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1615 Giovanni Pasqualigo

Relazione

 

 

 

Archivio di Stato di Venezia, Collegio, Relazioni finali di ambasciatori e pubblici rappresentanti, b. 74.

Relazione di Giovanni Pasqualigo, Provveditore e Inquisitore Generale in Levante, 1615.

 

Relatione dell’illustrissimo signor Giovanni Pasqualigo, ritornato dal carico di Inquisitor General in Levante, presentata et letta nell’eccellentissimo Senato adì 12 maggio 1615.

Serenissimo Principe, Illustrissimi et Eccellentissimi Signori

Doppo il corso di vinti sei mesi, ch’io Giovanni Pasqualigo, unitamente con l’illustrissimo signor Ottavian Bon mio collega et signore, ho consumati nella visita et inquisitione del Regno di Candia, et dell’isole del Zante e Corfù, oltre quelle da me solamente fatte di Thine et di Cerigo, con continuate et indeffesse fatiche, che mi causorono due gravissime infirmità; restò la Serenità Vostra servita in tempo a punto, che più bramavo, et m’era necessaria la quiete et il riposo di commettermi, con sue lettere di XI settembre passato, che dovessi transferirmi alla visita della Ceffalonia.

Prestai immedia[tamen]te obedienza alli commandamenti publici, et con ogni diligenza possibile mi condussi in quell’isola, dove a pena giunto fui soprapreso la terza volta da sì gagliarda et vehemente indispositione, che in pochi giorni mi ridussi alla morte; ma essendo piacciuto al Signor Dio di prorogarmi la vita per darmi maggior occasione di servire alla patria, doppo haver travagliato un mese continuo tra il timor et la speranza, restai in gran parte solevato dal male; ma in così grave convalescenza, che mi fu del tutto prohibito lo attendere ad altro che alla propria salute; cosa che mi fece sentire altrettanto molesto il tempo di tale dilatione per non potermi sbrigare affatto dalla carica commessami dalla Serenità Vostra, come ho fatto quanto più presto me n’è stata data l’occasione.

Hora dovendo conforme al mio obligo rifferirle alcuna cosa dell’operato da me sopra quell’isola nel corso di quattro mesi, che mi vi son fermato, et d’altri negotii che pure sono passati per le mie mani sopra le due isole dell’Arcipelago stimati da me di consideratione, tralasciando di parlare di Cerigo; dirò questo solo particolare di Thine, che, mentre mi ritrovavo a quella visita, fu ridotto il Conseglio di quella Communità, con deliberatione della quale mi furono fatte molte efficaci instanze, fra quali di condurre un medico, di elegere un ragionato, di salariare un Proveditor di Commun, un maestro di scuola, et un cancelliero, et per poter senza alcun interesse publico sodisfare alle loro mercedi mi suplicorno a trovar modo della provisione del denaro; ond’io, pensando a quello che si potesse operare senza apportar pregiudicio alcuno al publico, et al privato, giudicai esser più sicuro espediente d’ogn’altro il partito della seta, quale communicato con li sindici della Communità, et li Proveditori del Popolo laudorno et approborno il mio concetto, come particolarmente appare nella mia terminatione, che già inviai a Vostra Serenità; ma che non si volse vedere, né leggere a questo eccellentissimo Senato; ma doppo ch’io fui partito di là, tre o quattro mal contenti soliti a caparare la maggior parte delle seti con barato di spechi, pe[t]eni, cortelli, capelli, ferri, et altre simili merci di niun valore, che valutandole a pretii eccessivi et essorbitanti assumono in loro le seti, et a sugestione di Pietro Vaulida, che senza far ridurre la Congregatione del Popolo, senza convocare il Consiglio, si fece creare ambasciatore, et senza procura della stessa Congregatione, senza lettere di credenza di quel clarissimo rettore, et senza mostrare quali fussero le conditioni della terminatione, comparse di qua, et a prima richiesta fu ascoltato et essaudito con la suspensione dell’ordine sudetto; né io ardirei mai di dire che la Serenità Vostra non havesse fatta prudentemente la sua deliberatione; ma dirò bene questo solo, che se fosse stata presa da me quella informatione che dispongono le leggi, se si fossero veduti li fondamenti di quel decreto, se si fosse conosciuto esservi l’assenso universale di tutta quella Città et Popolo, et se si fosse chiaramente scoperta la mendatia del supplicante, et che li fabricatori delle sete non ricevevano danno alcuno, ma che tal peso cadeva sopra li compratori, che sono per la maggior parte forestieri, resto sicuro che quel tale insognato ambasciatore sarebbe stato licentiato dalla dimanda. Questo tanto ho voluto dire a Vostra Serenità non per altro, se non che per compiacere a due, overo tre, di questi così interessati di avido et vergognoso guadagno è rimasto afflito et sconsolato tutto il resto de gl’habitanti di Thine, così dentro, come fuori dalla fortezza.

