1627 Maria Gabriel Lancillotto
Relazione
Relazione di Lancillotto Maria Gabriel ritornato di Bailo a Corfù
27 luglio 1627
Serenissimo Principe, illustrissimi et eccellentissimi Signori
Doppo longo et travaglioso viaggio, con il favore del Signore, io, Lancilottomaria Gabriel, son capitato alla patria di ritorno di bailo di Corfù, del qual carico restai sommamente honorato dall’Eccellenze loro et in conformità dell’obligo mio, venuto a piedi della Serenità Vostra, con brevità, devo riverentemente rifferirle quanto stimo neccessario alla sua notitia, tralasciando la multiplicità delle cose che per aventura da tanti miei precessori et altri illustrissimi rappresentanti le saranno state significate.
Dirò donque che quella città e territorio viene governata dal bailo et due conseglieri, et l’esperienza mi ha fatto conoscere un gravissimo et pregiudicialissimo inconveniente, essendosi introdotto che li signori consiglieri nel tempo che li tocca la cassa, non si ridducono al palazzo per li neccessarii effetti di giustitia et ressidendo un solo col bailo, ne seguono ben spesso in due opinioni discordie, non solo nelle diffinitive, ma nell’ordina ancora dell’incaminamento delle cause civili et criminali, correndo poi li anni et anni che non restano decise dal terzo, con avantaggio de potenti a quali non spiace questa forma et con evidente oppressione de poveri et miserabili, quali convengono abbandonare ogni giusta loro attione. In oltre sono così multiplies(?) gli affari che tengono bisogno d’una continuata audienza del giudice, né potendo il bailo, che pur resta agravato di tutto il peso, per sé stesso fare alcuna cosa, né nell’ordine né nel merito, se non vi concoresse la volontà d’ambe le parti, et ridducendosi li signori consoli, se non per poche hore del giorno per quello ho provato in tempo mio, non è possibile che servi il tempo né anco d’incaminare non che di diffinire le cause et però si vanno etternando, li processi criminali restano a migliara a migliara imperfetti et innespediti, li rei se ne passano impune et nel veder rafredata la giustitia multiplicano in comettere gravissimi delitti, siché continuando il governo con questa forma, non è possibile che passi con quel buon ordine che è mente publica; onde non posso far dimeno, parlando con ogni modesto et riverente termine, di raccordare che è di neccessità che resti regolato, potendosi ciò essequire nel modo che si è fatto al Zante e Ceffalonia, dove dovevano correre li medesimi disordeni, che sarà bastevole; et in oltre obligare il consigliere che si trovasse alla cassa a disputare(?) nel spacio di un mese le discordie, che per giornata seguissero tra il suo collega et il bailo, potendolo con poco incommodo fare, et con obligo di portarne fede al suo ritorno.
Con il reggimento intervengono tre giudici della città, con la voce consultiva solamente, due greci et un latino, quali vengono eletti dal loro consiglio. Suciede però che il giudice che dovrebbe essere latino, il più delle volte viene eletta persona, ben di casa antica latina, ma che vive col rito greco, seguendo lo stesso disordine nelli quattro sindici, che tengono il carico sopra tutte le cose della città, due de quali doverebbono esser lattini et medesimamente nelli due giustitieri. Sarebbe però a proposito farne qualche provisione et dechiarire, con publico decretto, che li giudici, sindici et giustitieri che devono essere lattini, debbano esser eletti di quelli che vivono conforme al detto rito et non altrimenti, per regolare et accrescer il loro numero in quest’ordine, per molti rispetti.
Quella natione corfiota et particolarmente li cittadini in numero de 350 in circa, tengono così insieme et sono così uniti, che non si può dire di avantaggio, et li principali che pretendono che tutti li altri habbino da deppendere da essi, con ogni possibil studio procurano de insinuarsi con li publici rappresentanti, per questi et altri loro interessati fini, onde sarà sempre bene che quelli che governano habbino in ciò particolare mira.
Fanno reddutioni insieme frequenti in ogni tempo et luoco, invitando quelli cittadini che a loro piaciono, dando titolo a tali reddutioni de conclavi, che si come sono di pessime consequenze, così il detto ordine è stato mal inteso da me et riservato alla consideratione di Vostra Serenità et Eccellenze Vostre illustrissime, acciò parendole possino darle quella regola stimata convenevole, essendo mia riverente oppinione, che per trattare li loro publici interessi possino ben riddursi, ma in loco prescritto et in numero determinato, cioè li giudici, sindici, censori et proveditori alla sanità, che pur sono dodeci, che di anno in anno vengono creati dal consiglio, quali come più intendenti possono trattare qual si voglia importante materia di quella comunità et università et portarla poi al consiglio.
