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1591 Ferigo Nani

Relazione

Relatione di Ferigo Nani ritornato di provveditore generale in Dalmazia

 

Serenissimo principe, illustrissimi et eccellentissimi signori,

Essendo stato io Ferigo Nani 32 mesi per Vostra serenità proveditor general nella Dalmatia (benché la mia elettione fosse per un anno solamente) et havendomi ella per benignità sua concesso gratia di riveder la desiderata patria, dopo infiniti travagli d’animo et di corpo patiti per il carico non solo difficile ma vario, ho giudicato mio debito di riferire a Vostra sublimità et a Vostre signorie illustrissime et eccellentissime quanto nel sudetto spatio di tempo habbi a beneficio delle cose publiche in quelle provincia operato et essequito et in oltre il stato et bisogno suo, come cose più degne et più necessarie dell’intelligenza loro. La qual mia relatione, se bene non apporterà quella dilettatione che sogliono far quelli degl’eloquentissimi senatori che con la viva voce rappresentano in questo gravissimo luoco le cose di maggiori principi del mondo appresso quali sono stati per servitio di Vostra serenità, non doverà almeno dispiacere come quella che darà conto delle cose proprie et più importanti di questa eccellentissima republica, le quali si come saranno poste in quella consideratione che conviene al publico servitio, così saranno esposti da me con quella maggior chiarezza et brevità che sarà possibile.

Et perché serenissimo principe, padri sapientissimi, i principali carichi ch’io ho havuti sono stati la materia d’uscocchi, le sue militie a piedi et a cavallo, monitioni, fortificationi, confini et negotii con turchi. Di questi ne tratterò quanto stimerò conveniente al publico servitio, né tralascerò anco alcune cose da essi dipendenti et altre dalla Sublimità vostra impostemi dopo la prima mia commissione.

Comincerò dunque dalla materia d’uscocchi, tanto importante a questo serenissimo dominio, per le sue consequenze, né mi affaticherò in narrare quale et dove sia il loro particolar ridotto, poiché ogn’uno di Vostre signorie illustrissime è benissimo informato esser Segna et Scriza, luochi dell’imperatore per le ragioni del regno d’Ongaria, Buccari, Buccariza et il paese del Vinodol, giurisditione delli conti di Sdrign, se ben soggetto alla maestà cesarea. In tutti questi luochi stantiano fino 1.000 di detti ladri, i quali fra essi hanno diversi capi, ma di pagati non ve ne sono più di 4 overo 6; et delle genti particolari circa 160, a quali anco rare volte vengono date le loro paghe, perilche questi et quelli non possono longamente sostentarsi senza rubbare; il che gli viene permesso, per non dir commesso, dalli capitani che di tempo in tempo s’attrovano in Segna, così per l’utile che ne cavano dagli bottini, come per quello che ne sentono altri ministri principali et ogn’altra sorte di gente, fino i pretti, fratti et chiese ancora, sendo a cadauno data la parte sua, il che molte volte è causa che gli ordini di quella maestà non vengono essequiti. Pochi de i sudetti uscocchi sono sudditi dell’imperatore, pochi di Vostra serenità, ma la maggior parte sono sudditi del signor turco de i confini di Dalmatia fuggiti a Segna et spetialmente li loro capi, onde avviene che quando passano a far danni nel paese turchesco vanno con quella securtà come s’andassero alle proprie case, havendo in ogni luoco amici et parenti, che non solo li spalleggiano, aiutano e tengono nascosti, ma gli danno anco le prede nelle mani. Et questo non fanno i morlacchi solamente, ma gli turchi stessi sono suoi amici et parenti salariati da essi, quali partecipando de i bottini li favoriscono molto ne i loro bisogni, il che è manifesto a tutto il paese et i medesimi turchi lo confessano et da me è stato più volte chiaramente conosciuto et particolarmente (si come all’hora ne diedi riverente aviso a Vostra sublimità) mentre volendo io far impiccar due uscocchi, già retenti dal clarissimo di buona memoria ser Nicolò Marcello capitano della guardia, alla presenza del chiaus del bassà della Bossina, mandato a me da lui per diversi negotii et spetialmente per dolersi di danni fatti da detti ladri, non di meno l’istesso chiaus, pregato da alcunii turchi confinanti di qualche consideratione, parenti d’essi uscocchi et recevuti anco danari per tal’effetto, venne a pregarmi con grandissima instanza, che in gratificatione sua volessi donar la vita a detti ladri, si come feci, condenandoli alla galea. Et egli mi fece di ciò due amplissime fedi, una delle quali mandai a Vostra serenità et l’altra al clarissimo baylo in Constantinopoli, per le quali esso confessava che questi erano stati presi dalle galee di Vostra sublimità, sudditi del signor turco, fuggiti a Segna a quali erano stati levati dalle mani 4 schiavi et che più volte s’erano ritrovati a far molti danni nel paese et a sudditi del gran signore et volendoli far morire, così ricercato da lui et in sua gratificatione, liberandoli dalla morte, li havevo condennati in galea. Questa gratia da me fatta al detto chiaus fu causa ch’egli s’adoperò di maniera che s’accommodorno facilmente et senza alcuna spesa tutti li negotii per li quali era stato mandato dal bassà suo patrone et spetialmente che si rifabricasse la villa di Malpaga, contra il voler del sanzacco di Licca et altri ministri capitali confinanti, che sopra ciò haveano poste molte difficoltà, si come all’hora avisai particolarmente la Serenità vostra. Onde da questo e d’altri accidenti occorsi manifestamente si vede li molti favori c’hanno i predetti ladri in tutto’l paese, senza li quali non è dubbio alcuno che non poteano così facilmente transitar a robbare come fanno et mentre continueranno in queste commodità, siane certa la Sublimità vostra et Vostre signorie illustrissime et eccellentissime, che non sarà possibile il vietarglielo. Vanno questi ladri hora in poco hora in molto numero, quando vanno pochi non si servono delle loro barche, ma pigliano di luoco in luoco di quelle del paese che gli vengono alle mani, navigando di notte et stando il giorno nascosti ne i luochi dishabitati, si riducono facilmente securi in quelle parti dove hanno deliberato di sbarcare, essendo in oltre benissimo avisati dove si ritrovano le guardie, le quali fuggono con facilità, passati poi fra terra, dove hanno li loro corrispondenti, stanno securi le settimane et mesi intieri et fatte le loro prede con buona occasione callando alle marine, se ne ritornano alli proprii nidi; et se pur occorre alcuna volta incontrarsi colle galee o barche armate, mentre siano vicini a terraferma, quasi sempre si salvano lasciando le barche che non sono sue. Quando poi vanno in grosso numero si servono delle proprie di 12 fino 16 remi l’una, capaci di 30 et 40 huomini, delle quali a Segna ne hanno molte. Navigano di notte et con tanta velocità che fanno 100 miglia in una sola notte, vogando in tre mude un’hora per ciascuna, di modo che con un poco d’avantaggio non dubitano di fuggirsene anco dalle buone galee. Et se tal’hora vengono stretti, riducono le barche nelle valli et luochi angusti et sbarcando in terra pigliano li siti forti, dove facilissimamente si difendono da ogni grosso numero di genti, fino che coll’opportunità della notte si ritirano a loro piacere in secura.

I luochi più frequentati da queste genti per sbarcar in terra a danni de turchi et sudditi suoi sono la montagna della Morlacca, il ghetto di Novegradi, la fiumara di Obrovazzo, le rive di Sibenico et Traù, perciò in queste parti, oltre che i luochi de turchi sono più vicini alle marine, per l’asprezza de siti non temono la cavalleria loro et per la commodità della montagna, valli et passi stretti, poco stimano le galee et vasselli armati; et in alcuna di queste parti ancora vi sono alquanti castelli soggetti all’Imperio turchesco loro confidenti et che gli pagano tributo, i quali non solamente non gl’impediscono il sbarcare et robbare, né si movono per il danno de vicini, ma ancora molti di essi s’accompagnano con loro alle prede; et vicino a Traù sono alcune ville, le quali riconoscendo il signor turco et anco la Serenità vostra, ma maggiormente li uscocchi, danno a loro in ogni tempo aiuto et favori; et questo basti quanto al modo che tengono sul robbare in terra. 

Le prede poi de i navilii, benché habbino grande commodità di farle per tutti li scogli di Dalmatia, per la quantità di vasselli che navigano in quelle parti et disarmati, tuttavia per lo più sono fatte nella fiumara de Narenta, dove non hanno minor intelligentia coll’istesse genti del paese che negl’altri luochi. Vanno anco sicurissimi, perché entrati nella fiumara non dubitano di alcuna offesa, sono avisati di tempo in tempo, non solo quando vengono e partono li navilii, ma etiamdio quando caricano et de qual sorte di robbe sono caricati, onde si può dire che vadino a preda certa et sicura.