Passerò dunque a dar conto alla Serenità Vostra dello stato della Ceffalonia, delli disordeni importantissimi che vi ho ritrovati, et le rappresenterò li rimedi che ho giudicati propri per solevatione de sudditi; et attendendo alla brevità, che so esser molto desiderata da questo eccellentissimo Consiglio, occupatissimo sempre in cose di gran momento, accennerò solo come quell’isola venne in potere et all’obedienza di questa Serenissima Republica intorno l’anno 1500, et in tempo ch’era posseduta dalli signori Carlo et Leonardo di Tochi duchi di Lefcada, conti di Santa Maura et di altri luoghi vicini, ben sapendo io che l’eccellenze vostre ne hanno havuta pienissima informatione, come parimente del sito et d’altri particolari appartenenti alla sua difesa; poiché il carico ch’io ho essercitato in Levante non mi obliga a simili relationi.

Dirò solamente questo, che l’isola è piena di habitanti, il numero de quali ascende, per le descrittioni ultimamente fatte, intorno a quaranta mille anime, fra quali ve ne sono da fattioni circa 14mila, et di queste descritte cinque milla cinque cento galeotti, et per ordinanze mille. Sono riputati assai buoni; ma ci è per contrario che non havendo altre armi, se non pochi la sola spada, et molti anco s’attrovano senza, non si sa vedere come si potrebbono maneggiare della difesa dell’isola, et in altre publiche occorrenze. 

È detta isola fertile assai di tutto, et abondantissima sopra ogn’altra cosa di vini et uve passe: di modo che, aggiunta una particolare industria di quei habitanti, si vive assai commodamente, se bene di biade quasi per ordinario vi è mancamento, et questo procede per l’utile grande che ne ricevono dall’impianto di vigne per vini et uve passe, et per il spazzo che hanno dalla frequenza de vasselli fiamenghi, inglesi et venetiani; che senza alcun parangone loro riesce di maggior beneficio et utile di quello che fa la semina di formenti. 

Dirò appresso che quell’isola deve esser stimata assai dalla Serenità Vostra, sì per esser li sudditi devotissimi del nome della Repubblica, come anco perché in un bisogno publico si potrebbe armare dieci, et sino a dodeci galere; ma molto più per la capacità grande del porto di Argostoli, et di quello di Viscardo, che formando un canale tra quell’isola et quella del Tiachi va a congiungersi con la valle d’Alessandria amplissima per ogni numerosa armata; ma non aspettando a me (come ho detto) queste considerationi, dirò solo per ridur a memoria ad alcuni dell’eccellenze vostre che per avanti non havessero havuta notitia, che il castello della Ceffalonia è posto in un colle molto eminente in lontananza d’Argostoli cinque in sei miglia, che né per sito né per alcun’altra conditione è atto a restister alla forza de nemici, che rissolutamente volessero tentarlo, né a ricevere e salvare alcun numero delle genti dell’isola per essere molto ristretto, et angusto, né può difendere in conto alcuno il porto, né assicurare le mercantie, che si conducono nella marina, per la qual causa ne ricevono quei Cittadini incommodità grande, oltre il pericolo; onde pare che la maggior parte di loro, et del Popolo, ancora haverebbono desiderato che la fortezza fabricata ad Asso fosse stata posta sopra la punta di San Todaro, capo che dà principio e forma al detto porto, quale al presente non solo non serve, né può servire, al bisogno per non haver chi lo guardi et lo difendi; ma resta tuttavia, com’è stato ne tempi passati all’arbitrio et commodo de nemici, et di ogn’uno che vorrà valersi di lui; et quando piacesse a Vostra Serenità per utile, servitio, et sicurtà commune di metter pensiero a questo luogo di San Todaro, per quanto mi hanno detto tutti quei sudditi, concorrerebbono volontieri a parte della spesa, trasportarebbono le loro case et qui ridurrebbono l’havere et le vite loro per conservare et difendere ogni ingiuria che loro potesse esser fatta, in conformità di che m’hanno detto di haver già fatta questa stessa instanza all’eccellenze vostre, et ch’era stata loro data intentione di rimanere compiacciuti, che se ciò fusse stimato bene, crederei che non si potesse abbracciare deliberatione più utile e più fruttuosa di questa, non solo per compita sicurtà di quell’isola ma di tutto il Levante ancora. 

