1624 Antonio Venier
Relazione
Relazione di Antonio Venier Provveditore a Corfù
1624 gennaio 18
Serenissimo Prencipe
Giusta, prudente e ragionevole obligatione è stata imposta da nostri venerandi progenitori a chi ha essercitato carichi publici, che debba, doppo la sua amministratione, dar conto in questo amplissimo luogo di quanto ha trattato et operato, acciò ogn’uno habbi stimolo di operar bene et la Serenità Vostra et Vostre Eccellenza illustrissime, intendendo il stato e l’esser delle cose sue, possino conoscer i bisogni e provedervi con la loro singolar prudenza. Io per tanto, havendo essercitato la carica di Proveditor e capitano a Corfù, già benignamente impostami con mia perpetua indissolubile obligation dalla loro incomparabile humanità, vengo a rappresentargli, con quella sincerità che devo, quanto stimo degno della loro notitia, ommettendo le cose superflue e ristringendomi più che sia possibile, per levar con la brevità il tedio che potessero ricevere dalle mie imperfettioni.
Il circuito dell’isola è di 80 miglia in circa, la sua forma s’avvicina più alla lunare che ad altra. Li posti delle guardie sono quelli che furono eletti dal signor Agostino Canal fu Proveditore di quelle fortezze, quali sono stati da me veduti, considerati et giudicati li migliori che si potessero scegliere, poiché ottimamente si scuoprono l’un con l’altro et fiancheggiano tutta l’isola con vera e real sicurezza. Le guardie, de’ quali ho trovato così ben regolate che non ho saputo che aggiungere, se non ordinare severamente l’essecutione di esse, che per la poca diligenza usata, erano andate in grande rilassatione, onde molti posti erano del tutto stati abbandonati et quelli che si guardavano, pativano gran mancamento di numero et qualità di persone per la sicurezza dell’isola, a che ho proveduto, et nel mio tempo ho veduto con vivi effetti esser stato questo servitio ben fatto; il quale m’è riuscito anco di gran consolatione per la sicurezza delle fortezze, poiché dalli subiti avisi che ho sempre havuti dalle guardie sudette, ho havuto tempo e commodità di star con destrezza preparato et pronto, ne’ tempi di tante gelosie, a qual si voglia accidente. Non dovendo tacere che la rilassatione di queste guardie era divenuta a disordini tali, che senza travaglio de nemici poteva quell’isola un giorno ricever qualche gran danno et forse esterminio di tutti quei popoli, poiché dalla rapacità delle sudette guardie et dalli habitanti delle vicine ville in occasioni de vasselli abbandonati, che ben spesso vanno ad urtare nelle rive dell’isola, questi senz’alcun riguardo di mille rispetti et accidenti, correvano sopra li medesimi et svaleggiando ogni cosa portavano il tutto nascostamente alle case loro, con manifesto pericolo di infettar di mal contagioso sé medesimi, l’isole et la città con le fortezze. Per il che ho fatto fare un proclama rigorosissimo sotto pena della vita, che alcuno non dovesse, capitando simili vasselli abbandonati, entrar o pratticar in essi, né meno asportar overo toccar qual si sia sorte di robba. Il qual proclama stimerei fosse molto proprio rinovare ogn’anno, per tutti gli accidenti che potessero occorrere.
Ho trovato tutti li soldati dell’ordinanze molto mal disciplinati, e peggio quelli della città e borghi che quelli delle ville, con pochissima obedienza. Nella descrittione che ho fatto, con la visita di tutta l’isola, spero haver apportato gran benefitio a quest’ordine di militia, poiché ho cassato un’infinità di vecchi inutili et in suo luoco rimesso altrettanti giovani, perché da undeci anni in qua che fu fatta l’altra descrittione, quelli che all’hora erano in età di otto, nuove, dieci, undeci e dodeci anni, al presente li ho trovati atti al maneggio di qual si voglia arma et più docili degli huomini attempati, che non apprendono mai alcuna disciplina. Il medesimo ordine ho tenuto nell’elettione de galeoti, il numero et qualità de quali sarà maggiore e più perfetto delli tempi passati. Di tutto il nervo delle ordinanze non si trova la terza parte armata et di questo così importante mancamento ne ricevevo grande mortificatione, poiché li soldati inermi non possono né difendersi, né meno essercitarsi, et li loro capitani et officiali restano, con non poca spesa di Vostra Serenità, si può dire inutili a questo servitio; onde sono andato considerando in che modo potessi rimediare a così grandi disordini, et mentre proponevo in me stesso di dar l’armi a tutti li soldati sudditi, incontravo nella scarsezza d’arcobusi et moscheti che si trovano in quelle munitioni, ma molto più nel dubbio se fosse bene o male l’armar tante genti d’arme simili, onde per così fatti contrarii, mi sono appigliato ad un ricordo di eccellentissimo Conte Polcenico di far disciplinar li soldati che non hanno arcobusi con certe aste ferrate, che loro chiamano giavarine, et delle quali n’hanno gran copia et gran gusto. Et hora maneggiandole et portandole con le regole che si usano dalle compagnie de brandi stocchi, fanno col terzo degli arcobusi che si trovano havere, un ordine di militia così ben composta, che aggiungendo a tutto il nervo di esse trecento moschetti, farebbe un composito molto utile et forte per la difesa di tutta l’isola; et di ciò ne ho veduto hormai l’effetto in due mostre generali, che ho fatto fare con stupore di tutti quelli habitanti.
L’isola è fertilissima di biada, vino et oglio in grandissima quantità, et se quelli habitanti fossero industriosi et si volessero affatticare con coltivare una gran parte di essa, al sicuro, come produce vino per il loro consumo et dell’armata et oglio oltre il loro uso da sumministrarne a questa città, così produrebbe formento, se non d’avantaggio, almeno per l’alimento di tutto l’anno di sé medesimi. Il che riuscirebbe di gran benefitio publico, poiché mentre quell’isola per il suo vito non havesse da procurarne dalla terra ferma, si haverebbe a minor prezzo nelle comprede che si fanno per biscotti.
Trovasi sopra quell’isola tra li confini della Balia d’Alestimo et quella di mezo verso la parte di Ostro Garbino, un lago di ampiezza di dodeci miglia di circuito, di mediocre profondità di un passo e mezo, e nel suo centro di dua, che si nomina il lago di Corissia. Questo da tutti i suoi lati è circondato da spatiosissime et belle campagne et coline amenissime di quasi 25 miglia di territorio et più, eccetto che dalla parte di fuori verso Garbino, che confina con il vicino sito del mare.
Attorno le sudette campagne e coline trovansi situati sopra diversi monti molti casali, che mostrano dalle vestigie de casamenti distrutti essere stati populatissimi, che così anco mi è stato da molti vecchiardi di detti casali affirmato, ma da 35 et 40 anni in qua sono morti tutti li habitanti, ne vi si trova chi voglia andar ad habitar in quelli, per l’aria pessima che vi regna, per causa della quale si sono spopulate dette ville.
Nasce questa putrefattione d’aria dalle acque stagnanti et morte del lago sudetto, che non potendo essalar nel mare, come altre volte facevano, per esser in lungo corso d’anni otturata la bocca di esso, per la quale continuamente già le acque dolci sboccavano nel mare et egli poi con reciproco reflusso inondava il lago di acque salse, si che non poteva causarsi putredine alcuna che corrompesse l’aria.
Questa bocca con spesa di due o tre mille ducati si potrebbe di nuovo aprire et con tal provisione venirebbe a purificarsi l’aria, a popolarsi le ville, a farsi una fruttuosissima peschiera et ad aprirsi l’occasione della coltura di quelle parti, che sendo state vedute da me diligentemente, stimo sarebbono atte poi a produrre, per la grassezza et fertilità de luoghi, grandissima quantità de formenti, bastevoli a mantenere quasi per tutto l’anno la città et isole, che aggiuntivi quelli formenti che rende continuamente il rimanente dell’isola et la valle di San Giorgio, ridotta hora a bellissima coltura, non si havrebbe necessità di andar cercando formenti altrove per il mantenimento della città, isola et forse dell’armata.
La detta valle di San Giorgio, che per quello riferiscono li vecchiardi delle circonvicine ville, era già vinti anni tutta boschiva et quasi continuamente ripiena d’acqua stagnanti, che da molte circonvicine montagne nel tempo del verno in quella si riducevano et la rendevano inculta et inhabitabile, per l’escavatione fatta dal signor Guid’Ascanio dal Monte di ordine publico, si rese non solo asciuta et habile a potervisi seminare de formanti, ma diede ancora occasione che si riducessero nelle circonvicine ville molte famiglie, venute da terra ferma in gran numero, le quali non solo andorono coltivando nelli terreni di detta valle, ma riseccati i boschi, ridussero a coltura tutto quel paese e de formenti e de minuti.
