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1628 Lorenzo Morosini

Relazione

Relazione di Lorenzo Morosini ritornato di Provveditore e capitano a Corfù

1628

 

Serenissimo Prencipe

Ritorno io Lorenzo Morosini dalla già sostenuta carica di proveditor e capitano a Corfù. Corfù che per le conseguenze del sito e per la perfettione delle fortezze fu apunto stimato sempre il cuore del maritimo Imperio di questa Serenissima Repubblica, quello che in ogni tempo tenne occupata Vostra Serenità e l’Eccellenze Vostre nel mantenimento del suo ben essere, concioché dalla sua conservatione non altrimenti dipenda lo stato predetto, che dal cuore la vita. N’è meraviglia se stimo sempre la somma prudenza publica, che in capo ad ogni reggimento fosse necessaria una rinovata relatione dello stato di quella città, fortezze et isola, così per l’importanza della materia, che seco porta curiosità e premura, come per la nota essenza delle cose, le quali soggette a varii accidenti bene spesso ricercano, et il reflesso et il rimedio. Che però incaricandomisi quest’obligo di quella rilevanza ch’è palese, ma trovato quanto m’è occorso degno della publica notitia, vengo hora a sodisfar il mio debito con ogni spirito né dispero (confidando spetialmente nella benignità dell’Eccellenze Vostre) di giungere a quel segno di sodisfattione ch’elle desiderano con frutto di publico servitio. Il mio discorso haverà quattro capi.

Nel primo portarò brevemente la descrittione dell’isola di Corfù, necessaria ad ogni modo per le considerationi che seco porta, né possono tralasciarsi.

Nel secondo discorrerò di quella città e di quei sudditi, narando la loro conditione e stato. E venendo alle fortezze dirò del loro essere, delle munitioni, così da vivere come da guerra, in fine delle militie.

Nel terzo tratterò de i luoghi possiede la Serenità Vostra in terra ferma, come la fortezza della Pargha, le aque del Fanaro e della Bastia, le peschiere di Buttintro col pascolo d’Examili, dovendo simil occasione portarmi a discorrer del ben vicinar con turchi, del traffico ch’essi hanno con corfiotii, dell’inclinatione de sudditi turcheschi al nome veneto.

Nel quarto parlerò del lazzaretto, della camera fiscale, della fabrica de sali, del escavation e restauratione dell’mandracchio; argomento tutto della mia relatione che sarà solo diretto all’utile, non senza particolar mira alla brevità.

Lascio dunque in questo principio di toccare, come per aventura il luogo ricercarebbe, la volontaria dedicatione del isola di Corfù all’hora, che del 1386 quei popoli liberi a sé stessi diedero il più essential testimonio della divota loro inclinatione facendosi soggetti a questa Serenissima Repubblica, sola conosciuta sufficiente a sostenere in qualunque tempo la loro fortuna, mai stimata depressa, se non quando fossero stati per provare o meno clemente o meno glorios’Imperio.

Dirò bene essere Corfù un isola delle più celebri nel Levante, che da Sirocco a Maistro si destende per lo spatio di miglia sessanta e ha per solo confine la terra ferma d’Epiro, dalla quale non sarà per il maggior tratto diciotto miglia lontana.

Dall suo principio, che Caobianco si chiama, in distanza di miglia 24 ha li scogli di Paxo et Antipaxo, lavorati dalli paxinotti, che vagliono assai nella coltura di terreni e per ciò raccolgono in abondanza del loro bisogno, e grani e oglio, il quale spetialmente è di tutta perfettione.

Farà lo scoglio di Paxo anime 700 in circa, fra quali 360 da fattione, compresi 250 archibugieri, venendo loro eletto dal proveditor e capitano di Corfù di doi in doi anni un capo, con auttorità di commandar non solo ad essi, ma a tutti quelli habitanti, li quali astringe alle fattioni delle guardie e sopra il tutto ad ogni accidente, c’habbia riguardo alla pace et al publico servitio, è obligato darne parte, come fa, al proveditore e capitano predetto.

Vero è che questo per la lontananza dello scoglio dal’isola esperimenta quei sudditi poco obedienti e tanto più che per simile rispetto. Quando però fui alla visita di quello scoglio, conobbi haverli lasciati con qualche timore, per le comminationi fatte loro di severo castigo in caso d’inobedienza a quel superiore, nell’asistere particolarmente alle guardie, come anco nell’occorenze di delitti.

Sono quei huomeni corragiosi, e perché al tempo dell’illustrissimo mio precessore furono dalla Serenità Vostra proveduti d’armi, rispetto allo sbarco fatto al’hora in quel luogo con grave danno da corsari, stimai bene sempre l’assicurar(?) loro di monitioni, come feci al medesimo fine di sicurezza, promettendomi che nel caso d’invasioni farebbero ogni honorata diffesa e resistenza.

Dal’altra parte del isola verso Maistro vi sono doi scogli, l’uno detto Samatracchi e l’altro Diaplo, discosti miglia 18. Vi è quello detto le Melire tutto bene coltivato, come anco quello di Fano lontano dal isola 30 miglia, di questi è patrone il clarissimo signor Alvise Paruta, che riscuote la decima del seminato, con alcuni censuali e regalie.

Da questi scogli ricevendo la città di Corfù quantità buona di grani, complisse molto al servitio di quei sudditi vengano sempre resi più fruttuosi mediante l’opera d’agricoltori ivi habitanti e perciò doppo la fugga di quelli 22 famiglie, le quali come già scrissi passarono di la a Manfredonia, a persuasione de pugliesi, risolsi immediatamente, incontrandomi appunto con il senso dell’Eccellenze Vostre, conferirmi a quella visita, alla quale d’ordine publico intervenne appresso il signor Conte Ottavio Martinengo Governatore delle armi.