Per assicurar le mercantie che vanno a quella scala, è stata armata da Vostra serenità una galea che le conduchi, ma per quanto io ho potuto vedere questa non naviga più sicuramente di quello che fanno gl’altri vasselli, poiché di continuo fa bisogno che sia accompagnata nell’andar et ritorno dalle galee et altri legni armati, con molto travaglio di esse galee, convenendosi per accompagnarla levar le guardie dagli luochi ordinarii, di modo che non credo che l’armar di essa galea habbi punto scemato il travaglio alla Sublimità vostra, mentre ella non s’armi di tal maniera che anco senza esser continuamente accompagnata possi andar sicura al suo viaggio.

Per raffrenar l’insolenza d’uscocchi fra le commissioni che mi furno date dalla Serenità vostra, l’una è stata ch’io dovessi far incommodare dalle galee quanto più fosse stato possibile Fiume, Segna, Buccari, Buccarizza et altri luochi dove hanno recapito, ritenendo li navilii che venissero o andassero a quelli, tenendo le galeee alle Bocche per prohibir ad essi ladri che non uscissero a depredar. Il che da me, per ubidire alli commandamenti di questo eccellentissimo Senato, è stato essequito quanto più si è potuto, mentre io ho havuto galee da potermi valere per tal effetto, quello che è stato rarissime volte, perciò che sebben al partir mio da Venetia mi sono state destinate sei a questo servitio, furno non di meno anco in breve levate et impiegate in altri negotii publici et posso dir con verità che in tutto il tempo d’esso mio carico per due soli mesi non ho havuto le sudette sei galee, ma quando bene l’havessi havute et maggior numero, poco havrebbero giovato, tenendole impiegate a questo assedio. Et giudico io che l’incomodar li sudetti luochi sia in ogni tempo per apportar poco frutto per molte cause. Prima non si può tener le galee a quelle Bocche nel tempo del verno senza pericolo di perderne alcuna et far morir le zurme di freddo, né torna conto al servitio publico l’estate tenerne tante infruttuose, non restando perciò luochi incommodati di ricever tutto quello che li fa bisogno per uso loro da Trieste et altri luochi per via di terra. Da poi, se ben Fiume viene in alcun modo a patir ne’ i suoi traffichi, a rincontro altretanto danno et incommodo vengono a sentire tutte l’isole, città e terre di questo serenissimo dominio nella Dalmatia, che vengono private dal commercio c’hanno colla sudetta terra di Fiume, oltre che li vien levata la comodità estrazer biave per il vitto loro; et l’isola di Pago in particolare patisse in estremo, perciò che essendo l’entrate di quelle genti per il più degli tratti di sali, che sogliono in gran parte esser spediti a Fiume et altri luochi circonvicini, essendosi vietati questi scali, contra li patti et conventioni c’hanno con l’officio eccellentissimo del sale, consequentemente vengono quei poveri sudditi privati delle proprie sostanze. Tutte l’altre città et luochi di Dalmatia patiscono molto di diverse cose necessarie al loro uso, non potendole haver altrove, se non con incommodo et maggior spesa; né per questo restano gl’uscocchi d’uscir a depredare, non curando punto li danni altrui, anzi essendo occupate le galee a queste guardie infruttuose et restando tutti gl’altri luochi senza guardie, possono tanto più facilmente andar dove più gli piace senza impedimento alcuno. 

Et il voler loro impedir l’entrata et uscita tenendo le galee alle bocche è cosa impossibile, così per le ragioni da me narrate, come per altre ancora che particolarmente Vostre serenità eccellentissime intenderanno. 

Sono, serenissimo principe, padri gravissimi, quattro bocche per le quali si può uscir per mare dalli ridotti predetti d’uscocchi: l’una è tra la terra ferma et l’isola di Pago, la seconda tra Pago et Arbe, la terza tra Arbe et Veglia et la quarta tra Veglia et l’Istria. Dalla prima all’ultima sono più di 100 miglia di distanza et queste non è possibile guardar tutte ad un tempo medesimo, perché tenendo le forze unite non possono servire in tutti i luochi et tenendole divise et deboli sono poco stimate et facili per esser offese, con pericolo di ricever alcun affronto, mentre essi ladri siano risoluti di uscire, oltre che non potendo le galee di notte con tempi cattivi et quasi mai in tempo di verno star alle bocche, ma ritirarsi nei porti sicuri, convengono lasciar il passo libero senza alcun impedimento, né possono le galeee per altri rispetti star sempre alle guardie. Et quando anco fosse impedito a gl’uscocchi l’uscir per le bocche sudette, non gli mancano molte altre vie, traghettandosi nelle isole colle barche del paese, di andar dove più gli piace, come ho predetto, sicché il voler con questo mezo prohibir in tutto alli danni che vengono riferiti, per opinione mia, è impossibile, quando ben anco la Sublimità vostra impiegasse a tal effetto tutta la sua armata.

Mi fu parimente commesso ch’io dovessi procurar d’inferir alcun danno agli luochi arciducali, dove hanno ricapito uscocchi, mentre l’havessi potuto farlo senza poner a rischio le galeee, come anco la dignità publica. Stimai bene soprastar l’essecutione di questo suo ordine, così perché all’hora mi convenne mandar tutte le galee nell’Istria per mancamento di biscotti, dove si trattennero due mesi continui con molto disconcio del servitio publico, quello c’hanno fatto tutto questo anno ancora, come non ritrovandomi forze bastanti, conosceva, che difficile et poco era il danno che si poteva fare, ma molto et facile quello che si haveria potuto recever, non senza qualche indegnità, quando detti ladri, con licentia et forse ordine de suoi prencipi, si fossero risoluti di risentirsi non solo sopra l’isole della Serenità vostra, ma anco nella terra ferma, colla molta commodità c’hanno di passare dalli loro luochi sotto la montagna sull’isole spetialmente di Veglia, Arbe et Pago, dove non è più ch’un solo traghetto nella maggior larghezza di due miglia, senza esser impediti né dalle galee né da altri vasselli armati e tanto meno nel cuor del verno, come era all’hora. Nelle quali isole haveriano potuto far infiniti danni sprovviste di ogni sorte di difesa, con pericolo di metter in necessità la Sublimità vostra a rompersi affatto con gli arciducali. Il che se ben può esser con molte ragioni dal canto suo, tuttavia è cosa molto considerabile per le consequenze che tirano seco i tempi presenti, ma pur anco quando in alcun tempo, spinta da giusto segno, ella si risolvi che sia data essecutione a simili ordini, sarà sempre bene proveder prima alla difesa delle sudette sue isole et altri luochi vicini, che possono esser facilmente danneggiati et assaliti da nemici, che si ritrovano senza difesa alcuna, perciò che oltre le genti degli arciducali, che stanno ordinariamente a quelle marine, quali sono si come ho antedetto al numero di 1.000 buoni huomini, possono in due giorni farne callar gran quantità del paese fra terra et facilmente, colla commodità delle molte barche c’hanno, traghettarsi sopra esse isole. Et quanto io ho detto in questo proposito servirà solo per riverente ricordo della Serenità vostra nelle venture occasioni.

Io, principe serenissimo, tengo impossibile vietar in tutto a questi ladri il robbare e tanto più quando siano risoluti depredar indifferentemente ogni sorte di vasselli, né potrà Vostra sublimità mai affatto prohibirglielo, quando anco volesse impiegarvi tutta la sua armata, come ho già detto, perciò che essendo il paese da loro infestato per larghezza più di 300 miglia, pieno di scogli et luochi deserti, dove navigano infiniti navilii di varie sorti et disarmati, non è possibile guardarli tutti, con tanta commodità c’hanno uscocchi, stando nascosti, d’insidiar li naviganti et guardarsi dalle galee et altri vasselli armati. Io so che vengono porti molti recordi a Vostra serenità per ovviar li tanti danni et raffrenar la insolenza di queste genti. Et ne ho anco sentiti diversi, ma a giudicio mio, credo che siano per giovar poco o niente. Recordano alcuni che si tengano del continuo nella città di Zara 600, overo 700, buoni fanti, i quali, uscendo gl’uscocchi, debbano esser imbarcati sopra le galee, per dover andar a ritrovarli et combatterli. Et inoltre che le genti delle isole, scogli et di terra ferma siano tenuti, per poter haver avisi dell’uscita loro et dove si trovano, far fuochi di notte et di giorno fumi. Trovo questa provvisione veramente in parte esser molto bella, ma però di niun frutto et impossibile ad esser esseguita, perciochè rarissime volte et forse mai, saranno pronte tante galee nel porto di Zara per imbarcar 700 soldati, li quali anco quando fossero si spenderà molto tempo all’imbarco et in questo mentre gl’uscocchi havranno commodità, non solamente di robbare, ma etiamdio di salvarsi. Et quando essi non si fossero ritirati in luoco sicuro, non si lascieranno trovar se non vorranno, perché le galee da lontano anderanno fuggendo a loro beneplacito. Et pure se fossero costretti dalla necessità di aspettare, lo potranno far sempre in luoco a loro molto vantaggioso et a nostri d’incomodo et pericolo et assalendo le galee ne i porti di notte, potranno farli ogni sorte d’affronto; né io so poi vedere, venendo occasione, quali saranno le barche c’haveranno a sbarcar tanta gente, se con li schiffi [?], in quanto tempo et in che modo, che da nemici non li sia inferito danno così nel sbarcare, come nell’imbarco, potendo gl’uscocchi in ogni tempo ritrovarsi ad ogni suo piacere et il peggio che a loro possi avvenire sarà il perder le barche. Appresso tutte queste cose s’aggiunge un infinito incommodo che torna a maggiori sopracomiti, ch’è haver sopra le galee gente italiana et se per molte cause molti d’essi fuggono la guardia contra uscocchi, questa saria una delle capitali. 