Hora perché si sono rinovati alcuni molini, che anticamente erano stati fabricati nella parte ove sboccano le acque verso il mare, che nel tempo del signor Guid’Ascanio del Monte sudetto erano stati rovinati per ordine publico, rimanendo impedito il corso delle acque piovane dalli sostegni et argini fatti dalli paroni di quelli per conservatione delle acque, da loro servate per uso di far macinare i loro molini, resta allagata detta valle in buona parte per tutto il mese di maggio e tal volta anco di giugno, et quella parte che si risecca in questi due mesi vien seminata di sorgo bianco et miglio, et dà non mediocre sovvenimento con dar(?) frutti a tutta l’isola. Ma quando et li molini et li argini et sostegni di quelli si guastassero, con far anco romper un sasso che in mezzo l’alveo del sborador che va verso il mare si ritrova, si che vien impedito il corso delle acque del verno a non poter con rapido et abbondante flusso correr nel mare, tutta quella valle, col farvi anco in alcuni luochi qualche escavatione de fossi all’usanza di queste parti, rimanerebbe asciuta et habile a potervisi seminar abbondantemente de formenti.
Hor perché et la valle di San Giorgio et il lago di Corissia restino a pieno coltivati, con indicibile beneficio di quell’isola, stimo necessario che il lago sia aperto dalla parte del mare, che in due o tre luoghi si potrebbe fare facilmente, poiché dal mare insino alle acque di esso non vi è altra distanza che dieci passa in circa, et è tutto sabia, onde possano entrar in esso le acque salse, dalle quali verrà purificarsi, insieme con il lago, ancor l’aria et procurar poi di popular quelle ville circonvicine: il che facilmente si potrebbe effettuare con decretar che tutti quelli che anderanno a coltivar così le campagne di Corissia come della valle di San Giorgio, restino essentati dalle fattioni reali et corporali per quindeci i vinti anni, et quelli che anderanno debbano essere di aliena dittione.
A questo effetto bisognarebbe, per mio senso, elegger un gentil huomo con quel titolo che paresse a Vostra Serenità sopra la coltivatione dell’isola di Corfù et mandar con esso persona perita, dandole quell’auttorità et quegli ordini che paressero alla prudenza di questo eccellentissimo Senato, acciò rimanesse ben essiquito così fruttuoso et importante servitio.
Sono in tutta l’isola, che è divisa in quattro Balie, vinti otto mille cinquanta otto anime, comprese quelle della città et borghi. Nelle Balie ve ne sono vinti mille tre sento novanta: cioè vecchi da 50 anni in su mille quarantasie, da quindeci anni fin cinquanta quatrro mille novecento cinquanta quattro, da quindeci anni in giù quattro mille sette cento settanta quattro, et femine d’ogni età nuove mille seicento e sedeci; in maniera che vengono a esser huomeni da fattione 4.954, de quali nella visita che feci di tutta l’isola, Dio sa con quanto incommodo, patimento et pericolo, ne ho fatto descriver per galeoti due mille quattrocento ottante tre, per arcobusieri due mille vinti cinque, per salineri cento settanta nove et trecento disisette tra vecchiardi, contestabili, pratora et regalieri.
Questa visita dell’isola fu fatta da me in essecutione de prudentissimi ordini dell’illustrissimo signor General Bellegno, et era necessarissima, perché sendo dall’ultima descrittione, che fece l’illustrissimo signor Gerolamo Contarini di buonamemoria, quelli che all’hora erano fanciulli, ridotti in età atta a prestar servitio, rimanevano, senza il farne una nuova, essenti da ogni fattione, dove che nel libro, fatto formare da me con particolar descrittione di tutte l’anime, è accresciuto non solo il numero di esse dall’ultima descrittione, ma anco quello de galeoti, arcobusieri e salineri, onde Vostra Serenità, senza che seguano di quelle confusioni successe altre volte, potrà di cadauna sorte valersi ad ogni cenno.
Quelle genti mostrano d’esser assai bellicose, et per la gran commodità che hanno di estraher cavalli da quelle frontiere de Turchi et per la gran quantità che ne tengono nella stessa isola, hanno gran dilettione di cavalcare et mostrano in simile essercitio molta attitudine, la quale considerata da me, rappresentai con mie lettere all’Eccellenze Vostre, che si potrebbe cavare un numero di duecento arcobusieri a cavallo, che aggiunti alla strattia et alle cernide, con qualche altro numero di gente della città o fortezza, servirebbono a impedire sbarchi che potessero esser fatti, con quelli altri particolari che per brevità tralascio et potranno esser veduti dalle medesime lettere et da una scrittura che mandai del conte Polcenigo.
Vi sono adunque nelle quattro Balie bovi arativi due mille cinquecento e quindeci, animali vacchini tre mille cento nuove, animali minuti disdotto mille cento vinti, cavalli mille quattrocento cinquanta uno, masine da oglio 289, molini da acqua 107, porti 19, guardie 97, laghi 14, campi seminati quattrodeci mille sei cento e tre, luochi inculti e grezi vinti tre mille cinque cento e trenta quattro et luochi vignati sedese mille ottocento nonantacinque.
Nel territorio della città, con suoi borghi et ville, fuori delle sopradette quattro Balie, vi sono masine da oglio 37, terreni seminati campi quattromille, terreni vignati campi otto mille, molini da acqua cinque, bovi duecento, cavalli 400 et animali minuti mille.
Le quattro Balie potrebbono produre, per quanto han riferto quei isolani, se bene giudico haveranno detto molto meno di quello si cava, biave stara cento vinti cinque mille due cento vinti, vino barille cento sessanta tre mille e diese, et oglio zare nonanta otto mille sette cento vinticinque.
Dal territorio anco della città si cavano in tempo di raccolto biade stara sedeci mille, vino barille ottantacinque mille et oglio zare trenta tre mille cinquecento.
Et a questo proposito di oglio non voglio restar di dire all’Eccellenze Vostre, per obedienza della parte di questo eccellentissimo Senato de 29 novembre 1623, essermi la medesima capitata in tempo ch’era passata la stagione di poter piantar olivari. L’ho però fatta publicare et commessa la sua essecutione, la quel m’assicuro le sarà prestata, per il beneficio grande che quei sudditi ricevono da simil frutto, havendo osservato esservi nell’isola grandissima quantità di piante novelle, che è segno che attendono molto bene a quest’opera.
Da questo ristretto può Vostra Serenità vedere le conditioni singolari di quell’isola et come riuscirebbe proficuo, che con qualche allettamento di essentione, come ho detto di sopra, si riducesse buon numero di genti di terra ferma ad habitarvi, per coltivare tanti terreni che restano inculti, che oltra il beneficio che apporterebbono a suoi sudditi producendo de formenti, servirebbono sopra modo al publico servitio per la sicurezza di quelle importantissime fortezze et per l’avantaggio publico nelle comprede de formenti da Turchi per biscotti.
Si ritrova nella medesima isola il castel Santo Angelo, situato dalla parte di ostro et si può dire nel mezo della lunghezza di essa.
È fabricato sopra un monticello alla riva del mare, dalla cui parte è cinto d’inaccessibili diruppi a piombo, che a riguardar a basso fanno terrore, se bene da un lato verso levante forma un pendio d’una piazza assai capace et pratticabile, che chiamano rivellino, dove in tempo d’incursioni, vien riferto, si salvarono li paesani circonvicini. Questo si bene è luoco di poca consideratione, perché se bene l’inimico se ne impatronisse, non potrebbe però ricever alcun beneficio per travagliar le fortezze, sendo luntano da essi trenta miglia in circa di stradda alpestre e dificile. Tuttavia in essecutione de commandamenti di Vostra Serenità, fu fatto da me accomodare et ridure in buon stato, senza riforma de suoi membri, con tutto quel maggior avantaggio che mi è stato possibile.
A Corfù vi sono barche cento vinti sette di diverse lunghezze di piedi dodeci sin 32, tra pescaresse e di altra sorte, che trafficano in terra ferma et Puglia, le quali vengono navigate da 472 huomini, di parte dei quali, in qualche improvisa occasione di rinforzo di galee o altro, se ne potrebbe valere.
Le fortezze, oltra l’esser come sa benissimo la Serenità Vostra l’antimurale de suoi Stati, si possono chiamar il propugnacolo della Christianità et sono situate in buonissimi posti, che per l’artificio et construttioni in molti tempi fatte, si possono dire quasi inespugnabili, tuttavia hanno bisogno di alcune provisioni, le quali di pochissima spesa riusciranno, ma molto proprie per loro maggior sicurezza.
È necessario perciò concluder il modo di cavar un’altra canoniera almeno nel torrioncino della Versiata, per difesa della fronte bagnata dal mare del bellouardo delle Castrate, vedendo l’opinione di chi ha consultato questo negotio tante volte.
Gettar a basso un casellaccio antico che si trova sopra la punta del bellouardo sudetto, che anticamente serviva per corpo di guardia, nel quale non potendo le sentinelle scuoprire il di fuori come si deve, ne vedere le ronde che le venghino addosso, riesce oltre altre ragioni importantissime molto imperfetto et brutto da vedere, dovendosi anco questo bellouardo circondare di un muretto nella stradda della ronda, la quale se bene camina sopra il parapetto, per esser il terreno retirato tutto incamisato, in ogni modo scuopre assai bene et si venirà a levare la spesa grande che ogn’anno si fa delle stangate, et il pericolo di molti soldati che fidatisi sopra sono caduti precipitosamente a basso, da che molti nel rondare si vanno tirando indentro et non fanno il servitio di veder fuori, come è necessario; onde lauderei che in questo bellouardo si facesse quello che ho fatto far io sopra quello del mandrachio con pochissima spesa, poiché delle materie del casellaccio antico di questo ho fatto fare un bellissimo casello moderno spinto in fuori, che scuopre ottimamente le piante dell’una e l’altra fronte, vede d’ogni parte le ronde che lo vengono a visitare, e riesce di tanto bella veduta a questo membro così principale, che ogn’uno ne resta admirativo, seguitandole attorno il muretto della strada delle ronde, che in questo luoco ho havuto commodità di cavare, col regolare anco tutti li terreni come hanno d’andare, per non esser questi incamisati, se non la mità del cordone in su.