Conferitomi dunque collà, elletti di nuovo o confirmati li vecchiardi et altri offitiali, come più mi parve, in oltre v’aggionsi un capo, il quale per raggioni di buon governo si ritrova per ogni luogo, e l’incaricai ad invigilare, così circa questo come circa ogni altro essentiale accidente potesse occorrer, portando il tutto alla publica notitia.

Fu però il mio unico scoppo l’assicurarmi di quelli habitanti, dubbioso pure non fessero qualch’altra mossa, che poi sarebbe stata assai più pernitiosa e grave della prima. Onde m’affaticai nel’imprimer in essi una certezza del desiderio grande tiene la Serenità Vostra del loro bene, amandoli tutti non altrimenti che gli medesimi dell’isola, come diletti e cari. E fingendo prestar fede alla asserta cagione della fugga delle dette famiglie, persuasi all’istessi habitanti che vano sia ogni timore de corsari, per esser essi diffesi dal proprio sito del luogo, il quale in un tempo medesimo rende altretanto difficoltoso lo sbarco, quanto è facile l’ostacolo e la resistenza. Oltreché scorendo sempre le falere quei mari ne causano la sicurezza, rispetti per li quali resta superflua la fabrica d’alcuna torre al medesimo fine, come appunto scrissi a Vostra Serenità, che pure hebbi il parere del detto signor governatore Martinengo sopra tal negotio in scrittura.

Quei sudditi in oltre providdi di munitioni, sodisfatti di tanto appieno, m’affermarono voler continuare nel habbitatione di quel scoglio, anzi mi s’offersero di farvi anco ritornar i fuggiti, stimando facile, per haver quelli sperimentati molto inferiori gli effetti alli promessi et alle speranza. Onde facendomene essi instanza concessi loro inscritto, come era anco mente dell’Eccellenze Vostra, l’assoluto perdono a quei tali, quando nel termine di mesi tre havessero fatto ritorno all’antica habitatione di Fano. Hebbi anzi fortuna di vederne qualche buon esito, perché a pocho a pocho ritornarono li fuggiti, non potendo far una mossa totale in un sol tempo, e son certo vi sarebbono ritornati tutti, quando per il mal aere di Manfredonia, soprapresi d’infermità gravi, non vi fossero restati morti; che però doverà certo tal esempio servir alli altri per documento, in modo che mai habbino a capitar a simili risolutioni di partir da quello scoglio, tanto più ch’il patron di fondi, per conservarvi le proprie rendite, v’introdurebbe immediatamente gli albanesi, prontissimi a lavorarli, né sarebbe poi loro facile il ritornar al primo ricovero, perduto per leggierezza.

Principia la Balia d’Alestimo a Caobianco dalla parte verso Scirocco et ivi ha bellissime pianure,  che si distendono al incontro da terra ferma, sendovi saline publiche con tre magazzeni et caneva, ma verso Grabino e nel congiungersi verso quella di Mezzo e poi è tutta montuosa.

È però vero che questa parte così fertile, nella quale si vedono assai piante d’olivari e bellissimi seminati, non è per il terzo d’essa Balia, perché tratti alcuni puochi luoghi per ciascun casale, è nel rimanente sterile e pieno di boschi. Previene questo da certo luogo detto Corisia(?) le cui aque, intorbidate con gratici e con legni per prender pesce, oltre la palude vi si ritrova, rese infette, tengono lontani quei habitanti, che per altro coltivarebbono quella bella campagna che gli sta a canto, spatiosa ben di sei o più miglia. L’utile che risultasse al isola di Corfù della coltivatione di questa Balia, sarebbe certo di molta gran consideratione, ma al’incontro vi vorrebbe una spesa grande, la quale eccederebbe a quella che fece già la Serenità Vostra nel redur in parte a coltura la valle di San Giorgio.

Coppiosa poi è questa balia de molini, fra li quali vi sono quelli delle Benizza, di cui per la vicinanza si serve la città et in particolare la Serenità Vostra, quando gli occorre il fabricar biscotti. Sono questi de particolari e di presente lavorano tutti al numero di 20, perché l’anno ultimo del mio carico, con la notitia si dovesse por mano alla detta fabrica, andai a veder in che stato erano detti molini, ritorvando tutti che havevano bisogno di qualche spesa, feci subbito accomodarli con il denaro publico, appostando debitori in Camera li patroni de molini, dove poi sodisfecero in Camera quanto fu speso a loro interesse, col tratto d’essi, ridotti a stato buono e fruttuoso, onde per il fine dell’opera certo restai molto consolato; fa questa Balia casali 23, anime 4.990, da fattioni 1.200, compresi 270 archebusieri.

Vengo alla Balia di Mezzo, nella quale si vedono pochi seminati, per rispetto delle coline che vi ha et per ritrovarsi le campagne piantate e ripiene d’olivari e di viti, anziché vi si fanno gli migliori vini et ogli dell’isola. E però così li cittadini che vi hanno gli loro terreni, come anco gli vilici, col tratto di questi sono necessitati procurarsi il grano all’intiero loro sostentamento, o dalla Balia d’Agirù, che per ordinario ne produce di vantaggio al suo bisogno, o vero dalle parti di terra ferma circonvicina.

In questa Balia vi è la valle di San Giorgio, che per rispetto delli ordini tenevo in commissione da Vostra Serenità, volsi vedere con commodo et essatamente, subbito che hebbi perfettionata la visita del’isola.

