1625 Pietro Marcello
Relazione
Relazione di Pietro Marcello ritornato di Bailo a Corfù
24 settembre 1625
Dovendo, Serenissimo Prencipe gravissimi et eccellentissimi Signori, per servar ancor io, Pietro Marcello, il lodevole instituto di questa eccellentissima Repubblica, dar conto et far relatione di quelle cose, ch’asistendo alla carica che si compiaquero di conferirmi di suo bailo nella città di Corfù, ho giudicate degne della loro notitia; tralascierò quelle che come ordinarie possono essere state più d’una volta per aventura referite alla Serenità Vostra et all’eccellenze Vostre da miei precessori, et abbracciando particolarità (per mio senso) più proprie et che migliormente compliscono al servitio publico, significherò il tutto, con quel zelo che m’astringe il debito infinito che tengo et conservarò eternamente di ben servire alla Serenità Vostra; tralascierò dico di referire l’ampiezza di quell’isola, che come è loro ben noto, si può più tosto chiamar Provintia, borgata di buon numero di villaggi, detti in quella lingua casali, et questi ascendono a centododeci, et si come nella città vi sono anime da fattion 2.189 et inutili 6.331, compresi li oriondi corfiotti, li latini et li hebrei, così nell’isola s’attrovano anime da fatti 5.814 et inutili 14.146, per le discrittioni c’ho fatte fare, compresi però in questi ultimi un numero di 2.251 giovane dalli 8 fino li 14 anni. Dirò bene alla Serenità Vostra, col solito della mia riverenza, che quantonque quell’isola sia così grande et tanto habitata, non produce però grano di gran longa bastante per il suo vito neccessario et ordinario dell’anno, il che procede da due particolari caggioni: l’una che in gran parte è montuosa et sterile, l’altra che quelle genti non sono molto industriose; onde per neccessità conviene che si faccia riccorso per sovenimento de grani nella terra ferma Stato del Signor Turco, ove non solo porta il bisogno di negotiar con molto svantagio con turchi, per propria natura loro variabili et altieri, oltre che raccolgono la neccessità dalle intelligenze che tengono con greci, ma si corre questo pericolo, ch’essendo quella parte ben spesso infetta di mal contaggioso, possi apportar un giorno (che Dio non voglia) quella pratica alcun lacrimoso avenimento, oltreche sono certi li medesimi turchi che il popolo di Corfù et sua isola, come anco le militie di quelle gelosissime piazze, non possono viver senza il loro aggiuto. Raccorderò per tanto alla Serenità Vostra et a Vostre Eccellenze, che havendo la natura madre benigna proveduto a tale importantissimo et considerabilissimo inconveniente, ha situato tra gli altri molti luochi in detta isola la valle detta di San Giorgio, discosta dalla città circa miglia dodeci, et l’ha favorita d’acque in modoche se fosse detta valle coltivata, si come vienne lasciata inculta da una minima particella in poi nell’estremità, sarebbe sufficiente quella sola di dar il grano d’avantaggio per il vito de tutti quei popoli. È tale la perfettione di quel terreno che mi fu affermato, che gettandosi il calambocchio, ch’è come di qua il sorgo, in terra con pochissima industria produce mirabilimente il grano predetto in copia. Ha essa valle, come ho detto, acque bastevoli ad irrigar numero infinito de campi et quando paresse a Vostra Serenità et all’Eccellenze Vostre, come altre volte fu dalla sapienza publica stimato bene, che si riducesse a coltura (il che sarebbe con soportabile dispendio, per l’informatione che ne presi, de ducati attorno dieci mille, né conseguirebbe, oltre il benefitio che paresse proprio alle publiche ordinationi, la continuatione abbondanza de grani, che passarebbono dalla terra ferma di quegli albanesi nell’isola di Corfù et come huomini avezzi alla fattica della compagna et industriosi assai attenderebbono al governo di quei terreni, il che seguirebbe certamente, massime quando come novi fossero fatti esenti dalle fattioni tutte, almeno durante la vita de detti primi habitanti esteri; et perché mi persuado che la Serenità Vostra sia di ciò ottimamente informata, si compiacerà che tanto habbia detto per confirmatione del vero et per scarico del mio obligo, che volendo poi maggior instruttione, mi offero di dargliela.