Il fianco che guarda San Sidero et che fa cortina a certa parte di muraglia, che forma anco il principio della cittadella da questo lato, si trova tanto angusto, che difficilmente si potrebbono metter quelle difese che ricercarebbe questo posto, e perché è così dalla pianta cavato et formato di grossissima muraglia e terrapienato, stimarei bene non farvi altra spesa di nuova construttione per allargarlo, ma gettar a basso un casellaccio antico che serve per una sentinella et farne uno moderno spinto in fuori, con che si venirebbe ad avanzare piazza per mattervi un canoncino, et per qualche soldato che stasse a questa difesa. Le strade che vanno a questo posto sono così ristrette che non vi può andar più d’un soldato alla volta, poiché dal tondino del portello dove camina la ronda, la strada è cavata nella grossezza della muraglia non più larga di due piedi, et l’altra, che viene dietro alli forni, è anch’essa così misera et infelice, che per una voragine d’immonditie che le sta sotto, difficilmente si può frequentare; onde io stimerei bene che questa profondità fosse riempita, perché oltre il beneficio che si riceverebbe della strada, per la quale li soldati potrebbono commodamente correr alle difese, si formerebbe anco una buona piazzetta per tener un corpo di gente da soccorrer il sudetto fianco di San Sidero, et tutta quell’opera si farebbe con insensibile spesa.
La parte del castel dal mare che guarda verso Tramontana et certo diruppo che cala pure da questa parte et cinge la cittadella sino ad un rissalto della medesima, è così imperfetta et pericolosa di riceverne qualche danno, che il signor conte Polcenigo me n’ha fato gran discorsi sopra. Ond’io mi son risolto, con la sua et mia assistenza, di far fare un dissegno in rilievo di tutta la fortezza vecchia, per far vedere all’Eccellenze Vostre, quasi sopra il medesimo, questo importantissimo negotio et insieme la facilità del rimedio, con la poca spesa che vi anderebbe.
Gli alloggiamenti di quelle fortezze, che son stati fatti espressamente per alloggiar soldati, difficilmente possono bastare al presidio ordinario che se le tiene al presente, et perché si trova un infinità di casazze antiche, comprate in diversi tempi da diversi publici rappresentanti, che sono di tre et quattro solari marze et la maggior parte del tutto distrutti, dove vi sono tante immonditie che potrebbono causare qualche infettione d’aere, onde stimerei bene che in certi luoghi fossero tutte demolite et ridotte in buone tirate(?) di quartieri bassi, come son quelli fatti già dall’eccellentissimo signor General Pasqualigo di felice memoria, non solo perché questi sono per tanti rispetti importantissimi gli veri aloggi de soldati, ma anco per schivar a Vostra Serenità un indicibile spesa che ogn’anno si fa nell’acconciar quelle machine tutte marze, dalle quali innanti che li soldati venghino alla piazza d’arme vi vuole gran pezzo, per li diruppi e strade cattive che in diversi luoghi si trovano.
La cunetta della fortezza vecchia, che al presente rimane quasi atterrata, causa un fettore insopportabile, che la mattina et la sera a pena vi si può passar vicino, et rende nel tempo dell’estate cattivo aere, onde è necessarissimo farla cavare et farvi le sue sponde di muro dall’una e l’altra parte, acciò li terreni dai lati non vi rovinino di nuovo dentro, con accommodar anco la porporella, overo traversa, in bocca di tutta la fossa verso le castrate, acciò che li venti che regnano da questa parte, non possino con li flutti del mare di nuovo portar materie et atterrare la sudetta cunetta.
Il mandracchio si trova in pessimo stato, per il che bisogna dalla parte del molo che forma esso mandracchio ripararvi con quadroni di pietra, che si fanno venire di terra ferma, li quali doveranno esser inarpesati l’uno con l’altro, acciò la construttione resti ferma e salda, senza mettervi mano ogni terzo giorno, per acconciar le ruvine che li flutti del mare vanno movendo, discassando li quadroni per non esser legati insieme.
Nel detto mandrachio anco bisogna farvi una buona escavatione, et ordinare con ogni maggior severità che siano essiquite le deliberationi dell’Eccellenze Vostre, che in esso non impalmino galere grosse o sottili, né si faccino altre facende che vi possino portar dentro materie.
Stimo per mio senso un notabilissimo disordine, che nella cittadella della fortezza vecchia quel clarissimo consigliere dia il nome, in maniera che se per qualche accidente occorresse conferirsi di sopra(?) al Proveditore et capitano, che tiene il commando di tute le cose et dal quale deve dipender la difesa et gli ordini a cadauno, non potrebbe andarvi senza l’assenso del medesimo consigliere, il quale anzi può venire a basso nel recinto della fortezza vecchia senza sua licenza. La parte della detta cittadella che guarda il mare è frontiera(?), per la medesima cittadella s’entra nel castello da mare, dove è il deposito della polvere, il più delle munitioni da guerra nella stessa pur si conservano; onde parea me che il capo di tutte le fortezze, al quale in un punto può nascere mille occasioni di valersi di detta cittadella, dovrebbe haver il modo di poter ad ogni suo volere conferirvisi, et esser pronto a dare et ricevere soccorso et aiuto in qual si voglia accidente, il che non potrebbe nel stato presente così presto et facilmente fare, non tenendo egli il nome et bisognando, come ho detto, che dipendi dal volere del detto consigliere.
Rappresento a Vostra Serenità riverentemente questo mancamento, acciò possa, se sarà stimato tale dalla Sua singolar prudenza, provedervi, in quella maniera che le parerà migliore, preso prima il consiglio da qualche capo da guerra o ingegnero.
La fortezza nova, dove habita il clarissimo capitano et il governatore, si trova cinta di muraglie così basse, che l’eccellentissimo signor Generale Barbarigo, havendo conosciuto questo mancamento, fece fare da tutta questa parte una pallificata intorno per liberarla dal pericolo delle scalate, la qual pallificata, bisognando ogn’anno acconciare et rimettervi sempre qualche cosa, riusciva a Vostra Serenità di grandissima spesa, et ogni cinque o sei anni bisognava rinovarla del tutto, come appunto quest’anno bisognava farsi da me, essendo, per la rabbia de venti che hanno regnato l’inverno passato, caduto ogni cosa a basso senza restarvi pur un legno in piedi; onde havendo fatto fare un conto della spesa che vi andava a construirla di nuovo et calculato che con poco più haverei rimediato al mancamento di questa parte con opera perpetua, risolsi di construire un muretto attorno, tant’alto quanto basta fuori di pericolo, il quel cuopre ottimamente li difensori et dietro ad esso ho fatto cavare la strada delle ronde, che scuoprono molto bene la pianta della muraglia, et nella punta che chiamano perpetua ho fatto fare un casello moderno spinto in fuori, che vede due parti di muraglie necessarissime d’esser guradate, in maniera che con insensibile dispendio publico, rimane al presente proveduto al diffetto di quella parte, con fabrica che riesce bella alla vista et nel corso del tempo porterà utile a Vostra Serenità ancora.
Si ritrovano alcune case matte, che hanno la loro uscita fuori della fortezza, nella parte della città verso la piazza di Spilea nel piano del terreno, dove è facilissimo l’accostarvisi per di fuori via, et questa uscita se bene è murata, pare a me, che riesca molto mal sicura et esposta a molti pericoli; al che si potrebbe rimediare con il terrapienarla di dentro via, o quando non si volesse far questo, si potrebbe far qualche altra controporta nel medesimo ingresso, acciò non riuscisse così facile l’entrata a chi superasse la sudetta porta murata.
Saria per mio senso un ottimo servitio il ridure la parte superiore di questa fortezza, detta li Sette Venti, in una sicura ritirata, chiudendola con un ponte levatore al piede del scalone, dovendo preceder però, come da molti è stato raccordato, la construttione nella sudetta parte de Sette Venti di una casa per habitatione ordinaria del clarissimo capitano.
Stimo anco necessario il ridurre a perfettione il cavalier più alto situato sopra la punta, come quello che scuopre benissimo et difende il muro del scarpon e tutta quella strada che viene verso la punta sudetta, la qual è la più debol parte di quella fortezza, come malissimo o per dir meglio niente difesa; onde sarebbe molto bene, essendo difficile il difenderla dall’inimico che se gli fosse avvicinato, far ogni diligentia per impedir la strada dell’avvicinarsegli, al che servirebbe assaissimo il sudetto cavaliero ridotto a perfettione, armato d’altra artigliaria et guardato da una sentinella che se gli mettesse sopra, per la quale bisognerebbe farvi anco un casello.