Li fondamenti, per i quali la Serenità Vostra con la sua infinita prudenza deliberò gl’anni passati di fabricare la fortezza di Asso (per quanto si scopre), furono due: l’uno fu per poter ridurre in luogo sicuro quei popoli in occasione che quell’isola fosse travagliata da nemici; et l’altro per valersi di quel porto in ogni occorrenza, con pensiero che non le potesse essere mai impedito il ricevere una banda de vasselli armati, che havessero a passare in soccorso, et spetialmente del Regno di Candia. Ma pare che la esperienza ci facci conoscere il contrario, perché quanto al primo capo di ricovrare in quel luogo le genti dell’isola pare che sia materia molto difficile, per non dire impossibile per l’angustezza delle strade, per le quali non può transitare se non un sol huomo, e con fatica condurvi un roncino; onde si tiene che quando ogn’una di esse strade, che vengono a rifferire ad Asso, et che non sono più di quattro o cinque, fossero anticipatamente occupate da dieci o quindeci soldati nemici, quali favoriti dall’asprezza del monte, sarebbe impossibile il potervi transitare. Quanto poi al porto, è ben cosa chiara ch’egli non è, né si può chiamar tale, essendo una semplice valletta in spiaggia, che serve di ridotto a due, overo tre, galere al più, che convengono travagliar grandemente per rendersi mal sicure in occasione de venti da Maestro e Tramontana, per la grandissima restia di mare che vi entra; onde da chi ben intende è stimata per ogni capo quella spesa di poco frutto, e di niun valore. 

Tiene la Serenità Vostra, per guarda e diffesa di quella fortezza, ducento fanti italiani sotto il commando d’un governatore et dui capitani con spesa di circa dieci mille ducati l’anno, oltre quella del signor Proveditor di sei bombardieri, et altri ministri salariati. Ha parimente nel castello della Ceffalonia quaranta soldati sotto due capitani, quali non dirò se siano necessari o no, perché non mi basta l’animo di passar tant’oltre; ma dirò bene questo, che sono tutti greci e casalini, et quan[d]o può apparere che siano d’altro paese, è che quelli della Ceffalonia si fanno scrivere da Corfù, dal Zante et d’altri luoghi più lontani; ma nondimeno sono della medesima isola né fanno servitio alcuno, e sotto pretesto di fattione li capitani le mangiano li due terzi della paga; et in somma Vostra Serenità getta questo denaro in mare senza frutto di cosa alcuna. Crederei però che fosse gran servitio dell’eccellenze vostre quando non giudicassero bene di levare affatto o diminuire questa infruttuosa spesa, che piacesse loro commettere almeno che di quattro in quattro mesi fossero cambiati li soldati della fortezza vecchia con altrettanti del presidio di Asso, con l’ordine stesso che si osserva nel cambiare li soldati di Monfalcon con il presidio di Palma, et con commandamento espresso che fossero prohibiti, e del tutto levati, li paesani et casalini, affine che si potesse ricevere quel servitio che si desidera et è necessario.

Delle monitioni di polvere, balle, artegliarie et altre sorti d’armi, come anco de i mancamenti et imperfettioni della fortezza, mi rimetto a quei prestantissimi senatori, che già ne hanno havuto il carico; ma non resterò di dirle, come cosa spettante all’obligo mio, che già più di dieci anni furono mandati in quelle munitioni per deposito in occorrenze di bisogno una quantità di megli, i quali al presente ho ritrovati esser stara 1146, et così guasti et di mala qualità, che non sono giudicati buoni né anco da dare a gl’animali; è stato altre volte fatta esperienza di darli a rinovo, né c’è stato alcuno che li vogli sentire, e chi volesse con altro mezo che con la piacevolezza passare più oltre, sarebbe certamente un voler andare ad incontrare in qualche mottivo di consideratione.