Che le genti poi degli scogli et isole debbano far di giorno fumi et di notte fuochi per avvertir le galee dove s’attrovassero gl’uscocchi, dico che molto difficilmente si potranno indurre, così per la natural affettione che portano ad essi ladri, come per timore d’esser da loro ammazati, quello che è accaduto più d’una volta in simil occasioni. Ma voglio etiamdio presuponer che si potessero indurre o per premio overo pena a far tali segni, dico che non saranno di alcun beneficio, anzi che i medesimi uscocchi se ne potranno servire per inganno delle galee et a commodo loro, mandando essi stessi a far tali segnali all’opposto del viaggio c’havessero a tenere, dove poi incaminandosi galee li lascierebbero il transito libero di andar dove più tornasse loro opportuno. Per tutte le predette cause dunque et molte altre che taccio, credo io che questo ricordo non possi in modo alcuno giovare. Miglior provvisione d’ogni altra sarebbe, le conditioni ultimamente poste nei capitoli delle tregue tra l’imperatore et il signor turco, che sua maestà cesarea non dia recapito a uscocchi et che i danni che fossero da loro fatti, debbano esser pagati da sua maestà, ma dubito molto ch’anco ciò non debbi apportar quel compito frutto che si desidera et se bene, per quanto ho inteso, siano stati dati efficaci ordini che uscocchi non debbino uscir a far danni per mare, né meno con barche fuori del canale della Morlacca, potria esser che per qualche tempo questi ordini saranno osservati in gran parte da quei pagati, c’hanno il loro ridotto in Segna. Deve però esser noto alla Serenità vostra et a Vostre signorie illustrissime, che dapoi queste ultime capitolationi sono stati scacciati fuori di Segna molti uscocchi non pagati, i quali si sono ridotti ad habitar in altri luochi circonvicini di marina. Questi non è dubbio alcuno che se vorranno viver continueranno andar a robbare, né potrà l’imperatore, né suoi ministri già mai ritenerli, mentre non si risolve di levar in tutto e per tutto questa gente dalle marine et prohibir che non si dia recetto alli fuggitivi del paese turchesco, levandoli anco le barche che tengono, per scorseggiare et vietargliele affatto. Ma per me non credo che così facilmente divenghi sua maestà cesarea a simili provisioni, perciò che il levare 1.000 uscocchi da quei luochi colle loro famiglie è cosa molto difficile, convenendo prima trovar il modo di sostentarli altrove. Né è di poca consideratione il dubbio che si può havere, che vedendosi queste genti levata la commodità del robbare, deliberassero la maggior parte di essi di ritornare in turchia, dove sarebbero accettati volentieri, i quali poi pratici del paese, fariano altretanti danni alli luochi dell’imperatore et degli arciducali, quanti hora inferiscono a turchi et con grande facilità restando il paese sfornito di difesa.

Non potendo dunque, serenissimo principe, le provisioni da me prenarrate apportar quel riparo alle cose di questo serenissimo dominio, che sarebbe di sua mente, né convenendosi manco tralasciar di esprimer et impedir quanto si può l’insolenza di questi ladri, la Sublimità vostra sarà sempre necessitata tener alcuna guardia a questo fine la quale, a giudicio mio, non doverà esser d’altro che di barche armate di gente del paese, spalleggiate però in occasione d’alcuna galea, poiché havendo io nel tempo di questo mio carico esperimentato, così le genti italiane come le albanesi e li schiavoni, li quali se ben tutte patiscono espositioni, non di meno li schiavoni manco dell’altre. L’italiani sono del tutto inutili, così perché non possono esser condotte se non colle galee, come per non esser atti al sbarcare. L’albanesi non sanno adoperar l’archibuso et sono malissimo veduti da quei del paese, onde haveranno sempre più caro il danno loro che quello d’uscocchi, ma li schiavoni all’incontro adoperano benissimo l’archibuso, non sono così mal veduti, non le mancano avisi sicuri, sono pratichi di tutti i luochi come gli uscocchi stessi, né gli resta altro che la pronta volontà di adoperarsi, alla quale facilmente si potranno indurre dando loro le taglie degl’uscocchi che da essi fossero presi o morti et procurando con ogni mezo possibile d’inimicarli insieme, il che forse sarebbe il vero rimedio di liberarsi in gran parte da tanti danni. Et se bene già molto tempo ho havuto tal opinione, non ho però potuto ritrovar persona che volesse accettar questo carico, se non ultimamente il capitano Gerardin Gerardini, il quale havendo armato quattro baichi con 100 huomini et io fattone armar un’altra in Almissa, s’ha egli con questi adoperato valorosamente in molte occasioni et voglio sperare che nell’avvenire, piacendo però alla Serenità vostra, si potrà accrescer anco questo numero et licentiate le cinque barche d’albanesi, li quali tutte importano di spesa al mese intorno 1.200 ducati senza il biscotto, che deve esser almeno 11.000.

Tra li molti travagli, serenissimo prencipe, ch’io ho sentiti nel tempo di questo mio carico per causa d’essi ladri, il maggiore et più importante è stato l’accidente occorso al stretto di Gliuba, il quale m’apportò tanto maggior dolore, quanto perché successe contra gl’ordini miei et senza alcuna mia colpa, non havendo io già mai dato commissione che si dovesse sbarcare, anzi lo prohibii affatto, quello che manifestamente appare a chi considera che della galea del magnifico messert Nicolò Foscari, sopra la quale io mi trovavo, essendomi di essa ordinariamente servito per la sua bontà, non fu all’hora sbarcato alcuna persona, nemeno alla fusta Gardeniga che m’era appresso et in oltre che io mandai il magnifico colonello Pierconte a dire al clarissimo signor capitano contra uscocchi che non dovesse sbarcare, ne meno lasciar sbarcare alcuno, se bene egli non poté arrivar così tosto che di già Sua signoria clarissima haveva sbarcato anco li albenesi, con infinito mio dispiacere e travaglio prevedendo il danno futuro. 

Che è quel tanto ho voluto sotto brevità rappresentar alla Serenità vostra et a Vostre signorie illustrissime et eccellentissime per scarico mio.

Io serenissimo prencipe ho sempre tenuto ferma opinione e tanto maggiormente dapoi che l’ho provato in me medesimo, che la persona del suo proveditor general in Dalmatia possi poco o niente rimediar all’insolenze d’uscocchi, perciò che stando egli in terra non può haver avisi, se non tardi, onde gl’ordini che da lui vengono dati molte volte sono fuori tempo et anco malamente esseguiti, anzi se debbo dir il vero, io dubito molto, parendo forse a quei che hanno carico d’esseguirli che ogni bene et male che succede sia il tutto attribuito al proveditor generale, vadino lenti nell’essecutioni, la onde per tutti questi rispetti io credo che non torni conto al publico servitio mandar per detto negotio d’uscocchi proveditor general in quella provincia, tuttoche dall’esquisito valor del clarissimo signor Antonio di Cavalli, di già destinato da Lei a questo servitio, si potesse prometter ogni possibile prova in superar le difficoltà predette, quello che per l’imperfettioni mie non havrò potuto far io, ma bene dar modo al clarissimo capitano, destinato a quella guardia, di poter attender al carico suo facendo che sua signoria clarissima habbi sempre alla sua ubidienza le sei galee deputate a questo servitio insieme con le barche armate, ma non già di quel modo che si è fatto in tempo mio, potendo dir veramente non haver havuto mai due sole galee ferme et continue per il detto servitio. 

Ho havuto bene un clarissimo valoroso capitano, degno per le qualità sue di eterna memoria, il quale certo in quel carico è stato utilissimo ministro di Vostra serenità, si come all’incontro è stata gran perdita al publico la sua morte. Non dovendo anco tacer la pronta volontà et molto valore che ho ritrovato sempre in tutti li magnifici Sopracomiti et patroni di fuste nel servitio di questa serenissima republica, ma però non poteva esso clarissimo capitano senza forze essequir quel tanto che era mente di Vostra sublimità et desiderio suo. Questo è quanto per l’obligo mio et per la promessa fatta ho potuto dire et racontar a Vostra serenità et a Vostre signorie illustrissime et eccellentissime, che possi esser di beneficio publico, intorno il travaglioso negotio d’uscocchi, riportandomi sempre con ogni debita riverenza al loro sapientissimo parere et pregandole ad accettare la mia buona intentione. Nel qual negotio la Sublimità vostra con tutta questa eccellentissima republica si rendi certa, ch’io non ho mancato di prestare tutto quel buon servitio c’ho potuto et che mi è stato permesso dalle occupationi degl’altri carichi da lei datimi. Et se in esso è avvenuto alcun accidente, che possi haverle apportato travaglio, non è proceduto certo d’alcun mio mancamento.

