1628 Antonio Civran
Relazione
Relazione di Antonio Civran 1628
1628. Relation dell’illustrissimo signor Antonio Civran ritornato d’inquisitor in armata
Serenissimo Principe Signori eccellentissimi
La carica di commissario et inquisitore commessa da Vostra Serenità et dall’Eccellenze Vostre a me Antonio Civrano sopra le cose d’armata, camere, fontici, monitioni, hospitali et altre che concerne publico interesse, con cura particolare di far anco investita di formenti, et fabricar biscotti a Corfù, se per se stessa dovea naturalmente riuscir laboriosa, molto difficile poi l’ho dovuta sentire per quelle cause che sono già note, et che per ogni rispetto lascio nel silencio.
Onde il poco c’ho potuto operare nei nuove mesi che mi vi son trattenuto (termine che non ho dovuto eccedere, perché tanto mi prefiggea la mia commissione) sarà, come supplico, dalla benignità Loro ricevuto e gradito per il molto che devo verso la patria et per natura, e per infinite obligacioni.
Racconto con brevità quello che in questo tempo breve ho potuto operar et osservar, non perché fusse mia risolucione di farne relatione, havendo anzi creduto che l’avvisato di volta in volta con mie lettere potesse bastare alla publica intelligenza, ma per sodisfar all’obligo che nel ritorno da simili carichi è stato prescritto dalla publica prudenza.
Giunto, però, a Zara otto giorni mi vi trattenni, et in questo mentre visitai l’hospitale de condennati, et con qualche mia mortificaccione lo trovai molto diverso da che era in altri tempi, perchè vi mancavano le cose necessarie per il governo degl’infermi, et li ministri et serventi erano creditori non solo delle paghe di molti mesi, ma della spesa ancora fatta agli infermi medesimi.
Ne scrissi a Vostra Serenità, et nel mio ritorno ho inteso che Ella haveva a tutto riparato con gli ordini et con le provisioni, effetti proprii della providenza publica che in tutti i tempi pure si doverann’aspettare in cosa che tanto importa.
Applicai anco un poco la cura alla cosa delle munitioni, et apprestamenti tutti necessarii all’armata, et acciòcche quello che deve star’unito in que’ publici magazzini non rimanesse qua, et là sparso in luoghi particolari, feci proclami, che feci pure in tutte l’altre terre, e così riddussi diversi apprestamenti insieme, i quali furono denonciati. Vi lasciai poi prohibitione che in ogn’altro luogo dove mi fermai ho pur lasciato, acciò mai le cose publiche tanto importanti stiano et si serbino in luoghi privati. Altro non operai in Zara, perché quanto alla revisione delle galee e barche armate già scrissi all’hora all’Eccelenze Vostre quello che mi occorse.
Fui anco a Liesena per un solo giorno, tempo molto restretto a poter’ operar’alcuna cosa di sostanza. Visitai nientedimeno quell’arsenale, e que’ magazzini de biscotti, e trovai che con poca cura et ordine amministrandosi le cose, havean bisogno di qualche regola, trattandosi di materia in che l’Eccellenze Vostre spendono tant’oro.
Risserbai di maneggiarmi adentro nel mio ritorno poi da Corfù, ma il fine della mia carica mi vietò il farlo, come mi è successo anco di Zara, poiché addirittura son tornato alla patria per non passar’ il tempo prefisso.
Ѐ ben vero, che siccome la più diligente cura di quegli medesimi magistrati che alle cose d’armata sopraintendono, sarà forse propria e buona per riparar’agli inconvenienti tutti, quali in questa e in tant’altre importanti materie sono causati per negligenza de’loro ministri, così se nelle camere di fuori fossero mandate sempre le leggi che di tempo in tempo si fanno, e registrate anco nei libri bollati di quei che armano, con farle haver pure ai capi da mare, credo che saria molto bene, perché diverse delle più essenciali ne trovai mancare, come ne scrissi particolarmente a Vostra Serenità et agli illustrissimi all’armata.
Giunsi poi a Corfù per effettuar gl’ordini di Vostra Serenità in diverse cose, ma nelle fabricaccioni particolarmente de biscotti, havendomivi condotto in pochi giorni nella più horrida staggion del verno.
Quest’opra, però, de biscotti mi riuscì vana per il mancamento de’formenti, perciò che, sebben l’Eccellenze Vostre furono informate e poste in speranza che l’armata fosse piena et abbondante, onde si potesse far delle facende, fu tutto l’opposito, sì perché l’occasion di provedersi era già passata al mio arrivo, sendo i buoni mesi quelli di settembre, ottobre e novembre, come perché a Dragomestre [Dragomesto/Astakos] e Candele [Candila], luochi da dove principalmente si cavano i formenti, erano state fue grosse navi genovesi, che ne havevan caricati et condotti via sin 30.000 stara. Insomma, trovai non abbondanza, ma carestia di modo che per il viver delle milicie convennì dar (così volendo il ben publico) oltre il consumo di 200 moggia, provisti da quell’illustrissimo signor provveditore, anco altro 600 che io ne havea fatti provedere per far biscotti, sopra i quali posi però le spese tutte, ch’io feci non solo ordinarie, ma anco il salario de pistori condotti di qua, e soprastanti per otto mesi, sicché Vostra Serenità per tutto agosto non ho sentito di questi interesse alcuno né con tutto ciò quel formento riuscì caro, perché da principio lo comprai ad’avantaggioso prezzo.
L’importanza di quelle piazze certo chiama Vostra Serenità ad una ben diligente cura, facendo che restino ben proviste e munite di grano, per supplire all’occasione di qualche repentina penuria, poiché anco il deposito del miglio che suol esser di 12.000 stara, trovai esser solo di mille.
Cessato il poter fabricar la quantità de biscotti, ch’era già ordinata, risolsi di riponer in quella camera quel danaro che Vostra Serenità mi havea perciò fatto contigiare, havendolo sottoposto, quanto al disponerne alle medesime strettezze, con quali a me fu dato. Non è però, che sebbene mi riuscì vana la fabricacione di tanto biscotto, tralasciassi di far sperienza, per veder come riuscisse in qualità et in vantaggio, quando poi se ne possa fabricare.
Impercioché postavi mano con diligenza, per prima ordinai che i formenti fossero ben crivellati et resi netti dalle lesche e dalla terra, che prima nel fabricarsi biscotti non se ne haveva tanta cura.