Peso grave del suo bailo a Corfù è quello della cura che tiene di far che quei sudditi siano sempre provisti di vito, et se bene s’attrova un fontico con capitale de ducati quattordecimille in circa, essendo nondimeno maneggiato da quei cittadini non può il rappresentante la Serenità Vostra veder mai intieramente il fondo di cassa et rimediar alli inconvenienti, che sono infiniti et pernitiosissimi. Onde sarebbe ottimamente bene che la Serenità Vostra, con espressa deliberatione del suo eccellentissimo senato, impartisse facoltà alli suoi baili di poter da sé soli et con la sola loro auttorità veder il stato di quel fontico et solo sopraintender a quello, nel modo medesimo che in tante altre sue città viene osservato, così sopra capitali de fontici come de monti di pietà, perché nel modo di adesso con tanti capi non è possibile che passi bene; et se bene io ho impiegato il spirito in darli qualche buona regola et datogli d’utele da dusento ducati in circa, con debolissimo accrescimento a pro di quello de frumenti introdotti et usciti da quello, non resta però stabilito a bastanza, poiché chi tira per un verso, chi per l’altro.
Peso anco noglioso è quello che li signori baili hanno per la pretensione che hanno arrogata li clarissimi consiglieri di voler in tutti li casi criminali et ogni materia intravenir con loro voti, siché li medesimi signori baili non possono da sé soli deliberar et ridur li processi a perfettione et ordinar per essempio una semplice retentione; et pur ben spesso occorre, che stando lontani li signori consiglieri, porterà l’occasione di commetterne immediate alcuna o altro affare che concerne semplicemente l’ordine del procedere, sarebbe però di decoro al suo bailo rappresentante, di molto servitio della giustitia et consolatione de buoni sudditi, che esso bailo potesse da sé solo ordinar quanto bisogna nelli casi criminali et materia quanto ricerca l’ordine semplice del proceder, con questo che nelle diffinitive sententie concorressero li signori consiglieri con li loro voti, come seguì al Zante et Ceffalonia, regolati per li disordini che nascevano là, come adesso fa in Corfù. Tanto mi pare di raccordar riverentemente circa ciò alla Serenità Vostra, perché possa farne quel reflesso che stimerà conveniente.
Due gravissimi abusi ho trovati in quel foro, l’uno che in tutti li casi, niuno eccettuato, osservano quei avocati placitar et allegar, il che porta la consumatione del tempo, inmodoche vi sono infinitissimi processi criminali inespediti et che con poca dignità della giustitia stano et starano in silentio, l’altro è che sono admesse persone per procuratori et commessi al foro, che non solo non hanno li semplici fondamenti di gramatica, ma non sanno manco leggere, et basterà dir alla Serenità Vostra che sino li hebrei essercitano per christiani; raccorderò perciò che sia più che neccessario, che dalla suprema auttorità della Serenità Vostra venghi deliberato, che nelli casi gravi criminali solamente si admettino le allegationi et limiatione(?), secondo l’uso di questa città, et sia regolato quel foro col far legitimar la sufficienza et attitudine de procuratori, particolarmente nel modo apunto che si costuma in questa Dominante et in altre tante città della Serenità Vostra, il che sarebbe di publica dignità, di servitio singolare a quei sudditi, che vengono svenati dalla voracità d’un infinito numero de commessi(?) et sarebbe anco di gran consolatione de rappresentanti, quali haverebbono più facile la via di sodisfar con tal modo alla loro conscienza, o non volend’ella quest’impaccio dar auttorità al bailo solo di dar quei ordeni et regole, che conoscerà neccessarie et di commodo et benefitio di quelli sudditi.
Fiaco et debole si mostra quel reggimento per non haver ministri che faccino le essecutioni criminali, siché quelle genti ardiscono di commetter ogni grave eccesso, sicuri di non capitar se non per disgratia nelle mani della giustitia, come pur anco con sommo vilipendio della medesima giustitia vanno liberamente li banditi caminando per le piazze et sino a faccia di rettori, et colà si portano senz’alcun rispetto ogni sorte d’arme prohibite, il che tutto aviene per non vi essere numero de ministri forastieri che essequissero gli odeni de rappresentanti; onde se dalla Serenità Vostra et da Vostre Eccellenze fosse stimato bene di terminare, che oltre il cavallaro vi fosse almeno dieci officiali, a quali si potesse dar trattenimento de ducati quattro al mese del denaro delle condane, sarebbe un estirpar gran numero di huomini cattivi, vivificar le sue leggi, decorar la giustitia, consolar i buoni che bramano la quiete, né la possono con tanti scelerati godere, et raffrenar l’audatia de licentiosi.