Vengo hora, serenissimo principe, padri ottimi, a dir quello che m’occorre intorno la provincia di Dalmatia, con quella brevità che potrò maggiore, così delle città, castelli, terre et isole soggette al dominio di questa serenissima republica et suoi presidii, come dell’entrate publiche et spese ordinarie et straordinarie, che al presente la Sublimità vostra ha in detta provincia et la quantità dell’anime che si trova in quella.

Possiede dunque Vostra serenità nella Dalmatia 15 luochi fra città e terre, nelle quali risiedono suoi clarissimi rapresentanti; 7 sono nelle isole, cioè Cherso et Ossero, Veglia, Arbe, Pago, la Braza, Lesina et Curzola; et 8 in terraferma: Zara, Nona, Sebenico, Traù, Spalato, Almissa, Cattaro et Budua, tuttoche questa sia posta nel principio dell’Albania; et anco castelli: Novegradi, il Castel Vecchio et di San Nicolò di Sebenico, di Lesina et di Cattaro. Rendono d’entrata alla Sublimità vostra tutti i predetti luochi all’anno 36.000 ducati, non computati li sali di Pago et di Sebenico, che ascendono alla summa di 70 in 80.000 un anno per l’altro. Et elle ne spende in salariati et altre spese ordinarie et straordinarie, non comprese le militie et fabriche, 24.000 ducati.

La cavalleria parimenti, si come più volte ho scritto a Vostra serenità, s’attrova in cattivo stato et spetialmente i levantini, i quali non hanno con che sostentarsi se non la semplice paga, colla quale non si può trovar gente di quella natione che vogli rimettersi, onde contra le deliberationi di questo gravissimo consiglio si conviene per necessità riempir le sue compagnie di gente del paese. Alche anco s’aggiunge la quantità di capitani, i quali possono a pena sostentarsi colli suoi famigliari non che le compagnie. Et dal molto numero d’essi nasce anco un importante disordine, ch’essendo le compagnie levantine di 10 cavalli l’una et quelle di crovati di sette, havendo ciascuno un ragazzo et forse qualche servitore, vengono ad esser 12 et più per 100 di gente inutile. E ritrovandosi sempre nelle compagnie alcun luoco vacuo, alcuno ammalato et alcuno senza cavallo, accade spesse fiate che in una compagnia s’attrova la metà atta a far fattioni. Di che ne ho più volte significato ogni particolare alla Serenità vostra. Non voglio anco restar di dire riverentemente che torneria di maggior servitio di due compagnie farne una, ponendole sotto la cura di quei capitani che a lei paressero più atti, lasciando a gl’altri il loro stipendio in vita sua, i quali servissero come lanze spezzate; sarà anco bene levargli tutti li ragazzi, perciò che poco se ne servono et parte della loro paga assegnar alli capitani, accioché havessero modo di attender come debita et honoratamente si conviene al carico loro et certamente se Vostra sublimità non diviene ad alcuna presta deliberatione, siane sicura che in breve tempo si ridurrà quella cavalleria in stato tale che non potrà prestar alcun servitio.

La metropoli della provincia di Dalmatia è la città di Zara, fortezza di quella importanza che è molto ben noto alla Serenità vostra et a Vostre signorie illustrissime et eccellentissime non solo per interesse del suo Stato da mare et di Venetia in particolare, ma di tutta la christianità ancora. Questa è fabricata sopra una lingua di terra bagnata la maggior parte dal mare, havendo da un canto il canale, largo 3 miglia in circa et dall’altro il porto, di modo che la fronte contigua alla terra ferma non è più che intorno 200 passa, dove è fabricato il forte per antimurale et primo propugnacolo alla città, il cui fosso, in tempo del mio carico, ho fatto cavar di larghezza 28 passa et esso forte ridotto alla sua perfettione. La città poi è medesimamente finita di muraglia, come anco maggior parte di terrapieni, mancandogli solamente i parapetti, accomodar le piazze et far il cavallier di Santa Marcella, havendo io fatto fornire del tutto il belloardo Grimani et il suo cavallier, come membro più importante et difesa capitale di tutta quella fortezza, il qual è di maniera eminente a tutto’l forte, che si può dire ne sia patrone. Tiene Vostra serenità in quella sua importantissima fortezza per suo ordinario presidio 410 soldati italiani sotto cinque capitani et un governatore; cavalli 150 sotto 17 capitani; 15 bombardieri et un capo. La spesa di tutte queste militie importa all’anno 27.760 ducati. Presidio sufficiente in tempo di pace, ma in occasione di difesa da chi volesse espugnarla (cha Dio la guardi in alcun tempo) vi voriano almeno 7.000 buoni fanti, per ben guardarla et munita d’avantaggio d’ogni sorte di munitioni et vittovaglia, poiché in quel caso si può molto dubitare che il soccorrerla debba esser difficile, per non dir impossibile, rispetto al sito, dovendosi creder fermamente che non venirà già mai il nemico alla sua impresa se non con armata grossissima, alla quale non potrà quella della Sublimità vostra opponersi et far resistenza, ma egli colla sua per la commodità della lunghezza et strettezza del canale con molta facilità, impedirà ogni soccorso che se gli volesse mandare. Però venendo l’occasione si doverà poner ogni spirito per ben munirla et presidiarla. Non traze quella città dal suo territorio il vitto a pena per due mesi, il qual anco gli può esser facilmente levato dall’inimico, onde per tutto’l resto dell’anno conviene rimettersi alla volontà et discrettione de turchi confinanti (quello che fanno anco tutte l’altre città della provincia) cosa invero di molta consideratione. Et si come gl’anni a dietro et particolarmente in tempo ch’io ero capitano per la Serenità vostra in essa città, per le molte biave che continuamente concorrevano di Sottovento, non si teneva alcun conto di quelle de turchi, così hora, non ne venendo una minima summa, bisogna haver di gratia et pregarli, che ne lascino venire nella città et anco con poca riputatione della fortezza si conviene introdurre quelli che conducono le biave, le quali venendo etiamdio scarsamente si espediscono di giorno in giorno alle donne c’hanno cura di far il pane detti pancogoli et ad altri che ne hanno bisogno, il che io stimo di grande consideratione appresso la Sublimità vostra et Vostre signorie illustrissime et eccellentissime, stando in poter di turchi far cader quella fortezza in estrema miseria. Et se bene la Serenità vostra ha provisto di 2.000 ducati per far una deposito di formenti, si trova non di meno esso deposito rare volte fornito, onde in ogni caso sarà bene ch’ella provedi d’una buona et ordinaria monitione di migli et segalle, non solo per bisogno di quella fortezza, ma per poter sovvenir anco l’altre città della provincia, non vi essendo al presente se non intorno 400 stara di migli et 900 stara di formento, ch’io comprai poco avanti il partir mio; si ritrovano bene in quella Camera ducati 5.000 in circa di ragione di migli, i quali ho lasciato ordine che potendosi siano investiti.

Nella detta fortezza, che in occasione di guerra doverà in gran parte esser il ricetto di molte provisioni, nella quale anco in tempo di pace di tengono molti biscotti et altri apprestamenti necessari per la sua armata. Sono per tal effetto due soli magazeni di ragione di Vostra sublimità, li quali ho fatti far io capaci d’800 migliara di biscotti, con un luoco sotto d’essi per pallamenti et altri legnami et di sopra per vele et armizi, ma perché quei non suppliscono al bisogno, sarà di molto servitio fabricarne degl’altri.

Vi è anco mancamento grande d’alloggiamenti, così per l’infanteria come per la cavalleria et quei pochi che si attrovano per la militia sono cattivissimi, fuorché alcuni da me fatti fare molto commodi vicino alla porta di terraferma per 200 soldati. Et crederei che tornasse di servitio fabricarne degli altri, accioché per ogni minimo accidente non si convenghi alloggiar li soldati nelle proprie case di cittadini, con infinito loro travaglio et mala satisfattione, oltre che se soldati haveranno li lor quartieri vicini alle mure, sarà di maggior sicurtà et quiete di quella fortezza et si governeranno e teniranno più facilmente in freno, che stando, come fanno, sparsi per la città.