Osservai questa circondata da un continuo giro di colline, in modo che si rende concava, et è ben di 7 miglia la sua grandezza. Dove si trova qualche eminenza, ivi è il terreno coltivato, con seminati et ancora con viti, se bene poche, e però di presente stimo sia ridotta a coltura quasi per le tre parti. Il rimanente nello stato d’hora non è possibile farlo fruttuoso, perché il cielo nel verno versa pioggie grandi e continue, e cadendo inoltre dalle dette colline molte aque tutte insieme si raccolgono in quella concavità, e se bene nel mezzo di detta valle fra doi eminenze e quasi per un alveo si portano fuori nel mare verso Ostro, ad ogni modo per essere questo ristretto e poco profondo, e per servire le medesime aque a certi molini, gli patroni de quali per farli macinar più a tempo con muretti e con arti ralentano loro il corso, e di necessità ve si fermano, con la consequenza di tanto preiuditio.

L’assicurarsi della coltivatione intiera di questa valle, per le raggioni espresse già a bastanza, non ha dubbio che riuscirebbe di singolar benefitio, et al publico et al privato interesse. E però come saria necessario levar gli detti molini, cosi non sarebbe questo una gran novità, tenendosi pur notitia che mentre la Serenità Vostra già 30 anni in circa rivolse l’animo a far coltivabile questo gran spatio di territorio, e come si vede per le scritture esborsò a tal effetto la somma di ducati 20.000, fu fatto questo medesimo che hora si tratta far di nuovo. Ne passarono le cose in disordine così pernicioso riedificandosi li molini, se non doppo la partita di quello haveva il carico di così fruttuosa impresa. E peroché soleva egli contribuir certa somma di danaro a patroni delli sopradetti molini, in resarcimento del danno che venivano a sentire per la loro demolitione, lo stesso io stimo si dovesse far nuovamente, imponendo una tassa di danaro o di biava sopra li terreni che si facessero fruttuosi o venissero a riuscir migliori con sentir benefitio da simil opera. Tanto conosco esser mio debito ricordar riverentemente all’Eccellenze Vostre in questo luogo e s’in ciò vi concorrerà alcun publico decreto, senza dubio si goderà il frutto che si desidera.

La città di Corfù è situata quasi nel mezzo di questa Balia, sopra il lido del mare. Al dirimpetto v’è lo scoglio detto di Vido grande ripieno d’olivari, il quale serra il mare in modo che lo rende tranquillo e sicuro a vaselli.

Dalla parte verso Scirocco vi è una bellissima peschiera, detta il Caliciopolo, e così una campagna di saline di Vostra Serenità, con il magazino e caneva verso il mare, poi vi è il monasterio di Santa Maria di Paleopoli, voce che significa Città Vecchia, perché anticamente vi era situata la città di Corfù.

Dal oltra parte verso Maistro vi è il casal Potamò, dove pure sono alcune saline publiche, con magazino e caneva. Poco lontano vi è il porto detto Goino, dove li vasselli restano sicuri con ogni tempo. Verso Ponente vi è lo scoglio sopra il quale è fabbricato il lazzaretto e ne discorrò a suo luogo. Contiene questa Balia casali numero 23. Anime 5.690 in circa, fra quali 1.820 da fattione, compresi 311 archibugieri.

Segue la Balia d’Oros, che è la terza et ha alcune poche e piccole campagne, nel resto è tutta montuosa. Produce gran quantità di biave, non vi essendo casale che non ne raccolga oltre al proprio bisogno, sono qui li migliori agricoltori dell’isola, se bene quanto alle armi fanno pocha riuscita. Dalla parte di terra ferma vi ha il porto di Casoppo, presso del quale si vede l’antica fortezza, se bene quasi distrutta dal tempo. Verso Ponenete vi è lo scoglio di Santa Catterina tutto piano, il quale sendo a guisa d’una peninsula forma una peschiara detta Andignotti, e così continuano le rive basse sino ad Agirù. Ha questa Balia casali 19. Anime 4.300, fra quali 750 da fattione, compresi 230 archibugieri.

Viene hora la quarta Balia detta Agirù et è ultima di tutte, come apunto meno delle altre si ritrova fertile, perché se bene ha alcune poche campagne, tutte coltivate, in spetie quelle di Sidari, non suppliscono però al vitto di quei habitanti, et il rimanente poi è colli e monti, perloché vi si raccoglie più vino et oglio che biava. Sopra il mar d’Ostro vi è un porto, detto porto Timone, e sopra la sommità d’un monte a quella parte si ritrova situato il castello Sant’Angelo, nel quale sta un cittadino corfiotto eletto dal consiglio di quella città d’anno in anno. Il suo carico è d’assister alla custodia, premendo nel rigor delle guardie che sogliono farsi, così di giorno come di notte, e delle scoperte di velle, l’estate imparticolare, come d’ogni altro accidente fa consapevole l’illustrissimo signor proveditor e capitano; giudica nel civile, ma sino a ducati 31 e fra genti d’alcuni casali solamente.

Questo castello fu l’ultimo luogo che visitai nell’isola, rittrovandolo in pessimo stato. Lascio che le mura per l’antichità si siano resi deboli, ma viddi la porta principale mezza caduta, affatto aperta quella del rivellino, scoperto il casello della sentinella, mal conditionato l’alloggiamento, oltre li danni fatti dal fulmine in tre luoghi, l’artiglieria senza letti, gli moschetti guasti et inutili, il tutto in somma ritrovai in sinistro, come ne diedi parte all’Eccellenze Vostre. Rimediai però al tutto senza dilatione, perché di subbito feci cambiar l’armi, accomodar l’una e l’altra porta, con ong’altra restauratione necessaria, come pure providdi l’artegliarie di letti, si che hora possono riuscir di frutto. Restava l’aggiungervi ancora un sagro da 12 per servirsene impedire l’ingresso et il ricovro ne’ quattro porti vicini alle fuste, che alcune volte sogliono capitarvi. Ma ricevutone l’assenso da Vostra Serenità nelli ultimi giorni quasi del mio reggimento, lasciai questo carico all’illustrissimo signor mio successore, il quale mi prometto haverà tanto adempito, rimanendo perciò quella parte sicura, spetialmente perché vi fu posto da me un capitano con quattro soldati, conforme solevano starvi per avanti, e doveranno fermarvisi gli mesi dell’estate solamente, come più sospetti. La presente Balia è povera di molini, fa 38 casali. Anime 4.800 in circa, fra quali 860 da fatti, compresi 250 archibugieri.