Tiene in oltre per difesa di quell’isola la Serenità Vostra sessanta sei cavalli pagati, commandati da tredici capitani per assistere nelle pertinenze a loro assignate, et impedir a gente di mal fare il sbarco sopra quell’isola, et appresso questi cento cinquanta cavalli di decimali, che sotto simil nome passano per ricevere certa poca recognitione del tratto d’alcune decime senza altro agravio di Vostra Serenità, et questi tali sono tenuti alle medesime fattioni della cavalleria pagata, et all’obedienza delli medesimi capitani, et vacando qualche piazza di decimali il luoco suo e desiderato grandemente, non già per il trattettimento della decima, che non importa più in ragion di anno che vinti ducati; ma perché essendo descritto in detta militia alcuno, resta egli libero et esente dalle fattioni personali, et dall’obligo della galea. 

Di questa cavalleria non saprei che poter prometter a Vostra Serenità, per esser poco buona la pagata, et molto peggiore quella de decimali, et l’una e l’altra malamente disciplinata; tuttavia per il debole trattenimento di quella de decimali si può in qualche parte chiuder gl’occhi alli suoi mancamenti.

S’attrova anco sopra quell’isola mille soldati descritti nell’ordinanze sotto due capitani che per la gran distanza da pertinenza a pertinenza non puonno essere, né sono, essercitati; di maniera che ritrovandosi, come ho detto più avanti, senz’armi, non so quello che si possi sperare da loro per la propria difesa dell’isola.

Questi pochi particolari ho voluto rappresentare con ogni brevità alla Serenità Vostra, acciò con la sua infinita prudenza possa devenire a quelle deliberationi che saranno giudicate più proprie et necessarie al servitio delle cose publiche.

Hora passerò ad alcuni principalissimi disordeni, che non ostante molte provisioni fatte per avanti da suoi rappresentanti di auttorità, et confirmate da questo eccellentissimo Senato, sono nondimeno stati rinovati, et passati in tanto eccesso, che quando non piaccia a Vostra Serenità con mano regia porvi rimedio non so ciò che si possa sperare da quei fedelissimi ma tribulati sudditi. Li disordeni sono molti; ma per non tediare l’eccellenze vostre illustrissime mi restringerò in cinque soli capi.

Il primo è la mala administratione del denaro di Vostra Serenità.

Il secondo la indebita alienatione delle case publiche.

Il terzo le concessioni a contadini di poter entrar nel Consiglio, et un asserto privileggio delli duchi Carlo et Leonardo Tochi, ultimi possessori di quell’isola.

Il quarto li disordeni della cancellaria, et.

Il quinto la quantità de banditi, et la facilità delle liberationi col mezo de laudi; et dirò anco per sesto un inconveniente aspettante non solo all’isola della Ceffalonia, ma a tutto lo Stato di Vostra Serenità da Mare, et forsi da Terra, che succede nell’elettione de sergenti maggiori.

Quanto al primo dico che, non ostante tante leggi et ordini con prudente et ottimo fine fatti per dar alcuna norma e regola per l’administratione del suo denaro, si era introdotto che, se ben alcuni cassieri havessero le loro casse aperte, quelli ministri, non so se per ingnoranza o per malitia, li facevano il saldo di esse, et le davano le loro fedi, come che veramente havessero sodisfatto ad ogni obligo loro.

Si era introdotto, di più, di levare in molta summa danaro dalla cassa corrente per sodisfare alli pagamenti, che deve quella di condanne; cosa perniciosissima, et di malissimo essempio, et aplicavasi in oltre a particolari persone il denaro di esse condanne, che per stretissimi ordeni di Vostra Serenità devono intieramente esser posti nella Camera fiscale; ma quello che anco importa, si riscuoteva danari publici così per conto de datii, come di altra ragione, con ricevere a parte, senza menar partite, né giornali a credito di debitori, cosa che non solo riusciva di grandissimo pregiuditio publico, ma andava immediate a ferir fino nelle viscere agl’interessi de particolari.

Quanto al secondo dico, con la medesima riverenza, che già pochi anni da rappresentante di auttorità, che visitò quell’isola, fu ritrovato esser state alienate la maggior parte delle case pervenute nel publico così per occasione de debitori come de confiscatione, et altre occorrenze, et concesse a particolari persone con una semplice ricognitione in forma di feudo di quattro o cinque gazete all’anno, et anco senza; da che ne seguiva quest’altro inconveniente, che dovendosi provedere di alloggiamenti alli soldati, alli bombardieri et altri diversi salariati, si conveniva pigliare ad affitto altre case per uso delli predetti stipendiati, con spesa di gran consideratione: a questo per molti capi importantissimo inconveniente fu all’hora proveduto con l’haver tagliate et annullate tutte esse concessioni; et tale deliberatione fu poi approbata da questo eccellentissimo Senato. Con tutto ciò ho ritrovato essersi rinovato il disordine di prima sotto vari pretesti; onde sono stato da nuovo necessitato di rivocare tutte le concessioni fatte, et perché alcuno non possi sotto pretesto d’ignoranza escusarsi nell’avenire ho fatto fare sopra tutte le porte delle case ponervi un San Marco di Pietra viva, et se questo non basterà, io non saprei se non dire esser una mala disaventura del nostro governo. 