Al partir mio da Venetia mi furono dati 1.500 ducati per fabricar alloggiamenti per quella cavallaria, ma con ordine espresso, che trattando prima con quei clarissimi rettori del modo et spesa, dovessi darne informatione alla Serenità vostra, sicome all’hora feci riverentemente, la quale havendo inteso che non si poteva spender manco di 150 ducati per huomo et cavallo, revocato il primo ordine, mi commesse che non dovessi metter mano a construir essi alloggiamenti, il che fu da me essequito. Non è dubbio alcuno che’l fabricare alloggiamenti per la cavalleria sarà di molta spesa, con poco avanzo del danaro che hora si spende in pagar li affitti a soldati, poiché con 150 ducati che si spendiriano per ciascun alloggiamento, non si veniria ad avanzar più di lire 8 all’anno, che hora si paga d’affitto a cadauno, il qual danaro non sarebbe anco del tutto avanzato per li acconciamenti, che del continuo si convengono fare, con tuttociò per mia opinione non deve restar la Serenità vostra di fabricarne altri 50, essendo opera molto necessaria di gande satisfattione a quella città, comoda et utile alli soldati, percioché haveranno buoni alloggiamenti et senza loro interesse, dove hora li hanno cattivi et non bastando le 8 lire che se gli pagano di affitto, convengono sborsare il restante del suo con infiniti lamenti di quei cittadini, a quali ben spesso si conviene toglier le case per forza per alloggiar essa cavalleria.

Il territorio di Zara è di lunghezza 30 miglia in circa et nella sua maggior larghezza non più di 6 in 7. È stato, sicome più volte ho scritto riverentemente a Vostra serenità, in tempi passati intaccato da turchi et spetialmente nelli confini di Possedaria et di Novegradi, essendosi avicinati alli primi confini che furono posti da Ferat bassà, non volendo contenersi dentro quelli posti ultimamente da esso bassà et dall’illustrissimo Ambasciatore Soranzo. Et se bene io non ho mancato di procurar di conservare le giurisditioni di Vostra sublimità con ogni mezo possibile, non ho potuto però operar tanto che basti a ricuperar l’usurpato di ragion sua, havendo mandato a trattar col bassà della Bossina et essendomi anch’io per il medesimo rispetto abboccato in persona col sanzacco di Licca, benché infruttuosamente, havendomi risposo esso sanzacco non poter alterrar alcune cosa nel suo sanzaccato senza ordine espresso della Porta, overo del bassà, ma bene che con ogni minimo ordine non haveria mancato di giustitia, onde credo io che sarà difficile per molti rispetti, ma spetialmente per gl’interessi particolari di molti turchi principali confinanti. Le cause di dette usurpationi, si come ho dato riverentemente aviso alla Serenità vostra con mie lettere, penso che siano stati molti, ma la spetiale, perché in così lungo tempo giro di paise sono pochi genti ripsetto li molti terreni, non atti a difendersi dall’insolenze di turchi, li quali havendo terreni soprabondanti al poco numero di lavoratori, massime vicino al confine, si contentano goder quietamente quel poco che possono lavorare et si sono curati poco degl’intacchi fatti da turchi, spetialmente ne’ confini sudetti di Possedaria et Novegradi, dove sono pochi, molto luntani dalla città et propinqui alli castelli turcheschi, quali difficilmente possono esser soccorsi et facilmente vengono molestati, perilché sono sforzati sopportare ogni sorte d’aggravio. Non ardiscono né possono quelle genti (come può esser desiderio di Vostra serenità) difender per sé stessi, né meno spalleggiar li loro confini, perciò che ben spesso i turchi per leggiere cause gl’inferiscono molti danni, facendoli schiavi et ammazzandone ancora. Et sono tanto luntani, che procurano aiutarsi col mezo de presenti, tenendosi benevoli li sanzacchi et altri turchi confinanti, sicome fecero quei della villa di Gliuba, che non solo presentano il sanzacco di Licca, ma accettorno anco una sua scrittura per maggior assicuratione, come all’hora si diede particolar notitia alla Serenità vostra et se da me non fossero stati castigati alcuni principali di questa trattatione, haveriano fatto l’istesso anco l’altre ville di quel territorio, ma col loro essempio furono tenuti in freno.

I turchi di quei confini, oltre gli sudetti intacchi et usurpationi, hanno abbrucciate le ville intiere, come io ritrovai all’arrivo mio in quella provincia, Malpaga et Grusci, l’una del tutto distrutta et l’altra dishabitata. Ho fatto non di meno rifabricar Malpaga, posta in luoco più sicuro et rihabitarla meglio di prima et parimente Grusci è rihabitata et accommodata, di maniera che hora sono della migliori di quel territorio. Ho medesimamente fatto rihabitar il luoco di Rosanze, vicino alla marina del canale della Morlacca, già destrutto nella passata guerra, né mai più habitato, il quale apportava molto commodo alla Sublimità vostra et servira per guardia contra uscocchi che volessero sbarcar in quelle parti per andar a danni de turchi.

Per mantener le ragioni et giurisditione della Serenità vostra a quei confini, io, serenissimo principe, illustrissimi et eccellentissimi signori, non consco potersi far più facilmente che colla diligenza et valore del suo clarissimo proveditore general della cavalleria, il quale accompagnato da una buona banda di cavalli, debbi spesso uscir in campagna et rivedendo li confini faci resistenza a quei che principiassero le usurpationi. Et se bene i clarissimi proveditori che sono stati in tempo mio et per avanti non hanno mancato di prestare ogni buon servitio et spetialmente il clarissimo Alvise Pollani che tuttavia si ritrova a quel carico, vigilantissimo nel publico servitio, non di meno per il mal stato della cavalleria non hanno potuto molte volte farsi fare quel tanto ch’era intentione loro et beneficio delle cose sue, la onde si come ho antedetto, sarà bene provedere di ridur in stato tale quella cavalleria, che i suoi proveditori se ne possino valere come ricerca il bisogno. 

Rende d’entrata alla Sublimità vostra la città di Zara 10.000 ducati in circa all’anno. Et ella ne ha di spesa ordinaria et straordinaria, non comprese le militie et fabriche, ducati 6.600. 

Sono in essa città et suo contado, scogli et isole 17 in 18.000 anime. Io non ho mancato in ogni tempo et occasione di procurar con tutto’l mio spirito, che quella sua importantissima fortezza sia stata fosse ben custodita et guardata, così quando mi sono ritrovato in essa, come anco assente, dando quei buoni ordini ch’io ho stimato convenienti per la salvzza sua. Né ha mancato di fare l’istesso il clarissimo signor Zuanne Marcello conte et vice capitano in quella città, al’hora quando io di ordine della Serenità vostra mi trattenni due mesi continui in Arbe, havendo Sua signoria illustrissima havuti alcuni importanti avisi spettanti la securtà di essa fortezza, non solo con ogni possibil diligenza fece fare l’ordinarie guardie, ma le accresce anco molto maggiori, non mancando di rivederle in persona spessissime volte et far quel più che si poteva per servitio et conservatione sua. Il che ho voluto riverentemente dire alla Sublimità vostra et a Vostre signorie illustrissime et eccellentissime per discarico di quel signore, di quanto le era stato fatto sapere contra ogni ragione in questo proposito.

Confina il territorio di Zara col sanzacco di Licca, sanzaccato eretto dopo la prossima passata guerra, il quale comincia alli confini di Segna et finisse alla fiumara di Scardona, poco discosta da Sebenico. Di lunghezza è più di 130 miglia et di larghezza 60, può fare in due o tre giorni 1.000 pedoni et 200 cavalli; è soggetto al bassà di Bossina, il quale ha sotto di se altri sei sanzaccati che sono il medesimo di Bossina, Possiga, Svernich, Disosnich, Clissa et il Ducado. I quali si distendono dalli confini di Crovatia fino oltre Monte Negro vicino a Cattaro. Il detto bassà può metter insieme in 20 giornate 60.000 persone, ha molti pezzi d’artiglieria grossa et minuta, di modo che può facilmente (si come fa del continuo) travagliare arciducali. Et potrà anco venendo l’occasione, che non piaccia Dio, dar molto travaglio alli luochi deboli di questo serenissimo dominio in essa provincia et assai maggiori di quello che diede Ferrat bassà nella passata guerra, essendo egli all’hora senon sanzacco di Bossina, ma dopo la guerra fatto bassà et sottoposti a lui i sopradetti sei sanzaccati, quali di tempo in tempo sono passati sotto l’ubidienza di suoi successori. Et questo servirà per riverente intelligenza della Serenità vostra et di Vostre signorie illustrissime et eccellentissime, quanto alla sua importantissima fortezza et confini di Zara.

