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1626 Paolo Caotorta

Relazione

Relazione di Paolo Caotorta ritornato di Provveditore e capitano di Corfù

1626

 

Serenissimo Prencipe, illustrissimi et eccellentissimo Signori

Raccolgo succintamente quelle cose che ho stimate più essentiali e più urgenti, nel corso di mesi vintisei che ho servito Vostra Serenità nella carica di Proveditore e capitano di Corfù, e porto alla notitia di lei quei soli punti che meritano riflesso particolare e sufficiente provisione, tralasciando ogni generalità et infinte cose utili, già che si frequentemente, e da eccellentissimi generali e da illustrissimi miei precessori, sono state e vengono rappresentate.

Io non posso dire né raccordare cosa che più utile non l’habbi raccordata e scritta alle Eccellenze Vostre, poich’essendo stato copiosissimo in lettere, senza fraporre ontia di tempo scoperto il bisogno, tutto tutto ho portato alla publica notitia. Onde più tosto in via di memoriale che di relazione, altro non mi resta che raccoglier solamente passi delle mie lettere.

Il sito dell’isola, della città, delle fortezze, la loro forma, le misure, l’importanza, la quantità delle anime d’ogni sesso, delli animali d’ogni specie, del paese coltivato e frutifero,  costumi, l’indole, l’attitudine e molte altre cose simili sono hormai notorie e decantate, né replicarle et morarvi(?) sopra può servire, che a consumo di tempo et ad esclusione de più grave maneggio.

L’isola è ottimamente guardata e sarà ben difesa in ogni emergente che occorresse, ho voluto visitarla e vederla occulatamente, penetrare in ogni angulo, in ogni repostiglio, visitare tutte le guardie, rimovere, trasportare et accrescere i posti, rinovare ordini et regole, armar la mano a molti huomini utili, che passavano per archibusieri senza archibuso, et in somma, con applicatione incessante et con immensa fatica, senza alcuna indulgenza alla mia salute, ho voluto emolare la memoria gloriosa del già illustrissimo signor Agostino da Canale. Hora vi sono vintisette corpi di guardia, che fianchegiano l’isola et si dano prospetto l’un l’altro, armati di notte con otto, dieci e fin vinti huomini per uno, secondo il sito e bisogno, passano le dovute intelligenze per li avisi con fuochi la notte, il giorno con fumi, et questi con ottima intelligenza corrispondono con lo scoglio di Paxo et Antipaxo per Levante, di Fano e Merlere per Ostro, che sono propriamente le sentinelle et l’antimurale di Corfù. Due cose hano servito a svegliare quei contadini rustici, codardi vilissimi, innobedienti per natura, il pericolo annuo delle barbaresche, il rigore che ho usato seco della giustitia, senza il quale nulla può l’amore delle mogli e delli figli. Sono le guardie rondate la notte talhora dal capitano dell’isola e dal governatore della Strattia, spesso dai capitani d’essa e sempre dai soldati a cavallo con buoni ordini in giro et è la Strattia molto pronta al servitio e molto fedele, non sono soldati così ben a cavallo come doveriano, ma rispetto al paese e per il serviito che devono, né anco tengono bisogno di gran cavalli. Sono poverissimi e li mantengono con difficoltà, né bisogna abbandonarli dall’occhio. Strettissimo è il numero, potendo far poco o nulla 52 cavalli in tutto, nel ricinto di si gran isola, dove sono tanti passi pericolosi e tanti sbarchi. Hora che li sono destinati archibugi potranno forse prestar miglior servitio et io godo in estremo di questa deliberatione, havendola raccordata e proposta alle Eccellenze Vostre in mie lettere de di 19 settembre 1624.