Quanto al terzo ho trovato che sia l’anno 1505 doppo la fabrica del castello della Ceffalonia fu concesso da questo eccellentissimo Senato a supplicatione di quei popoli di poter congregare il Conseglio, con dichiaratione che alcuno non potesse esser admesso in esso che non havesse casa per sua habitatione dentro il castello, overo fuori in distanza di un miglio. Questa prudentissima deliberatione, come causò questo buonissimo effetto, che in spatio di pochi anni fu riempito il castello di case, e formato di habitationi un assai capace borgo, così doppo da alcuni di quelli signori rettori ne sono stati dispensati tanti senza li debiti requisiti, che hora il numero di quelli ch’entrano nel Conseglio eccede a più di mille: di maniera che come occorre ridur il Conseglio non potendo capire il palazzo tanta multitudine, si conviene farlo nella strada; ma quel ch’è peggio, che da alcuni pochi in poi, che sono li più civili et beneficiati dalla legge 1505, tutto il resto sono villani, che lavorano la terra et che vanno dietro gl’animali; i quali, come sono stati una sol volta nel Conseglio, pretendono per se medesimi, et per la discendenza loro, la esentione da ogni sorte di fattione personale et come occorre di farsi gl’uffici della città, quelli che pretendono essere nominati riducono insieme li loro villani, a quali, doppo haverle data a bastanza da bevere et da mangiare, li conducono seco nel Conseglio, dove con il favore et prottettione loro ottengono quanto sano desiderare; et questa tumultuosa adunatione, quando non sia divertita dalla infinita sapienza di Vostra Serenità, si può temere che in spatio di pochi anni debba apportare grandissimo pregiudicio alle cose publiche per la multiplicatione che si farà di anno in anno di tali pretensori, et in particolare all’ordinarie fattioni e guarde dell’isola, all’angarie et all’armare delle galee.

Alla facilità di tali concessioni si aggiunge ritrovarsi sopra quell’isola una bergamina in lettera caduca, che pare esser un privileggio di esentione fatto ad alcune famiglie della Ceffalonia dalli signori Carlo et Leonardo de Tochi, duchi di Lefcada et ultimi possessori di quell’isola, come ho predetto; et pretendendo molti di esser discendenti delli primi beneficiati, non restano di tentare, et quel che è peggio, vengono esauditi con dargli la prova con il mezo di testimoni: cosa che non si può fare nel corso di cento e cinquanta, et ducent’anni, da che ne sono seguiti molti ingani et falsità, che tutte riescono a pregiudicio grande del servitio di Vostra Serenità, et se bene, come ho detto di sopra, chi visitò quell’isola prima di me ha regolato a bastanza questo importantissimo inconveniente, et tale regolatione approbata da Vostra Serenità, nondimeno ho trovato continuarsi nel medesimo disordine, che tanto deve stimarsi, quanto si deve la conservatione di quell’isola di Vostra Serenità.

Quanto al quarto, posso dire che in quella Cancelleria vi sono tanti disordeni et male introduttioni, che peggio non si può dire né pensare; et questo solo particolare le basterà di sapere, et è che, per quanto intendo, sono stati nelli tempi passati cancellieri in quell’isola un sanser, un scrivano, et un pontador dell’Arsenale, et altri di peggiori conditioni, che per esser ignorantissimi et nel civile et nel criminale, parlando con gran modestia, hanno causato gravissimi inconvenienti a pregiuditio de rei, con scandolo e mala sodisfattione universale; onde si può dire con buon fondamento che questi tali siano andati in quell’isola non per essercitare il carico di quella professione, che non lo sano fare, ma bene per accogliere il frutto delle rendite della Cancellaria. A questi et altri inconvenienti io per l’auttorità che tenevo sopra quell’isola ho proveduto con deliberationi et ordeni diversi, quali rappresento a Vostra Serenità riverentemente perché, se ella conoscerà buono per il suo servitio che debbano essere essequiti, le piaccia aggiungervi l’auttorità di questo eccellentissimo Senato; ma se fossero giudicati diversamente, a me basterà di haver sodisfatto alla mia conscienza et a quell’obligo, che debbo alla patria.