Hora Prencipe Serenissimo resta perfettionata la descrittione del’isola di Corfù, nella quale non ha saputo la mia debolezza meglio addoperarsi, com’io appunto non so che aggiungere di vantaggio. Ben è vero che s’io considero le cose tutte essere per l’humana conditione sogette alli sinistri et alle miserie, non devo taccere che l’isola predetta ne soggiaccia a tre principali, che sono gli sbarchi de corsari, l’estorsioni dell’isola medesima et la penuria de grani.

Quanto sia alli doi primi accidenti, parmi porgessi loro opportuno rimedio quando mi conferii alla visita, perché doppo l’universale descrittione dell’anime, alla quale volsi assistere sempre, havendo mira alla diligentia et essatezza dell’opera, come pure con modo estraordinario la feci porre in libro, levando per gran pezzo a gli illustrissimi signori miei successori simil fatica, intrapresi l’importante negotio delle guardie. Negotio importante dico, perché da esso dipende la sicurezza di quei popoli, e perché laciato già tuto nelle mani de capitani dell’isola, contro la dispositione de gl’ordini Canali, confirmati da Vostra  Serenità, era ridotto a semplice e putrida mercantia. Vagliomi in questo punto dell’essempio del precessore attuale, che ritrovai havesse essentato per denaro oltre 3.000 huomini dalle guardie, con quel pregiuditio publico e privato che ben conosce la prudenza d’ogn’uno, onde convenni casticarlo con essilio severo. All’hora risolsi deputar io stesso le guardie, assignando quelli dovevano entrar successivamente alle fattioni ne’ posti, così di giorno come di notte, e sono 83 in circa; e perché ciò compliva alla sicurezza et al solievo de gl’isolani, mentre per l’acrescimento d’huomini alle guardie venivano queste ad esser fatte con maggior speranza di frutto, et essi a provar le fattioni più dolci e men dure, usai in questo particolare tanto di rigore, che la stessa impotenza appena potte gloriarsi d’agevolezza.

Così pur volsi, come più mi parve bene, confirmare o elleggere di nuovo gli vecchiardi de casali, passando con scrittura sottoscritta di mia propria mano con espressione, che solo con legitima causa potessero esser rimossi, anche da successori. Perché già li capitanii del’isola al loro ingresso al carico con fine di civanzo assolutamente gli rimovevano dal loro ufficio, onde li poveri villici covenivano darsi alla loro descrittione, o senza demerito ceder il luogo, a quelli che per rendersi essenti dalle guardie et altre fattioni, con buoni donativi si facevano avanti.

Formai alcuni ordini ancora ne’ quali fra le altre cose disposi particolarmente, che il capitano dell’isola non potesse uscire fuori che doi volte all’anno, con gli soli suoi ufficiali in tutto al numero di sei, essendo già passata la cosa in tanto ecesso, che si facevano lecito di condur con loro sino 24 persone, oltre la biava per li cavalli, mercantando poi appresso liberamente, valendosi dell’auttorità et della forza, con scandalo et pericolo di pessime consequenze, le quali però saranno, lode a Dio, senza dubbio levate mediante la confermatione delli predetti ordini fatti dall’Eccellenze Vostre, con stretto obligo a successori di osservarli et farli pontualmente a chi s’aspetta essequire.

Ho detto per terzo che l’isola di Corfù molte volte patisce la carestia, perché non producendo questa il grano a pena per quattro mesi, cessandole il concorso de formenti dalla terraferma, il quale dipende dall’arbitrio de Turchi, subbito vi nasce per necessità il bisogno e la penuria. Questo certo provarono molto grave li vilici l’anno ultimo del mio reggimento e se ne dolevano con quella più viva forza potesse causare il sommo della necessità. Ad ogni modo sovenuti da me con 3 misure di miglio per testa, di quello delle munitioni, si sostentarono sino a miglior fortuna, perché si come per le raggioni dette puol ne l’isola cadere ben presto il bisogno, così anco può cessare e venirvi anzi l’abbondaza. L’esito mi riuscì in vero molto caro et tale stimo dovesse riuscire alla Serenità Vostra, quando le ne diedi parte, e ben me ne coferma l’haver nell’istesse calamità di questi popoli, veduti qui gli effetti singolari della sua infinita pietà. Ma tanto più quanto che restando obligati li vecchiardi de casali alla restitutione del detto meglio, o vero passata quella raccolta al pagamento di lire 20 il mozzo, dovendo esser contato il danaro in Camera, e così a punto mi gionsero gli ordini dell’Eccellenze Vostre in questo proposito. Manifesti sono dunque li sinistri ne’ quali può facilmente cadere l’isola di Corfù et è chiaro pure quello per ciò operassi a benefitio e sollievo di quei sudditi; onde.