Allo scoglio di Paxo ho sumministrato armi et munitioni in quantità conveniente, commessami espressamente da Vostra Serenità, e molto prima l’havevo fatto con gran parte da me stesso, siché ridotti quei habitanti da sé stessi al numero di 500 forsi persone atti all’arme, sono tutti ben proveduti et atti ad impedire ogni sbarco. Così haverebbero potuto fare 3 anni sono che furono sacchegiati miserabilmente dai barbari con giattura deploranda del loro sangue, se si fossero trovati nello scoglio o se non havessero stimati i corsari per galee Ponentine, che ben spesso sogliono capitar ivi per tuor lingua.

Anco li scogli di Fano e Merlere hebbero sufficienti provisioni d’arme e munitioni con farne il pagamento, che vagliano a difendersi ancor che non sottoposti a tanto pericolo.

La fortezza della Parga, che sola spiega il confalone di Vostra Serenità nella terra ferma e sta nelle ongie, anzi nel cuore del Turco, visitai e consolai e certo ne tenevano quei fedelissimi gran bisogno.

Erano afflitti, disarmati et in sé stessi abbandonati affatto, le muraglie deguastate, le armi iruginite e rotte, le munitioni consumate et ogni cosa in ruvina, quando con ordine di Vostra Serenità porsi loro ogni soccorso d’armi, de munitioni et di cuore, con restaurationi delle muraglie in conveniente forma, si che preso vigore e spirito vivono prontissimi alla difesa; e certo stano in continuo pericolo, poiché essendo essi quasi tutti marangoni et calafai, i barbari, che tengono gran bisogno di queste arti, verranno facilmente un giorno a provedersene; sono anche quei miserabili constituiti in questa sciagura e calamità, che non hanno altra acqua che una fiumera poco discosta in confine turchesco, sopra la quale sono i molini che macinano il loro pane, onde troppo facile sarebbe al Turco combattere quel posto coll’assedio.

Al castel Sant Angelo et alla valle di San Giorgio mi sono trasferito più di una volta, ai bisogni di quello è stato in qualche parte soccorso, benché non possano esser né molti né gravi, essendo il posto di picciol rilevo, e di questa posso dire che hormai sia ridotta quasi tutta a coltura, aiutata dalla sicità degli anni correnti, si che la natura ha operato in essa quello che non puote l’arte e tanto tempo e denaro speso. Vi è anco la valle di Goriscia, maggiore di questa, che si va portando pian piano a coltura, e se l’una e l’altra di queste fossero perfettamente ridotte, ne il diletto de paesani si diffondesse tanto oltre di videgare li campi, anzi stassero nella limitatione assegnata, forse cavarebbe Corfù grano sufficiente per tutto l’anno, senza viver in continuo bisogno della Turchia.

Sente quell’isola grandemente il colpo nell’armare della galea che si è fatto questi anni passati con l’estrattione de altri galeotti per rinforzar l’armata, non essendo si copioso il numero de genti da remo che porti il peso senza gran piaga, né si può accrescere, non dovendosi diminuire il numero de 1.000 archibugieri né tralasciar la scielta de 200 salinari in circa, gente tutta della più scielta. Io nell’armare la detta galea, che m’è convenuto far due volte, ho incontrato facilità inesplicabile contraria a drittura a quanto successe gli anni passati et vaglia a dir il vero, il mandare la sorte giusta et lasciar cadere rigorosamente la sferza sopra gli innobedienti, mi ha spianato sopramodo la strada. Devo però raccordar riverentemente, che quando gran necessità non astringa, sarà bene fraporre qualche pausa, per non affliger più oltre quei miserabili, ai quali seguitando ad armar ogn’anno, toccarebbe ogni tre anni quasi ai medesimi ritornar in galea.