Quanto al quinto, ho ritrovato che, per terminatione del signor Proveditor mio fratello, mentre era Proveditor General in Levante, fu decretato l’anno 1607 a 29 decembre, che fu confirmata in questo eccellentissimo Conseglio a 30 giugno 1608, et in essecutione di parte del medesimo Senato 1541, quattro luglio, che non si potesse conceder più di sei laudi all’anno, tre alla stratia et tre al reverendo clero greco, de banditi et condennati in pregione a tempo nelli giorni delle solenità di Pasqua di Resurettione, nella Natività di Nostro Signore et nel giorno di San Marco. Nondimeno nel corso di sette anni, nel quale per legge et ogni termine di buon governo non potevano essere assoluti più di quaranta due banditi, o confinati in pregione a tempo, ne sono stati liberati nella sol’isola della Ceffalonia ducento cinquanta sei, et fra questi ottanta tre diffinitivamente, et dieci sette di terre et luoghi, navilii armati et disarmati, con pena di vita, confiscatione de beni et anco con desolatione delle loro case, et quel ch’è peggio alcuni doppo condennati alla galera sono stati fatti inhabili. Auttorità che non è concessa ad altro magistrato che al Collegietto de condennati di questa città, et poi concessi in laudo secondo la mala et pessima introduttione di quel paese; ma è anco grandemente da considerare che non solo sono stati concessi detti laudi a quelli che sono dechiariti nelle leggi, ma ad infiniti altri incapacissimi di tali gratie con doi, o tre banditi di terre et luoghi per volta, et molti ancora sono stati depennati di raspa senza nota di sorte alcuna, come la Serenità Vostra vederà dalla qui sotto nota.

Al clero greco banditi a tempo: ___________________________________________________ n°  9

Al vescovo greco banditi a tempo 11, diffinitivi sedici, et tre di terre et luochi, in tutto________n° 30

Al protopappà banditi a tempo sedici. Diffinitivo nove in tutto___________________________n° 25

Ad altri vescovi greci, callogieri, pappà, frati et monache banditi a tempo__________________n° 21

Alla stratia banditi a tempo sedici, et doi diffinitivo in tutto:_____________________________n° 18

A diverse chiese et scuole greche et latine, banditi a tempo n° 37. Diffinitivo tre, et doi di terre et luoghi in tutto: ________________________________________________________________n° 42

Alli vescovi latini banditi a tempo numero nove. Diffinitivo tredici, et quattro di terre et luoghi in tutto: ______________________________________________________________________n° 26

Alli loro vicari, banditi a tempo cinque. Diffinitivo uno, et uno di terre et luoghi, in tutto:______n°  7

Alli capellani delli Proveditori banditi a tempo numero 7. Diffinitivo 27, et sette di terre et luoghi in tutto________________________________________________________________________ n° 41

Alli medici della Communità banditi a tempo 12. Diffinitivo 9, in tutto____________________n° 21

Al capellan di Asso banditi a tempo________________________________________________ n° 3

Al precettor della Communità banditi a tempo________________________________________ n° 2

Al trombetta banditi a tempo_____________________________________________________ n° 2

Al zago per risponder la messa banditi a tempo______________________________________ n° 3

A due donne, ad una delle quali non appar nome né cognome banditi a tempo_______________ n° 2

Ad uno stradioto, per essergli morto un cavallo, bandito a tempo_________________________ n° 1

Et a i cancellati di raspa senza dechiaratione alcuna ___________________________________ n° 3

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n° 259

 

Di maniera che il disordine è passato tanto avanti, che per la facilità di tal indebite assolutioni ogn’uno ardisce commettere ogni sceleratezza maggiore con sprezzo della giustizia, con danno del particolare, et scandalo universale, essendo ogn’uno sicuro doppo gravissimi delitti di liberarsi col mezo di simili laudi in capo a due, o tre, o quattro mesi, anco con poco interesse; onde si può concludere che nella Ceffalonia si sia introdotta una auttorità simile a quella del Consiglio di Dieci, per distrugere le leggi et mettere in soversione tutta quella povera isola, et per comprobatione di quanto io dico appresento a Vostra Serenità una copia autentica delle raspe essistenti nella Cancellieria Criminale della Ceffalonia, nella quale si vede a nome per nome, et a giorno per giorno, tutti li banditi di qualunque sorte, et all’incontro li assolti col mezo de laudi et gratie da sette anni in qua, et quelli ancora che hanno ricevuto simili concessioni, et ogni altro particolare acciò che Vostra Serenità possi prendere sopra questo importantissimo particolare quella risolutione che ricerca la dignità publica, et il servitio delle cose sue: et per me crederci, che il più sicuro espediente d’ogni altro sarebbe che piacesse a Vostra Serenità di dar espressissimo ordine, che tutti li banditi che sono stati gratiati con laudi in questo corso di tempo contra la forma delle leggi 1541, 4 luglio et 1608, 30 zugno fussero da nuovo publicati non ostante le gratie sudette. 

