi con tal mettodo tutte le rendite pure delle varie suddite provincie. Tutto questo soldo entra nella cassa imperiale, diretta da un solo soggetto principale, denominato tefterdar, al quale vi sono agionti molti subalterni ministri, tutti però dipendenti e subordinati al medesimo.
Dal medesimo pure si suplisce a tutti li dispendii, sì del militare che di qualunque altro genere occorrente al servizio dell’Imperio, et a tutte quelle ordinazioni che dal sovrano, o dal visir, supremo ministro, le fossero commesse.
La uttilità della cecca sono un’aggiunta che accresce la rendita sopradetta, la quale essendo incerta, non è computata nel fondo delle annuli rendite, ma impingua et aumenta lo stato della reggia imperiale cassa. Il mottivo dell’incertezza è perché le miniere d’oro possedute dagli Ottomani, che esistono nella provincia di Dierbechir, sono diminuite di molto nella raccolta di tal prezioso prodotto, e forse è interrotto il lavoro delle medesime dalla guerra d’Asia, trattata nella loro vicinanza. Manca poi di argento, e deve raccoglierlo da forastieri, e spesse volte è in necessità di fonder le monete forastiere, principalmente talleri e ducati veneti, per suplir allo stampo della loro moneta d’argento, la quale di lega inferiore porta vantaggio di rendita alla imperiale cassa.
Tale è lo stato e la direzione dell’ecconomia imperiale, che in questa non succedono diffetti d’esazione; anzi si riscuote per l’intiero, non ametendosi escusazioni o pretesti a tutti quelli che sono tenuti ad ogni genere di corrisponsione della medesima.
Un’altra rendita egualmente ricca e opulente, è quella del vacufo, destinta al culto della religione et al sostentamento delli tempii e loro sacerdoti. Questa consiste in fondi di terreni e fabriche, che sopra il ricavato d’alcun genere di rodotti. Il maneggio e l’esazione di tal rendita non è però soggetta agli imani, o sia eclesiastici, né al mufti loro principale, ma è in potestà delli due mori eunuchi chislar e casnadar agà. Con questa rendita sono proveduti il muftì et imani, et altri inservienti alle moschee, ma gl’assegnamenti loro sono ristreti, computandosi per grande quello che assende ad aspri cinquanta al giorno, moneta che corrisponde al nostro soldo, che è corrisposto alli principali imani. Questa cassa di vacuf è in molta sicurezza, e quando la necessità dello stato esige soccorso di denaro, non manca di soministrarlo con alcune condizioni, o di censo o di risarcimento, le quali sono di pura aparenza, e instituite per non promovere scandalo nella gente idiota. Questo è uno delli risorgimenti che nel caso del bisogno ha l’erario imperiale per suplir alli dispendii occorrenti nell’occasioni più stringenti della preservazione et aumento di grandezza, e gloria dello stato et Imperio ottomano.
Un’altra fonte di risorgimento le deriva dalle rendite del sultano stesso, che consistono in alcune particolar terre in devoluzioni di feudi, che nascono frequenti, e nelle contribuzioni di tutti li principali comandanti ottomani.
Non avendo il sultano agravio alcuno, ma proveduto esssendo di tutto l’occorrente dall’erario, sempre ha raccolte summe imense di denaro, il quale somministra agl’urgenti bisogni del suo Imperio.
Finalmente il più opulente risorgimento allo stato ecconomico sono l’angarie che si impongono alli più opulenti sudditi, e li spogli delli comandanti primarii e degli aministratori et apaltadori delle rendite imperiali. In momenti da questo fonte scaturiscono summe rilevantissime d’oro, sufficienti non solo all’urgente bisogno, ma bastanti per suplir in progresso alle altre dispendiose occorrenze. In conclusione, essendo tutte le sostanze delli sudditi, tutte quelle degli ottomani di qualunque condizione dipendenti dalla volontà del sovrano, egli non ha difficoltà e non è sottoposto ad alcuna censura se le toglie al particolare, principalmente all’occasione di servirsene per li bisogni dello stato. Questa è la causa che imprime tanto di forza nell’Impero ottomano, così che nel tempo che si riconose situato nelle maggiori angustie, risorge nello stato primario, et con aumento di fortuna e di grandezza.