Et perché a questi tempi l’huomo al huomo non è huomo ma luppo rappace et particolarmante in quella città, ove si gareggia et si ha per honorevolezza grande l’essercitarsi nell’usura et l’uno avanzar l’altro constumando di dar danaro a poveri contadini (come essi dicono a postrichi) anticipatamente alle raccolte, con patto di dar loro a tempo debito tant’oglio, vino o frumento al prezzo che di formerà alla voce[forse vece?]. Questo prezzo lo fanno li rettori, ma però sopra le informationi di quelli cittaini et rappresentanti quella comunità, tutti interessati nei postrichi et per il quale succede che il contadino convien dar le sue povere sostanze, per la mità manco di quello che giustamente vagliono, il che è passato in consuetudine tale, che senza condoglianza alcuna et senza correttione immaginabile, viene praticata apperta et communemente questa espressa et manifesta usura; quest’aviene, perché il contadino di quell’isola è povero, né sano li contadini ove ricorrer per far un pegno, come anco li habitanti la città, se non da hebrei, con oro et argento tre et quattro volte più equivalente al danaro che le vienne prestato, con usura di 17 per cento. Onde se in quella città fosse instituito un monte di pietà, con quelle regole et modi che la Serenità Vostra fa osservare in tante altre del suo Stato, leverebbe primieramente una così pernitiosa osservanza, che caggiona l’esterminio di quei sudditi; secondariamente essendo quella camera di Vostra Serenità ben spesso esausta di danaro da cero tempo in qua, per il che quelle militie tal volta patiscono, con pericolo di qualche danosa consequenza, potrebbe servire parte di quel a prestito di un così evitabile bisogno, per qualche giorno però, sino che sopravenissero denari nella camera, con quali si dovesse far subito la restitutione, con privileggio particolare di antianità. Infiniti sarebbono li ottimi frutti et beni che apporterebbe la institutione di un monte di pietà in quella città, che possono dalla summa prudenza di Vostra Serenità et dell’Eccellenze Vostre essere considerati, mentre per non riuscir tedioso tralascio io di specificatamente raccontarli.
Di quelle importantissime doi piazze: Fortezza Vecchia et Fortezza Nova, non tratterò, per esser questo cibo de gli illustrissimi proveditori, sapendo massime che l’illustrissimo Caotorta, che colà degnamente vi si trova, col suo valore et singolar prudenza, haverà et raccordato et rappresentato quanto occorre in servitio di esse, che sono l’ostacolo della christianità, imperoché stano quasi nel mezo dello Stato maritimo di Vostra Serenità, tra il mare Adriatico et il mare Ionio, in distanza quasi uguale tra Venetia e Candia, et per ciò in scito opportuno a vietar a nemici l’andar a danni dell’isole e de continenti situati entro il golfo, ad assicurar Candia, mentre fosse travagliata di soccorso, acconcio per difender il Ponente et per travagliar il Levante, proprio per difesa d’Italia et per l’acquisto della Grecia a cui sta quasi a cavalliere.
Toccherò ben qualche particolare intorno a quella sua camera fiscale, la quale come ha sola entrata de 17.000 ducati in circa all’anno, che si cavano de datii, affitti, censuali, regalie e tanse d’offitii, così è aggravata di spesa di sessantaquattromille ducati all’anno, un anno per l’altro, non comprese le spese estraordinarie di fabriche; onde send’io andato pensando a qualche accrescimento, raccorderò riverentemente alla Serenità Vostra et a Vostre Eccellenze, ch’elle di tanto vino et oglio che produce quell’isola cavano quasi dirò una mità[meza?], poiché di tutto il vino quella camera non cava se non doi mille ducati, per il datio della spina, et dell’oglio altretanto per l’estrationi; et però stimo che la Serenità Vostra potrebbe sopra li vini aggiungervi al meno un solo grosso per barila per l’imbotadura, che facendosene quattro in cinquecento mille barile all’anno, et sopra l’oglio altre tante per zara, et di questo se ne fa intorno a dusento mille zare ogni secondo anno, verrebbe ad acrescere la sua entratta di quindeci et più mille ducati, che in ogni evento sarebbe danaro sufficiente a sovenire quelle militie et apportar altri buoni servitii alla Serenità Vostra; et voglio credere che quelli sudditi facilmente abbraccierebbono questo poco interesse, vedendo quant’ella spende per ben guardarli et assicurarli da corsari, et sapend’essi che anco gli altri suoi sudditi nei presenti tempi soggiaccioni a magior interessi et tutti volontieri in segno della loro devotione verso chi con tant’amore et tanta carità li governa et mantiene liberi come carissimi figli. Le aggiungerò appresso, che sarà di considerabile benefitio(?) di Vostra Serenità, ch’ella mandi in quella camera solamente o crosati o ducatoni, perché correndo questi ugualmente a lire(?) 8 l’uno, sarà suo l’avantio et sarà di consideratione, come ho detto, in tanto denaro che le occorre ispedire per pagar quelle militie, comprar grani et altro; ad ogni modo passa quasi tutto il danaro che cola in quella città nella terra ferma per carnazi, frumenti et altre vettovaglie, et li turchi non vogliono altra sorte di moneta; et per dar qualche commodità a quelli sudditi di moneta minuta, della quale in effetto patiscono, perché tutta viene inchietata et incaminata in questa città per trarne reali, potrebbe la Serenità Vostra far cuniare tre mille ducati in circa di moneta, che servisse solamente per quella città et isola, che col continuo ziro basterebbe, né quelli sudditi incontrerebbono più difficoltà di moneta, oltre che con questa provisione verebbe ella a levar le occasioni di mille scandali che alla giornata occorrono, perché non potendo un povero suddito o altra persona nel comprar pane, vino o altra vettovaglia per l’ordinario vito, haver il resto d’un mezo crosato o d’un quarto, s’attaccano di parole et alle volte passano anco a i fatti, con disturbo de suoi rappresentanti.