Con prudentissima consideratione già alcuni anni deliberò la Serenità Vostra di levare le compagnie alli governatori delle militie essistenti ne presidi delle sue città, e fortezze, per quelle cause che sono ben note; ma perché pare che siano state riservate alcune piazze nel Levante, nelle quali continuano li medesimi disordeni, et forse maggiori, per i quali Vostra Serenità capitò in tale risolutione; io crederei che sarebbe gran servitio publico, quando piacesse a Vostra Serenità di levare le compagnie indifferentemente a tutti quelli che restano in qualche qualunque luoco, altrimenti si può tener per certo che non si riceverà mai quel dritto che conviene al servitio delle cose sue.

A molti governatori di detti presidii Vostra Serenità paga un sargente maggiore ministro molto necessario nella militia, et che in altro tempo era molto stimato; ma da alcuni anni in qua essendo stato conferito quel carico in soggetti di poco merito, di poco valore, e di niuna esperienza, et alle volte a persone indegne, è causa che al presente non viene molto stimato; ma quello che maggiormente avilisce carica così principale è, per quando s’intende, che vi sono stati nei passati tempi alcuni governatori, che poco prezzando l’honor loro, la riputatione et servitio publico, hanno venduto il carico di sargente maggiore al più offerente sino a ducati cento al mese più e meno, secondo la qualità delle piazze, et de presidii. Et questo gravissimo inconveniente ne causa due altri maggiori: l’uno è che quando questi vengono scoperti per tributari de governatori non vengono né stimati né obediti dalla militia; et l’altro è che dipendono li sargenti maggiori dall’assoluta volontà de governatori. In tanto dano essecutione a gl’ordeni de rettori in quanto vi è l’assenso et la volontà di essi governatori; da che ne seguono inconvenienti grandi, come seguì già pochi anni in una sua piazza di Levante ad un suo rappresentante di grande auttorità, che non havendo per certe imputationi voluto admettere il sargente maggiore, quel governatore gli mandasse il nome il giorno seguente per il suo [l]uogo, con sprezzo tanto grande, che non so come quel prudentissimo senatore potesse soportare tanta ingiuria publica; ma per accostarmi a più vicini essempi, se ben so che nell’eccellenze vostre la memoria è freschissima, loro accennerò solamente il disgusto ch’è seguito tra un suo principalissimo senatore et il governator di una sua piazza nello Stato di Terra Ferma, per occasione del sargente maggiore; onde, con quella riverenza che debbo, lauderei Vostra Serenità che per levare questi disgusti a suoi rappresentanti, et oviare simili indebiti guadagni, et perché il servitio suo fusse con maggior maniera fatto, le piacesse nell’avenire, con li medesimi ordeni e regole che si fanno nell’espeditione delli sargenti maggiori dell’ordinanze nello Stato di Terra Ferma, et capitani delle militie pagate, far anco elettione per l’eccellentissimo Collegio delli sargenti pagati alli governatori in tutti li suoi presidii, perché non è dubio che, dipendendo essi dall’arbitrio et volontà di Vostra Serenità, et de suoi rappresentanti, si levarebbe affatto le occasioni di contese et de disturbi. 

In fine aggiungerò, anco per riverente raccordo, che nell’isole del Zante et Ceffalonia s’attrovano diverse chiese greche et latine iuspatronato di Vostra Serenità, le quali è publica voce et fama che in occasione di vacanze alcune volte siano state dispensate con indebiti mezi, et se ben non presto credenza a tali disceminationi, tuttavia tengo che non sarebbe male di levar dall’opinione del mondo simili concetti, che vanno im[media]te a ferire l’honor del Signor Dio, et il governo della Repubblica. 