Conferitomi poi alla visione de molini, viddi che le mole di que’ ch’erano acconci, erano, come è noto a Vostre Eccellenze, fatte di pietre da Milo di molti pezzi, et otturrate le fissure con bitume, il quale et le pietre tenere di natura frangendosi, come anco il cerchio delle macine, che fatto di creta si dissolvea col moto, tutto si convertia in farina, per la qual cosa il pane et il biscotto riusciva non solo brutto e cattivo, ma molto mal sano. Ordinai, però, che i cerchi si facessero di legname, non più di creta, et che le mole si mettessero di pietra dura trovata in quell’isola, non più di quella da Milo. Et così, parte ne fu accommodata et parte s’andava accommodando, con le moli però grandi solo, quanto comporta l’acqua che dee volgerle.
Se così tutti i molini saran’acconci e tenuti, e se tra que’ signori rettori passerà la dovuta intelligenza, onde tutti i formenti che si mandano a molino, tanto dal publico quanto dalla città, fossero ben crivellati con crivelli proprii, et da huomini prattichi (che altrimenti la diligenza saria vana, perché alle Benizze particolarmente dove sono communi i molini il grano si confonderebbe) al sicuro, e tutti in Corfù mangiariano buon pane, et i biscotti riuscirian migliori di questi di Venetia. La prova me lo ha fatto conoscere nella poca quantità che ne ho fatta fare, come ne mandai anco mostra all’ufficio illustrissimo delle biave, poiché aggionto alle suddette diligenze anco la peritia del crivellatore e dei cinque pistori condotti di là, che lo sanno ben’impastare, riuscirà certamente e sempre molto buono, et a proposito per l’armata.
Son forni a Corfù, che ne faran sin otto migliara il giorno; il costo sarà almeno con avanzo di quaranta per cento, oltre il risparmio de’noli, et del danno che si sente dai frisoppi, causati per il caricar et scaricarsi i biscotti. Io rappresento il sincero della cosa, perché mi pare utile publico sia l’applicarvi pensiero. Ѐ ben vero che volendosi far biscotti a Corfù è necessario, e sarà bene che non solo a Dragomeste e Candele s’attendi per haver formenti, ma anco a Valona e Durazzo, perché in tutti que’ luochi è stata assai buona l’annata, e perciò si dia l’ordine che le galee visitino alcuna volta, e ai certi tempi tutte quelle scale, acciò i vascelli forestieri non vi vadino a caricare e levare il commodo de’grani alla Serenità Vostra. Questo dico, perché chi volesse far’ i biscotti di que’ formenti, che dalle rive incontro Corfù si cavano, riuscirebbe carestia nella città.
Sarà anco bene che non sian più lasciate in poter del sopramassaro le lesche che si cavan dai formenti, come seguiva nel passato, perché oltreché il publico le perdea, poteva mandarle egli forse mischiate col formento a molino, onde ne riusciva cattivo il biscotto.
Necessario pure sarà il rinovarsi la elettione d’un soprastante alla fabrica de’ biscotti con qualche accrescimento alla solita provisione, ma che non sia Corfiotto, dipendendo da lui la somma del ben riuscir questo importante negocio, mediante però la sopraintendenza et commando di quell’illustrissimo signor provveditore. Di questo pure scrissi all’hora a Vostra Serenità per riverente raccordo.
Applicai in un medesimo tempo l’animo e l’opra alla revisione della camera, delle monitioni, dell’hospitale et del fontico di quella città.
Quanto alla camera, trovai che non di mesi, ma di anni era indietro la scrittura. E però volsi che que’ministri venessero nella mia casa, e di là non partissero sinché la scrittura restò regolata, perché altramente fuggendo essi l’opra, il fondo non si sarebbe veduto né le casse sarian state saldate, come pur si saldarono, sebben con gli incontri già scritti, prescrivendo io quelle regole per il buon governo di essa nell’avenire, che stimai proprie, e le quali se Vostra Serenità crederà esser buone, degnerà confirmare con la sua singolar virtù.
Quanto al magazzino de’biscotti, ne ho fatto il fondo et incontrate le dispense, e havendo trovati mancamenti e fraudi, ho fatta reintegrar Vostra Serenità, et corretto il sopramassaro, come meritava, che di tutto diedi riverente conto in mie lettere. Haverei penetrato anco contro i suoi precessori dal 1620 in là, et per aventura fattone rissarcir’ il publico con avanzo de migliara de ducati, per la defraudation delle lesche in particolare, quando alle mie reiterate istanze per quella auttorità che non teneva, havesse ricevuto alcuna risposta.
Gli ordini del fontico sono proprii del bisogno per la buona custodia di esso, nè altro vi occorre che la essecutione bel spesso trascurrata, havendo io fatto pagar’ a debitori quanto andavano diffettivi, oltre a che per avanti l’illustrissimo signor Marc’Antonio Malipiero bailo con la sua diligenza s’era impiegato nel far saldar grosse somme.
Dell’hospital poi di Santa Giustina, il quale è tanto necessario per la conservation de sforzati, havendovi io applicato pensiero, trovai che sebben è bel luoco, capace di 300 et più ammalati, provisto di priore, cappellano e medico, con tutto ciò i sopracomiti si astenevano di mettervi gli sforzati loro, onde conobbi che la causa veniva, perché sendo il luoco distante dal porto, non ha poi il pontile con quali possan sbarcarsi i poveri infermi, che sebben già vi era, è andato in ruina, perchè il priore per il più sostituto et perciò poco accurato al servigio, poco anco il medico vi andava, onde fiaccamente eran governati i meschini infermi. Et perché anco non vi era guardia che di qualche scapolo di galea senza agozzino, et con i balconi senza ferriate, perciò molto facili al scampo, mancamenti tutti per i quali niun sopracomito vi ponea ammalati, se non n’havea in molta copia nella sua galea, che in quel caso gli facea governare e guardare dal suo barbiero e scapoli.
Et havendo ricercati gli ordini fatti sopra luoco e materia sì importante, mi fu detto che mai eran stati visti né per qualunque diligenza si ritrovarono nelle camere ò cancellarie di que’ reggimenti.