Me ne passarò al’altro capo della relatione e dovendo discorrer di quella città, ove il bailo ha la sua residenza, l’illustrissimo reggimento il suo foro. Dico esser ella piccola, l’anime che si ritrovano non arrivono al numero di 4.000. Il mare per circonferenza quasi la bagna, la pianta havendo poi dalla parte del’isola recinto di consideratione, per esser esposta quella banda all’invasioni, ma di presente è diffesa più dalle fortezze, le quali nel mezzo la serrono. Anziché la Nuova appunto l’anno 1573 fu edificata a sicurezza di quei popoli. È assai ripiena di habitanti, li quali vanno anco ogni giorno moltiplicando, se bene come da principio senza alcun ordine, perloché riescono le strade e torte et anguste, come pure nelle dette habitationi non vi si osserva alcuna cosa degna, o perché li greci non habbino architettura, o perché ritengono tuttavia dell’loro antico vivere alla cinità[forse unità?]. É però vero che da certo tempo si sono, almeno quanto all’apparenza, resi assai civili, comparendo ben al’ordine di vestiti, in particolare quei cittadini che per lo più godono accomodata fortuna, anziché molti se ne ritrovano fatti assai danarosi.

Ha la città di Corfù il suo conseglio, dal quale vengono distribuiti gli uffici e carichi a cittadini, doi però eccetuati, li quali son il governo della Pargha et il capitaneato dell’isola, che si conferiscono dalli soli publici rappresentanti.

Solevano fare gli cofiotti ancora un’altra picciola e privata redutione, dandole nome di conclave e la facevano quando più loro pareva e piaceva, senza che n’havessro gli rettori notitia alcuna, cosa altretanto mostruosa, quanto che poteva derivarne pessime consequenze, et il mondo non ne vedeva altro essempio.

Vi entravano gli sindici, ma appresso ancora gli dipendenti dell’interessati nelle proposte e ne li negotii, et questi gli andavano cambiando sino che ritrovavano chi aderisse al loro volere, et quando una cosa era presa in questo conclave, era anco sempre con pienezza de voti abbracciata dal consiglio.

Ma la Serenità Vostra, che è sapientissima, che vede e pondera quello complisse al buon governo del suo Stato, ritrovò modo e forma a questa sorte di reduttioni, perché dovendosi fare nel palazzo dell’illustrissimo signor bailo, overo in altro luogo fabricato a posta, con previa notitia publica del quando e della materia da considerarsi, e con l’intervento di specificati e legali sogetti, così di facile non è hora da sospettare inconvenienti e machinamenti.

Non nego però che si come per l’importanza di questi stimatissime piazze giudicai necessario osservar sempre gl’andamenti de gli hebrei, che forse per lo più in quella città sono Levantini o Spagnoli, il medesimo non facessi ancora di quei cittadini, senza però mostrar ombra alcuna di diffidenza, tanto più che alcuni di essi si ritrovavano uniti in parentella col console di Spagna, il quel fu sempre di famiglia Lipravoti, e tutti questi fratelli nascono d’una cittadina principale, in modoché Marzello Lipravoti, che ivi morì a quella carica, liberamente si vedeva pratticare con quei sudditi et entrare nelle case loro con gran domestichezza, ma nel vero non ritrovai cosa che mi facesse in alcun tempo ingelosire, anzi che mi compiaqui assai della buona corispondenza con la quale fu sempre solito quel ministro Reggio passar con gl’illustrissimi rettori.

Quello che pure m’occorse incontrare seco di mala sodisfattione, fu quando il predetto Marzello, giovane assai vivace, nuovo nella carica et che in tutto non chiudeva l’orecchio alle persuasioni del interesse, s’era posto a far patenti d’espeditione alle fregate et alle barche, le quali passavano in Puglia, cosa tanto dannabile, quanto che preiudicava al servitio publico nella missione de dispacci e toglieva il decoro e l’auttorità a gli rappresentanti la Serenità Vostra, se n’astenne però presto a gli caldi e risentiti uffici, quali seco passai, unitamente con l’illustrissimo signor bailo, sopra questo fatto.

Si ritrovano questi fratelli Lipravoti impiegati tutti nel servitio di Sua Maestà Cattolica et imparticolare uno d’essi tiene il carico delle fregate Reggie in Otranto, onde pare che non cessi anco da quella parentela necessità al proveditore e capitano di Corfù d’invigilare, per la sicurezza di quelle piazze così principali, tanto più che alcuni corfioti si sono già conferiti ad habitar in detto luogo.

Ma dal’altra parte però egli non ha dubbio, che le medesime fortezze di tanta perfettione, serrando nel mezzo d’esse la città e quasi ponendo freno a quei popoli, levano loro in ogni caso le vive speranze di novità, non che l’ardire di tentarle.

Nella fortezza Nuova risiede un nobile di questa patria, con titolo di capitano, e vi lasciai al mio partire il clarissimo signor Giovan Francesco Grimani, signore d’ottime qualità e molto zelante della pontualità nella sua carica, essercitata in vero con molta prudenza e virtù.

Vi spedissi anco la Serenità Vostra un governatore sopra quelle armi, alla qual carica ritrovai e lasciai ancora il signor Daulo Dotto, soggetto degno e ha merito di lunga e fruttuosa servitù, ad immitatione del padre e dell’antenati suoi, per la cognitione che ne ho preso nel corso di tutto il mio reggimento, confesso d’esser in questo punto obligato a parlar della persona sua con senso di lode e d’affetto.