Lontano da Zara 12 miglia s’attrova la città di Nona, luoco per sé stesso di poco conto, così per la qualità sua come per la conditione degl’habitanti, i quali sono quasi tutti contadini, ma non dimeno per altri rispetti di molta consideratione, potendo apportar grandissimo danno alle cose di questo serenissimo dominio, quando (non vogli Dio) venisse a cadere nelle mani de turchi, i quali havendola presa nella guerra passata, non curandosi di tenerla, ma abbandonandola, diedero modo alla Sublimità vostra di rientrarvi, ma dapoi molto pentiti ogni giorno più si dogliono haverla lasciata, perciò che se l’havessero tenuta, come hanno fatto altri luochi di minor importanza et manco forti, sarebbono rimasi patroni della maggior et miglior parte del territorio di Zara, che al presente vien goduto dalli sudditi di questa serenissima republica, ma essendo detta città posta sopra il mare, in sito che non può esser offesa dalle galee, commodo a tenervi molte barche, vicina alli scogli et isole di Vostra serenità et spetialmnte a quella di Pago 2 o 3 miglia, haveriano potuto con molta commodità non solo infestar esse isola et scogli, ma li naviganti ancora, onde per liberarsi da questo pericolo in ogni tempo io crederei che fosse bene prender alcun espediente non dico di fortificarla, ma più tosto di smantellare affatto le muraglie che la circondano et anco le torri. Ma perché potria forse parere ad alcuno cosa di molto conto il distrugger una città, si deve considerare che nel sudetto luoco, come ho predetto, habitano se non contadini in numero di 600, overo 700 et che non vi sono più che 3 case di muro ben [?] picole, il resto tutte capanne di masiera senza calcina, coperti di paglia, li quali in brevissimo tempo si possono disfare.

In quella città per suo ordinario presidio vi sta un capitano con 16 soldati et un bombardiere, quali sono di spesa ogni anno 700 ducati in circa et questi anco si venirebbono a sparagnare. Et quando non fosse trovato buono per hora così fato pensiero dalla Sublimità vostra et da Vostre signorie illustrissime et eccellentissime, serviria almeno il mio riverente ricordo per quel tempo che al sapientissimo suo giudicio parerà esserne bisogno.

Il castello di Novegradi, posto pur nel contado di Zara, discosto dalla città per terra 30 miglia et per mare più di 60, è luoco, se ben picolo et poco forte, di non poca importanza per mantener la Serenità vostra in possesso delle ville circunvicine et anco di molta consideratione, perché quando i nemici fossero patroni di esso (che Dio non permetti) potriano liberamente scorrer da per tutto colle loro barche a danni così nelle isole di Pago, Veglia et Arbe, come in molti altri luochi della terra ferma. Il sudetto castello, oltre che è picolo et debole, come ho detto, è molto difficile et quasi impossibile da esser soccorso per via di terra convenendosi passar per il paese turchesco et medesimamente per mare non è molto facile per li stretti pericolosi, per li quali devono passar le galee e spetialmente quello di Possidaria, dove hanno havuto più volte turchi pensiero di fabricar una fortezza, che da me fu con semplice negotio sturbata, sebene io havevo ordine dalla Serenità vostra di spender fino 1.000 zechini per tal effetto, si come all’hora gliene diedi riverente et particolar aviso. Essendo dunque il predetto castello di quella importanza ch’ella ha inteso, assai debole luoco, dove difficilmente occorrendo il bisogno potrebe esser soccorso, sarà bene il tenerlo in ogni tempo ben munito e mandar alla sua custodia persone pratiche et intendenti delle quali Vostra serenità si possi fidare e tanto maggiormente essendo vicini ad esso molti turcheschi. 

Sta in esso per ordinario suo presidio un capitano con 40 fanti et un bombardiere, la spesa di quali è di 1.400 ducati all’anno. 

Nel suo borgo non stantiano più che 280 anime, delle quali benché vi siano molti huomini valorosi, nondimeno per il poco numero non possono reisiter all’insolenza di turchi confinanti, però in quelle parti essi si sono maggiormente allargati ne i confini senza haver alcun contrasto.

Hora tratterò della città di Sebenico, luntana da Zara 50 miglia, la quali sebene non si può chiamare fortezza, non è però così debole che non si potesse difendere da una batteria di mano. Habita in essa assai gente bassa et contadini molto fieri, pronti a novità et mali effetti, si come fu quello che occorse due giorni prima che io lasciassi quella provincia, il quale, colla gratia di Dio, fu acquetato coll’ultimo supplicio, dato ad alcuni principali di quel tumulto et con dignità publica, si come all’hora scrissi alla Serenità vostra, né dapoi è successo alcun altro inconveniente. Quella gente, serenissimo prencipe, non sta molto bene nella città, percioche essendo tutta unita, d’una istessa natura, dirlita [?] alcuno, sempre coll’armi in mano et molto facile a tumultuare, potria un giorno causar alcuno importante disordine, diché le genti civili vivono con molto timore, la onde non saria forse male proccurar di ridur parte di quelle genti ad habitar fuori nelle ville, dove haveriano maggior commodità di attender a lavorar la campagna et a gl’altri loro essercitii. 

Dentro essa città vi è il Castel Vecchio, fortezza antica, assai forte per battaglia da mano. Et alla bocca del porto quello di San Nicolò, la quale per la picolezza sua et per esser tutta vacua non è reputata da intelligenti di quella fortezza, che da altri viene stimata.

Tiene la Sublimità vostra in quella città et nei sudetti due castelli per ordinario suo presidio un governatore, tre capitani, 125 soldati italiani, 25 di quali sono stati da me aggionti di ordine suo per maggior siccurezza di essa città, come per supplire alla custodia del castello di Verpoglie vi sono anco 59 cavalli, un governatore et sette capitani, otto bombardieri et due capi. La spesa di dette militie a piedi et a cavallo et bombardieri importa all’anno 8.099 ducati.

Ha d’entrata la Serenità vostra di Sebenico 7.000 ducati in circa, oltre li sali, che si vendono nella città; et di spesa ordinaria, non comprese le sudette militie, ducati 5.300. 

Nella città et suo territorio sono 10.500 anime. 

Nell’estremità di quel territorio si ritrova il castello, ma per parlare più propriamente, la torre di Verpoglie, per la quale la Sublimità vostra ha havuto per il passato non poco travaglio, questa, si come le ho scritto più volte, è una semplice torre di poco momento, posta sopra un sito alquanto rilevato, distrutta nella passata guerra et dopo la pace rifabricata, ma non già così forte che potesse resister ad ogni mediocre sforzo di gente. Et se bene nell’opinioni d’alcuno ha acquistato nome di luoco forte, quando venne Ferrat bassà a quei confini con voce di volerla distrugger, si partì senza operar cosa alcuna, ma invero egli non hebbe mai tal pensiero, né venne con ordini dalla Porta per combatterla, che se havesse voluto et havuto il commandamento l’havrebbe distrutta. Fu habitato questo luoco dapoi la guerra d’alcuni sudditi turcheschi venuti alla divotione di Vostra serenità, i quali dando ricapito a uscochi et accompagnandosi con loro, inferivano molti danni a quei confini et spetialmente nel sanzaccato di Clissa. Da che mosse quel sanzacco, essendo per sua natural inclinatione mal affetto alle cose di questo serenissimo dominio et ritrovandosi molto favorito a Costantinopoli per esser figliulo di una sultana, ha fatto et di continuo fa molti mali uffici così a quell’eccelsa Porta, coma col bassà della Bossina, perché il detto luoco di Verpoglie sia distrutto et levato dalle mani della Sublimità vostra, affermando, contra la verità, esser questo ne i confini del gran signore et ha operato di maniera c’ha indotto sua maestà a commetter al detto bassà che dovesse venir in persona a distruggerlo. Ma havendo io, di ordine di Vostra serenità, per mezo di messer Vicenzo di Alessandri servitore suo certo et fedelissimo, mandato da lei per tal effetto, trattato con esso bassà questo negotio, il tutto fu da me acquitato con spesa di 1.100 cechini, se bene io tenevo da lei ordine di spenderne fino appresso 3.000. Havendo havuto da esso bassà l’arz che mandai alla Sublimità vostra, col quale si deve sperare che a Costantinopoli si possi soppire questa differenza, tuttavia non mancando a turchi molti sorti di vanie et pretensioni, si può anco dubitare c’habbino ogni giorno a mover [?] qualche difficoltà con molto travaglio publico. Ilche quando dovesse succeder, sarebbe forse meglio distrugger una torre affatto et sparagnare 500 ducati all’anno et più, che si spendono in tenerla presidiata et guardata, che havendo continuamente querele a Costantinopoli convenir accomodarle con non poca quantità di danaro et anco con pericolo di perder un giorno detta torre et una gran parte di quel territorio, né è dubbio alcuno che in ogni minimo sospetto di guerra sarà necessario distrugger non solo quel luoco, ma etiamdio tutti gl’altri che sono posti fra terra nella provincia, affinché cadendo nelle mani di nemici, non si perdi anco il paese, come seguì nella passata guerra. Al presente in Verpoglie non habitano più che 4 overo 5 famiglie, le quali non sono bastanti a lavorar li terreni circumvicini et ne i tempi delle semine et del raccolto vanno le genti della città et delle ville colla cavalleria a tal effetto, di modo che si può dire che sia dishabitato, né manco si ritrova gente che vogli andar ad habitarvi, onde io stimo che’l distruggerlo totalmente sarria poco danno, sendo molto maggiore il pericolo che si corre nel volerlo mantenere.

Il territorio di Sebenico dopo la pace non è stato in parte alcuna usurpato da turchi, ma del continuo vien travagliato de molti depredationi et danni, permessi et ordinati dal sanzacco di Clissa, il quale confina oltre la fiumara da Scardona et di qua della fiumara con quello di Licca.