Per questo, conforme agli espressi publici commandamenti, desiderando di por rimedio al disordine che andava innanzi con troppo danno dell’armata, feci condanare di condanne et senz’altro interesse di Vostra Serenità, fortificar’ i balconi con ferriate, far restelli alla porta, separar’ il luogo delli condannati da quello d’altra gente di galea, et feci proveder degli utensili per il bisogno.Deputai anco un agozzino con quattro scapoli ordinarii per guardia.
Et per dar’ ordini proprii al buon governo, mi son valso in buona parte di quelli dell’hospital di Zara, costituendo con essi ad ogn’uno qual’ obligo deve havere et adempire. Di questi ordini mandai copia a Vostra Serenità, ne lasciai in quella camera, et a tutti gli illustrissimi capi da mare ne feci cansignare. Se sarann’a proposito, l’Eccellenze Vostre degneran di confirmarle, commandandone la essecutione intiera, la quale è pur necessaria ei tutto quel resto che anderò dicendo, e che concerne il buon governo delle cose, che senza questo non se ne può sperar punto di bene.
Resta il pontile necessariissimo per il sbarco degli infermi, estendendosi in fuori la spiaggia per lunghezza di quattro galee, e per la quale con i piedi nell’acqua convengono (non trovando chi loro usi la carità di portarli) caminar’ i poveri ammalati, cosicché i loro mali si accrescono, seguitandone le morti. Per questo, sin quando già dieci anni io ero provveditor dell’armata, feci tagliar’ in due giornate dalle ciurme delle galee il legname sufficiente per fabricarlo, che feci riponer nell’hospitale, ma puoti far fornir l’opra per causa dell’armata turchesca, per quale d’ordine publico convenni venir in Dalmatia.
E perché quel legname cavato di là è stato in altro adoperato, credo in servigio publico, però ricercandolo il bisogno e non dovendosene provar o difficoltà o lunghezza molta, trattenendosi particolarmente l’armata a Corfù in qualche otio la state, credo che la virtù de signori capi da mar et in specie dell’illustrissimo signor provveditor dell’armata, si applicherà a questa necessaria funcione, tirandola al fine, massime capitandogli il senso di Vostra Serenità, alla quale sia riverentemente raccorelato esser necessario, che per la buona regola del luoco sian bene osservati nell’avenire gl’ordini, come che pure, non dovendo più la carica di simil luoco esser’ essercitata da sostituti, gioverà anco mirabilmente l’instituto prudentissimo della patria in non far che gli ufficii prevagliano in occasione di elegger’ a questa e simili cariche, ma che la solita carità publica concorra solo in persone a proposito, conforme all’importanza della cosa.
Il tempo che mi trattenni a Corfù, l’ho speso in questi affari, in quali ho durata fatica sempre assidua, oltre a che operarono i mie’ ministri incessantemente, a quali tutti, sì a Corfù come in ogn’altro luogo, ho havuta sempre particolar’assistenza, non havendo essi operato se non quanto e come ho io ordinato, e massime nelle formaccioni de processi che sempre ho voluto esservi presente. Et Le dirò che per terminar negocii sì lunghi, mi son sequestrato sino li quindici giorni in casa. Vostra Serenità resti servita di crederlo, perché è il vero, havendo io dovuto far questo per non mancar’ al servigio publico, nel quale haveva l’intiero impiego di tre ragionati e cue cancellieri, e non bastavano.
Passai doppo al Zante per rivedervi la camera, fontico et magazzini di biscotti, et armiggi, sopra le quali cose mi convenni trattener circa quattro mesi. Ho trovata la camera in stato tale, che piùttosto parea il scrittorio di un fallito che camera di Vostra Serenità. Molti libri erano smarriti, particolarmente quelli delli dacii et degli incanti, il che succedea anco nelle altre scritture. la scrittura non messa giù, ma andata in total disordine, e tutto questo era non solo per causa che non vi era massaro per la custodia delle cose né ministri che essercitino, perché un Zuanne Gravilopulo, qual per concession publica havea in testa sua quattro ufficii nella camera, si trovava absente, come sottoposto già alla giusticia, ma succedea per altre cause ancora che non voglio discorrere. Vi posi, però, mano et fatti raccoglier’ i libri e scritture con particolar’ inventario, e deputando massaro per la custodia, feci far gli armari e catasticar’ il tutto. Feci nel medesimo tempo farì estratto de’ debitori de’ dacii e del fontico, facendo dar’ opera alla essatione, per la quale, sebben’ in tempi vicini al raccolto et senza danari nelle genti, tuttavia si riscuoterono ducati 21.000 di debiti vecchi da 30 anni in qua. Et hora per i buoni ordini, lasciati così al Zante come a Ceffalonia, si sarà scosso questo passato settembre dai signori rettori buona summa di danaro senza alcuna difficoltà.
Il debito grossissimo di 150.000 ducati trovato in quella camera tra di fontico e di dacii, si è causato dal non riscuoter’ annualmente il debito dei dacii incantati dall’attual reggimento. E questo avviene sì perché a debitori torna più conto andar in pena che pagare, rispetto che non pagando trafficano anni et anni quel pubblico danaro a loro prò et civanzo, come perché quelle genti fraudolentemente sagaci non tralasciano via o operacione per venir’ a capo, sì del non pagare come d’altri loro fini et interessi.
Per la essecutione contra i debitori, qualche cosa ho convenuta lasciar imperfetta, scusandosi alcuni nei mancamenti trovati contro il servigio publico, sopra la persona del Gravilopulo antedetto, il quale veramente, già ch’era hormai stato spedito a Corfù, dovea non allontanarsi, ma venir alli suoi carichi, sentendo esservi un’inquisitore che questo ricercava da lui il servigio publico, havendogli io massime fatto intender per mezzo de suoi parenti che venisse, formai, però, processo, ma non terminai altro, massime potendo esser che le cose oppostegli siano calunnie, sendo stato quattro altre volte assoluto. Tuttavia, non havendo data la sua informacione alla giusticia, ho dovuto presentar pur’anco il suo processo, et ne lascio la verità a suo luoco.
Nella camera un solo ministro facea il cancelliere, il ragionato, il quaderniero, e dettava anco le partite al scontro, onde se fosse stato cattivo ministro, haveria a suo commodo fatta riuscir la scrittura, oltre che un solo non potea poi supplir a tanto. E sebbene tornando il Gravilopulo, colui restava solo ragionato, tuttavia con questo restante peso nel Gavrilopulo, le cose tornavano certo nel disordine di prima, che però levato a lui il carico di massaro, che in altro ho conferito, anco quello di coadiutore, che pur’ in lui non si essercitava, ho posto in altra persona, con haver distinti a tutti i suoi oblighi e pesi, acciò non si confondano o l’un l’altro si scusino, come per il passato con danno delle cose pubbliche facevano. E questo con altre regole et ordini lasciati là per il buon governo, degneranno l’Eccellenze Vostre con la Loro virtù confirmare, se stimeranno esser ciò bene.