La fortezza Vecchia poi è la residenza del proveditor e capitano, ne in questa si può molto fermare la consideratione nostra, senza acrescimento di maraviglia. La parte inferiore ha una bella piazza nel di dentro, mura fortissime nel di fuori, tiene assicurata la porta con doi baloardi di tutta perfettione et per ultimo vi si aggiungono doi cavalieri, che per l’eminenza loro servono mirabilmente a batter l’essercito nemico. Passando poi nella cittadella, ch’è il sito alquanto eminiente e come separata piazza da persé si richiude, non men forte recinto vi si osserva, abbonda d’artiglieria et d’ogni bellico strumento, con esservi di continuo millitia a suoi posti, quivi è solito habitare uno de clarissimi consiglieri e vi lasciai il clarissimo signor Giacomo da Riva, signor di molto spirito e di talento non ordinario. Ascendendosi alle doi sommità d’un monte si ritrovono doi fortissimi castelli, l’uno detto il castel da Mare, perché apunto guarda e domina il mare, et ivi è la forza delli munitionieri da guerra, delli quali discorrerò a suo luogo; l’altro castello è detto la Campana, sendo che ivi con quella si regolano, per così dire, l’operationi di tutti et in questo luogo appresso per una scala, maravigliosamente fatta nelle viscere del detto monte tutto sasso, si passa nella mezza luna, la quale non solo serve a diffender, ma abbattere ancora occorendo la detta parte inferiore di essa Vecchia fortezza, onde a chi tanto mira, resta solo stupore non il desiderar d’avantagio.

Hora per l’importanza di questo luogo stimo sempre la Serenità Vostra dover mandar un castellano, che per lo spatio di doi anni vi si fermasse, senza mai abbandonare quella custodia. D’alcuni anni però s’è redutto negletto simil carico e per mio senso il solo tenue salario, che non eccede ducati 40 al mese, tiene lontani quelli che si sariano anco disposti a quella solitaria e ristretta residenza, alla quale, col essempio dell’illustrissimo mio precessore, stimai dover destinare, come feci, un nobile d’armata, che per il esperimentato talento poteva promettermi ogni compita riuscita in quella carica, anzi che fu sempre essercitata con piena mia sodisfattione.

Hora Prencipe Serenissimo le fortezze di che parlo nel corso del mio reggimento, nel quale rivolto al solo suo servitio non sentii affetto di cosa propria, volsi fossero l’unico oggetto de miei pensieri, onde colla notitia della loro importanza premei sempre che, per quanto era a me possibile, fosse invigilato alla sicurezza loro, al ben essere et alla riputatione.

Et quando capitò in quel porto vasello, barcha o fregata di Puglia, ch’io raggionevolmente fatto geloso volsi vederli sempre tutti, con penetrar nella loro cognitione, regolandomi conforme a quella circa il permetter loro il fermarsi o l’ordinar la partenza. Quando scoperto buon numero di soldati regnicoli venuti da Venetia nel mutar le compagnie, sotto nome di mentita patria, s’erano posti a servitio in quei presidii, con dar non poca ombra della loro fede, gli cassai tutti facendoli imediatamente partire dal’isola. Ho guardato quelle piazze, non altrimenti che s’il nemico fosse stato a fronte. Rinforzai tutti li corpi di guardia, moltiplicai le ronde et armai cinque altri caselli oltre li primi, feci lavorar coppiosamente fabrica di letti, rimessi in stato l’arteglieria, per lo più infortuose per simil rispetto, riducendoli con tale provisione atti al uso ne’ bisogni. Il giorno di Santo Arsenio e quello della festività del Corpo di Nostro Signore et Venerdì Santo, per la frequenza grande che concorre alla Chiesa Catedrale, che non deve impedirsi, diedi ordini molto stretti, facendo armare così la fortezza Vecchia come la cittadella e star gli bombardieri alli posti, nelle quall’occorenze feci assister a quelle armi il signor Conte Ottavio Martinengo governator delle militie, tanto in quel punto vi concoreva di gelosia.

E di qua nasce la necessità che tiene la Serenità Vostra di far trasportar il Domo nella città, pensiero ch’non è altrimenti nuovo, anzi fu ponderato da tutti gli miei illustrissimi precessori, né per tanto devo io tacerlo, perché quando s’effettuasse, come riverentemente lo raccordo, levarebbe simili importanti occasioni di gelosia e di timore.

Ma le sopradette cose tutte, ancor che buone e fruttuose, sono però di gran lunga inferiori a quello che pure m’occorse operare a sicurezza di quelle piazze così principali, né in ravivarne la memoria a Vostre Eccellenze altro io non pretendo che la mia propria sodisfattione, mentre l’obligo verso la patria è tale per sé stesso, che non amette merito che l’agguaglia.

Fu allora quando insieme col detto signor Governator Martinengo et il Sergente maggiore Domenico Menegazzi, mosso dalla curiosità d’osservar il sito e la perfettione di quelle fortezze, viddi in esperienza con quanta facilità si potesse ascendere e scendere dalla parte del castello da mar, facendomi tal modo capace di come ne potesse seguire una supresa. Oltre di ciò scoprii in luogo dove non poteva osservare la sentinella un foro o caverna, atta a capire ben 500 huomini, il qual foro haverebbe potuto molto servir non solo all’agguato, ma quello che più importa, come di manifesto e maggior pericolo, a far una mina a tempo, la quale per penetrare detta caverna sino sotto il deposito grande delle munitioni, haverebbe nell’essito certo causato l’esterminio totale di quelle piazze e di quella città, con eterna e miserabile occassione di pianto.

Diedi parte a Vostra Serenità immediatamente di così essential negotio e perché le somme urgenze sogliono far riuscire solleciti e diligenti sino gli stessi huomini più tardi e pigri, andò poco ch’io posi rimedio al tutto, poiché havendo fatto scagliar il monte sopra del quale è situato il castello da mar, levando ogni sasso poteva servire per grado all’ascender e scendere, resi impossibile la supresa, con otturare con sassi e pietre grandi et terra l’apertura del detto foro m’assicurai del pericolo dell’agguato e della mina, quella che apporta terrore solo a pensarci. Di tanto restai in vero consolatissimo né stimerò certo d’ingannar me stesso s’entrarò in opinione habbiano l’Eccellenze Vostre a riceverlo per pegno singolare di quella vigilanza, che io doveva alla sicurezza di quelle piazze, a che pur complirebbe il far una strada per cui potesse caminar la ronda verso il luogo detto San Sidero, com’apunto già riccordò perito ingegniero al tempo dell’eccellentissimo signor General Da Ponte et se ne vede la scrittura in quella secreteria.