Il sudetto sanzacco di Clissa può metter insieme ad ogni suo beneplacito 2.000 pedoni et 4.000 cavalli. Et questo quanto a Sebenico, suo territorio et il luoco di Verpoglie.

Vengo alla città di Traù, luntana da Sebenico 36 miglia in circa, posta a riva del mare, poco forte, non atta a pena a difendersi da batteria di mano. Ha poco territorio, ma assai bello et fruttifero. Sono in questa città per suo presidio 24 fanti sotto un capitano et altretanti cavalli, che tutti importano di spesa 2.512 ducati all’anno. La Serenità vostra cava d’entrata da essa circa 7.400 ducati. Et di spesa ordinaria et straordinaria non comprese le militie, ha 5.000 ducati. Una gran parte di detta entrata si traze da alcuni molini di sua ragione, posti poco luntani dalla città, ma assai maggior utile ella ne cavaria quando fossero meglio accommodati, però tornerebbe di molto servitio dar ordine che fosse mandato in quel luoco persona pratica per ben acconciarli.

Si ritrovano anco alcune poche saline vicine alla città, quali rendono tenuissimo utile et causano pessimo aere, risulteria di molto beneficio a quei habitanti, come anco al publico, il ruvinarli affatto riducendo quei terreni in tanti horti, si come è sommamente desiderato da tutte quelle genti.

Sono nel territorio di Traù, oltre il monte, 12 ville nominate Vratcovich, sopra le quali pretende il sanzacco di Clissa et perciò egli non cessa del continuo far molte querelle alla Porta et anco col bassà della Bossina, oltre che per impatronirsi di esse ha voluto più volte fabricar in quelle parti alcune torri et pure ultimamente, il mese di giugno passato fece fare a questo effetto molte calcare di calcina, ma havendo io trattato col predetto bassà, col mezo dell’Alessandri, feci commetter ad esso sanzacco che dovesse desister da quelle fabriche, né innovar cosa alcuna. Queste 12 ville sono quelle, serenissimo prencipe, che Ferrat bassà, quando egli fece il cozetto di confini del territorio di Sebenico dopo la pace, ha poste nelle pertinenze del signor turco, se bene nel territorio di Traù nella passata guerra non fu perduta cosa alcuna, perilche quando s’appresenta l’occasione di valersi del cozetto, per le ragioni che tiene Vostra serenità nella torre di Verpoglie, sendo pregiudiciale alle ragioni delle sudette ville, ella non può valersi; et in oltre, per riverente intelligenza sua et di Vostre signorie illustrissime et eccellentissime, esse ville non sono assolutamente sotto la devotione di questa serenissima republica, percioche essendo state nella guerra del 1537 abbandonate dagl’habitanti sudditi di questo serenissimo dominio, né volendo seguita la pace ritornar ad habitarle, furono date a vasalli del gran signore, i quali riconoscendo li patroni di esse del terratico solamente, pagavano il carazo et ubidivano a ministri turcheschi et l’istesso hanno fatto sempre dopo l’ultima passata guerra, havendo però acquistati nuovi patroni, che sono, come ho già detto, gl’uscocchi, a quali pagano anco tributo. Di queste 12 ville, delle quali poche sono habitate, ma però lavorate da sudditi turcheschi habitanti in altre, tre ne sono di ragione della Sublimità vostra, da quali ne cava di terratico fino 120 stara di biave all’anno, l’altre poi sono di particolari cittadini di Traù, che ricevono in sua portione fino 700 stara. In tutte quelle ville non vi stanno più che 60 in 70 famiglie soggette tutte al signor turco, come ancora ne ho fatto mentione, né potriano traurini goderle di altra maniera, perciò che se vi andassero ad habitare sudditi di Vostra serenità, essendo posti altre il monte, né potendo andarvi in molto numero, sariano schiavi di turchi. Onde sopra di essi ella può farne poco fondamento, con tutto ciò non sarà male far quanto più sia possibile per mantener il loro possesso nel stato presente.

Sono in Traù et suo territorio intorno 7.200 anime, tutta buona gente.

Discosto da Traù 12 miglia pur alla riva del mare si attrova Spalato, città picola, debole et di picolissimo territorio, circondata da diversi castelli turcheschi, havendo da una parte Salona et dall’altra il Sasso, luntani non più d’un miglio in circa et la fortezza di Clissa 10. In questa città per suo presidio ordinario sono tenuti da Vostra serenità 40 fanti italiani et 25 poglizzani sotto due capitani et cavalli 27, le quali militie importano ducati 3.990 all’anno.

Ha d’entrata 4.000 ducati et di spesa, non comprese esse militie, 1.600.

Fuori della città sopra il molo al mare sono fabricati li magazini per la scala che disegna la Sublimità vostra levar di Narenta e trasportar in quel luoco, il che per opinion mia non solo sarà difficile, ma potrà anco apportar alcun travaglio a questo serenissimo dominio, la difficoltà d’introdur essa scala sarà l’impedimento che vi ponerà il sanzacco del Ducado et l’istesso emin di Narenta per li proprii interessi, perciò che veniria esso sanzacco a perder molto utile, se come faria anco il sudetto emin, il quale, mentre la scala sta in Narenta, è assoluto patrone di essa, leva molti vanie a mercanti, dalle quali ritraze mercantie et robbe di quei che costé moreno, fa guadagni grossissimi, per li quali rispetti et altri che io taccio, non è dubbio alcuno ch’egli farà quanto più sarà in poter suo per impedite la scala di Spalato. Il travaglio poi che potria ricever Vostra serenità, saria che ogni danno fatto da uscocchi, così per terra come per mare, pretenderiano turchi esser riffatti et per picolo che fosse lo fariano grandissimo. Vi si aggiugne appresso il molto pericolo per la commodità di contrabandi, venendo gli mercanti da luochi sospetti d’infettar spesso la provincia, oltre che sarà necessitata la Sublimità vostra per questa occasione accrescer maggior presidio in quella città. Si deve anco metter in considerationi, che essendo hora tenuto Spalato in poca stima, introdotta la scala, turchi non procurassero di acquistarlo, nella qual impresa vi saria poca difficoltà. Ma perché, serenissimo principe, io intendo che si va introducendo la scala di Ragusi con molto interesse di questa sua città di Venetia, per tanto si deve procurare con ogni modo possibile che non passi avanti. Crederei dunque che per effettuar questo negotio, non vi fosse miglior né più opportuno rimedio che assicurar la galea da mercantia per il viaggio di Narenta, di quel modo che io esponerò quando più piaccia alla Serenità vostra et a questo eccellentissimo Senato. 

Sono in Spalato et suo territorio 6.500 anime. Et questo è quanto mi occorre riverentemente dirle intorno quella città, suo territorio et negotio della scala, che Vostra serenità intende introdurvi.

Luntano da Spalato miglia 18 in circa si ritrova la terra d’Almissa, picola et debole quanto alla sua forma, sebene per il sito assai forte dalla parte di terra. Poco discosti da essa sono li castelli di Visicchio et Starigrado, alla custodia di quali per cadauno d’essi vi stanno 12 soldati con 2 capitani, la spesa loro importa alla Sublimità vostra ducati 600 all’anno. In detta terra et suo territorio vi sono 600 anime.

Nell’ultima parte della Dalmatia è posta la sua città di Cattaro, la quale è assai forte, non tanto per la sua forma, che in molte parti è diffettiva, quanto per il sito assai defensibile. È di poco circuito in luoco difficile et quasi impossibile ad esser soccorso, quando fosse travagliato per via di mare, imperò tornerà di molto servitio di questo serenissimo dominio, che la Sublimità vostra tenghi essa città in ogni tempo ben munita et presidiata.

Ha d’entrata quella Camera 1.650 ducati all’anno et di spesa 2.680, non computate però le militie che viene ad esser maggior la spesa dell’entrata 900 ducati, i quali si cavano de sali che si vedono in questa città.

Tiene la Serenità vostra per ordinario presidio d’essa città et suo castello 252 fanti italiani sotto cinque capitani et un governatore et 25 cavalli con due capitani. Tutta la spesa di quali importa 10.268 ducati l’anno.

In Cattaro et suo territorio si trovano 6.450 anime, tra quali sono molti marinari c’habitano il luoco di Perasto, dove anco s’attrovano assai navilii; et queste genti sono tutte devote et fedelissime di questo serenissimo dominio.

Resta ch’io dica della terra di Budua, posta nel principio dell’Albania, la quale è picola, debole et di poca importanza. Alla sua custodia vi sono 25 fanti italiani sotto un capitano et una compagnia di 10 cavalli, quali importano 1.594 ducati di spesa all’anno.

In essa terra et suo territorio vi sono d’intorno 460 anime.

Ho detto fin qui, serenissimo principe, quanto me è parso necessario delle città, terre et castelli della Dalmatia posti nella terra ferma. 

