1640 Gerolamo Morosini
Relazione
Relazione di Gerolamo Morosini ritornato di Bailo a Corfù
1640
Serenissimo Prencipe
Un bisogno per il culto Divino, del quale Vostra Serenità religiosissima possiede il vanto d’essere sopra tutte le cose gelosa, io porto per primo capo della relatione di quello che la mia debolezza nella ministratione del bailaggio di Corfù ha saputo comprendere, che sia più necessario del riflesso della sapienza publica. Sarà questo della chiesa Catedrale, la quale riesce piciolissima, incapace per le predicationi et estremamente incomoda per gli offitii, che in diversi tempi si cellebrano unitamente dal clero latino con il greco. Perciò sarebbe effetto di singolar pietà il proveder alla sua ampliatione, necessaria per ogni modo, seben l’osservanza del rito latino, diminuita all’estremo in quella città, resta in devotione di qualche solo mercante et dei stipendiati apena.
In tutte le cariche che ora loro si distribuiscono, quelli cittadini si sogliono sempre elleger alcuni di rito latino, altri del greco, et gli latini hanno sempre la precedenza, se ciò sii per decreto di Vostra Serenità non ho potuto (tutto che aplicato) penetrarvi, ben scopro il publico importante servitio che così sii, onde mi spiace dover ricordar a Vostra Serenità esser ciò solo osservato in nome, non in effetto, perché tutti sempre sono del rito greco, né hanno altro che il nome di latino.
Del medesimo rito greco et del paese istesso sono pure li ministri di quella Camara et quelli delle munitioni ancora. Ordina Vostra Serenità che greci non habitino in fortezza et che se glie ne vieti anco per il posibile la pratica, ma vana riesce tal prohibitione, mentre questi medesimi sono quelli che ministrano colà tutte le cose publiche et che praticano tutti li più interni secretti del governo et delle stesse fortezze. Io lo raccordo a Vostra Serenità, per uso a mio parere pernitioso. Et perché questi tali si vanno etternando nelle cariche, hanno in poca veneratione li publici rappresentanti et massime il bailo et consiglieri, che non hanno forze bastevoli per farsi obbedire. Mi è stato però negato un estrato de debitori della Camera. Mi sono stati negati gl’ordini Pasqualighi. Mi è stato negato il sottoscriver il saldo delle casse. Perciò, oltre quanto fosse ordinato da Vostra Serenità, humilmente racordo che ottimo sarebbe, che fossero questi fiscali commessi ad avisare il reggimento dei bisogni che occorino della sua ridutione in Camara per gl’affari di quella.
Il Monte di pietà haveva presto estinto ogni suo capitale, poiché non dando il masser alcuna peggiaria di sua amministratione et di mantener il valor de pegni, ne ha tolto molti non equivalenti gl’imprestidi fatti sopra d’essi et va continuando il disordine dannosissimo.
Li depositi de particolari altre volte tenevansi in Camara, custoditi sotto tre diverse chiavi. Doppo l’institutione di questo sacro Monte, sopra del medesimo sono stati trasportati, ma tenendone le chiavi l’illustrissimo signor proveditor solo, et ben spesso dalla neccessità venendo tirato a valersi di quel danaro per soccorrerne le militie, restano però quei sudditi sconsolati di non haver franca siccurezza di poter a loro piacer rihavere il proprio danaro, esclamano per ciò et mandano voci lamentevoli sino al cielo.
Stimarei proprissimo, che il bailo potesse rivedere l’amministratione del danaro che in buona quantità si spende ogn’anno per arlevar li poveri bastardelli, il che m’è stato dinegato.
Molto gravata è la pratica di Corfù dall’offitio della sanità per le fedi. Haverei prima di questo tempo esposto a Vostra Serenità questo, che viene biasimato per inconveniente assai grave, ma essendo l’offitio per quattr’anni venduto, ho stimato che durante questo tempo non possa a quel compratore esser alterato l’uso delle solite conditioni. Ben crederei, che sopita questa condota, fosse proprio che la providenza di Vostra Serenità riccogliesse l’occhio all’interesse di quel comertio tanto aggravato.
Sopra la communicatione, che m’è stata fatta d’una deliberatione di Vostra Serenità, che sia murata la porta Rimonda, mi sento stimolato a riferirgli che incomodo et dispiacer grande ne riceverano gli habitanti di quella città, oltre che sarebbe ella più sicura et più utile dell’altra in tempo di guerra.
Nell’affare del fontico mi sono tutto impiegato, perciò ho riscosso da tutti li debitori. Ho castigato chi in esso usava fraudi et l’ho lasciato abbondantemente et a basso prezzo proveduto, il negotio del qual fontico è molto travaglioso, perché nel sterile raccolto si stenta molto a provederlo et nell’abbondante si pena assai a smaltir il già comprato a maggior prezzo.
Essendo stato pietosissimo l’ordine di Vostra Serenità, che il datio della panataria sia posto in avvantaggio del fontico, estimarei che fosse ottimo ch’ella obligasse li publici rappresentanti a portar fede, con giuramento dei sindici, d’haverlo lasciato intieramente in augumento del capitale del fontico.
Passa con disordine l’affare delle raspe de condanati dal reggimento, poi che core l’uso che s’estendino in una medesima tutte le sentenze, così di condanne aflittive come delle pecuniarie, et v’è decretto che debbano li cancellieri al finir della carica consignarle ad un custode alle medesime deputato. Questo è commesso di tenirle in fortezza et come sallariato, intendendosi sottoposto al foro dell’illustrissimo signor proveditor, recusa l’obbedienza al reggimento, al quale per l’occorenze di conceder impunità, d’admetter salvi condotti, di cancellar chi habbia sodisfato alla sua condanna, viene negata la vista delle medesime sue raspe. Io le chiamo mal sicure in mano d’uno di quei greci, con la siccurezza che non possa il reggimento veder mai ogni fraude che vi fosse dentro commessa et ho provato non poter con fondamento prestar i neccessari sufraggi a quei sudditi. Un decreto simile a gl’ordini Foscarini osservati in Candia, che disponesse doversi formar due raspe distinte, una delle sentenze pecuniarie, che fosse tenuta in Camara, l’altra delle pene aflitive, che restasse appresso de cancellieri, crederei che sopisse le difficoltà et in buona maniera regolasse il servitio della giustitia et cautellasse il publico interesse, verso quali rispetti il possibile per il mio poco talento operai et supplico la benignità publica, che cortesemente gradisca co’la maggior devotione della quale le rinovo il voto inviolabile. Gratie.
Compisco la sodisfatione del presente mio riverentissimo uffitio con l’annoncio a Vostra Serenità, che con la continuatione della venuta de vlachi ogn’inverno al lavoro sopra quella sua isola, sempre qualche famiglia de medesimi ve ne resta acasata et con l’aiuto di queste genti, robuste assai et indefesse, ne migliora la coltura, cosa che de minuti almeno, io spero che presto ella ne produca per il bisogno di quegl’habitanti.