Dovendo in questo proposito raccordar col solito della mia riverenza, che non è forse bene, che nelle camere sian tanti ufficii in testa di un solo per varii rispetti, potendo bene la munificenza publica d’altro graciar’ i meritevoli supplicanti. Che tutti i provveditori che van da nuovo a Corfù, Zante e Ceffalonia overo un sì e un no di essi, menasse sempre seco un ragionato per ascistere alle ragioni publiche, perché così da nuovo introducendosi non saria né accasato né apparentato nei luochi, ma desinteressatamente attenderia alle cose pubbliche. E che non è mai d’utile il sentirsi in quelle isole tanta carestia de ministri, particolarmente al Zante e Ceffalonia, dove ancorché poco buoni nei ministerii si fanno anco pregar di servire, poiché sicuri questi tali di esser sempre, et che per altri del paese non saran mai esclusi, oltreché insieme sono apparentati hanno poi la unione sì ferma, et le mani sì pronte all’interesse de particolari, che quello di Vostra Serenità per le Sue entrate non le ne può sentir punto bene. Sia detto ogni cosa per buon fine alla molta prudenza Sua, la quale in questo proposito in particolare degnerà haver non picciola considerazione.
Per la esattione de’ dacii ho posti molti ordini, ma ne ho instituiti due principalmente, stimati da me necessariissimi. L’uno, che è il dacio dell’entrata et uscita, ch’è il maggior di rendita, affittandosi circa 10.000 ducati l’anno, et è il più facile a riscuotere, s’incanti come l’ho fatto io incantare nella forma che si tiene in quello della nuova imposta, che ho trovato usarsi così anco a Ceffalonia, perché havendo già in uso di riscuotere il danaro ai particolari daciari, ho trovato che di questo dacio andavano in resto, chi della metà e chi dei due terzi della somma, servendosi a loro piacere del danaro publico. L’altro, che li dacii, quali sono incantati dai reggimenti presenti, siano anco scossi con certe particolari, come parla il capitolo. Questi, se parendo buoni saran pur confirmati dalla prudenza di Vostra Serenità, credo che riusciranno proffittevoli, et agli interessi Suoi et a quelli anco de sudditi, poiché sendo rimasti alcuni grossi debitori de dacii, e mandato a male il danaro, hora che sono morti, astringendosi le facoltà delle loro case al pagamento, sentono le famiglie e i pupilli gravissimo interesse, e malediscono chi fu causa dell’esser restati a dietro simili debiti. Danni et esclamationi che mediante questi ordini cesseranno forse nell’avenire.
Il fontico, poi, che vuol’ havere di capitali più di 50.000 ducati, all’hora era sin’all’ultimo diminuito, et questo perché è stato mal maneggiato et non si attese a far riscuotere, come era dovere annualmente né furono osservati quegli ordini, fatti già da illustrissimi rappresentanti straordinarii confirmati dall’Eccellenze Vostre.
A questo ho, però, applicato il pensiero e procurando di riscuotere, cosicché di 1.500 reali che solamente vi erano, s’attrova hora in esser presso 12.000 ducati. Vi ho fatti anco alcuni ordini, e particolarmente dove vi era un solo fonticaro, ho fatto elegger dal Conseglio tre provveditori con tre differenti chiavi ai magazzini, et ho fatte altre regole, le quali se saranno stimate proprie da Vostra Serenità degnerà confirmare, ordinando la essecutione, sebben, come ho detto, sono le cose neglette et abusate. Queste regole certo et ordini c’ho fatti registrare e publicare, han piacciuto molto, perché han mira grande anco al sollievo del povero.
Ho fatto anco il fondo de’ magazzini del biscotto et armiggi, e nella revisione ho trovato che in questo maneggio così importante, oltre l’esser’assai confuso per esser stato abbandonato da chi lo amministrava, non si tenea nemmeno scrittura o libro circa la ricevuta e dispensa delle cose, onde altra informacione non si hebbe che dai medesimi che l’hanno essercitato, non sendosene in camera tenuto registro o nota alcuna, cosa in vero da considerarsi molto, perché in niun’altro luogo che al Zante, non ho trovato simil disordine.
L’ho, però, al mio poter ordinato e constituito in buona regola, havendo separate le cariche di armiggi e biscotti, e dati ad ogn’uno i suoi ordini, quali ho anco fatto registrar’in camera.
Ho anco ordinato che in camera si tengano due libri, uno di biscotti, l’altro di armiggi, con obligo di esser mandati a Venetia li conti ai magistrati soliti ogni quattro mesi, come si osserva negli altri luochi ove di tali cose si trovano. E questo affine, che al disarmar le galee, così alla camera come all’arsenale, e tre daccii sopra i conti, si possa veder quanto biscotto et quali armiggi haveranno ricevuti.
Ho anco levato l’abuso delle due per cento de’ biscotti, come di grave interesse publico, poiché sendosi venduto il biscotto a vascelli, si portò la scusa con dire ch’era delle due per cento, e in cambio e per mercede della fatica, ho assignato al custode quindeci ducati il mese dove quel di Corfù ne ha 25, rispetto alla maggior quantità di robba et al maggior peso che sente.
La inquisitione di questo negocio l’ho appoggiata a quell’illustrissimo signor provveditore, acciocché si tengano i ministri in freno in materie tanto gelose et importanti. Anco questo degneranno l’Eccellenze Vostre confermare, se lo stimeranno ben fatto et utile, ordinando la essecutione del tutto.
Dovendo in questo luogo soggiungere esser bene e forse proprio della publica prudencia, il levar queste due per cento anco a Liesena, Zara, Candia e Canea, dando ai sopramassari o monitionieri in cambio quel salario per mercede, che sarà conveniente et ciò per levar via il dannosissimo abuso di vendersi il pane pubblico anco deffraudato, tutto sotto scusa e coperta che sia delle due per cento.