Li terreni del cavaliere superiore de Sette Venti et medesimamente quelli vicini al casello delli Sei Venti, hanno bisogno d’esser accommodati, li quali havendo principiato a cader a basso, corrono rischio con le pioggie dell’invernata di rovinare, in modo che vi vorrà grandissima spesa a ricuperarli, per la difficoltà di portar il terreno in una parte tanto alta, dove non se ne ritrova alcuna quantità.
Si ritrovano in quella fortezza pocchissimi quartieri per alloggiar soldati et quei pochi che vi sono anco infelici et malissimo sani, onde si potrebbe applicar l’animo a questo importantissimo bisogno, al quel si provederebbe con pochissima spesa et con fruttuosissimo servitio, perché occorrendo di mettervi maggior numero di militia per difesa, non vi sono né quartieri né altri coperti per alloggiarla.
Mi pare gran disordine, che in detta fortezza non vi sia un deposito per conservar la polvere, che occorresse mettervi dentro in caso, che Dio lo guardi, di un assedio, per potersi difendere, oltre che anco quella che vi si tiene per li bisogni ordinari è riposta in un caselletto di tavole, esposta a mille pericoli.
Crederei anco che fosse disordine il non esservi magazeni per conservar munitioni da vivere, d’oglio et aceto et non esservi pure un molino per macinar grano in caso di bisogno.
In oltre mi parerebbe ottimo servitio il far far li mantelletti, almeno a tutti li pezzi che sono situati in posti importanti, dalli quali non si devono levare in alcuna stagion dell’anno, perché oltre che con essi si assicurano li letti dell’artiglieria, si accerta anco in caso di bisogno di ritrovarli in stato di potersene valere fruttuosamente secondo le occorrenze.
Si sono fabricati da alcuni anni in qua diverse case vicinissime alle muraglie della detta fortezza nova, in maniera che al presente non si può ben scoprire dalla medesima le strade, per le quali si potrebono condure copertamente, massime in tempo di notte, delle genti a danni della detta fortezza, il che mi pare disordine notabilissimo et degno di una presta e risoluta provisione.
In tutte quelle fortezze v’erano al mio partire da 880 soldati, compresi li officiali, divisi in nuove compagnie ordinarie di 50 fanti l’una et tre estraordinarie, tutta bella gente, benissimo all’ordine et disciplinata.
Mentre non vi siano sospetti potrebbono bastare undeci capitani ordinari con cinquanta fanti l’uno, per le ragioni narrate in una scrittura dal signor conte Polcenigo, la quale presento alla Serenità Vostra, perché possa, con la sua singolar prudenza, secondo gli accidenti et congiunture, poner in quei presidii quel numero di soldatesca che servisse al bisogno.
Ho fatto fare un inventario distinto et alfabettato di tutte le munitioni da vivere et apprestamenti da guerra che si trovano in dette fortezze, onde consignando anche questo all’Eccellenze Vostre non le porgerò maggior tedio.
Sarebbe un ottimo servitio dar ordine alli illustrissimi rettori del Zante et Caffalonia, che facessero provedere di buona quantità d’aceti per deposito in quelle piazze, non se ne trovando pur una goccia, et incaricar l’illustrissimo signor Proveditor Caotorta, che facendoli riponer in bote nuove, ben cerchiate di ferro, dia gli ordini che sono proprii per la loro conservatione, acciò non succeda il dissipamento che seguì de gli altri, come la Serenità Vostra havrà inteso dal constituto del sopramassaro, che con mie lettere de 29 maggio 1623 le inviai. Si ritrovavano alcune boti vecchie et altre doghe, le quali ho dato ordine che fossero vendute et il denaro impiegato nella construttione di altre nuove.
A questo proposito non voglio restar di dire haver usato ogni diligenza possibile per reintegrar così bisognevole deposito, et haverne eccitato l’illustrissimo signor General Ponte col scriver al’illustrissimi rettori del Zante et Caffalonia, ne haver potuto ottener l’intento che veniva da me sommamente desiderato, nelli suspetti che all’hora passavano di machinationi contro quelle fortezze comunicatemi da Vostra Serenità, le quali come sempre che le medesime piazze saranno provedute delle cose necessarie da vivere, rimarranno vuoti d’effetti, così all’hora mi facevano sospirare et pensare, mentre non v’era altra provisione che zare mille cento disisette in circa d’oglio, il deposito del quale dovendo essere mille tresento disisette zare, le altre due cento sono state impiegate nelle lumiere de corpi di guardia, come si fa quotidianamente ancora. Per il che sarebbe molto a proposito commetter anco il reintegramento di questo deposito, il quale col tempo senza nuova aggiunta resterebbe anch’egli consumato.
Furono doppo da Vostra Serenità inviati due mille stara di miglio, pochissima provisione per qualche accidente, il quale si fosse occorso all’hora; può Ella con la sua singolar prudenza considerare il pericolo che correvano le sue fortezze, le quali devono esser conservate et mantenute come pupille de gli occhi della Serenità Vostra, con non lasciarle mancare minima cosa, et mi creda che intanto alcuno va formandosi concetti di poterle prendere, in quanto le capita all’orecchio la miseria che si prova di denaro et il sprovedimento di tante munitioni da viver che sarebbono necessarie.
Il deposito grande della polvere situato nel castel da mare, del quel non si sa la vera quantità non sendo mai stato consignato al sopramassaro presente, è di caselle 1.263 et barilli 2.777 in circa. Diedi conto a Vostra Serenità, che sendo tanto tempo ch’era stata riposta così gran summa di polvere, sarebbe stato di gran servitio l’andare a parte a parte rafinandola, et havendo dalla mostra che le inviai veduto il deterioramento di essa, mi commise efficacemente l’essecutione, alla quale subito che vennero i buoni tempi mi posi con tutto il spirito, per ridure in buon stato quella maggior parte che fosse stata possibile; onde dato principio trovai che oltre tanti inesplicabili pericoli, non potendosi lavorare più di tre mesi dell’anno, non se ne haverebbono potuto rinovare più di dodeci migliara all’anno, et a far ciò vi haverebbe voluto anco molta spesa, perché erano necessarii da dieci a dodeci lavoranti al giorno, quali non si potevano trovare, et se bene si fossero anco ritrovati, a dodeci migliara all’anno, in molte desene d’anni o per dir meglio mai, non si havrebbe fornito l’opera et potuto desistere dal rafinamento, perché quando che tutta la polvere del deposito fosse rimasta rinovata, sarebbe corso tanto tempo, che la prima rafinata haverebbe havuto bisogno di nuovo acconciamento. Per questi et altri rispetti desistei dall’opera, la quale come è necessaria, così riesce ivi dificilissima, pericolosissima et quasi impossibile, per il che lauderei, perché non si diferisse maggiormente il riparo alla rovina di così meraviglioso deposito, che Vostra Serenità dasse ordine al magistrato illustrissimo dell’Artiglierie, che con l’occasione di buoni e sicuri vasselli, inviasse alla volta trecento o quattrocento barilli di polvere di tutta perfetitone a quell’illustrissimo signor Proveditore, il quale debba rimandargliene altrettanta di quelli del deposito, sino a total ricambio di esso. Et con questa occasione sarebbe bene ristaurare a parte a parte il fondo del medesimo, che deve esser tutto marzito; et laudarei anco che in cambio di lasciar il partimento delle casselle et barilli, come è al presente, de quali bisogna servirsene come sono posti, poiché sendo tutti un sopra l’altro non si può vedere o valersi di quelli di sotto, se prima non si prendono quelli di sopra, si facessero tante scantie ordinate, nelle quali ponendovi le casselle o barilli, si potrebbe in ogni occasione valere di cadauno di essi, et in ogni tempo vedere et sapere la conditione delle polveri che si trovano, et ciò mi pare molto necessario, oltre la bellezza dell’ordine, perché potrebbe venire occasione di grosso consumo di polvere et che giungendosi a quella di sotto si trovasse in così mal stato, che non fosse atta all’esser adoperata.
Quando giunsi a quella carica si trovavano quasi tutti li magazeni in estrema rovina, come rappresentai con mie lettere alla Serenità Vostra, et per il mancamento di denaro che ho provato gran tempo, non potei così tosto ripararvi, come pure non ho potuto fare ne anco nel fine; tuttavia diversi ne sono stati fatti da me racconciare, in quanto comportava il bisogno urgente di salvar ne’ tempi piovosi le cose che vi erano dentro, ma ve ne sono alcuni che sono in tanto esterminio, che con concieri leggieri non si potranno più riparare, intorno quali tengo nota distinta del proto delle fabriche, con le robbe che vi anderanno per ristaurarli; et mi credano Vostre Eccellenze, che è gran peccato che fabriche di tanta spesa, così necessarie in fortezze si principali, vadino di male. Consigno anche detta nota, acciò così parendo a Vostra Serenità possa dargli ordini a gli illustrissimi magistrati(?) a quali spetta, per la missione di esse robbe.
Nelle parti di terra ferma circonvicine all’isola di Corfù si trovano alcuni luoghi et peschiere di publica ragione, onde stimo termine necessario che anco di questi ne dia quella relatione, che è propria della diligenza da me usata, per rendermi con la visione anche de medesimi luochi informato dei particolari degni della sua notitia.