Per propria benignità della Serenità Vostra, tra li altri carichi impiegati in quelli cittadini, vi è il capitano dell’isola, che di due in due anni viene creato dal reggimento et illustrissimo signor proveditore et capitano, instituito con solo fine di estirpare li ladri et banditi che infestano il paese; et tuttoche abbondino grandemente di questi scellerati, non ho veduto alcun benché minimo effetto dall’opera di due capi che si sono ritrovati in tempo mio, ma essercitando diversamente l’auttorità del carico, per parlar liberamente, attendono ad ogn’altra cosa, facendo postrichi d’ogni qualità di robba che produce il paese et espilando in diverse maniere quelli miserabili contadini, contro la pia mente di Vostra Serenità et ordeni in simil proposito, quali però per la tema che tengono delli cittadini, non ardiscono né anco reclamare dinanzi il giudice ordinario, per dubbio del peggio che li potesse incontrare da essi et dall’unione de altri cittadini, che pretendono tal carico per li medesimi fini; ma per quello ho potuto sotrahere, li poverelli attendono con la boca aperta in Corfù un generale con suprema auttorità, per rappresentarle queste et infinite altre miserie che provano, con speranza d’esserne solevati, tenendo li medesimi pensieri molti altri oppressi della città. Per me crederei, fino ad altra maggior delliberatione di Vostra Serenità, che venendo così malamente abbusato detto carico et essercitato in dannabile opperationi, che fosse levato et in suo luoco destinate all’illustrissimo signor proveditor et capitano o al bailo un ministro, che conducesse seco due altri huomeni almeno, quali con li cavallaroti del paese, attendessero solamente a tenir netta l’isola da tristi et a fare l’essecutioni che li fossero ordinate dalli rappresentanti, con assegnamento a esso ministro et huomeni del sallario che viene corrisposto al capitano dell’isola da quella camera fiscale, che a questo modo la giustitia venirà a ricevere fruttuoso servitio et li tristi non praticheranno così liberamente, come fanno di presente, per le dipendenze et interessi che tengono con quelli della città.
Ma se la Serenità Vostra si risolvesse di destinare nelle isole di Corfù, Zante et Ceffalonia un eccellentissimo generale, che vi ressedesse per ordinario, come fanno in Candia et in Dalmatia, non potrebbe apportare maggior contento a buoni et sollevatione a tanti miseri opressi, et le cose sregolate prenderebbero forma et s’incaminerebbero conforme al drito termine della ragione et del dovere. Quanto poi alla spesa si può far pagare a dette tre isole proportionabilmente et doveranno gustarla volontieri dovendone scaturire commodo, sollievo et beneffitio innesplicabile.
Sopraciò, havendo io pensato, mi parerebbe facile la proviggione, che sarebbe l’institutione d’un traghetto, obligando li patroni di quelle barche di andare per rodolo ogni settimana una barca a Ottranto, che per la descrittione fatta da me non venirà a toccare una volta all’anno a cadaun patrone, con loro poco interesse et tanto meno, quanto che come sia incaminato il traghetto ordinario faranno delli nolii, et della camera li possono esser corrisposti cinque ducati al viaggio, che sarà inferiore spesa di quella si fa di presente, per maggiormente alletarli et questa commodità, apporterà non picciolo servitio et col progresso del tempo avantaggio nelli datii di Vostra Serenità rispetto alla negotiatione, dovendo restare nella somma prudenza di lei il commandarne l’essecutione.
A questo proposito non devo tralasciare di raccordare una pratica da non sopportare tenuta dal console di Napoli, che risiede a Corfù, il quale alle barche che partivano per Ottranto faceva la patente di sanità, per l’admissione alla pratica in quel loco, trahendone anco qualche civanzo, diché havutane notitia l’illustrissimo signor Proveditor Caotorta et io havessimo seco parlamento et procurato di renderlo persuaso a dessistere, come mostrò di doverlo fare, nondimeno ho scoperto che continua et che li barcaroli nascostamente vadino a ricever la patente da lui, per levar ogni dubbio de impedimento che li potesse esser posto al loro gionger a Ottranto. Onde per non lasciar che camini più oltre, sarà necessario che l’Eccellenze Vostre illustrissime commandino a quell’illustrissimi rappresentanti la loro volontà.