Queste poche cose ho voluto con quella riverenza che mi si conviene rappresentare all’eccellenze vostre illustrissime, con gran sincerità et senza alcun’imaginabile pensiero di disgustare alcuno sii chi si voglia; ma con solo fine di solevare li sudditi oppressi, et della conservatione di questa patria, et perché anco era tenuto a così fare per l’obligo che mi ha dato il carico che ho essercitato in Levante.

Per tutto il tempo di questo mio peregrinaggio, che così appunto lo posso chiamare per la diversità di viaggi et per la varietà di luoghi, per quali mi è convenuto transitare, non havendo mai fermato il piedi in una sola parte, se non per brevissimo tempo; ho havuto per mio secretario messer Marc’Antonio Padavin secretario di questo eccellentissimo Conseglio, della diligenza, et virtù del quale haverei molto che rifferire alla Serenità Vostra et a vostre signorie eccellentissime, quando non fussi certo ch’elle sono benissimo informate della sua intelligenza, et del suo valore dimostrato in diverse occorrenze di publico servitio; al quale aggiunto il merito delli fratelli, padre et altri antenati suoi, che in tante et tante occasioni si sono fatti conoscere utili et fruttuosi servitori della Serenità Vostra, mi restringerò a dirle che nel corso di vinti anni egli non si è fermato in questa città, né anco si può dire se mesi in più volte; ma di un viaggio in un altro ha continuato a servire prestantissimi senatori a diverse corti de Principi, et in particolare convenne per il corso di due anni restar solo alla Corte Cesarea doppo la morte dell’illustrissimo signor Francesco Priuli cavalier ambasciatore di buona memoria in tempi di gran rissolutioni, et guerre intestine per li tumulti, et assalto dato alla città di Praga dalle militie dell’Arciduca Leopoldo, ne quali accidenti corse egli grandissimo rischio di perdere la vita, et provò gran consumo della sua robba; ma se tacio questi particolari serviti prestati perché sono ben noti all’eccellenze vostre, et perché non voglio offendere la sua modestia mentre si trova presente, non debbo già defraudarlo in cosa che mi persuado, anzi, tengo per fermo dover riuscire di gran gusto di questo eccellentissimo Senato, ciò è ch’egli non pretendendo con il suo servitio conseguir altro frutto che della gratia publica, ha ricusato di ricevere quegl’utili che dalle leggi, et da ogni honestà l’erano concessi; il che affermo tanto più volentieri con sincerità alla Serenità Vostra quanto che so, che l’illustrissimo Bon le ha rifferito il medesimo in conformità; dalle quali tutte cose, restando comprobata l’ossequente devotione del suo animo, lo stimo dignissimo della gratia di cadauna dell’eccellenze vostre, ch’è quel solo et vero oggetto ch’egli con tutta la sua casa ha sempre havuto nel corso di tutte le sue servitù.

Di me ho poco che dire, poiché conosco di haver fatto poco, rispetto all’obligo naturale ch’io tengo alla patria; ma poco o molto che sia, rimetto questo giudicio alla prudenza dell’eccellenze vostre illustrissime, con dire solamente che carichi di questa natura non puono rendere sodisfatto ogn’uno; massime a questo tempi, che gl’huomeni sono pieni di tante pretensioni. Onde non è da meravigliarsi che alcuni, che sono stati corretti da noi, ben che modestamente, vadino spargendo scemi venenosi contro la riputatione nostra, come se loro fussero gli attori, et noi li rei; ma quello che più ci preme è che le sia data d’alcuni così prontamente l’orecchia non già per il nostro particolare interesse, che questo poco importa, ma per quello che potesse succedere nell’avvenire con pregiudicio grande del servitio publico. Ma, sia come si voglia, supplico riverentemente la Serenità Vostra, et le signorie vostre eccellentissime, a voler acettare la pronta volontà dell’animo mio, che sarà sempre, com’è stata per il passato pronda di spendere la vita, et ogni mia fortuna dove l’occasione chiamasse l’opera et la fatica mia.

Nelli medesimi anfratti, s’attrova l’illustrissimo signor Ottavian Bon mio collega, quale con gran fortezza d’animo soporta ogni sorte di mal incontro, la persona del quale non potendo a bastanza badare di virtù, di prudenza, di valore et di un’ottima et rettissima conscienza, tralascierò di parlarne per non defraudare il suo merito con la debolezza della mia lingua; ma dirò solo che questo è soggetto da esser molto stimato, abbracciato et honorato per potersene valere nelli più importanti affari della Repubblica. Gratie etc.