Non riccordarò a Vostra Serenità quanto sia neccessario al medesimo fine di sicurezza l’oviar al restringimento della spianata coll’erettione avanti di nuove fabriche, perché ella medesima lo provide, con l’infinita sua sapienza, incaricando gl’illustrissimi rettori del mio tempo et successivi ad avertir sempre questo particolare. Dirò bene che si come il salone esistente in detta spianata, quasi sopra le porte della vecchia fortezza, mai fu lodato da chi si sia, così io non posso parlarne diversamente, se devo havere in consideratione la sicurezza et il decoro di quella importantissima piazza.

Aggiungendo appresso che non essendovi alcun decreto circa il fabricar nel di fuori della città, com’v’è nel di dentro, sarebbe necessario il farlo, perché non si procedesse più havanti con nuove habitationi, disordine in vero grande, al quale io m’opposi, quando alcuni di quei cittadini nel fabricare si portavano troppo sotto il recinto, in spetie della Nuova fortezza, ond’é che ricusai sempre il conceder loro alcun pezzo di terreno vacuo, ancorché me fosse fatta grandissima instanza con addozzione d’essempi.

E perché quanto sia alla detta fortezza Nuova molto preiudica la sicurezza di quella piazza l’eminenza del vicino monte d’Ebramo, stimo dover ricordar riverentemente alla Serenità Vostra fosse bene il destrugerlo, il che succederebbe senza suo dispendio, quando fosse astretto ogn’uno intendesse fabricare a cavar di là le pietre e gli sassi, come pur s’era già introdotto, se bene hora, e forse con maggior aggravio, si conducano dalla terra ferma. E tanto più si farebbe progresso nel’opera, quanto che vi si potrebbono condannar molti nel istesso modo che si fa alle fabriche per qualche trasgressione o lieve mancamento. Porto questa consideratione, perché il fine fruttuoso congiunto col risparmio dell’opera mi piace assai, non nego però che non fosse più celere e proprio rimedio l’unir il detto monte alla medesima fortezza, come si fece già lo scarpone, et altre volte so che è stato da miei precessori ricordato, come anco da periti ingegneri, se bene poi la vera e candida relatione loro non hebbe altra fortuna, che d’esser semplicemente ricevuta et intesa.

Ho detto già mi fosse a cuore sempre la reputatione et il ben essere di quelle stimate piazze et è vero. Né intendo l’argomentino l’Eccellenze Vostre dall’haver io fatto fabricar alla porta della fortezza Vecchia un rastello, con pilastroni di pietra viva, non solo per magnificienza, ma per sicurezza del corpo di guardia in quel luogo, non dall’haver perfettionata l’opera di salizar con placche la piazza riducendola a stato più civile e più riguardevole, ben si quello operassi di maggior rilievo et essenza.

La mia prima applicatione fu circa il porre in stato la fucina, che del tutto scoperta, sarebbe altrimenti riuscita infruttuosa di momento, rispetto alle pioggie che necessariamente s’attendevano nel progresso dell’autunno et nel verno. Restando perciò dal lavoro gli operarii nell’urgenza maggiore del bisogno e con tanto publico pregiuditio, quanto che è il profonder in salarii il denaro della Serenità Vostra senza riceverne alcun frutto e servitio.

Intrapresi poi l’accomodamento de gli corpi di guardia, ne’quali in particolare, passando una grande humidità, haveva guaste et infracidite l’armature vi stavano appese e continuando in maggior copia riusciria di considerabile nocumento alla salute de capitani e soldati, che perciò supplicavano la provisione et hora vivono consolatissimi, non restando loro che più desiderare in alcuni d’essi luoghi, quali sono tutti accommodati et abbeliti, in particolare quello di Spilea, reso con modo spatioso e degno.

Nel progresso attise le medesime supplicationi delle militie, feci ricouprir in buona parte gli alloggiamenti, parendo a me giusto che se stavano con grande strettezza, v’havessero almeno buono il ricovro.

Anzi con questa notitia dell’incommodo de soldati, che pur riguarda ancora il servitio e la riputatione publica, risolsi valermi d’una casa del tutto inutile alla Versiada e premendo nel lavoro, liberata nello spatio di poco tempo la strada, e dalle imonditie et dalle rovine delle cadute fabriche, ne feci un quartiero capace di circa 60 huomini con ogni desiderabile commodità, restando perciò molto consolato in me stesso.

Ma ad ogni modo Prencipe Serenissimo questo è anco poco rispetto al molto del bisogno in questa parte, perché una sola compagnia che di vantaggio s’accresca al presidio, manca subbito alle militie il ricovero e lo significai anco alla Serenità Vostra, quando per diffetto di passaggio convennero fermarsi a Corfù le compagnie destinate in Candia et a Tino, perché all’hora apunto fu necessario a valermi d’un magazzino de grani vuoto e farlo stanza di quelle militie. Ben è vero che mi fu rescritto parer ciò quasi impossibile, per ritrovarsi molte case in quella vecchia fortezza di raggione publica, comperate principalmente a tal oggetto. Ma repplicai però com’è vero che le medesime case publiche erano tutte rotte et abbandonate e che non si haverebbono ridotte in stato habitabile, se non con migliaia di ducati, spesa grande e da non entrarci senza particolar espressione publica; onde chiaro è il bisogno dell’opera e grave il dispendio.