Et perché sono entrato in gelosia, che in proposito di armiggi vecchi, particolarmente a Zara e Corfù, segnano molte cose dannose al publico, sendo che, occorrendo a vascelli il bisogno di qualche cavo, e stimandolo l’ammiraglio a suo modo senza alcuna sopraintendenza, ponno seguire facilmente delle fraudi.
Però giudicherei esser bene, et lo raccordo riverentemente, che astenendosi per l’avenire dal vendersi simili cavi, quando pure l’urgenza lo richiedi s’habbino a stimare non più ad arbitrio dell’ammiraglio, ma conforme la stima di tanto il carrato, che doverà esser perciò mandata fuori in cadaun luoco dal magistrato illustrissimo dell’arsenale, et che tutto si faccia sempre con la sopraintendenza de’signori rettori de’ luochi, acciocché in questo modo si ovvii più che si può agli inganni.
Nel mentre che al Zante mi trattenevo, fui anco a Ceffalonia chiamatovi da reiterate instanze di quell’illustrissimo signor provveditor Mudazzo, laddove per avvanti pur’ a ricchiesta di quel signore mandai un ragionato per servir’ in luoco di quel ministro di camera, che si era absentato. Rividdi la camera dove trovai reali 12.000 riscossi dalla diligenza di esso signore nel far riscuoter dai debitori, che certo sì per questo, come per ogn’altra sua condizione, è degno di lode particolare. Mi consignò sua signoria illustrissima due processi contra il quaderniero e cancelliero di camera, e contra quello che fu scontro, et contro questi divenni agli effetti dovuti della giusticia.
Doppo ordinata in qualche cosa la camera, voleva continuare l’esattione dai debitori, ma perché sino al Zante m’erano comparsi innanci i sindici della communità et isola, supplicando che trovandosi que’ popoli sotto la raccolta delle uvepasse, et estenuati per la esattione fatta dal signor Mudazzo, volessi sopraseder la essecutione, offerendosi loro (che per quanto intesi erano le principali persone et le danarose) che se per tutto questo passato settembre non saranno pagati dai debitori essiggibili i loro debiti che sono attorno 24.000 ducati, comprerann’ essi i loro beni et sodisferann’ il principe immediatamente.
Però, fattami anco a Ceffalonia questa medesima istanza, et veduto disfatto quel creduto presuposito, cioè che i debiti di Ceffalonia erano difficoltosi, rispetto al non trovarsi chi compri i beni dei debitori, tolto anco il parere dell’illustrissimo Mudazzo, accettai una scrittura di oblacione, quale mi porsero con pontual patto di far’ il predetto pagamento, come all’hora accennai a Vostra Serenità in mie lettere, con quali mandai anco la scrittura.
Mi resta dire alcuna cosa, e in generale di tutte due, e in particolare di ogn’una di queste isole di Zante e Ceffalonia e loro genti, e discorrer’ insieme quello che per mio senso saria conveniente. Tutte due queste sono fruttiffere et opulenti, havendo quasi tutti gli habitanti vecchi, massime nel Zante, beni e poderi, onde pare che non vi si osservi alcuno mendicante, sendo infatti più commodi che gli altri tutti habitatori dello stato. Rendono tutte due, per quel solo che là si cava, presso 120.000 ducati l’anno a Vostra Serenità, oltre quello che ne ridonda nei dacii e negocio di Venetia, e molto più renderiano anco senza incommodar le genti, perché particolarmente in Ceffalonia, sendosi da 20 anni in qua coltivata tutta l’isola di uvepasse, se ne cavan’ hora sin sette e più millioni l’anno, dove a mio raccordo non ne rendea appena tre. E di questa tanta somma, vendendola per il più agli Inglesi, hora che per le guerre con Spagna non tolgono cebibi di quel regno, ne cavano sin 40 reali il migliaro, onde nelle rendite opulenti qualche poco di gravezza saria non male, ma un cautorio anzi salutifero, che risecando qualche poco humore di morbidezza, tornaria in publico utile e saria proprio per supplir’ a quello che anderò descrivendo, et per altri bisogni nello stato presente di cose. E tanto sia detto anco per il Zante.
In questo ragionamento non debbo tralasciar di dire, come anco all’hora scrissi a Vostra Serenità, che havendo trovati nel porto di Argostoli, quando per viaggio da Corfù al zante vi capitai, quel corsaro d’Inghilterra con suoi galeoni, e prese, non mi piacque punto la troppa famililiarità che quegli habitanti seco tenevano, l’habitacione ch’egli teneva in terra in una delle case di que’ cittadini, et la facilità con che levava genti per armar le prese et condurle seco in corso, ma questo sia detto in passaggio, e fuori della mia carica,alla pubblica prudenza.
Quanto al Zante poi, havendo già io dato conto in mie lettere, e pienamente constando dai processi presentati nell’eccellentissimo Colleggio, quali sarebbe se non bene che l’eccellenze Vostre intendessero la naturadi quelle genti fattionarie, seditiose e tumultuose, come dimostrò quella scandalosa sollevacione fatta, mentre volendo io deputar le guardie e dar le armi, rimasi deluso dai deputati del popolo, che sebbene col perdono humilmente richiesto sodisfecero nell’apparenza alla riputacione del principe e al loro debito. Non resta, però, che il medesimo principe, mosso dall’essempio et per non sentir più di simili motivi, non sia in necessità di por freno, che rimedii et tenga salde le volontà et l’opre di coloro nell’avenire, in una isola massime dell’importanza, che anderò descrivendo.
L’isola, come è ben noto a Vostre Eccellenze et già ho detto, è fruttiffera, e scala di assai negocio, capitando in quel porto sin 500 vascelli l’anno per l’estrattione de vini, uvepasse et ogli che vi si raccolgono, et più quello che vi si introduce anco di Morea, che sono 1.200 colli di seta all’anno incirca, molta quantità di lane, grana, formenti, et molte altre merci che anco d’altri luoghi turcheschi s’estraggono, onde è considerabile l’utile de dacii che si cava, così là come in venetia, per le cose poi che vi si conducono in utile del negocio. Insomma quella è la più importante scala del Levante, et da quale maggior’utile che da ogn’altra ne cava la Republica, oltreché ivi tutti gli avvisi concorrono, et maggiormente s’ingrandiria anco il commercio se i mercanti havessero sicurtà nel luoco, nel quale egualmente sono esposti, et all’ingiuria degli habitanti, et alle infestacioni delle galeotte barbaresche.