Hora per conclusione di questa, havendo trapassato il timore della brevità, mi resta trattare quanto giudicherò degno della intelligenza de Vostra sublimità et di Vostre signorie illustrissime et eccellentissima intorno l’isole d’essa provincia. Nelle quali non vi essendo alcuna fortezza di momento, militie, né monitioni importanti, le passerò brevemente.

Dirò dunque che nel principio di quel mio carico andai di ordine della Serenità vostra a Cherso, per acquetar li dispareri nati tra una parte di quel popolo et il reverendissimo vescovo di quella città, si come feci et ne diedi riverente informatione alla Sublimità vostra. Questa isola produce pochissime biave, onde è necessitata provederse altrove, fa honesta quantità di vini et il nervo dell’entrate di quelle genti sono gli animali et legni. Ha la Serenità vostra d’entrata da essa intorno 600 ducati all’anno et di spesa 1.400 in circa. Sono in quest’isola et quella d’Ossero, comprese le città, d’intorno 5.370 anime.

Veglia poco lontana da quella di Cherso è similmente povera di biave, ma abbondante di vini, legni et animali. Cava da essa isola Vostra serenità circa 3.170 ducati di rendita all’anno et di spesa ne ha 1.180. Tra gl’altri datii di quell’isola vi è quello dell’herbadego, che per ogni capo di animali si paga alla Camera di quella città soldi [?] 2, questo fin hora non è stato mai incantato, ma è stato scosso dalli scrivani d’essa Camera senza tener alcun conto della quantità degli animali, di modo che l’utile era poco et quello ben spesso da essi scrivani veniva convertito in proprio uso, la onde ho dato ordine che nell’avvenire il sudetto datio debbi esser messo al publico incanto et scosso da quel magnifico camerlengo per maggior beneficio delle cose della Sublimità vostra, come s’osserva anco de gl’altri. Ha quest’isola anime 5.560 in circa. Vicino alla quale s’attrova quella di Arbe parimente molto sterile di biave et il maggior utile di suoi abitanti consiste negl’animali et qualche poca quantità di vini. Ha di rendita la Serenità vostra di essa all’anno intorno 780 ducati. Et di spesa 440. Nella città sta un capo di bombardieri con 30 scolari con ducati 40 all’anno. Nella città et isola si ritrovano 2.400 anime.

Poco luntano d’Arbe è l’isola di Pago, quasi nuda di tutte le cose pertinenti al vito humano et d’habitanti ancora. Da questa non cava Vostra sublimità d’entrata in danari più di 780 ducati all’anno et ha di spesa 340. Ma per la quantità di sali che si fa in essa, i quali ascendono un anno per l’altro, si può dire senza alcuna spesa della Serenità vostra per li 3 quarti a lei spettanti, alla summa di 40.000 et più stara, questa sola li rende maggior utile che tutte l’altre isole, città, terre et luochi di tutta la Dalmatia, però non senza ragione quei popoli vogliono esser nominati non solo fedelissimi, ma utilissimi sudditi di Vostra sublimità, a quali certo quando mancassero li sali, essi sariano necessitati abbandonar quell’isola per la sterilità sua. Pertanto se si conserveranno quelle saline, perché non venghino guaste dalle piogge che vi portano dentro la terra giù da monti, quello che si potrà facilmente fare cavandovi un fosso attorno, se ne trarrà anco assai maggior quantità et l’anno passato spetialmente è stata fatta tanta copia, che la Serenità vostra in sua portione ne ha havuto almeno 20.000 stara. In detta isola et sua terra sono d’intorno 1.500 anime.

L’isola di Lesina, luntana verso levante circa miglia 140, non fa medesimamente biave a bastanza per suo uso, è non di meno fertile di vini et legne et traze molto utile dalli pescaggioni. Questa rende d’entrata alla Sublimità vostra intorno 2.000 ducati all’anno, né spende cosa alcuna, facendo tutte le spese ordinarie et straordinarie la Camera di quella communità. Nella città et isola sono 7.500 anime.

La Brazza parimente è povera di biave et d’ogni altra cosa necessaria, ma copiosa di legne. L’entrata che Vostra serenità riceve da questa è compresa nell’entrata di Spalato, scuodendosi da quella Camera. In quella terra et isola sono 3.640 anime.

L’ultima isola della Dalmatia è Curzola, povera come l’altre di biave, ma abondante di vini et legne. Dalla quale Vostra sublimità ha d’entrata intorno 400 ducati all’anno et di spesa 350. In quella città et isola di trovano 3.000 anime. Tra le quali sono molte maestranze, che fabricano navilii, dell’opera de quali in ogni occasione potrà la Serenità vostra valersi come fedelissimi in suo servitio.

Tutte queste isole et scogli della Dalmatia, serenissimo prencipe, in occasioni di guerra, mentre non venghi armata in golfo, viveranno quietamente et sicure, ma venendo, che Dio ci guardi, saranno prede de nemici, non essendo in esse fortezze né luochi atti a potersi difendere, però quando ciò occorresse, potrà la Sublimità vostra valersi di grosso numero di quelle genti sopra sua armata et mandar l’altre, potendo, dove stimerà col suo sapientissimo giudicio tornarle di maggior commodo. Et tanto mi basta haver detto intorno esse isole.

Con li rettori poi di tutta essa provincia ho sempre quietamente et amorevolmente trattato, havendo con ogni poter mio fuggita ogni causa di altercatione, li quali ho conosciuti indifferentemente per le sue honoratissime qualità tutti degni rappresentanti della Serenità vostra. Non resterò anco per mia consolatione di riverentemente soggiungere la ubidienza e quietezza c’ho ritrovata in tutti quei fedelissimi popoli, i quali sono stati sempre verso di me et nelle cose che da me erano commandate ubidienti et ossequientissimi.

Duolmi serenissimo principe fino all’anima che per la mia imperfettione non habbi potuto in questo mio carico arrivar a quel segno, che col mio natural desiderio trovai sempre verso il ben publico, ma posso ben con sincera conscienza affermare a Vostra serenità et a Vostre signorie illustrissime et eccellentissime, che quanto è potuto uscire dalle deboli mie forze, tutto l’ho speso prontamente in servitio delle cose sue, come farò la propria vita ancora, con quella di quattro nepoti che mi attrovo havere parimente divotissimi signori [?] della Sublimità vostra, in ogni tempo et in ogni occasione dove si degnerà questa eccellentissima republica di adoperarmi. 

Restami da dire due sole cose, con le quali brevemente con sua buona gratia farò fine a questa.

Dirò dunque alla Serenità vostra, che in tutte l’occasioni che mi sono servito dell’opera del magnifico colonnello Pierconte Gabbucci in quel mio carico per servitio publico, in tutte ho conosciuto pronta et aperta la sua fede come divotissimo servitore di questo serenissimo dominio, tacendo hora il suo valore, per il quale si è meritato gran laude et si è fatto degno della gratia di questa serenissima republica.

Alla quale non debbo restar di dire anco l’istesso del magnifico colonnello Emanuel Mormori, parimente suo devotissimo servitore mentre è stato al governo della sua importantissima fortezza di Zara, il quale per il molto valor et altri serviti sui ha dato sempre honoratissimo sazo di sé stesso.

Trovomi anco debitore di commemorar alla Serenità vostra et a Vostre signorie illustrissime et eccellentissime la molta bontà et sufficienza di messer Giacom’Antonio Zonca mio secretario, qui presente, figlio di messer Paolo suo rasonato ducale, fedelissimo servitore della Sublimità vostra, prudente, discretto et pieno di modestia et riverenza, dell’opera del quale io son restato satisfatissimo quanto più dir si possa, per l’accuratissima diligenza che l’ho veduto poner sempre nel servitio di Vostra serenità. Et certo ch’esso è molto ben meritevole della gratia sua et di cadauna di Vostre signorie illustrissime et eccellentissime per il suo valor, per li suoi buoni costumi et per il lungo servitio c’ha prestato per 17 anni, quasi del continuo fuori della patria con diversi clarissimi suoi rappresentanti, senza alcun sparagno né di spesa, né di fatica, né di pericolo alcuno, havendo sempre anteposto il servitio publico alla propria salute, come ben lo dimostra l’indispositione ch’esso si ritrova haver contratta per tal causa. Et essendo anco nella stretta fortuna che si trova con suo padre, accompagnato da molto altro numero di figliuoli, hora che se li è per proponer dagli eccellentissimi signori Savi la gratia, che questo suo benemerito servitore le dimanda d’un poco di provisione, come hanno havuto tutti gl’altri, che per non haver mai havuto alcuna cosa, non si è provato pur una balla discrepante nell’eccellentissimo collegio. Convengo affermar alla Sublimità vostra che la gratia, ch’alla si degnerà concederle per l’ottimo servitio ricevuto et per li suoi meriti, la riputerò fatta alla mia stessa persona, assicurando Vostre signorie illustrissime et eccellentissime che non resterano mai diffraudate delle qualità di esso soggetto in ogni sorte di occasione.