Gran inconveniente ho trovato in questo proposito, che ciede a notabile pregiudicio di Vostra Serenità e di quei fedelissimi isolani, et è che il numero grande de papa’ o preti che si trovano in quei casali, il quale non solo supera a molte doppie il numero et il bisogno delle chiese, ma eccede ogni proportione e partorisce mille vergognosi et odiosi scandali, ma quello che più tocca sarà che questi non prendono la veste et il capello che per sottraherse dalle publiche fattioni, poiché godendo mogli e figli, con l’uso d’ogni essercitio manuale e mecanico, anco del lavorar la terra, comprano un’essentione con poco prezzo et con forme indirette, cadendo le fattioni ripartite sopra numero minore, con tanto danno degli altri negoti, che come merita riflesso, così patisce facilissima la provisione, nella quale non entro al presente per non riuscire tedioso e noioso.

Ho instituito il corpo di guardia alla terza porta della città, detta la Rimonda, come diedi parte a Vostre Eccellenze e ne ricevei il placet et comendatione insieme. Et perché situata la porta in un fianco della muraglia assai basso et angusto, non era capace d’alcun numero di militia, ho dovuto ristaurarlo e ridurlo a comoda et honorata forma, che serve a ornamento, a sicurezza et a commodi della città, delle fortezze e delli habitanti. Da questo corpo di guardia si sono cavate a quest’hora molti sensibili frutti, sono i cittadini rinchiusi et esclusa ogni altra gente, e di notte e di giorno, come pure si vide quel di che s’attrovarono le cernide con le genti d’armata, che dall’esser guardata quella porta restorno divertiti grandissimi inconvenienti. Serve anco che più importa a divertire i pericoli della peste, che stano sempre vicini, a difficoltar molti delitti et in particolare quello de contrabandi e sopra tutti la notturna trasportatione de azzali, d’armi, de munitioni da guerra che si facevano per la Turchia, negotio si grande e de si alte conseguenze, che trovai al mio ingresso con si sode e con si profonde radici sparso quasi da per tutto, e che non ho potuto divertire, se non con rigorosissimi castighi contro alcuni de principali colpevoli, altri puniti(?) con Xci [dieci] e XII [dodici] anni di prigione e di galera, et altri assenti con bando di tutte le terre e luoghi, se bene vaglia a dir il vero senza alcun riguardo ho veduto li banditi caminare liberi per la piazza di Corfù, prima del mio partir di là, non senza scandalo universale.

Ai bisogni urgentissimi delle fortezze mi sento chiamato più strettamente, le quali come vera e sola chiave della christianità e porta del mondo, ricercano custodia non ordinaria, isquisita attentione et perfettissimo governo, permettano Vostre Eccellenze ch’io dica non esser cosi gran piazza, qui tenuta nella veneratione che si deve, et esser peccato lasciarla imersa nelle necessità. Ho scritto e rescritto nel mio ingresso alla carica, ho replicato più volte nel progresso del reggimento et ho riasonto nell’ultimo periodo del mio servitio, sempre efficacemente e con dovuto zelo, a chi assiste a quella custodia.

Che il deposito delle polveri trovandosi in quantità immensa senza non poter esser non pur sollegiata, ma né revista, né penetrata, fa che da isperienze fatte si vede esser offesa e deteriorata assai, con certezza che penetrando più adentro, più imperfetta si troverebbe e più offesa per la humidità irreparabile in che riposa.

Che quello de ogli si va conservando al meglio che sia possibile, non se ne cavando se non quella quantità che serve per illuminare i corpi di guardia, alla quale facilmente si può supplire.

Che quello d’aceti è già del tutto estinto, con la consumatione totale anco degli arnesi e bottami, che ricercato il munitioniero a rendermene conto, non ha saputo altro dire, se non che hormai vecchio e notorio sia questo mancamento.

Che de migli, eccetto li due mille stara mandati ultimamente dall’officio illustrissimo delle biave, non si trova in essere in grano altra pur minima quantità.

Che vi sono reali tremille inviati dal medesimo illustrissimo magistrato per investir in migli, i quali non si sono potuti impiegare da me, tenendo troppo stretta conditione d’esser investiti a mezo real il mozzo, il qual mozzo essendo due stara venetiani in circa, non si può mai havere a si basso prezzo, che sarebbe poco più di lire(?) 50 il staro venetiano.

