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1635 Girolamo Trevisan

Relazione

Relazione di Gerolamo Trevisan ritornato da Bailo a Corfù

 

Serenissimo Prencipe

Io m’appresento a piedi della Serenità Vostra, per rifferirle in ristretto quanto stimo neccessario, in ubidienza delle leggi, nel fine della carica di Bailo a Corfù, da me essercitata con quell’ardore in servitio publico et commodo di quei sudditi, che nella cognitione del mio debito ho stimato complire, per dover poi sempre prontamente portarle quel di più che l’Eccellenze Vostre si compiacessero d’incaricarmi; et dando principio dico.

Che havendo nei primi giorni di quel reggimento scoperti notabilissimi disordini nell’audienze civili, introdotti con pregiuditio grande di quei poveri isolani, i quali dalla sagacità et ingordiggia d’avocati et commessi, et dall’avidità de commodi et potenti, erano espilati et eternati in litiggi, deliberai di stabilire alcuni ordeni con quali data una ferma et facile regola et troncati gli cavili et abusi. Un’infinità de sudditi sono rimasti consolati et m’hanno dimostrato particolar contento. Se questi ordeni eccellentissimi Padri (tutti indriciati al bene et servitio di quei popoli), ch’appresento con questo mio riverentissimo discorso, riceverano lo spirito con la confirmatione dall’auttorità suprema di Vostra Serenità, continueranno quei sudditi a godere il benefitio senz’interrutione, ch’in altra maniera gli potrebbe succedere diversamente.

Et nel criminale, come si tratta l’offesa d’un popolare a contadino, oppresso da qualche cittadino o potente, eccovi pronte mille difficoltà in ridurre i processi a perfettione, poiché vivendo un certo ordine, procurato da quei sindici in tempo che quela cancellaria era maneggiata da soli ministri della stessa città, col quale vien prohibito l’essame de testimonii senza l’assistenza di uno de giudici o sindici, difficilmente si riducono in cancelleria, da che ne nasce che per li più li testimonii stanchi di aspettarli, si partono per non consumare le giornate intiere et così la giustitia non può sortire i suoi dovuti effetti et molti tristi passano impuniti, oltreche i delitti gravi nella tardanza perdono la reputatione. Io però con gran flema et pacienza, per solevare quei miserabili che venivano di lontato all’ubidienza della giustitia, mi son contentato che fossero essaminati alla mia presenza, per liberarsi dall’incommodo di dover ritornare, con loro danno et patimento. Lo stesso si prova pur anco nelle occasioni di cavalcate criminali, giaché sendo stato introdotto che v’intervenga uno delli tre giudici della città, per lo più portano il tempo avanti, sotto pretesto de loro impedimenti, onde ben spesso succede (come son restato informato) la morte delli offesi, senza potersi havere i loro constituti et restando la giustitia all’oscuro con difficoltà può penetrare ne’ delitti, onde si sono sentite delle escalamtioni, che mi fece risolvere, nella lentezza de sudetti giudici in condursi alle cavalcate, di terminare che il cancelliere o nodari al criminale cavalcassero soli, affine che la giustitia non restasse pregiudicata. Ma perché pare che a medesimi giudici et sindici spiava questa risolutione, per chiuderli la bocca stimo (sia detto sempre a correttione) che servirebbe mirabilmente di valersi di condiutori(?) forestieri nel criminale, come ho pur(?) fatto osservar io, et che questi mentre avisati li giudici o sindici, a quali toccasse di asistere o cavalcare, tardassero all’adempimento del loro obligo, potessero quelli essaminare et cavalcare senza di loro, com’è osservato dal cancelliere di quell’illustrissimo proveditore et nelle altre cancellarie di Levante et per tutto lo Stato di Vostra Serenità, con dechiaratione che l’utele di lire 9 che riceve il giudice per la cavalcata, non vi andando, restasse a pro de sudditi, perché certo in questo modo li affari di quella cancellaria passerebbono con più buona regola et con maggior freno de rei, anco perché di presente nelle dipendenze colli asistenti godono alle volte de favori non dovuti.