In quella città, isola et scogli vi sono circa trentamille e ottocento anime, il terzo de quali solamente buoni da fattione, gente bellicosa et atta all’armi, arditi, poco obbedienti et timorosi della giustitia, per la rilassatione et rispetti di già considerati. Non racolgono in buona annata grano che li basti per tre mesi et per la proviggione del rimanente del tempo, per la militia, per l’armata et per quantità de vlachi che capitano a lavorare li terreni nella detta isola, si deve provedere, et questo è particolar pensiero et travaglio del bailo, se bene nelli mercati vi concorrono l’illustrissimo signor proveditore et capitano, li signori consiglieri, li sindici et proveditori del fontico della città. Ho però applicato l’animo et nelle sclaosie di Delvisio, Gomenizze, Santi Quaranta et dalla parte di Santa Maura ne ho procurato tanta quantità, che ho sempre mantenuta abbondantissima la città e territorio di così neccessario nutrimento, et in quel fontico, fino al mio partire, ho continuamente mantenuto et lasciato circa cinquemille stara di frumento, a precio avantaggioso costando in monte lire undese e meza il staro, havendo io sempre trattato con quelli turchi patroni delle decime con termini amorevoli et proprii al ben vicinare, et accarezzati quelli da Santa Maura, da quali anco son stato pienamente corrisposo et passato senza alcun mal incontro, con intiera sodisfattione et sollevatione del mio animo.
De vini et ogli se ne fanno in quantità et questi sono il fondamento delle entrate di quelli habitanti, quali invitati dal loro interesse, et eccitati dalla delliberatione dell’eccellentissimo senato 29 novembre(?) 1623 et da proclami essecutivamente da quella fatti publicare da me, attendono a impiantare et incalmare olivari, havendone in questo tempo, per la descrittione fatta, ridotto in essere oltre a cinquemille piedi et continuando in questo modo ridduranno quest’isola a quel buon termine che è mente della Serenità Vostra. L’annata passata si sono fatti pochi ogli per la contrarietà de tempi. Si spera però di farne la ventura, per quello mostrano li olivari.
Vendono quelli habitanti non solo le loro entrate, ma sotto detto nome ancora quelle che fanno de postrichi, a minuto, a precii eccessivi et con civanzi essorbitantissimi, particolarmente de vini. Onde per beneffitio de poveri della soldatesca et armata, sarebbe bene che con decretto della Serenità Vostra fosse terminato, che non potessero vender vini a minuto, senza stima da esserle data dal reggimento di tempo in tempo, che con tal modo si venirebbe a divertire all’ingordigia di quelli che di quando in quando pongono a mano un arnaso(?) di vino alla minuta, facendole il precio a modo loro, et li altri con l’incaminamento di uno continuano nell’alteratione, ma solamente all’ingrosso potessero vendere, secondo l’arbitrio d’ogn’uno.
Et perché vivono quelli populi senza immaginabile agravio, non sarebbe forse male imponerli qualche gravezza sopra li vini, che fanno in quantità, et sopra li curami et cordovani che si consumano nella città et isola, che per poca cosa che se gli facesse pagare, se ne traherebbe considerabile utile.
Di quelle importantissime piazze, tuttoche non aspetti al mio carico il discorrerne, come buon cittadino non devo passare con silentio, ma dire che quanto più siano con diligentia guardate, sarà sempre bene. Le munitioni sono sprovedute de grani, ogli et acceti, l’artelaria mal tenuta et molti allogiamenti vanno di male et rendendosi inutili, con grave pregiuditio della pubblca grandezza et danno di molta consideratione. Le muraglie della città in alcuni luochi tengono neccessità d’esser accommodate, per divertire che non siano scallate, come ben spesso segue et si potrano rippararle con pochissima spesa. La torre de Butentio(?) anco lei si ritrova in mal stato et quando non se vi applichi rimedio, di breve minaccia maggior ruina et corre pericolo di andar del tutto di male, che a riddurla poi in buon esser vi andarebbe spesa di molta consideratione, oltre che per reffabricarla si potrebbe ricevere ostacolo et impedimento dal turco confinante, siché sarà se non bene, non solo ordinare che resti accommodata imediatamente(?), che seguirà con poco interesse, ma commetter appresso che sia continuamente mantenuta in buon stato.
Di me stesso non ho che altro dire alla Serenità Vostra et all’Eccellenze Vostre illustrissime, che per la parte mia ho sempre procurato di passare buona inteligenza con tutti quell’illustrissimi signori rappresentanti da terra et da mare, et ben trattato con li signori governatori, et con ogni studioso spirito invigilato al buon governo di quelli populi, per quanto si sono dilattate le mie forze, et se non ho arrivato a quel segno che è mente di Vostra Serenità, doverà escusarmene la propria mia debolezza, la quale come si sia, questi pochi giorni di vita che mi restano, impiegherò sempre con pienissima volontà di ben servire dove si compiaceranno Vostre Eccellenze illustrissime d’impiegarmi. Gratie et.