In questo così ordinato e potente Imperio, vi rapresenta la sovrana imperiale figura Mamut. Questo principe, al quale la natura non li ha donato alcuna distinzione, anzi lo ha costituito in una imbecile, picciola e mal formata figura, nel volto e nell’aria comparisce con qualche maestà. Dedito è poi per inclinazione alla religione, e consuma qualche ristretto tempo nelli studi, ma si abbandona per la maggior parte a puerili divertimenti, effetti prodotti dalla mala educazione, e coltivati da quelli che li sono vicini, e che sono nella sua grazia, onde sia in necessità d’abandonarsi alli loro consigli et aver magior facilità di dominar il suo spirito e condurlo nelli loro particolari interessi.
È però principe clemente e benigno, amante del giusto, e verso li forastieri ministri che se gli presentano usa espressioni cortesi, contro l’uso de passati ottomani imperatori.
Non è esente dal vizzio di avarizia, naturale in tutti gli Ottomani, ma ridotto ad un estremo risparmio di ciò che possede, lontano per altro dal procurar di posseder quello degli altri, con la rovina e sacrifizio de posteriori. Possiede dunque l’amore de’ suoi sudditi e de’ principali del ministero, e per tal raggione sussiste nella suprema imperiale figura, nonostante li naturali diffetti e la mancanza di posterità.
Nella famiglia ottomana susistono un principe fratello del medesimo, huomo fiero e pocco capace, per quanto corre la fama di raggione. Due altri principi, figli del defonto imperatore Acmat, esistono, giovani, d’indole nobile e d’espetazione. A norma dell’ottomano costume, sono tutti tenuti con custodie particolari, e lontani da qualunque conversazione. Ad un solo precetore è permesso il vederli ad oggetto d’istruirrli nella morale e nella religgione.
Habita il sultano nel seraglio, eccetuato il tempo della campagna, possedendo molti grandiosi palazzi nelle campagne d’Asia e d’Europa. Il Serraglio però dove esiste l’imperiale habitazione è una gran cittadella nella più amena situazione di Costantinopoli, e che domina l’inbocatura del porto, circondata da grosse muraglie antiche, et interote da frequenti grandi tori, tutta la facia che guarda il mare, e l’altra pur che guarda il porto, è munita di batterie di grossi cannoni. Il pressidio che custodisse l’interno è composto delle due milizie, de bostangì e baltazì.
Numerosa è la corte del sultano, e nella medesima vi esistono tutte le cariche competenti alla sovrana imperiale figura con varie denominazioni, diverse dagl’usi nostri, e che credo superfluo di rifferire. Due altri generi di huomini figurano molto nel Serraglio, e sono gl’eunuchi bianchi e gl’eunuchi neri. Li primi li formano una spezie di guardia, quando dimora fuori dell’harem, o sia abitazione delle done sue. Li neri sono custodi di queste, e dello stesso sovrano, essendo frequente e giornaliera la conversazione del medesimo con le femine; ne succede che abbian perciò gl’eunuchi neri magior acesso al medesimo, et in conseguenza magior auttorità et estimazione.
Hanno le femine del seraglio alle volte influenza grande in tutti gl’affari, in forza della predilezione che ha il sultano d’alcune delle medesime; ma aquistano un diritto d’auttorità quando siano madri dell’erede presuntivo dell’Imperio. Nel tempo presente, non havendo il sultano posterità, né essendo oltre modo dedito alle medesime, non c’è alcuna d’esse che figuri con notabile distinzione.
Con la conessione di tutte queste cose, grandioso è l’equipaggio del sultano, e magnifico in ogni genere e diferenti cose che lo compongono, et aparisce più luminoso nell’occasione delle publiche funzioni, e singolarmente per quantità e distinta qualità de’ lavori, e delle singolari e ricchissime bordature.
Educati li principi ottomani nella loro prima età in tanta ristrettezza, et esaltati poscia alla sovranità, occupato avendo il spirito dalla grandezza dell’Impero, e lasciandosi rapire dalle delizie e dalla adulazione del seraglio e de’ favoriti, perché l’Impero 964 non abbia a soffrire pregiudizi è instituita l’elezione di un primo ministro, con titolo di primo visir, et è al medesimo un luogotenente, denominato visir chiaisì, sostituito per suplire agli affari in mancanza del medesimo.