Et nel deposito de formenti per le munitioni non se ne trova già gran tempo pur un grano, né in camera pur un picciolo per investire.

E doppo ridotto la camera in continuata necessità, hanno convenuto gl’illustrissimi miei precessori valersi d’ogni denaro per i pagamenti della militie, che non portano indugio. 

Che si è cavato tanta summa da questi depositi et applicata a cassa di militia, che hormai l’intacco è incomprensibile e che tant’oltre sono passati gli intacchi, che nei bisogni a me non restava che intaccare.

Che le artigliarie sono in parte guarnite de letti et ruode, et altre di meza vita, parte ferrade e parte no, che molti ne sono de vecchi inutili, bisognosi di restauro, per il qual servitio è gran pezzo che non sono stati tagliati legnami.

Ch’io ne ho fatto tagliare buona quantità per redimere e restautar parte dell’artigliaria, se bene stagionandosi nel corso de più anni, non ho potuto godere il frutto dell’opera intiera sotto il mio reggimento, da che nasce che molti proveditori trascurano così utile e necessaria opera.

Che le armi tutte sono bisognose d’esser nettate, governate et acconciate, che per mancamento d’armaruolo giornalmente più patiranno, supplicando più e più volte, che ne fosse mandato uno da Venetia in luoco del morto, con provisione proportionata a gran peso, non ne trovando io di là per esser ristretto il suo stipendio a una semplice paga di soldato, con molti e molti altri particolari che tralascio per non tediare e che puono Vostre Eccellenze vedere in mie lettere di 5 e 6 agosto 1624, che fu il primo ingresso al reggimento, 6 decembre susseguente e de 25 agosto 1626 che fu l’ultimo giorno del mio servitio, nel quale riasunsi per sigillo l’istessa notitia, che havevo per avanti portata all’Eccellenze Vostre dell’esser delle sue fortezze.

Non è da trascurare la provisione necessariissima di quelle cose concernenti alla fabbrica et mantenimento d’essa, che giornalmente occorrono et in molta quantità, come tavole d’ogni sorte, ponti, ruli, chiave, chiodi, ferramenti et altre cose simili, de quali già gran tempo non se ne trova alcuna quantità in quelle munitioni, tutto che non solo in mie lettere de di 31 agosto 1624 ne habbi fatta strettissima istanza, mandando la nota dell’istesso munitioniero, ma ancora molti de miei precessori habbino fatto il medesimo, né paia alle Eccellenze Vostre questo negotio di poco rilievo, poiché grande, continuo e necessario è il consumo e si conviene comprar di là a quattro e sei lire quello che qui si pagherebbe doi o tre, o protrahere il tempo et abbandonare i necessarii repari, che finalmente si convengono fare un giorno con cento, che si haverebbero potuto fare con dieci. Il publico s’è impatronito quasi di tutte le case che altrevolte furono habitate da greci in fortezza, grand’è il numero de tetti, d’alloggiamenti e de magazeni, et immenso il bisogno de concieri e di ripari, et la continua necessità di denaro va sempre riducendo tutte le cose a peggior partito; onde più degno di consideratione si rende il presente mio riverentissimo raccordo.

Mi fu commesso da Vostra Serenità un taglio generale de stortami da galea grossa e sottile, per servitio della casa nei boschi del Signor Turco; mi furono dati dagli illustrissimi proveditori e patroni all’arsenale informationi e denari, con persona perita et espressa appresso di me, a che applicato l’animo superai molte e molte difficoltà, raccolsi tutte quelle maestranze. In buone lune tagliorono quel più che potero nei boschi prima del Fanari e poi di Butintro, havendo io più volte travagliato in acquetare quei turchi, che ben spesso si solevavano, scacciando la maestranza dall’opera, in che ho havuto molto che fare, se bene lodato Dio ogni cosa è riuscita bene, senza esborsar denaro di Vostra Serenità. Se n’è tagliata quantità considerabile a mercato molto conveniente e posso dire quasi tutto quello che si poteva tagliare nei boschi commodi, perché se bene altra quantità immensa se ne trova in boschi maggiori, sono però in dentro assai et oltre i primi monti, onde le genti temono d’internarsi tanto nel seno turchesco e poi le condotte si rendono difficili, che impossibile o almeno dispendiosissime dubito riesca il seguir altro taglio.