Dalla parte di Tramontana dirimpeto il luoco di Casoppo vi è un luoco nominato Dema, nome greco, che significa legatura, ove è un ristretto che è tirrato per traverso et si distende fino all’altra parte verso Greco et confina con le acque delle peschiere di Butintro, formando una penisola, che si chiama per questo luoco Examilli, che è di circuito di sei miglia. Questo è patroneggiato dall’heredità del quondam signor Christoforo Condocali Cavalier, per esser stato già concesso alla detta(?) casa per benemeriti, scuodendo da quelli che ivi vanno a seminare, se ben son sudditi turcheschi, il decimo del prodotto, et così parimenti di quelli animali minuti, che l’inverno si riducono ivi nel pascolo per esser luogo vicino al mare, et però a tali animali opportuno, di ogni cento capi uno.
Questo luogo è luntano dalle peschiere di Butintrò, quanto è larga la fiumera che lo disgiunge. Verso Tramontana vi è il luoco dell’Armura. Di qui si passa per terra et vi si entra a guazzo nelli tezoni di Butintrò, ove anco vi è la torre che serve per sicurezza delle peschiere et tezoni sudetti.
Le sudette peschiere di Butrintò rendono alla Serenità Vostra ogni sei anni quarantacinque et cinquanta mille ducati, che s’affitta il datio di esse. Queste sono attorniate da grandissimi boschi pieni di bellissimi legnami di ogni sorte, li quali sono così facili alle condotte, che stimo che la Serenità Vostra in tutti i suoi stati et fuori non habbi commodità né maggior avantaggio di spesa di questi; onde io lauderai che li tagli di questi boschi fossero fatti con grandissima riserva et che non fosse lecito così facilmente ad ogn’uno l’andar colà a tagliare quando le pare, et stimo pregiudicio di pessime conseguenze il lasciar comprare et mercantare ad ogn’uno legnami di tutte le sorti con Turchi et Albanesi, li quali dal sito di questo negotio et utile vanno calando a basso et hanno ristretto tutte le cose di quella giurisdititone, che più non s’ha quella libertà in quei contorni che si havea prima, et ogni giorno si va diminuendo, di modo ch’io dubito che in pochi anni, se si continuerà il traffico, caleranno humori in questo luoco così fatti, che sarà difficile il rimediarli, essendo il sito per molte ragioni di grande consideratione.
Nel fatto delle dette peschiere di Butrintrò verso Greco si forma un’altra peschiere nominata Vrina(?), overo Hierovolia, la quale è un seno di mare, ma però participa delle acque di Butrintrò. Questa peschiera vien affittata al più offerente, all’hor quando s’incantano dalla camera le peschiere di Butrintrò.
Passando poi lungo il sito per sei miglia di spatio si trovano le acque della Bastia, nelle quali sono peschiere di ragion publica.
Qui appresso et quasi contigua vi è la Scala, ove capitano la maggior parte delle mercantie di Levante che di la passano sopra l’isola di Corfù.
Scorrendo di là pur lungo il sito del mare, doppo tre miglia di camino, sono le acque di Colluma, nome di un fiume che ivi sbocca, et qua si forma una peschiera, la quale pur è di giurisditione publica.
Seguendo oltre verso la parte delle Gomenizze vi è un seno di mare rinchiuso in forma di lago nominato Vatuzza. Peschiera pur di giurisditione publica, ma però anticamente concessa da Vostra Serenità alla casa de Lepegnioti, et in una parte di detta peschiera verso terra ferma vi è fabricata una torretta che la difende, essendo fabricata sopra una colina nelle gingive del lago verso terra ferma.
Ivi appresso verso Levante vi è un altro seno di mare, che forma una peschiera detta la Pupudia, et quasi ne suoi confini vi è un altro simil seno che forma un lago nominato Argirolimni.
Da queste acque perfino alla Parga non vi è giuridition di Domino particolare della Republica, se non il detto luogo della Parga, lunghi(?) dal quale da otto miglia vi sono le acque di Fanaro, nome di un fiume che ivi sbocca, le quali acque si affittano dalla camera di Corfù come giurisdition publica. In questo luoco vi è un gran bosco, commodo a tagliare legname da fabricar galee et navi, ma per esser sottoposto a pericoli d’incursioni dalla parte di terra, non vi si attende a taglair tanto quanto si fa in quelli di Butrintrò. Da questo luogo in oltre verso Levante perfino alla Prevesa non vi è luogo di ragion publica.
Ho voluto anco vedere il sudetto luoco della Parga, luntano da Corfù verso Levante circa cinquanta miglia. Questo è pieno di un numero di 1.200 habitanti, che attendono alla cultura di alcuni pochi terreni, da quali non cavano il vivere per tre mesi dell’anno, ma essendo la maggior parte marangoni et calafati, fabricano del continuo barche per servitio dell’isola di Corfù, Zante et Caffalonia, havendo la commodità dei legnami dal porto Fanari, di dove anco si cava buona quantità di letti d’artiglierie, nassi et altre sorte di legni che bisognano per le fortezze di Corfù. Con questi essercitii et col traffico che hanno con Turchi passano la vita assai bene et si possono chiamare genti più tosto commode che povere. Questo luoco è situato sopra d’un monticello cinto d’ogn’intorno di buone muraglie assai ben fiancheggiate, ma dalla parte del mare sono di maniera diruppate, che essendo anco facili le salite del monte, restano gli habitanti da questa parte sottoposti a qualche pericolo, onde vivono molto impauriti d’esser da corsari una volta sacheggiati, et quest’anno particolarmente sono stati in gran timore delle galere Barbaresche; onde certo è necessario assicurare questa parte debole, come loro fu promesso dall’illustrissimo signor General Bellegno, conforme gli aricordi del conte Polcenigo, che fu mandato a posta a vedere il bisogno.
Nell’ingresso che feci a quella carica trovai la camera non solo essausta di denari, ma debitrice alle militie, alla strattia di otto paghe, a bombardieri di nuove paghe, a salariati infiniti di un anno et più de suoi salarii e mercedi, a hebrei, che havevano prestato il suo cortesemente sotto i miei precessori per il sostentamento delle militie, et a molti altri per la summa di vinti tre mille quattrocento cinquanta nove ducati. Dove che può cadauna di Vostre Eccellenze illustrissime considerare l’afflittione e miseria in che mi trovavo, sentendomi ogni giorno voci di cruccio e di tormento, che mi passavano le viscere del cuore. Posi in questo tutto il mio animo, tutto il mio spirito e m’applicai in maniera, che con l’aiuto del Signor Dio e con la benigna gratia dell’Eccellenze Vostre, resi contento e sodisfatto ogn’uno, sendo rimasta la camera al mio partire senz’un quattrino di debito, con mille benedittioni alla Serenità Vostra, con un credito grande per la prontezza del pagamento ricevuto. Et con l’haver sodisfatto li Stradioti, ho anco loro trattenuto da mille ducati e più che andavano debitori di sovventioni havute per provedersi di cavalli.
Ma qui Serenissimo Prencipe convengo replicare che il danaro per sostentamento delle militie di quelle importantissime piazze è il nervo, la custodia e la difesa di esse, e senza questo non vale né applicatione, né integrità di publico rappresentante, né valore, né fedeltà de capitani, né coraggio o bravura de soldati, né fortezza di sito, né qualità di fortezza.
Onde è necessaria una ordinaria applicatione, per levar l’afflittione a chi la serve, il tedio alla Serenità Vostra di esser continuamente molestata et per non nutrire i concetti a chi ben spesso va facendo machinationi, che quando dette fortezze saranno proviste di questo e delle altre munitioni da vivere et da guerra, riuscirano sempre vane, et dirò a sua consolatione saranno invincibili et insuperabili; dove che tenendo essa camera d’entrata 17 in 18 mila ducati, et spendendosene da 76 mila all’anno, sarà proprio della sua prudenza un assignamento fermo, che opportunemente et infallibilmente capiti in essa, dovendo sempre, quando occorresse commetter la fabrica de biscotti o altra cosa estraordinaria, mandar altro denaro particolare, per non toccar la sopradetta assignatione; et esprimo in questa maniera il mio riverente senso, perché ho provato le miserie, ho conosciuto il bisogno, ho veduto il pericolo e palpabilmente ho toccato con mano, che se non fossi stata imprestata alla mia persona in particolare buona summa di denaro, andavo a manifesto rischio di vedermi qualche sollevatione (che più tosto haverei voluto perder mille vite) in tempo ch’ero senza denari e creditrice la militia, con la quale non si può portar il tempo innanti, non havendo altro da sostentarsi e mantenersi in vita, che la semplice paga, la quale quando le manca, per necessità conviene darsi alla disperatione, causa et origine di tutti i mali. Che pure è vero che chiamati da me gli hebrei et pregatili ad imprestarmi denari, si iscusorono con dire di andar creditori dalla camera e benché loro offerissi non solo la piezaria di buoni mercanti, ma le poche sostanze che mi trovavo havere ancora, non fu mai possibile poterli persuadere a darmi un quattrino, che se lo stesso havessero fatto alcuni gentil huomini e mercanti corfioti, pensi la Serenità Vostra et cadauna dell’Eccellenze Vostre con la sua singolar prudenza, a che rischio, a che pericolo io mi sarei trovato. Alli quali corfioti, subito venuto il denaro publico, per inanimirli in altre occasioni, diedi un disnare con li ministri di camera ancora, che doppo il mangiare alla mia presenza contarono ad ogn’uno il suo della stessa moneta mandata da Vostra Serenità, onde restarono appieno contenti, sodisfatti et allegri, né havendo essi voluto haver da far con altri che con me, tengo ricevere di cadauno, e quanto m’imprestarono, tanto appunto contar in camera, come appar dalle partite girate, et così ho sempre pagato ogn’uno, della medesima valuta che ha mandato la Serenità Vostra, con beneficio del publico di migliara di ducati, havendo sempre fatto dare l’accrescimento in Signoria, come si vede nei libri di camera et è noto a cadauno.