Per render perfetto il ministero si elegge dal sultano il reis effendi, o sia gran cancelliere, e due cadileschieri, che sian giudici uno dell’Asia, l’altro dell’Europa, principali conservatori e protetori delle leggi.
L’auttorità del visir ha tutte le prerogative e l’intiero e dispotico esercizio del militare, ecconomico e politico, come pure della civile e criminale giustizia. Non ha bisogno di ricorrere alla auttorità sovrana per operare, ma dispone e fa eseguir tutto quello esso crede che giovi allo stato, senza render conto alcuno al principe. Tale è la auttorità e le prerogative di questo ministro, la fortuna e sussistenza del quale dipende però dalla volontà del sovrano.
Nelle cose politiche che ha però una grande ingerenza il reis effendi, mentre dispensa del suo offizio è il raccoglier gli affari tutti, esaminarli e discuterli unitamente al tezcherezì, o sia segretario del sovrano, et al balizì segretario della cancelleria, per renderne informato il supremo ministro. Dovendo però il visir terminar qualunque affare, deve esser assistito da uno de cadilescheri, onde non possa succeder deliberatione alcuna contraria alla legge.
Quantunque sia circoscritta da questi accessorii l’auttorità del primo ministro, si estende al di sopra della legge e della raggione, e tutto si considera giusto, quello che è parto della assoluta sua volontà in vantaggio o discapito degli affari della gisutizia o delli trattati tra li principi forestieri, e della fortuna e decadenza de’ sudditi.
Habita il primo ministro in un reggio palazzo in pocca distanza dal seraglio, e nel medesimo vi esiste l’imperiale cancellaria, e si raccolgono tutti gli offizii del ministero e di giustizia; et ivi infatti vi è la figura e la sostanza della corte, e perché niente manchi ad una tale dispotica figura a corpi di guardia di vario genere dell’ottomana milizia et officialità graduata che presiede alla medesima. Questa primaria dignità in presente è decaduta da quella auttorità e dispotismo annesso alla stessa. Il seraglio ne ha invase tutte le prerogative e li due eunuchi mori, chislar agà e casnadar agà, ne esercitano le medesime con arbitraria dispositione in forma della grazia e favore che godono del sultano, e per la debolezza dello spirito medesimo.
In ogni tempo li favoriti del Serraglio si arrogavano molta autorità nelle cose dello stato, ma sempre era contrastata dal primo ministro, e molte volte vi riusciva a deprimerle.
Esaltato in questi ultimi tempi a questa primaria dignità Assan Bassà, era agà de’ gianiceri, homo ignaro degli affari e che non conosce le lettere, lasciò all’arbitrio delli due eunuchi tutta la cura del governo, contento della figura e della considerazione e stima della milizia giannizzera, nella quale fu già nella prima infanzia descritto et educato, e passò per tutti li gradi ordinarii, e mettodici della medesima.
Tale essendo il contegno del primario ministro, tutto si opera negl’affari, e tutte le determinazioni de’ medesimi, dipendono dalla volontà et arbitrio delli due eunuchi, li quali coprono il loro dispotismo con la supposizione degl’assensi del sovrano. Hanno questi unito ne’ proprii interessi il reis effendi, huomo di talento e di capacità, e che conosce e intende gl’affari dell’Imperio, e quelli che ha con principi forestieri. Egli però è contaminato d’una sordida avarizia, così che niente opera quando non sia sodisfata la sua predominante passione.
Per assicurarsi l’usurpato dominio, si hanno unito con due de più accreditati huomeni di legge, et era il muftì Birisadè, et il precetore de’ giovani prencipi Aouzadè. Con tali pressidii, e per la debolezza del supremo ministro, tutta l’auttorità di questo è riposta nel potere delli due eunuchi, la auttorità et il talento de’ quali si è fatto conoscere per distinto nel maneggiare gl’affari, e nel far vedere e ripararsi dalle iature, e con prevenzione addattarvi gl’oportuni e salutari compensi.
È agittato questo Imperio dalla guerra di Persia. Questa, oltre gl’imensi dispendi per la lontananza nella quale è maneggiata, che assorbono la maggiore e più florida parte dell’erario reggio, forma un disperdimento di popolo allo stato, il quale le deriva più che dall’occasioni militari dalla lunghezza delle marchie e dalla corruzione del clima, e dalla mancanza di tutti li requisiti necessarii al sostentamento humano in paese tanto travagliato, e per sì lungo tempo, dagli eserciti persiani et ottomani.