L’arsure che caminano gli anni correnti fanno sentire in fortezza bisogno del maggior tesoro, ch’è l’acque, ne ha bastato un anno il darla a misura, bandir le lavandagie e tenerla bel custodita la notte, facenda grande et horribile in si gran piazze. Anco i molini dell’isola restano l’estate inutili, che mi fa raccordar efficacemente a Vostra Serenità, che in fortezza vi fu altre volte un edificio nobilissimo da mano, che hora si trova ruinoso, ma non difficile da restaurarsi con spesa di pochi centenara de ducati, convertirebbe stara venitiani numero 25 in circa al giorno e sarebbe di gran solievo.

Vano è raccordar più oltre il pregiuditio che rende il Domo in fortezza, doppo che tante volte è stata conosciuta l’importanza della materia e decretata la provisione, tuttavia io non voglio restare di replicarlo, havendo massime in mie lettere di 25 febraro 1624 raccordato anco modo facile e di poco interesse.

La camera vive e viverà sempre essausta et miserabile e la sua povertà partorisce ogni pessima consequenza. Scrissi in mie lettere di 6 decembre 1624 e mandai note del suo vero stato, il quale sarà sempre poco disimile, non potendo molto diminuire le spese né accrescersi le entrate. Portano le spese necessarie irremisibilmente ducati 68.616 ogn’anno, che sono al mese ducati 5.718. l’entrate non sono più che 16.813 l’anno, siché vi vuole ogn’anno di soccorso 51.800 ducati. Questi se dalle camere di Caffalonia e Zante possono esser sumministrati, colle missioni che vanno in Candia e molte altre diversioni, lo ponderinno le Eccellenze Vostre. E questo basti. A me è incontrato gran fortuna, che nel corso de 26 mesi ho lasciate le militie creditirici un’hora, ne ho sempre lodato e lodo Sua Divina Maestà, stimandolo mezo miracolo, poiché in tutto il mio reggimento, che importano le spese correnti forse 150.000 ducati, non ne o havuto da Vostre Eccellenze più che 29.000 in tutto, compreso quello che fu consignato a me.

In ogni occorrenza hebbe sotto il mio governo il suo intiero dritto la cassa publica e nelli accrescimenti delle monete in particolare, havendo nel mio tempo fatto porre in camera a credito di Vostra Serenità 13.300 [forse 15.300] ducati, summa invero grande e considerabile in proportione della strettezza che si patisse di denaro, ne apparono le partite di volta in volta e ne porto publica fede.

Ma che? sono questi denari di Vostra Serenità e tale è il mio debito il quale ancorché mi levi ogni merito, non mi toglie però quella consolatione che sente un animo nobile in far quello che deve.

Viene essa camera amministrata con fede, con diligenza e con sincerità. Ho havuto per consiglieri quattro per vero honoratissimi e virtuosissimi gentil huomini, pieni d’integrità di seno e di valore. Li illustrissimi signori Aurelio Semitecolo, Alvise da Mosto, Antonio Cigogna e Zuanne Briani, i quali tutti, non solo hanno reso me e tutti sodisfatissimi, ma hanno acquistato e tengono gran nome presso a quei popoli.

Mi sono toccati ministri fideli e legali, che non è poca consolatione, né così facile, spettando l’elettione a qual consiglio, dove come in ogni luogo chi ha la maggior forze prevale. 