Debole e fiaco Signori eccellentissimi si mostra quel reggimento, che fra il peso di governar 32.000 sudditi, per non haver ministri per le rettentioni criminali et civili ancora, onde quelle genti ardiscono di commettere ogni grave eccesso, sicuri di non capitare (se non per disgratia) nelle forze, come pur anco, con sommo vilipendio della medesima giustitia, caminano liberamente li banditi et per le piazze et sino in facia de rettori, et collà sono portate senza rispetto ogni sorte di armi, che succiede (così ho detto) per non vi essere ministri ch’esequiscano le commissioni del reggimento, onde se dalla Serenità Vostra fosse deliberato, che vi stasse all’ubidienza sola del suo Bailo una barc’armata, come alla Ceffalonia et al Zante, da esser pagata con danaro di condane, sarebbe una strada facile per estirpar gran numero d’huomini inquieti, in vivificar le sue leggi, decorar la giustitia, consolar i buoni che bramano la quiete, né la possono godere con tanti malcontenti, et restarebbe rafrenata l’audatia de licenciosi, oltreche con maggior facilità si farebbe il ricorso delle condane, che per mancamento de forze con la longhezza del tempo si rendono inesigibili, con danno publico, et li isolani ancora starebbero più quieti. Et giaché son corso alle esationi delle condanne, a questo passo devo dire, che se fosse destinata persona disinteressata et senza dipendenze con maggior calore et premura s’impiegherebbe in quella fontione, poiché essendovi di presente un cittadino, i rispetti, i sospetti e gli interessi gli levano la legal fontione.

Onde stimo che sarebbe di più servitio dello stesso fontico et di maggior benfitio di quelle genti, che il Bailo havesse lui auttorità di contrattar tutti i mercati, perché certo le cose passerebbono con maggior ordine et con più sodisfattione di quelli che conducono grani, perché ne i trattati et pagamenti lunghi, per li rispetti sudetti, partono per lo più mal sodisfatti.

Dell’anno 1628 ordinò la Serenità Vostra, per quei rispetti che ben parse all’infalibile sua sapienza, che fosse fabricata una stanza, così anessa al palazzo del Bailo che potesse essere oscervato ogni andamento de conclavisti, et come ciò riuscì mirabilmente per levare gli abusi et pernitiose consequenze, che scaturivano mentre qua e là nelle speciarie, in le chiese et nelle case private, si riducevano, così restarebbe perfettamente purificata quella ridutione, mentre fosse da Vostra Serenità decretato che vi dovesse intervenire a quelle ridutioni il Bailo, perché concorrendovi verso la sua persona quel rispetto et riverenza ben dovuta a chi rapresenta la publica Maestà, non si sentirebbono la dentro contrasti scandalosi, come segue hora, et li loro affari sarebbono proposti con più sincerità, mentre in particolare havessero pur anco obligo di pore in carta il tutto; et quando pure Vostre Eccellenze stimassero di non introdurvi il suo rappresentante, se bene per me lo stimo più che neccessario, servirebbe almeno un decretto, che li conclavisti havessero due anni di contumacia, acciò non fossero sempre li medesimi, come segue di presente, sotto coperta di diversi offitii, che riesce con qualche sussuro de gli altri cittadini, et anco che avanti le loro reduttioni fossero tenuti di compartecipare al Bailo le materie da tratare et all’uscire di notificarli il seguito in scrittura, accioché li uffitii fuori del conclave non prevalessero, come so essere sucesso a mio tempo, et se per aventura gli occorresse di portar in quello materia dispiacevole al medesimo Bailo, che questa fosse notificata al proveditore et così vicendevolmente.

Da alcuni anni in qua (come son informato) è stato introdotto da quei giustitieri della comunità di dar le stime ad ogni sorte et qualità di vettovaglie che sono introdotte nella città et borghi, tanto da isolani quanto da sudditi turcheschi et da altri, la qual introdutione, se bene a prima facia pare che riesca di servitio di quei sudditi, in atto pratico però si prova diversamente, anzi tutto il contrario, perché la maggior parte di quelli che attandono a simil traffico, per rispetto delle dette stime, le quali vengono solecitate dalli detti giustitieri et sindici più per loro vantaggio che per commodo de popoli, non si veggono a comparire più d’una volta, onde il concorso si va restringendo, che quei sudditi stessi se n’avedono molto bene, ma il timore di rendersi contrarii quei cittadini, li trattiene dall’escalamare et far conoscere il preiuditio che provano. Stimo però che riuscirebbe di più commodo et benefitio di quei popoli un ordine dell’Eccellenze Vostre, che fosse affatto levata la sudetta pessima introdutione di stime, perché certo con la libertà vi concorrerebbe maggior quantità de viveri et da questa indubitatamente ne seguirebbe l’abondanza.