Per queste cause ella è guerra dall’universale del popolo e dalla milizia aborita, onde dalle disposizioni necessarie a farsi per la campagna, et alli rinforzi che si devono spedir per suplir alle mancanze, vi è della repugnanza nella milizia, et in conseguenza sta esposto al pericolo non solo lo stato, ma la stessa fortuna del sultano, de’ favoriti e di tutto il ministero. Il pericolo si acresce se la guerra si maneggia con sfortunati successi, mentre secondo il costume ordinario degli huomini s’impunta la colpa al governo delle disposizioni, e sempre si pensa che tutto sia condotto dall’artificio e da secondi fini della privata passione, e dalla particolare fortuna de’ ministri. Fu prossimo a succeder qualche interno accidente, allor che fu sconfitto dal Persiano il serchiar Gengè, ma così provide e così opportune furono le disposizioni del seraglio, e condotte con prudenza et avedutezza tale che fu sconvolto ogni dissegno contrario alla sua fortuna, e non fu turbata la quiete interna della milizia e del popolo.
Argomento di questa guerra furono le notte rivoluzioni della Persia, dalle quali invitato l’Imperio e stimolato dallo spirito d’accrescer dominio, s’impegnò nella conquista d’una grande opulenta parte del dominio persiano, la quale le riuscì con facilità, in forza appunto delle medesime.
Usurpato poscia il regno persiano, con la desolazione della reale famiglia de soffì, dallo attuale Sacnadir, et instalato nel medesimo per le sue valorose azioni, stabili il dissegno di ricuperare li stati usurpati dagli Ottomani; e questo fu il primo mottivo della guerra che insorse, e da sì lungo tempo ancora susiste tra gli Ottomani e la Persia. Doppo varie vicende, finalmente prevalse la fortuna del conquistatore persiano, con la ricupera de stati perduti nel tempo della rivoluzione.
In questo intervalo di tempo, molti furono li proggetti di pace tra questi due potenti monarchi, e sempre fu dal Persiano inestata la pretesa riguardevole d’aver parte e che la sua nazione fosse accolta e valutata egualmente agli Ottomani nel dominio, nel culto e nelle visite del santuario del loro falso profetta alle Mecca. Delicatissimo questo articolo, perché unita la potestà sovrana a quella della religione, et essendo il sultano solo il riconosciuto per legitimo possessore e della auttorità e del santuario, non sarebbe così rispettabile la sua persona quando ammettesse un eguale, e sarebbe pericoloso che perdesse nel popolo principalmente quella cieca obbedienza e rassegnazione alla sua volontà, e caderebbe dalla credenza che egli sia il solo instituito e legitimo posessore del luogo sacro, et il vero capo et interprete della religione. Dificile è che si accordi dagli Ottomani una tale facilità, e conosce lo stesso Sach Nadir impossibile a conseguirsi; ciò nonostante comprende giovevole, ed è d’interesse il colorire con specioso pretesto della religione l’occasione della guerra, et render più pronti li suoi sudditi al concorso della medesima con le persone e con li tributi. Le è però giovevole il pretesto per assicurarsi nell’usurpata monarchia, mentre sinché è circondato dalla milizia non teme de’ malcontenti e delli più grandi del regno, li quali si vedono decaduti dalla primaria fortuna, e necessitati a servire un aventuriere nato d’una abieta condizione. La guerra dunque per conto de Sach Nadir ella è di politica necessitata, e non già per continuar nel primo sistema di conquistatore. In prova di questo vi sono le direzioni dal medesimo tenute nelle campagne decorse. Egli altro non operò nelle medesime che con devastazioni delle tenute e provincie intermedie all’uno e all’altro imperio, e negli attuali fatti delle piazze non dimostrò né valore né esperienza per conquistarle. L’oggetto suo chiaro aparisse, et è di formar con la devastazione d’ampie tenute una barriera a proprii stati, onde gli Ottomani non possino avanzarsi con l’aggressione, e nel caso che volessero tentarla, manifesta fosse la rovina, come è successo nell’ultima sconfita datta al seranschier gengè.