Vostra Serenità tiene in quella camera diversi debitori corfioti, qual tenendo per il più strettezza di sangue con li ministri di essa vengono occultati, senza che li proveditori possano haverne notitia. Per il che si mandano fuori generali, come fu fatto ultimamente dell’illustrissimo signor General Ponte, con ragionati, che col riveder tutti i libri chiaramente possino riconoscer i debiti et far l’essecutioni, conforme l’ordinario; delle quali fatte sotto il mio reggimento, mi rimetto all’illustrissimo signor generale. Et perché gli proveditori ordinari convengono riportarsi a quello vien detto da essi ministri, li quali anche havendo havuto per avanti qualche datio ad affitto, ben spesso restano debitori, stimarei per il mio debol senso fosse molto proprio et di servitio publico, che in detta camera non vi fossero ministri corfioti, poiché in essa vengono maneggiati non solo negotii di denaro, ma molti altri ancora che doverebbono passar con molta secretezza, et tanto più pare a me si doverebbe far questo, quanto che spesse volte cadono sospetti che corfioti tengano intelligenze con spagnoli, le quali se bene non si verificano, devono però far haver molto fisso il pensiero a levar tutto quello che possi servirle di formento.
Capitò pochi giorni avanti il fornir della mia carica messer Manoli Mussuro, ispedito da Vostra Serenità a riveder i conti della camera di Candia. Questo come huomo intelligentissimo, fedele e divoto della Repubblica, se si havesse trattenuto qualche tempo ivi haverebbe potuto, col far un sincero estratto de debitori, che da me le fu ordinato, prestare in questo particolare fruttuoso servitio, ma sendosele rappresentata occasione di passarsene avanti, la sua singolar prontezza nell’incontrar l’opera convenne ceder alla necessità di tralasciarla col proseguir il suo viaggio.
Oltre la mutatione di quei ministri riusciria anche per mio parere cosa molto giovevole, che fosse in quella città condotto un medico, che non fosse corfioto, essendo quello che si trova al presente uno de’ principali gentil huomini, con gran adherenze e seguito, il quale tenendo casa in fortezza vecchia, che se le dà da Vostra Serenità per commodità di visitar la soldatesca, può se fosse corrotto o guadagnato, haver il modo di far mille mali, e col medicare la soldatesca e capitani obligarseli. Considerationi che portano con se gran gelosia di così importanti fortezze, oltra che la vita de suoi rappresentanti viene a essere nel suo arbitrio, li quali negandoli le cose ingiuste, che ben spesso in quel paese si sogliono dimandare, acquistano mala volontà presso di lui et corrono rischio nelle malatie di essere mal trattati; et io ho sentitio mille indolentie de poveri soldati per la poca cura che ricevevano. Sarà parte della prudenza di Vostre Eccellenze l’haverne sopra di ciò consideratione, perché la natura de corfioti è tale, che se si fanno loro mille gratie, una che se gli neghi, le fa scordare l’altre ricevute et nutrire un cattivo animo verso li publici rappresentanti.
Gli corfioti fra di essi sono unitissimi et se bene nascono delle diferenze tra di loro, se occorre che alcuno resti sottoposto alla censura della giustitia, si rapacificano subito et celano sempre la verità. Procurano quando viene un publico rappresentante d’insinuarsi immediate nella sua gratia con un profluvio di presenti, li quali poi se vengono accettati, si persuadono di voler da esso a lor modo et parlano con tanta libertà, che è cosa di stupore. Sono di natura astuti, sagaci, osservano tutte le attion de publici rappresentanti, benché minima, perché quando che per termine di buon governo gli occorre far qualche operatione, che pare a loro pregiudichi alla giuridittione che pretendono havere, parlando sempre in tutti i luoghi esser quella sua città et sue fortezze, immediate le fanno capitar all’orecchie protesti di voler chiamar consiglio et far ambasciatori, et gli rinfacciano o doni ricevuti o interesse di mercantie, o vanità e leggierezze che havessero commesse, chiamando poi il loro consiglio et leggendoli capitoli sopra la faccia intimoriscono quelli rappresentanti, che per li sudetti rispetti fossero stati dalla loro astutia et sagacità legati, et ottengono il più delle volte il loro intento. Così appunto è successo ultimamente, che havendo io per servitio publico et per cuetar quei scandali e quei rumori, che sicuramente sariano successi nel ritorno delle galeazze, per il mal animo che tenevano alle genti di esse, mentre presentendo che venivano havevano fatto praparationi d’armi nelle botteghe, erretto, col consiglio e parere dell’illustrissimo signor Bailo, un corpo di guardia alla Porta Reale della città et serrata un’altra che si chiama la Rimonda, per non haver tanta soldatesca da supplir anche a questa, la quale fuor di mano non è frequentata da gentil huomini e serve a chiarissimi altri; restarono in maniera mortificati, che andarono dal medesimo signor Bailo a farne indolenza, non perché stimassero cosa mal fatta, ma perché se le veniva a levare li soccorsi et aiuti che potevano havere dalli borghi delle Castrate, Mandruchio e San Rocco, come hebbero pochi giorni avanti nella gran sollevatione che fecero, non solo contro le genti dell’armata et capi di essa, ma di quelle importantissime fortezze ancora, bresagliandole con infinità di moschettate. Il qual signor Bailo gli acquietò con prometter loro, che subito uscito io di Proveditore haverebbe fatto aprire la Porta Rimonda, come seguì la sera appunto che fui liberato del peso di quella laboriosissima carica.
Questa cosa rese meraviglia e stupore ad ogn’uno et riso ai medesimi corfioti, perché il corpo di guardia instituito riusciva un mostro, potendo loro havere lo stesso soccorso dalla sudetta porta. Da che si può comprendere l’auttorità che tengono. Dio Eterno, s’instituisce questo, si consiglia e poi senza far alcun moto al successore si apre la porta e si muove il riso ai sudditi? A me niuno ardì di parlar di ciò, anzi ogn’uno lodava l’operato et conosceva i frutti del mio desinteressatissimo servitio, perché col far severissimo proclama, che alcuno di galera non potesse uscir della città, acciò non danneggiasse le loro possessioni, non poteva alcun prender minimo pretesto di biasimarlo, havendo negato al medesimo illustrissimo signor Proveditore dell’armata l’uscita ad alcuni galeoti per suo servitio et prohibito sotto pena della forca, che non fosse molestato alcuno né levata pure una paglia, come restò essiguito puntualmente nei giorni che steti nella carica. Tuttavia han ricevuto l’intento et se io non havessi trattato con loro come si conveniva al mio debito et all’obligo di degno rappresentante la Serenità Vostra, con l’usar sempre termini humani e cortesi, honorandoli, ascoltandoli sempre prontamente, rifiutando sempre i loro presenti, benché minimi, e non ingerendomi con loro, né con altri in qual si sia minimo negotio, né anco con l’imaginatione, al sicuro haverebbero fatto ambasciatori contro di me, non solo questa volta, ma anco l’altra, che convenni per la loro arditissima e temeraria sollevatione farle dar delle canonate. Della qual sollevatione se ne andavano altieri, fastosi e trionfanti, vedendosi impuniti, e sendo rimaste accettate le loro scritture presentate da persone particolari, se ben sottoscritte dal solo signor Bailo, castigate le genti dell’armata et ridotte sopra una solo assertione di loro stessi senza le sue difese in così stretto anglo, che se bene tengono il nome di genti di libertà, restano propriamente schiave; Signori Eccellentissimi si dia ordine che sia formato processo, che siano castigati i rei, così dell’armata come della città, et in particolare i caporioni et seduttori, perché nel streppito di quel giorno eccitavano le genti, che di detti borghi se ne venivano dicendo: andiamo in aiuto e difesa dei nostri signori, con il gettarle anco i denari dalle finestre. Et queste son cose tutte vere, che con l’auttorità ordinaria non si potranno mai liquidare, havendo come ho detto di sopra una massima di stato fermissima di difendersi l’un con l’altro et di oscurar sempre alla giustitia la verità. Sono al presente fatti commodi et danarosi, et li più principali in luoco di attendere alle coltivationi stanno del continuo otiosi, et hor per una hor per l’altra vanno facendo conclavi, che sono radunanze de privati, li quali concludendo qualche deliberatione vanno poi persuadendo gli altri, et così la portano al consiglio che per ordinario l’apprende. Et se bene non havendo scoperto in alcuno di essi felonia, voglio credere che sempre quando di riducono trattino cose da proponer al detto consiglio, tuttavia io glieli leverei, perché non potendosi ben spesso misurare gli animi degli huomini et conoscer la loro natura, può occorrere, non dico al presente, ma col tempo, che nascano in alcuno di quei pensieri, che più facilmente si potrebbono metter in essecutione con la commodità che tengono di essi conclavi, tanto più che vengono allevati i putti con quei concetti, che ho detto di sopra, che la città e le fortezze siano sue.