Con solo oggetto di curiosità avanti lo finimento di quella carica ho voluto, senza alcun interesse di Vostra Serenità (col solo favore della galera dell’illustrissimo signor Proveditor dell’armata Mocenigo, soggetto di quelle virtù et di quell’ardenza ne’ publici interessi et assicurezza de mari di Vostra Serenità, che ben è noto ad ogn’una dell’Eccellenze Vostre) ho voluto dico passare alla Parga, luoco a largo de Corfù per miglia cinquanta nella terra ferma alle gengive del mare, dove quei sudditi, per la distanza dalla città, provano de sinistri incontri per il vicinar(?) con turchi et con difficoltà et spesa capitano a Corfù avanti quel reggimento ad usar delle loro ragioni, come mi videro concorsero a gara con instanze di lacrime per essere ascoltati, altri per un aggravio, altri per altre cause et se bene in sostanza di non molto rilievo, però a gli interessati dispiacevoli, che mi fece risolvere di fermarmi qualche hora di più per consolarli, come seguì, che ne riportai mille beneditioni. Onde per quanto ho potuto sotrahere sarebbe di loro sommo contento, che il bailo almeno una volta al regimento li visitasse, la qual visita sarebbe con poca spesa del publico et con gran commodo di quei sudditi di tanta fede. Et lo medesimo dico per li scogli di Paxo, che non hanno chi li giudichi, che però in questi la forza prevale alla ragione.

Per ubidienza poi dell’ordine di Vostre Eccellenze, espresso nella mia comissione, son passato al castello di Butrintrò, lo quale essendo affatto distrutto, che non vi apparono se non le semplici vestiggie dell’antichità, non posso di questo darle alcuna relatione di sostanza, dirò bene che da quelle peschiere la Serenità Vostra cava utele di consideratione, ne è poco di mantenersi in quieto possesso, essendo circondata dal paese turchesco, et tuttavia col buon vicinare non si provano contrarii di momento, anziché da quella parte, con occasione del traffico del pesce, la città riceve gran commodo de grani, di carnazi, di altre vettovaglie et il sforzo delle legne da fuoco per uso delli habitanti di Corfù.

Et finalmente ho pur anco voluto vedere la valle di San Zorzi, per potere occorrendo dare alla Serenità Vostra qualche ferma informatione, che adesso la stimo superflua, supponendo che da altri illustrissimi rappresentanti che colà hanno servito l’Eccellenze Vostre, sarano state pienamente instrutte, così intorno alla coltivatione, come del frutto che da questa il publico et quei sudditi ne trarebbono.

Tralascio di discorrere di quelle gravissime piazze, per essere questo cibo de gl’illustrissimi proveditori, ultimo de quali è stato l’illustrissimo signor Lorenzo Dolfin (ben certo che ne haverà egli fatta piena relatione) come pure con suo sommo merito le ha egli commandate et governate, in modo che il suo governo resterà eternamente impresso in quelle militie, anco per i buoni ordeni lasciati per conservatione della buona custodia et sicurezza di così gelose fortezze, col qual signore ho passato così buona intelligenza et unione in tutti gli affari, che d’avantaggio non si poteva certo desiderare. A questo essendo successo l’illustrissimo signor Piero Loredan, dà egli ancora gran capara d’una singolar prudenza et zello, per mantener le medesime piazze in quella riputatione che ben si conviene, onde la Serenità Vostra si può certo di lui promettere ogni fruttuosissimo servitio.

Fu per commissione della Serenità Vostra, per quei convenienti rispetti che ben parsero alla publica sapienza, translato il titolo della catedrale di fortezza Vecchia in San Giacomo in città, dove da due anni in qua le funtioni archiepiscopali, che in quella di fortezza di facevano, vengono fate in questa, la quale riesce in effetto tanto angusta, che nelle solenità particolarmente che vi intervengono i pretti et popoli del ritto greco, non è possibile che vi capiscano, da che ne seguono scandali pericolosi, onde per zelo del culto Divino, et per consolatione di quei popoli lattini, raccordo riverentemente all’Eccellenze Vostre qualche provisione, che se sarà ordinata conforme al modelo, over disegno, che fu inviato alla Serenità Vostra sotto lettere di 12 aprile 1634, con debole spesa, farrà apparire quanto sia ella prodiga verso i tempii di Dio.

Passo hora a gli interessi di Vostra Serenità et dico che per andar aggiustando, in quanto sia possibile, le sue entrate con la spesa per lo mantenimento di quelle militie, provisionati et salariati. Sapientissima è stata la deliberatione dell’Eccellenze Vostre in commettere che il datio delle panatarie, che dell’anno 1628 fu introdotto a pno(?) del fontico, sia posto in servitio di quella Camera, poiché trovandosi quel fontico un grosso capitale e bastevole per ogni occorenza d’investita de grani per uso di quei sudditi, et sarà questa una rendita di due mille ducati all’anno con li aggiunti.