Una tale e così lunga guerra, circuita da queste circostanze incomode all’Imperio ottomano, e di molto pregiudizio, imprime nel medesimo desiderii di pace, e sempre gli ha coltivati, et in presente li coltiva, o con l’interposizione del passà di Babilonia, quantunque sospetto, o con il mezzo d’altri emissari.
Impegno di tal sorte, forse ha disuaso il ministero ottomano dal prender rissolutioni o partiti negli affari di Europa. Non gli ha però abbandonati di vista e di considerazione, e le rissoluzioni varie e nuove prese dal medesimo, e rassegnate a Vostra Serenità ne’ miei umilissimi dispazzi, ne fanno una manifesta et evidente prova, così che se usase la medesima, non per ciò sarebbe ridotto in destituzione de’ mezzi per agitare l’Europa; anzi per la sua forza e vigorosa potenza forse sarebbe condotto da una politica necessaria per riparare agli interni sconvolgimenti di alterare li trattati e convenzioni con li confinanti prencipi di Europa.
Apresso questo sovrano, e ministero dirretto e governato con tali leggi, statuti e con tali divisioni e militari ordinazioni, Vostra Serenità mi ha destinato per suo ministro per manegiar a trattar gl’affari tutti, e per coltivar la reciproca corrispondenza in ordine alli trattati e convenzioni di pace. Molteplici sono gl’incontri di affari per le confinazioni e disturbi promossi dalle popolazioni suddite dell’uno, dell’altro stato, e per il piciolo commercio che per la necessità del proprio sostentamento dalle medesime si esercita. Tal sorte di negozii si rendono malagevoli per la natura feroce de’ popoli confinanti, pronti egualmente alle violenze et alla vendetta, e ancora alli spogli et alle rapine; ma li contrasta la diversità delle leggi, de costumi et il dover trattarli in un linguaggio non inteso, e di cui non si può conoscere la forza. L’avarizia e lo spirito violento degli Ottomani, e la considerazione e cognizione d’una superiore grandezza e forza, li rende più spinosi, e devo aggiunger che vi contribuisce delle difficoltà l’industria e malignità de’ forastieri, che mal volentieri sofrono di veder da tanti secoli conservata e mantenuta la Serenissima Patria nel luminoso suo stato, e compresa nella cospicua figura comune a tutte le teste coronate.
In tutto il corso però del mio imperfetto ministero, posso presentarmi a Vostra Serenità con il conforto, mercè la divina assistenza e le prudentissime istruzioni emanate dalla pubblica sapienza, d’aver maneggiati e consumati gli affari pubblici senza alcun nocumento dell’interesse e dignità pubblica, e preservati li diritti, la quiete delli confinanti sudditi, li dovuti risarcimenti, e la sicurezza delle loro sostanze e della loro sussistenza e del loro tanto necessario picciolo commercio, e nel tempo medesimo d’aver conseguito la puntual osservanza delli trattati e convenzioni di pace. Non ho tralasciato d’aver tutto lo studio per imprimer nel sovrano e ministero la sincerità delle pubbliche massime, la costanza nell’osservanza de’ trattati, et de conseguir l’oggetto importantissimo della reciproca corrispondenza et amicizia.
Non ostante li sospetti introdotti per estesi con maliziose e non vere dissaminazioni, ho potuto havere il conforto di far prevalere la verità e la sincerità de’ pubblici consigli e di comprovarli in tal guisa che Vostra Serenità non abbia a dubitare, sussistendo il governo presente, di veder o temer dal medesimo promossi disturbi di conseguenza e d’impegno tale da sturbare la quiete et alterare la osservanza delli convenuti e stabiliti trattati.
Le nuove honorificenze da quella corte accordate al veneto ministro, in onta dell’opposizioni insorte e promosse da’ forestieri, ne formano l’argomento più convincente di tali massime, le quali onorificenze quantunque accordate a tutti gl’altri forestieri ministri, al solo ministro di Vostra Serenità non erano concesse. Essendo le medesime universalmente da’ principi considerate come prerogative al reggio carattere impresso nelli loro rispettivi ministri, e dalla corte ottomana essendo le sole più distinte che siano concesse, coprendo li ministri forestieri della pelizza de zibellini, comparisce alla vista di quel gran mondo troppo odiosa la distinzione che il solo veneto ministro non avesse ad esserci compreso. Havendo dunque sortito che il reggio carattere pubblico sia con eguali onorificenze distinto, resterà il conforto all’animo mio di non aver in parte alcuna mancato nel sostener la dignità pubblica, e tutti li doveri e riguardi del ministero della sovrana suprema pubblica autorità commessami.