Al mio tempo risiedeva in quella città per console di Spagna Giovan Leprevati, che già molti anni si tratteneva ivi et partì sotto li 6 settembre del 1623. Tiene parentato con alcuni gentil huomini corfioti, havendo havuto moglie del paese. È huomo sagacissimo, mal affetto a Vostra Serenità, et io l’ho provato in particolare nell’occasione della consegna del vassello Almirante, nel concier del quale, benché havessi fatto tutte le cose giuste e ragionevoli, eccitava nondimeno li agenti venuti a pigliarlo a far protesti e mille dimande illecite, che mi fecero sudare, ma finalmente superai ogni difficoltà con haver applicato tutto il spirito all’avantaggio publico, et glielo consignai con quelle cautioni che ben scrissi a Vostra Serenità; et anco lo conobbi pieno di mal animo nell’occasione del primo vassello di formento, che fu tolto da me nella penuria che si trovava in tutta l’isola, poiché procurò che il Vice Re di Napoli facesse indolenza et volesse ad ogni maniera il grano, benché il signor Duca della Rapola interessato, se ne contentasse, havendo mandato persona esperta, la quale per suo nome mi portò un busto(?forse orso/orzo), che non fu da me accettato. Ho fatto sempre osservare i suoi andamenti, et se bene pratticava liberamente con quei gentil huomin, non ho potuto però mai penetrare che havesse intelligenza o trattati contro le fortezze. Doppo la sua partenza non ritornò più et riuscirebbe molto utile che del tutto fosse levato, perché tenendo amicitia e parentella con quelli della città, non è meraviglia che nei discorsi cavi il stato e bisogno di quelle piazze; onde anche questo rispetto deve far concorrere l’Eccellenze Vostre a levar i greci dal ministerio della camera, et le dirò anco una gentilezza, che mentre si trattava dal mio secretario di far fare dal medesimo console un attestatione della consegna del detto vassello, non assentiva di dire la Serenissima Signoria di Venetia et cetera, ma semplicemente voleva dire la Serenissima Signoria di Venetia.
A questo proposito non tralascierò di dire a Vostra Serenità, che sendovi stati da tre mille stara di orzo sopra il detto vassello del signor Duca della Raspola, lo feci dispensare a gli isolani in tempo che se ne morivano dalla fame, con obligo di restituire tanto formento, o pure pagarlo allo stesso pretio che fosse stato pagato di qui, et perché gli isolani volsero dare denari, scrissi che mi fosse mandato il costo, ne mai ho havuto risposta alcuna; per il che risolsi, per non lasciarlo andar in oblivione, di far una terminatione che lo pagassero in ragion di lire 14 il stato, che se fosse stato pagato di qui più o meno si sarebbono aggiustati. Dove che sendo stati riscossi da cinque mille ducati in circa, che è quasi tutto il valsente di detto orzo in ragion delle sudette lire quattordeci, si compiacerà Vostra Serenità dar conto all’illustrissimo signor Caotorta di quanto è stato pagato di qui, perché possa far il saldo con gli isolani et acconciar la scrittura.
Capitò anco nel verno un altro vassello pieno di formenti, nominato Santo Antonio da Padova, mentre regnavano tempi rabbiosi e crudeli, in congiuntura che non havevo né denari, né formenti, né biscotti, con tutta l’armata sopra le spalle, la quale doppo esser stata mantenuta da me con sei mille ducati, che trovai ad imprestito et furono poi pagati di qui da Vostra Serenità, era in stato che la sera non sapeva se haverebbe havuto pane per la mattina, con manifesto et evidente pericolo di qualche sollevatione non solo in essa, ma nelle fortezze ancora. Onde convenni prenderlo et lo feci tutto construire in biscotti, alla fabricatione de quali, Dio, l’armata et ogn’uno sa con quanta applicatione ho atteso, havendo insin fatto sempre assistere un capitano di fede alli molini et accompagnar sempre li formenti e le farine da soldati, acciò non fosse commessa fraude et inganno. L’arrivo di questo vassello non solo sollevò me, diede l’anima et il spirito ad ogn’uni, ma cagionò anco che come per avanti li Turchi sostenetavano li formenti, così doppo ne mandavano giornalmente molte barche, dove io procurai l’investita con gran avantaggio, poiché il mercato delle decime fu concluso in lire 26 il mozzo et io l’ho pagato due, tre et quattro lire meno et in ultima l’havevo ridotto a lire 19 il mozo. Né posso far di meno di dire, con mio sommo ramarico, come mentre l’havevo ridotto al pretio sudetto di lire 19 et ne capitava grandissima quantità et il fontico era pieno in maniera, che fu contra gli ordini della Serenità Vostra dispensato con mandati penali a gli isolani con loro notabilissimo danno, dove non si sentiva altro che lamentationi e gridi, cresce il pretio del formento nell’abondanza et nella fluenza di esso, perché veniva permesso a fornai che ne comprassero, li quali lo pagavano a lire 21 sin 23 il mozo, et ne ricevevano utile grandissimo, spazzandolo poi al corso del calmiero, ch’era vinti otto lire e meza il mozo, et benché facessi mille considerationi all’illustrissimo signor Bailo, applaudendo sempre i miei concetti, lasciò riuscire gli effetti contrari, perché li fornari, ch’erano in obligo di levar quello del fontico et havevano la prohibitione da proclami di non comprare, furono lasciati comprare, né so perché con tanto pregiudicio publico et privato, perché se i fornari non havessero comprato, non è dubbio che da quei della città ne sarebbe stata levata summa insensibile, dove necessità sarebbe venuto a minor prezzo delle lire 19 ancora. Onde havendo offerto partito al detto signor Bailo, che lui facesse gli mercati et dasse la metà a me per la fabrica de biscotti, o lasciasse a me il fastidio con obligo di dar la metà a lui, né havendolo voluto accettare, ma lasciato che i fornari comprino a concorrenza con augumento del prezzo, tralasciai d’investir altro denaro per non pagarlo in tanta abondanza più di quello l’havevano pagato.
In tutto il tempo del mio reggimento ho fatto fabricar un million e cinquecento e tre migliara de biscotti, compresi in questo li formenti delli due vasselli sopradetti, havendo investito in formenti trenta mille ducati et havendo fatto fare un calcolo, uniti tutti i prezzi insieme, che il primo anno furono molto alti nella penuria e strettezza del raccolto, le spese et ogni altra cosa viene a costare vinti nove ducati lire 2 soldi 17 et mezo il migliaro. Ma si può credere che per il più essendo abondanza de grani in quelle parti, Vostra Serenità sia per haverlo anco a minor prezzo. Ho portato meco la qualità de biscotti, che veduti et considerato il detto pretio vederanno se le torna conto farlo fabricare di là, ma io credo di si, quando sarà mandato il denaro in tempo che si possi far l’investite opportune, venendosi anche ad avanzare le spese de nolli, li rischi, li pericoli et quello che spesse volte si bagna nelle fortune de vasselli, come è successo di quaranta due migliara e mezo nel tempo del mio reggimento.
Ho procurato di conservar buona intelligenza con Turchi confinanti, con quali non ho mancato di passare quei ufficii di buona vicinanza et affetto ch’erano proprii, per renderli ben disposti nei negotii che alla giornata occorrono di trattar con essi, havendoli regalati et resi sodisfatti in quello che ho conosciuto complire al servitio della Serenità Vostra; stimando ciò necessario, perché non producendo l’isola formento per più di quattro mesi in circa, bisogna tenerseli ben affetti, perché diano le decime in tempo opportuno et con avantaggio, et lascino transitar le mercantie et biave per il sostentamento dell’isola et dell’armata ancora. Et a quello proposito raccorderò riverentemente alla Serenità Vostra che sarebbe bene tener un dragomano, perché ben spesso occorre non solo di concluder i mercati delle decime, ma molti negotii gravi et importanti, ne’ quali non si può valere d’altri che dei medesimi corfioti, che essendo in tutte le cose interessatissimi con Turchi, con quali tengono grandissime amicitie, torna loro conto tener li mercati alti, perché comprando essi il formento a minor prezzo, lo possono includer in dette decime et molte volte queli che vanno a riceverle possono commetter delle fraudi, col metter della vena et levar il formento; et di ciò ne ho preso sospetto, perché i medesimi Turchi scrivono et chiedono specialmente il tale, si crede per li presenti che ricevono.
Che così col dragomano si tratterebbono gli accordi secreti et si potrebbe tener sempre avantaggiata Vostra Serenità, con sicurezza di non esser ingannata né in essi, né in altre cose che occorrono.
Si da in virtù di privilegio della comunità il sale a vinti ducati il migliaro al venditore eletto da essa. Ho procurato di penetrare quanti migliara ne son stati concessi all’anno, né ho potuto saperlo, dove dubito che vi sia qualche fraude, onde sarà bene il prescriverle una quantità di due o tre migliara all’anno, perché, Dio guardi, che vi fosse un rappresentante interessaro, potrebbe accordarsi col venditore et darne via gran quantità al sudetto prezzo di ducati vinti, con notabilissimo disservitio della Serenità Vostra.