L’anno 1617 di peste morirono14.000 persone, et perciò vi si sono introdotte in habitacione doicento case di Mainotti e cento d’altre parti di Morea. E questi nuovi habitanti, la cui condizione è ladra, et sospetta la fede nella occasione della già detta sollevatione, mi fu soffiato nell’orechio che, sospinti anco da alcuni capi de vecchi habitanti, havessero pensiero di svalleggiare non solo le case de’ particolari mercanti Inglesi, nelle quali si trovavano 300 et più mille reali, ma di sorprender anco il castello col danaro che destinato per candia vi si trovava riposto, sino che l’eccellentissimo signor general Molino havesse potuto partire per la carica sua, che perciò s.e. a mio raccordo e per sua prudenza si condusse all’hora in castello con la compagnia d’Italiani, come scrissi.
Pretendono di salvar quei di galea che fuggono, sentendosi là in tal proposito peggior condizione che sottovento o in altri paesi forastieri. Et ancorché nemici tra di essi, s’accordano però tutti contro le galee.
Hora poi che doppo la sollevatione hanno concetta credenza che Vostra Serenità voglia far un forte al molo o in altro sito, et di pressidiare il castello con guardie anco nella città, si rammaricano i cittadini con i popolari, perché habbiano essi data occasione a questo loro giogo spiacevole, sebbene infatti questa risolutione non spiacerebbe che ai caporioni e loro seguaci, et alle cattive persone, essendo uno che ai negocianti et ai poveri che vivono quieti riusciria di gran gusto.
Non temono la giusticia, perché di rado o mai ne veggono l’essempio o sentono l’effetto, sapendosi molto bene che non havendo il reggimento forze per essercitarla, oltre altri rispetti et interessi che si frapongono di mezzo. Di cento micidiali, pochissimi se ne castigano, et il castigo poi casca sempre e solo sopra qualche meschino perseguitato da loro medesimi, come che pure restando banditi hanno da Costantinopoli salvocondotto o poco curandosi del bando stanno alle case loro, con manifesto dispreggio della giusticia, et con loro utile particolare, perché dove non banditi sono sottoposti alle fattioni et angarie, banditi poi a niente sono chiamati e sottoposti. Un altro e molto più importante et pericoloso diffetto si subodora nelle loro volontà et si può temere nelle loro risolutioni.
Sono, come è detto, commodi quasi tutti, et con dimostration che amino et ambiscano le novità, et questo chiaramente si vidde quando nella sollevatione già discorsa, profferirono parole risultanti intencione di chiamar’altri prencipi, e cose simili, oltreché, tenendo essi sempre gradita corrispondenza con le parti di Napoli et Sicilia, non portano nelle fregate loro altra bandiera che di Malta, quale tengono sin nel porto del Zante et nelle case loro. Et vi è poi anco il console tenutovi dal re di Spagna, il quale apparentato con principali abbraccia nello affetto et dispositione di quasi tutta la città. Apparenze et cause tutte in vero, che eccitano a vivissima considerazione per gli effetti mali et sinistri, che indicano nell’animo et inclinatione, qual possono havere più che guasta et pregiudiciale gli habitatori di quell’isola. C’ha un castello in poco buon esser di diffesa, disarmato et che sin’hora come pressidiato con le guardie de loro proprii, si può chiamar che sii in loro mano, il che tanto importa, massime quando non è nuovo che il re di Spagna, ambicioso et bisognoso di posseder’isola con porto in Levante, a questa potrebbe, quando meno si pensasse, dar di mano fortificandola conforme al suo vantaggio, e tirando il porto a maggior sicurezza, il che gli riuscirebbe di fare mediante la spesa et la diligenza proprie dell’importante occasione e del suo potere.
Il rimedio per tutti questi disordini e pericoli è in pronto, credo, et saria conforme alla prudenza di quell’eccellentissimo Senato, et io lo andarò descrivendo col solito della mia riverenza.
Le guardie, per quali par che la sollevatione si fece, sono addossati a pover’ huomeni che riescono anco imperfetti a questa fattione, cosicché doicento che doveriano andarvi, appena quaranta vi si conducono, li botticari et altri commodi non conferendovisi, sendo vero che lavorando i terreni, e tornando la sera stracchi dall’opra, fuggono il servigio, benché commandati di prestarlo, e tanto più lo fanno quanto che sono obligati alle guardie, in tempo appunto che convengono travagliar per la custodia delle loro campagne et dei loro frutti et raccolti.
Da questo peso, però, il popolo si sottrarebbe volentieri et in cambio, credo, si contentarebbe di pagare, non le tredici gazette per ogni botte di vino, ma un ducato intiero come si paga a Ceffalonia, ascentirebbe pure alla contributione del sale, di quale hora si paga una mica, et in luoco delle lire cinque che pagano per ogni migliaro, dariano anco lire otto per l’uvapassa. Accrescimenti di utile, che renderiano circa 30.000ducati l’anno, et che da loro medesimi mi sono stati raccordati per non far guardie. Che se anco a Ceffalonia si facesse pur pagar lire otto per l’uvapassa, et il medesimo di più per il sale, si cavaria poi tanto che con quello, c’ho detto del Zante, si mantenerebbono 500 fanti, bastevoli alla guardia del castello et della città del Zante, e per tener in freno quelle genti. Et ve ne sarebbe anco spesa delle munitioni et altre cose per riddur il castello in buon’essere, et per far che sia proprio per l’occasione.
Così senza alcuna spesa, anzi con qualche avanzo, Vostra Serenità levarebbe l’occasione delle sollevationi, ponendo freno a gente molto rilassata, darebbe forza et calore alla giusticia, ovviarebbe il pericolo che soprasta al Zante dall’armi straniere, mediante gli affetti guasti de popoli, e i pensieri insidiosi d’altri, riddurebbe un’importantissima parte del suo stato in diffesa et riputacione, et col render sicura la città et le cose dalla rapacità de corsari, acommentarebbe anco il negocio, perché quei di Morea et altri hora in particolare si astengono di mandarvi gli haveri loro, temedo che un giorno il lazaretto sia svaleggiato, come nel stato presente è gran miracolo che non segua.