Tra le spinosità degli affari, e tra le circostanze et influenza fattali, e maligne de’ tempi presenti, ho riconosciuto quanto importi e giovevole sia alli pubblici riguardi la dignità ed interesse nel procurar et il coltivar l’amicizia d’alcuno de principali del geverno e favoriti del sultano. Viepiù ho veduto comprobato questo dalli documenti de’ nostri sapientisimi maggiori, li quali con tali amicizie hanno sotratto la Repubblica Serenissima da spinosissimi e particolari impegni. Questa massima pure è adottata da tutti li principi che hanno ministri in quella corte, cossì che non devo abusarmi della pubblica sofferenza con ulteriore riflessione per comprovare la necessità della medesima.
Dissi di sopra che la diversità della lingua non intesa dal ministro, è una delle difficoltà nel trattare gli affari pubblici; vi sono instituiti per suplir a questo difetto li dragomanni, e per sostituir alli medesimi li giovani di lingua. Questi sono ufficii delicati, sì per la qualità et abilità degli huomini che per invitarli ad aprendere il costume e la diversa lingua et assuefarsi a non temere li pericoli. Questo ordine di huomeni in quella corte necessario et indispensabile, non è posto in quel sistema che dovrebbe per il pubblico servizio. Rassegno dunque in due divoti dispazzi a Vostra Serenità questo argomento, ma niente si è fatto, intanto procedendo per natturale suo corso tutte le cose alla declinazione, sempre più in questa parte resta esposto il pubblico servizio. Ne faccio questo cenno a scarico del mio dovere.
Devo terminar questa imperfettissima mia relazione con rossore, perché nel servizio alla mia adoratissima Patria mi è mancato il talento e l’abilità; ma mi conforto con l’intero esame delle mie dirretioni, dal quale mi risalta che dalla volontà di ben servire non ho rimorso, e che sempre è stato e sarà l’unico oggetto delle mie fattiche et aplicazioni il procurare il miglior pubblico servizio, il preservare l’interesse dell’eccellentissimo Senato, sì per li riguardi del suo stato, de suoi sudditi e della pubblica ecconomia. E questa è la più speciosa mercede di un cittadino doppo aver fedelmente e prontamente servito alla sua adoratissima Patria.
Non devo defraudare di quella memoria, che è una giusta mercede, così il circospetto Pietro Busenello, che fu destinato da Vostra Serenità a servir la carica in figura di segretario, come pur il fedelissimo Giovanni Francesco Alberti, dall’eccelso concessomi per coadiutore, così che la gratitudine pubblica possa estender sopra li medesimi le giuste sue beneficenze.
Avendo così obbedito alle leggi nel rassegnar a Vostra Serenità questa mia divota relazione, mi resterebbe un altro argomento d’espore all’eccellentissimo Senato, et è il commerzio della veneta nazione con li stati e porti ottomani. Essendo però una tal materia disordinata e confusa, e circondata da certe maligne influenze che la rendono esposta a gravissimi pericoli, mi dispenso di produr un disturbo all’eccellentissimo Senato, che le riuscirebbe molto doloroso.
Con la sua sovrana auttorità, ha già istituito magistrature che vi presiedono, e avendo di tempo in tempo omesso di rassegnar a Vostra Serenità li disordini e li miei divoti sentimenti, sarei forse censurato se mi prendessi la libertà di ripeterli e di verificarli con nuove riflessioni, e con più certi et evidenti fatti.
Confido dunque compatirano il mio silenzio, e che la clemenza dell’eccellentissimo Senato, unita alla sua giustizia, userà verso di me gli atti della sua imparegiabile generosità. Grazie.
Adì 30 aprile 1746.
AS Venezia, Collegio, Relazioni b.7
Trascrizione di Maria Pia Pedani, in Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, vol. XIV, Relazioni inedite. Costantinopoli (1508-1789), a cura di Maria Pia Pedani, Padova, Ausilio, 1996, ora in https://unive.academia.edu/MariaPiaPedani