Debitori non vi sono in somma considerabile, non trapassando tutti, fra essigibili et inessigibili, li 5.000 ducati. Non sono pronti per natura al pagamento, né temono molto le essecutioni, ma restano ogn’anno li debitori del publico esclusi dal loro consiglio et essendone ambitiosissimi, questo è loro gran stimolo.

Non includo però il numero de debitori una sola partita de ducati 18.000 che vive nei libri a debito de capitani e scrivani de saline, per intacco de sali mandati dall’eccellentissimo General Ponte, perché questi chiamati a difesa sopra un processo formato criminale et intese le loro ragioni, ha Sua Eccellenza fatto un atto che sospende ogni essecutione. Vivono però debitori i loro nomi e vive la partita, né si può devenire alla total decisione del negotio, trovandosi il processo a Venetia nell’offitio illustrissimo dell’Avogaria. Ne diedi conto in mie lettere di 7 settembre 1625  merita il negotio esser difinito.

La fabricatione de biscotti a Corfù per uso dell’armata merita esser discorsa e ponderata. Capitò sotto il mio reggimento in due volte reali 30.000 inviati dal magistrato illustrissimo delle Biave, per questo effetto de quali ne furono investiti vintisette mille e cento in circa e convertiti in biscotti, gli altri sono restati in quella camera alla dispositione dell’illustrissimo mio successore, come degli uni e degli altri ho portate le debite fedi, l’investita fatta da me è stata avantagiosissima, havendo comprato il primo anno in ragion de lire 9 soldi 10 in circa lo staro venetiano et il secondo anno de lire undeci soldi 10 in circa pur lo staro venetiano, e se altro formento comprato e condotto da altri a caro prezzo non havesse colla incorporatione incarito anco questo, ne haverebbe il publico sentito inestimabile avantaggio. Ho mandato di tempo in tempo le mostre, i calcoli et ogni maggior lume et anco chiari e distintissimi conti, così a Vostra Serenità, come a quell’eccellentissimo magistrato e ne tengo anco con infinito mio contento benignissime et humanissime lettere in attestato della publica sodisfattione.

Il vantaggio che sente il publico dal fabricar biscotti a Corfù più tosto che mandarlo da Venetia, è grandissimo et importantissimo, poiché il prezzo tenue del formento, la spesa che va in mandarlo, nolli, sicurtà o rischio, il consumo nell’imbarcare e sbarcare, mandandone il travaso in frisopo assai, aggiontovi l’utile grandissimo delle monete, importano 40, 50 e forse 60 per cento, è anco da considerare le fraudi de marinai da me altre volte accennate, che mangiatone o vendutone quantità con una prova di fortuna si esentano dalle pene, et ho presentato all’eccellentissimo magistrato delle Biave fedi di 86 46 mozza e più, che sotto il mio reggimento si è cavato da vasselli, fracido e marcio e buttato del tutto nel mare.

Della qualità e bontà dirò sinceramente a Vostra Serenità, il mio senso. Io non credo per l’inferior condutione di quel grano, per il difetto di quei molini e per mancamento de operarii pratici e sufficienti, che il biscotto migliore di Corfù dia di 24 carati buono, sustantiale e di fattione, quanto il perfetto fabricato a Venetia, tengo però certissimo et ho veduto dall’isperienza, che quel grano è ottimo di sostanza e che proveduto di gente pratica et in particolare de thedeschi, dove hora lavorano poveri soldati mal atti e cacciati(?) per forza, come pure raccordai in mie lettere de di 30 giugno 1625, e fatto alcun ben picciolo miglioramento a quei molini, si renderebbe il pane ad ogni perfetta conditione.