Riceva Vostra Serenità in buona parte il mio raccordo che raccommando alla Sua singolarissima prudenza, alla quale debbo pure in questo luoco soggiungere col solito della mia riverenza, che siccome nel regno di Candia per ben delle cose, et nella Dalmatia anco stante la distanza della città dominante, tiene Vostra Serenità il Suo general inquisitore, così a queste tre isole di Levante lo tenesse pure, perché sopraintendendo a tutte le occasioni, et ricevendo le appellationi delle cause, le cose tutte passariano forse con maggior rispetto et riguardo, in buon servigio publico, et la giusticia riceverebbe più integramente il suo pieno con sodisfazione de buoni, et con quietezza del tutto che dee tanto desiderarsi.
Questo generale doverebbe, però, trattenersi per il più a Zante e Ceffalonia, come luochi più distanti, trovandosi particolarmente in Corfù più reggimenti che governano. E se non per sempre, almeno per doi anni doverebbe questa carica esser fatta e star in quelle parti, perché intanto si rimmetterebbono in perfettione le cose c’ho raccordate, come necessariissime nell’isola del Zante, et le quali può ben conoscer Vostra Serenità con la Sua singolar virtù esser tali.
Mi resta raccontar quel poco c’ho potuto osservar nel particolare dell’armata. Trovai che quasi tutta l’armata era debitrice di drappi et di biscotti, ma perché si scusavano tutti con dire che non havendo havuto in tempo le paghe, et convenendo vestir gli huominidi libertà ordinarii , et vestir et spesar’anco quelli che tenevano di più per ben riuscir nel servizio, s’erano valsi per necessità del pane et dei drappi publici, cosa che infatti credo ch’era anco vera. Per questo, se le leggi mi obligavano ad apportargli debitori anco con pena, l’equità m’insegnava di non farlo, se non del capitale, rispetto alla ragione che tutti havevano nel non esser stati pagati in tempo. Mi pareva, pure, che l’osservare in questo caso l’intiero rigore fosse un ruinar tutta l’armata. Et però havendone scritto all’Eccellenze Vostre, ricercando il Loro parere e volontà circa l’apportargli debitori più in una che in un’altra maniera, convenni tener sospesa la mano senza farne altro, onde se n’è perduto il capitale de debiti rilevanti a molte migliara de ducati.
Sendo vero che come è rimasto tempo a scrivani e sopramassari di acconciar le cose, non si troveranno più questi debiti, sapendosi certo che quasi mai galee vengono con debito di tali cose a Venetia, se non è qualcheduna che nel maneggio del scrivano, scopertosi qualche importantissimo intacco, fuggendo quel tale, resta rimediato al tutto.
Troppo chiare et indubitate le fraudi et inganni de scrivani, et troppo facile il modo di usarle, onde subito ch’io sono entrato in viaggio di ritorno alla patria, sicuri che per un gran pezzo Vostra Serenità non manderà fuori inquisitore, si saranno maneggiati conforme al bisogno, coprendo i debiti, poiché di drappi o si vagliono di quelli de’ morti o altre cose commettono oppure, quando non hanno tempo, li comprano dagl’altri scrivani per la metà o per i due terzi del valore. Et così d’uno in uno passando va in infinito il disordine, et ciò sia detto anco dei biscotti, de’ quali tra loro scrivani, et con i sopramassari delle terre principalmente, con facilità si aggiustano, oltreché per causa simile, compartendosi anco troppo scarsamente i drappi a sforzati, si causa che per patimento vengono le mortalità, et il publico perde gli huomini con l’importante capital del loro debito.
Dei biscotii havendo detto poco per innanzi, debbo però riverentemente soggiongere doversi forse dalla publica prudenza applicar proprio pensiero per rimediar alle fraudi che in pregiudizio della Serenità Vostra vengono commesse, il che si potria fare con ordini et comminationi di pene molto più severe contro i transgressori.
Ma come ho pur ragionato innanzi, il punto sta che le cose siano essequite e fatte essequire da chi commanda, che non facendosi, tutto va in derisione, non temendo alcuno il rigor della giusticia. Non dovendo tacere che tal sopramassaro de biscotti si è vantato di haver fatto civanzo che infatti è rubbamento di sino 10.000 ducati nella carica.
Signori eccellentissimi, sente la Serenissima Repubblica immensa spesa in questa materia, et se si farà il conto della spesa che si fa in Venetia e fuori nel fabricar biscotti, e del consumo che se ne fa intieramente dappertutto, e dall’altra parte si vedrà quante sono le genti che servono, si toccherà con mano che di gran lunga certo il consumo eccede la quantità delle genti.
Diversi vascelli che navigano per guadagno, anco forastieri, consumano, per quanto si subodora, di questo pane, tornando loro conto di haverne, perché lo pagano a molto inferior prezzo di che costa al publico, vendendolo così vilmente quelli che lo rubbano, per più facilmente riuscirne.
Affermo a Vostra Serenità che, sebbene non l’ho toccato con mani di certo, tuttavia per un conto fatto di grosso, non havendolo potuto far distintamente per le cause già note, viene Ella deffraudata in questo di molta summa di danaro all’anno, et la mano in pasta tengono li scrivani et sopramassari di armata con i sopramassari delle terre tutte.
Così sia detto anco nel proposito della polvere, della quale tanta in armata se ne consuma infruttuosamente, discipandosene fino col far salutar le meretrici, che il provedervi, onde l’abuso si levi, sarà certo ottima risolutione, et lo dico con senso di zelo, havendo nella provederia alle artiglierie di vantaggio osservato, quanto di tali monitioni sia la penuria et quanto convenisse ai bisogni risservarla.
Questi sono negocii di somma importanza, et degni del particolar rifflesso della prudenza dell’Eccellenze Vostre et della diligente cura di quegli eccellentissimi signori che a questo in particolare, et a tutte le cose di armata generalmente sopraintendono.
Dei drappi, poi, per levar’in qualche parte le occasioni in danno publico, stimarei esser bene che nell’avenire, come si mandano drappi per le ciurme sforzate, se ne mandassero anco per quelle di libertà, con ritenersi il danaro alle paghe in cassa publica, per quanti cadauno ne havesse tolti, poiché quando havessero in questo modo dei drappi, non haveriano occasione di pigliarne da loro stessi, et di riuscir debitori né di scusarsi che i debiti convenian farli per bisogno, per non haver in tempo le paghe servite.