L’introdurre un datio limitato de lire due de picioli per ogni animal grosso che viene amazzato in quelle beccarie et di soldi dieci per ogni animal minuto, sarà a quei sudditi gravezza insensibile et apporterà al publico benefitio di consideratione, consumandosene grossa quantità.

L’introdure parimenti un altro datio sopra l’acquavitta fabricandosene in quantità, così nella città come nell’isola per il consumo et estratione per altri luochi, sarà di benefitio pure di consideratione; et(?) infine quando Vostra Serenità imponesse anco una doppia decima sopra le entrate del clero greco, conforme a quello riscuote dal lattino, et quando non le paresse di aggravarli tutti, ma solo quelli che sono ius di Vostra Serenità, questa ancora non saebbe rendita sprezzabile, sendone buon numero.

A quali impositioni giovami credere fossero per concorrere con gran prontezza, col fondamenro dell’offerta fatta da quella fidelissima communità, portata a notitia della Serenità Vostra con lettere di dieci agosto passato. Non stimando io bene l’adossarli aggravio sopra le loro entrate, per non pregiudicare alli loro privileggi et anco perché in effetto sono ristretti di commodità, ancorché per apparenza alcuno sia creduto (non dirò ricco) ma commodo.

Con quattro illustrissimi consiglieri mi son trovato al governo di quei popoli, li due primi furono li signori Francesco da Riva et Vicenzo Dolfin et li attuali li signori Andrea Zane et Stai Duodo, et con i quali ho passato un’ottima intelligenza, essendo tutti gentil huomini d’una somma integrità et colmi di zelo nell’amministratione della giustitia, onde quei sudditi a tutte le hore hanno havuto audienza et suffragii con intiera consolatione, mentre in particolare, tanto nel civile quanto nel criminale, non si ha mancato di solevar gli oppressi.

Una sol cosa devo dire intorno a quella giudicatura, che pretendono li signori consiglieri che il bailo non possa da sé solo neanco dare nell’ordine una semplice commissione, spesso da questa pretensione, per quello son restato informato, sono nate delle disensioni. Io però con destra maniera ho procurato di concordarmi con i loro sensi, se bene alle volte ho veduto in effetto essere più che neccessario che il bailo nell’ordeni habbia il commando, come segue nelle altre due isole di Ceffalonia et Zante, et particolarmente perché molte volte succedono accidenti che chiamano deliberationi senza perdita di momenti, onde come di presente i tristi hanno commodità di fuggire le mani della giustitia, così quando il bailo havesse l’ordine, com’ho detto di sopra, tutto seguirebbe con maggior regola et con più reputatione della medesima giustitia.

Li ordeni di Vostra Serenità, circa la coltivatione et impianto de olivari, sono stati due volte publicati et con gran frutto, perché veramente quei sudditi, allettati dal benefitio che ne cavano, impiegano ogni studio nell’accrescimento, che riesce anco con utele del publico per i datii.

Del ben vicinare con turchi posso dire essere stato così dolce et vicendevole, che non è successo alcun sinistro, et da questa buona corrispondenza se ne è tratto gran frutto nel comercio con estratione della terra ferma da viveri d’ogni sorte.

Tra la città et armata parimenti non sono sucessi disconci di rilievo, per la buona intelligenza corsa anco con tutti gli illustrissimi capi da mare. Et chiudendo questo mio discorso, per non abusar la singolar benignità dell’Eccellenze Vostre nella grata audienza prestatami, dico che come il Signor Dio ha favorito sempre i miei fini (in questo governo diretti all’obedienza de publici ordeni) così son partito consolatissimo, havendo osservato in quei sudditi una piena sodisfattione; onde rendendo le dovute gratie all’Eccellenze Vostre per l’honore fattomi in servirsi della mia debolezza in quella gravissima carica, l’aviso d’una prontissima dispositione in ogn’altra occorenza de loro ceni, per maggiormente meritare la gratia publica. Gratie.

Gerolamo Trevisan

 

1635 a 2 febraro

Per ordine delli eccellentissimi signori savii dell’una et l’altra mano. Al contenuto dell’oltra scritta relatione del signor Gerolamo Trevisan ritornato di bailo da Corfù rispondano il dilettissimo nobile nostro Antonio Pisani ritornato di Proveditor dalle tre isole e Zuan Domenego Minio ritornato di Bailo et Zuan(?) Lorenzo Dolfin ritornato di Proveditor e capitano di Corfù, et sopra tutti li particolari di essa ben informati dicano l’opinione loro con giuramento et sottoscrittione di mano propria giusta le leggi.

Marc Antonio Otthobon(?) nodaro(?)