Della bontà di quello fabricato questi due anni sotto il mio commando non dirò altro, riportandomi a quanto ne ha scritto l’illustrissimo signor Proveditor dell’armata più volte et alle mostre mandate non da me, ma da Sua Signoria illustrissima e dall’illustrissimo signor Proveditor e capitano di Corfù presente, aggiungendo questo solo: che le ciurme, i soldati, le barche armate, lo hanno mangiato questi due anni con sanità, con sodisfattione e non se n’è sentita mai mai voce di lamentatione, e pure è questa gente che facilmente sgrida e si fa sentire, e dalla parte mia dirò solo d’haver con sommo rigore tenuta lontana ogni fraude, mantenute continue guardie alli molini, visitati spesso li forni e fatte tutte quelle più essentiali provisioni che ho stimato proprie di così importante negotio, concernente la salute e conservatione dell’armata, con tante gravissima consequenze di publico servitio, lasciando nel resto la verità a suo luoco.

Con gli illustrissimi Pietro Marcello e Lancilotto Maria Cabriel baili havemo sempre passata quell’ottima e sinciera intelligenza ch’è dovuta a rappresentanti di Vostra Serenità, per sodisfattione di lei, per servitio sodisfattione della giustitia, per consolatione de popoli et ho conosciuto ambi quei signori nel maneggio di gravissima carica, che tale è il bailaggio di Corfù, pieni di valore e di virtù, d’integrità e di giustitia e degni d’ogni più alto et eminente grado.

Furono al commando della nuova cittadella prima il clarissimo signor Aurelio Contarini, ch’essercitando nobilissimo(?) generoso e prudente officio ha lasciato degna memoria di sé medesimo, e poi il clarissimo signor Piero Sagredo fu de ser Giovan Francesco, che impiegando valorosamente il proprio talento procura avanzarsi sempre più nel concetto degli huomini.

Al governo delle armi vene meco il conte Mafredi Porto, cavaliere di altissime conditioni, di valore, d’isperienza, di devotione al servitio di Vostra Serenità, conoscitor del suo posto e pieno di candore e di sincerità.

In fortezza Nuova fu il signor Girolamo Lavagnuolo, gentil huomo veronese non inferior d’ardor e di zelo e di qualità molto degne.

Monsignor reverendissimo Arcivescovo, prelato di spirito eccedenti le proprie forze e desideroso d’acquistarsi grido e fama con superiori (forsi anco sperando d’avanzarsi presso Sua Divina Maestà) non sente bene certa, se non unione, almeno vicina subordinatione di due ritti, che assai piace et conferisce ai servitii di Vostra Serenità. Non istima molto la sodisfattione de publici rappresentanti, pretese ius sopra il più pretioso tesoro che habbi: le fortezze e le chiavi di una cisterna, passando in mia assenza con altro publico rapresentante termini poco convenienti, che dall’eccellentissimo General Molino, con desterità e maneggio, fu corretto e fatto rivedere. Brama estender la iurisdittione all’infinito, tenta volentieri cose nuove, ma io con si fatte facende non ho stimato bene dar tedio alle Eccellenze Vostre e levar il tempo a più gravi maneggi.

Ho havuto per segretario messer Giulio Corona ordinario della cancelleria, veramente gentil huomo, nei publici negotii zelantissimo, fedelissimo, vigilantissimo nei privati, diligentissimo e patientissimo. Io ne ho ricevuto inesplicabile sodisfattione, anzi del suo affettuoso e sviscerato serviito son restato contento e consolato sopramodo. Lo stesso può promettersi in maggior carica ogni altro publico rappresentante, essendo attissimo ad ogni più alto affare e può Vostra Serenità dal zelo, dall’ardenza, dal valore di questo devoto e svisceratissimo soggetto promettersi ogni più in qual si sia arduo e difficilissimo servitio.

In questo stato ho trovate e consignate quelle fortezze da me lagrimate più volte, e siccome m’è testimonio Iddio del zelante ardore con che ho applicato me stesso, con spiritoso impiego d’ogni mio possa, così piaccia a Vostra Serenità gradire quanto può derivare dalle mie debolezze e condonare all’ottima et insuperabile volontà ogni involontario mancamento. Gratie.