Ma in questo proposito è necessario ch’io dica, et me lo condonnino benignamente Vostre Eccellenze, che l’amore et diligenza Loro può esser di gran giovamento all’armata, tanto importante per mantenimento dello stato. Imperò che, siccome ad ogni modo una volta pagano esse indubitamente l’armata loro, mandando armiggi, remi, monitioni, biscotti, drappi, riso et altro per mantenerla, così se queste cose andassero sempre in tempo opportuno, tutti resteriano sodisfatti, cessando le lamentacioni et le scuse, et senza paragone meglio viveriano le genti che per mancamento delle cose e del danaro in particolare, convengono patire et riuscir languidi et fiacchi nelle opere et servigio, et anco nell’animo et dispositione, poiché il mandarsi tutto, come si usa, tanto fuori di tempo, in ogni modo non leva il debito di farlo, ma genera sì bene gran detrimento all’armata.
Ho detto che le leggi et ordini siano raccolti, mandati e fatti essequire con pontuale et severissima maniera, e ho detto bene, perché in questi sì fatti tempi, intepidita l’accuratezza, e indebboliti gli affetti, varii et importanti disordini nell’armata si ritrovano, che hanno bisogno di particolare applicatione della pubblica vista, non mi estendendo io a discorrerne, sì perché in passaggio ho osservate le cose nel poco tempo che all’armata ho potuto ascistere et operare, come perché debbo hora abbreviare il tedio all’Eccellenze Vostre.
Dirò solo che, siccome per allettare la nobiltà all’applicarsi a questa sì necessaria proffessione, decretò Vostra Serenità prudentemente di habilitar li sopracomiti, sebben lontani alle dimande d’altri honori, così vedendosi che per prevalere li brogli alle strettezze de voti, ogni sopracomito che rimane, ottiene licenza di ritornarsene prima delli quattro anni statuiti, onde la deletatione nel servicio si perde né si avanza l’esperienza che tanto importa. Crederei, perciò, potesse la Serenità Vostra decretare che i sopracomiti nell’avenire, benché eletti, sendo fuori in servigio ad altre dignità, non potessero haverne il benefficio o per licenza o per qualsisia pretesto, se non forniti gli anni quattro del loro servire, et che anco i capi non potessero da una all’altra carica passare, se prima non havessero in ogn’una finiti almeno anni due, acciocché la deletatione nella proffession, et la maturità nella prattica et intendenza delle cose havesse luoco.
Con la galea del signor Zuanne Pisani sopracomito mi condussi da Venetia sino a Zara, et sebbene con galea nuova, tuttavia lo conobbi gentil’ huomo di degne condizioni, et con particolar spirito di avanzarsi per ben servire. Mi valsi poi da Zara in là, et sino al mio repatriare di quella del signor Lunardo Pasqualigo, e certo che nel stato presente ho goduto per estremo di conoscerlo, pronto altrettanto e zelante del publico servigio, quanto vedere che con dilettatione particolare nella proffessione di mare, la sua tra l’altre sia riuscita delle buone galee di armata, mercé alla cura di honore, e ha egli nel servire, come pure per questo medesimo rispetto merita lode il signor Scipion Boldù, la compagnia del quale ho havuta sino in Histria nel mio repatriare.
Dei processi che formai, et di quello che già scrissi, non dirò o repplicherò cosa alcuna, non havendo io natura o volontà d’invehire, poiché come inquisitore non ho proffessati rancori o alterezze, solo movendomi il semplice servigio pubblico. E come Antonio Civrano honoro tutti, dolendomi sin nel cuore che queste occasioni habbino dovuto e potuto alienarmi l’affetto di quelli che debbo et voglio amare per varii rispetti.
Ben non possono le viscere tutte della mia anima contenersi di non essalar li più dolorosi spiriti per li supplanti, a’ quali la sola ubbidienza de pubblici commandi mi ha condotto. Alla prima et alla seconda revisione del Zante, non mi conferii per alcuna propria dispositione mia, ma per gli ordini efficaci, che mi sopragiunsero da questo eccellentissimo Senato. Ivi alla formatione delli processi per alcun stimolo di affetti privati non devenni, perché anzi il sentimento di versare sopra soggetti, con le case de quali ho passato sempre ogni maggior amorevolezza, mi feriva nel cuore. Tuttavia convengo di veder in me con essempio non pratticato forse più mai, che prima le calumnie del reo siino state udite da Vostre Eccellenze, che intese le colpe et li processi contro di esso formati dal giudice.
Anche a questo, sebben nuovo et sebben duro cimento, però sottopongo il mio candor volontieri. Et niente invehendo o commovendomi contro chi mi ha caluniato, insto solo efficacemente et imploro che con ogni esatezza se ne venghi senza dilatione palesemente in chiaro, acciò che dall’un canto, in caso di alcuna comprobatione pur minima devenghi la Serenità Vostra con essemplar gastigo sopra la mia persona ad essercitare la Sua più rigorosa giusticia, et dall’altra parte rendendosi con la dilucidatione di quello che è nel fatto medesimo, palese la mia integrità et quel decoro che m’ho in tanti anni et in tanti carichi conservato, possino Vostre Eccellenze contro li calumniatori piegar pure quella mano alla clemenza che solo mi resterà a desiderare che unita sii col publico servitio, onde più non si habbino a vedere con la sovverssione della giusticia et del governo mostri di simile natura.
Prima del giunger mio, li signori miei fratelli allo scrocarsi di tali venefiche saette sono ricorsi supplicata e oriplicatamente nel’eccellentissimo Colleggio, acciò fosse proffondato nella piaga inferitami per curarla del modo che conviene, et per toglierne quel neo di ogni cicatrice, di cui presso principe giusto et pio non fu mai capace l’innocenza, et le mie voci reiterate al mio ritorno sono state nel medesimo ecclentissimo luogo le medesime, et humilissime ancora in questo eccellentissimo Senato le replico con ogni maggiore istanza del cuor mio. Non potendomi persuadere mai che Vostra Serenità et l’Eccellenze Vostre nobilissime a capo di moltiplici incontri molesti, da me per ben ubbidirLe sperimentati in carico tanto odioso, et nel quale ho per il Loro servicio a tutte l’hore travagliato, vorranno permettere che appresso l’abandono della casa, dei figliuoli et di tutte le cose mie, rapporti questa povera mercede di rimaner da mendacie de rei da me censurati, ingiustamente oppresso senza sollievo. Grazie et cetera.