Gli formenti che si vanno di tempo in tempo comprando per convertire in biscotti, si tengono sotto chiavi dal sopramassaro solo, onde stimarei bene che si facessero far due chiavi, da tenersi una dal proveditore et capitano et l’altra del detto sopramassaro.
Diedi conto all’Eccellenze Vostre che la stagiera(?) che già trent’anni s’adopera in quelle fortezze, tenendo due bande, fu fatta scandagliare da me per vedere se l’una e l’altra riusciva conforme di peso, et havendo ritrovato certo svario, havevo fatto una terminatione, che li scandagli de formenti per ridure in biscotti fossero fatti con la stessa parte con la quale si consignavano li formenti al biscottiero, sin tanto che Vostra Serenità mandasse un’altra stagiera, o qualche persona perita che potesse conoscere il svario, per far rifare se havesse havuto danno il publico, come più chiaramente viene espresso nelle mie lettere de 23 aprile passato, né sendo stata fatta alcuna cosa in questo negotio, convengo raccordarlo di nuovo riverentemente, acciò si mandi di là una stagiera buona et si facci venir quella di qui, perché il publico et il particolare non ricevi pregiuditio.
Mi fu commesso, con lettere della Serenità Vostra, che dovessi ritrovar luoco opportuno per fabricar volti per galee sottili. Scrissi in questo proposito quanto si conveniva et mandai il modello di essi con il calcolo della spesa. Voglio credere che il tutto sarà stato ricevuto dall’Eccellenze Vostre.
In questa mia carica ho procurato in tutte le cose il servitio et l’avantaggio della Serenità Vostra et del particolar ancora, abbandonando sempre ogni mio privato interesse. Il che può comprendere dall’haver il primo giorno che sono entrato a quel reggimento levato motu proprio senza alcuna indolenza una regalia de sali, che m’importava nel corso di esso da mille cinquecento ducati et più, et accresciuto a ottantasette ducati il sale, che per avanti si vendeva a cinquanta ducati il migliaro, utile di non poca consideratione. Nella maniera che ho trattato il primo giorno, ho continuato sino al fine et ho essiguito puntualmente tutte le sue commissioni et i suoi cenni, come ho fatto anco in particolar nel non haver voluto ricever da quella communità alcuna cosa, nonostante che con parte del suo consiglio havesse preso di erregermi una statua, presentarmi una fattura di argento et oro di valuta di qualche centinaro di ducati, farmi recitar una oratione da un cittadino della medesima comunità et eleggermi due ambasciatori che mi dovessero accompagnare a piedi di Vostra Serenità, come fu anco essequito con l’elettione di due de’ più principali, a uno de’ quali anco fu dato carico di recitarmi l’oratione.
Io mi sono vivissimamente opposto alle sue parti, con tutto ciò furono prese con tutto il consiglio et mentre mi trovavo per servitio publico fuori nell’isola, mi fu erretta la statua, onde doppo havere eccitato li sindici a levarla via, in conformità de gli ordini di Vostra Serenità, senz’alcun frutto, convenni ricorrere al reggimento dal quale unitamente meco fu fatto un mandato in pena di ducati cinquecento alli predetti sindici, che coll’haver risposto con certa scrittura che mi mosse al riso, essequirono finalmente la publica et mia risoluta intentione.
Nella vigilanza et accuratezza delle fortezze non ho tralasciata benché minima diligenza, ho ben spesso cambiato le compagnie da fortezza a fortezza, mutato hora un giorno hora l’altro le guardie con i terzi di esse, in maniera che niun sapeva il giorno particolare che doveva entrare in guardia; chiuse sempre le porte all’Ave Maria; fatto osservare diligentemente ogn’uno ch’entrava et usciva et usato, in particolare nelle solennità delle processioni, quella più isquisita avvertezza che è stata possibile. Io devo certo lodarmi di quella militia, la quale oltre l’esser stata con stupore d’ogn’uno in obedienza tale che a pochissimi son stato astretto di dar castigo, è certo molto ben disciplinata, valorosa et atta a prestar in ogni luogo fruttuosissimo servitio. Con gli illustrissimi signori Proveditori all’armata et Capi da mar ho sempre passato buonissima intelligenza et non ho mancato di sumministrarle di tempo in tempo, quei avisi che ho stimato necessari per publico servitio, come feci ultimamente con ispeditione espressa de successi delle galeote Barbaresche, che capitata al sudetto illustrissimo Vice Proveditore, fu cagione ch’egli, con tanto valore insieme con l’illustrissimo Capitan delle galeazze, liberando il luoco del Theachi dalle loro mani, fugasse le sudette geleote con la presa di quattro fuste di Santa Maura et con la mortalità di alcuni leventi(?). Diedi in quest’occasione, per il dubbio che potessero far sbarchi, tutti gli ordini necessarii. Mandai fuori il capitano Zorzi Barbati Vice governatore della Strattia con suoi soldati a cavallo, il quale si portò bravamente e coraggiosamente et sodisfece pienamente al suo debito. Feci ridurre tutte le ordinanaze ne’ luochi più pericolosi, dove si conferirono con molta prontezza, eccetto quelle dei borghi della città, che si dimostrarono in questo servitio altrettanto disobedienti e codarde, quanto pronte e coraggiose nella sollevatione. In somma sa Dio che non mi son risparmiato in qual si sia picciola cosa, così per la sicurezza e custodia delle fortezze et isola, come per l’avantaggio e beneficio publico in tutti i negoti importanti che mi sono passati per le mani, havendo superato, con la diligenza e pensiero continuo alli emergenti, la debolezza mia, per ben servire la Serenità Vostra, come farò sempre in tutte le occasioni, sendo io per esser prontissimo a terminare i miei giorni e spender l’ultima goccia del mio sangue per l’essaltatione della mia carissima et amatissima patria.
Non debbo Serenissimo Prencipe tralasciare di nominar le persone delli clarissimi signori Capitani della Nova cittadella, che nel mio tempo hanno essercitato quella carica.
Il clarissimo signor Giovan Battista Paruta di buona memoria fu gentil huomo di ottima mente, honoratissimo, che degnamente rappresentava la Serenità Vostra, et passò a miglior vita con disgusto universale di tutta la città. In suo luoco posi il clarissimo signor Francesco da Riva, ch’era Consigliere nella cittadella, che veramente così nell’uno come nell’altro carico s’è essercitato molto bene et honorevolmente con sua gran lode e commendatione, sin che arrivò il clarissimo signor Aurelio Contarini. Il quale come complisce compitamente alla sua carica, così essendo, oltre l’intelligenza che tiene nella materia delle fortificationi, pieno di singolar ardore et di volontà pari alla sua molta virtù, potrà in terra et in mare, secondo le occasioni, prestare a Vostra Serenità degno et fruttuoso servitio.
Al clarissimo signor Giovan Francesco Grimani Consigliere, gentil huomo di gran spirito, di buona volontà, discretto, prudente et da me stimato quanto di conviene al suo merito, successe il clarissimo signor Alvise da Mosto pochi giorni avanti il mio partire et son certo che con la sua prudenza non degenererà punto dalla sua dignissima et honoratissima fraterna.
Del clarissimo signor Aurelio Semitecolo non posso dir quanto basti, sendo gentil huomo che adempisce tutti i numeri di giusto, honorevole et prudente rappresentante, onde merita certo di esser honorato et favorito da ogn’uno per la sua signolar integrità et essemplar giustitia.
Governatore di quelle militie è stato il signor conte Giovan Battista Polcenico, isperimentato da me per soggetto dignissimo et divotissimo in tutte le occasioni che si sono rappresentate di publico servitio, et oltre la propria virtù nelle cose militari et isquisita intelligenza nelle materie di fortificatione, le ho scoperto chiaramente un gran San Marco nel petto, che lo rende meritevole d’esser honorato e stimato per quel cavalier degno ch’egli è.
Nella fortezza Nova vi è il signor Girolamo Lavagnolo gentil huomo Veronese di una buona volontà.
Mi ha servito di secretario messer Pietro Perazzo, giovine di ottimi costumi, di singolar attitudine et d’incorrotte operationi. Da questo può la Serenità Vostra assicurarsi di ricevere in ogni occasione che si valerà di lui ogni pronto e buon servitio, non degenerando egli punto da suoi honorevoli progenitori. Io per la compita sodisfattione che ho ricevuto in tutte le cose in questa carica, mi trovo in obligo di attestare il suo merito con la prontezza, diligenza e divotione del suo riverentissimo servitio, et di supplicar con ogni efficacia cadauna di Vostre Eccellenze illustrissime a concorrer gratiosamente al sollievo della sua stretta fortuna coll’abbracciar la sua humilissima dimanda, come del continuo viene fatto dalla sua incomparabile benignità verso chi bene e prontamente serve la Serenità Vostra.
Mi ha servito per cancelliere messer Marc Antonio Claudis, del quale, se bene non è solito qui ragionarne, devo dire di haver ricevuto da lui una compita sodisfattione, poiché havendogli levate alcune regalie che importavano qualche centinaio di ducati, come già diedi conto alla Serenità Vostra, s’acquietò prontamente et restò consolatissimo e contentissimo, havendosi nel rimentente dimostrato fedele et desinteressato ministro.