La Serenità Vostra et l’Eccellenze Vostre, per l’ultima parte nella materia di piantar et coltivar olivari, obligorno li loro rettori a dover riferire che frutto partorisce; onde sodisfacendo io a questo obligo le dirò riverentemente esserne stati accresciuti doppo la publicatione, per le relationi c’ho potuto havere da capi di quelli casali, già che resta sospesa la visita che solevano fare li baili per tutta l’isola, che pur era di tanto commodo e solievo di quelli poveri contadini, et però necessaria et adesso necessarissima anco per questo rispetto delli olivari, ne sono stati impiantati et incalmati da tre mille piedi in su et giornalmente crescono, siché col tempo ne sentirà frutto grandissimo.
Ultimamente in mio tempo ne fu formato un altro alla Reale che passa nell’isola, per altri convenienti rispetti assai ben noti alla Serenità Vostra, et hora intendendo esser gionto novo ordine a quell’illustrissimo signor Proveditor Caotorta di porne un altro alla porta chiamata Rimonda, sento d’essere in obligo di dire il mio riverente senso alla Serenità Vostra, che non militando ne presenti tempi eminentemente né gelosie di barbari né de prencipi esteri, stimarei, che per non indebolire la divotione de sudditi, fosse bene tralsciare ogni novità, per ordinario dispiacevoli a chi osserva simili operationi, e tanto più non restando neanco compitamente serata quella città con questa nova guardia, sendovi altri due porte da mare aperte et libere ad ogn’uno da poter passar, così nell’isola come altrove, che volendosi far costodir anco queste, la Serenità Vostra sentirebbe spesa considerabile, convenendo applicarvi più d’una compagnia et con poco frutto et servitio (com’ho detto) per essere il corpo della città nel mezo(?) di quelle fortezze; et massime potendo sempre Vostra Serenità et gli suoi illustrissimi rappresentanti far chiuder, far custodir, far guardar et rondar quella parte, con compito servitio publico, il che giudico essere più proprio, nell’opportunità dell’occorrenza, che competente in questo silentio delle cose accidentali, rimettendomi sempre alla somma sapientia dell’eccellentissimo senato.
Ho passato quel reggimento con quattro clarissimi consiglieri, li doi primi furono li clarissimi signori Zuan Francesco Grimani et Francesco da Riva, et li altri doi, che tuttavia là si trovano, sono li clarissimi signori Alvise da Mosto et Aurelio Semitecolo, tutti gentil huomini di somma integrità et volenterosi del publico servitio, onde le cose sono passate così ben regolate et con tant’unione che più non saprei dire, oltre che il signor Semitecolo è un vero angelo del Paradiso.
Nel tempo del mio governo non ho havuto contesa con quei rappresentanti il Gran Signore confinanti, solo ultimamente con un certo Mahmut Bei, per essersi dimostrato licentiosissimo et sprezzatore della publica intentione, come allhora rappresentai con mie lettere alla Serenità Vostra, al quale però sono stati fatti li debiti protesti per sua mortificatione et datone conto anco a Costantinopoli.
Con tutti li altri mi son sempre ben inteso, conforme alla mente di Vostra Serenità, et riportatone anco ottima corrispondenza, ilche è seguito con gran consolatione et commodo de communi sudditi.
Restami per fine di questo mio discorso a dire, che sendo stato al governo di quei fidelissimi et carissimi(?) popoli alla Serenità Vostra, ho procurato con tutte le forze di farmi conoscere di corrispondente volontà, non havendo mancato di amministrare la dovuta giustitia e di darli a tutte le hore quei giusti suffragii, che sono proprii di buon rettore e debiti a sudditi per maggiormente confirmarli nell’antica loro devotione, da me molto ben conosciuta et esperimentata nel corso di quel reggimento, con molti segni d’amore verso la mia persona, nel tempo in particolare della mia partita, a gloria della Serenità Vostra. Se con questi effetti posso meritarmi alcun addito alla sua buona gratia, per qualche sattisfattione del servitio che le ho prestato, in recognitione del mio debito et per riverente et humile gratitudine de gli honori et gratie che oltre ogni mio merito ho riportato sempre dall’infinita benignità della Serenità Vostra, non vi sarà consolatione che possa pareggiare la mia; se diffettivo, come confesso, non dispero che aggiustando ella l’imperfetto colla volontà debba riuscirmi manco benigna. Gratie.