Questa necessità di quartieri però non è solo nella parte inferiore della Vecchia fortezza, che si fabricasse suplirebbe pur che fosse capace di molta gente, ma nella cittadella ancora, se bene ivi assai minore saria la spesa, per potersi valere della materia che vi si retrova di molte fabriche già rovinate.

Nel castello della Campana non meno che altrove è evidente questo bisogno di alloggiamenti, perché se vi sono, essendo del tutto scoperti e senza legnami, restano inutili et il medesimo che se non vi fossero. Intrapresi il restaurarli persuadendomelo (quando altro non vi fosse stato) la sola riputatione del luogo e tanto più che li muri sono buonissimi e la spesa doveva riuscir poco grave. Ma convenni lasciar l’opera imperfetta, sendo vicino al termine del mio reggimento e sopragiungendo stretezza di danaro, la quale non mi permetteva lo spendere che nella mera urgenza de’ più gravi bisogni, li quali non permettessero dilatatione di tempo al provedervi.

Il medesimo bisogno di dispendio si osserva nella fortezza Nova, perché le case di capitani si ritrovano in mal stato e tra le fabriche vi è il magazino in particolare degli alloggiamenti, che per la sua debolezza più non può sostenersi. Da principio del mio carico lo feci riparare con puntelli, ma in fine è di necessità ceda alla forza del tempo, quando non si ponga mano alla sua restauratione, che sarà quasi un nuova fabricha. Non devo però in questo più estendermi, tanto più che l’illustrissimo signor mio precessor haverà rappresentanto il medesimo all’Eccellenze Vostre e coll’impulso del suo zelo ricercato facoltà et modo di proveder a simili importanti bisogni.

Me ne vengo dunque a trattare delle munitioni, parte essentialissima da considerarsi nelle piazze, le quali prive di queste restano a guisa d’insensibili cadaveri, inetti ad ogni moto di resistenza.

E perché la presente materia ha doi capi, sendo altre le munitioni da guerra altre quelle da vivere, ne discorrerò separatamente et con essatezza.

Quanto sia alle munitioni da vivere non m’occorre premettere nella loro necessità, perché l’Eccellenze Vostre se lo persuadono per loro medesime, non essendo possibile che le fortezze si sostengano senza soldati et gli soldati senza cibo e quello è necessario al sostentamento della vita.

Ben dirò e con infinita mortificatione di me stesso, che le fortezze di Corfù sono ridotte quanto a questa parte miserabili in modo che fra tutte le piazze dell’Serenissimo Dominio non v’è certo alcuna che sia così bisognosa d’esser invettovagliata e munita, come in sperienza mostrarò questa verità. Essendo che lo scoprir della piaga apporta si commottione, ma il penetrar questa quanto sia profonda è quello che ci fa conoscer la sua immportantia et ci rende più sollevati al’rimedio per sanarla.

Principio dal deposito de formenti, fu questa da me all’arrivo ritrovato del tutto estinto et nella cassa del detto deposito non trovai altro che soli ducati 25, se bene questi dovevano esser 10.000, che per la relatione ch’hebbi erano già stati spesi per havanti nelli pagamenti di militie, si come ne diedi parte con mie lettere alla Serenità Vostra.

Ben è vero che ritrovai mozza 200 di formento, il quale per l’informatione che hebbi erano avanzati dalla fabricha de biscotti al’illustrissimo mio precessore, et perché detti formenti andavano deteriorando li feci far in biscotti, con il medesimo scandaglio si come erano stati fabrichati gli altri et ancora di questo ne diedi parte all’Eccellenze Vostre.

Poco inanzi il mio partire ne comprai mozza 200 a reali 3 il mozzo, che a misura venetiana viene il costo circa lire 12 il staro, ma ciò fu quasi nulla rispetto a quella provisione di grano che ricerca il bisogno di piazze così principali et in riguardo poi della loro importanza mai si deve presuponer di superfluamente munirle.

Passo a quello de migli, nel quale da principio ne ritrovai che soli 1.900 stara et al mio partire ne ho lasciati 500, per haver dispensato il rimanente delle somma alli vilici nelle miserie della penuria, come ho già detto di sopra. Procurai riempire questa munitione proprio appunto delle fortezze non vi essendo grano, che più del meglio si preservi dalla coruptione. Anzi che ne havevo ritrovati stara 2.000 a lire 6 lo staro, conditione molto avantagiosa, ma convenni abbandonar il partito, scuoprendo esser mente della Serenità Vostra, espressa nelle ducali d’11 luglio 1626, che non si passi il prezzo di mezzo reale o tre terzi il mozzo, che importarebbe lo staro poco più di lire 3, com’allora ne diedi parte con mie lettere. Il medesimo impedimento resta per neccessità all’illustrisismo mio successore. Ancora quando non si habbi doppo il mio partire dato altro ordine, non essendo possibile che per gran fortuna ritrovar megli a così basso pretio. Ho riscosso il danaro da vilici per tratto de megli di stara 700, dispensati già molti anni prima da quel monitioniero a prezzo di lire 15 il mozzo, nella quale importante essattione, forse fuori di credenza, m’affaticai per riuscire in bene. Vi s’aggiunge il bisogno del denaro, perché se bene devono essere ducati 3.000 per il detto deposito ad ogni modo tutta questa somma, che è grande, è stata spesa in pagamenti di militie, così che al mio partire questa cassa non haveva in effetto che il semplice credito, onde anco questo deposito è quasi estinto.

La monitione de gli ogli fu da me ritrovata molto povera, perché la total summa non eccedeva 700 zare, di presente per l’ordinario consumo che se ne fa ne corpi di guardia di zare 5 al mese, si che restano sole 500 o poco più.

Gli acceti al mio arrivo erano del tutto estinti, anziché a pena si ritrovavano alcuni pochi avansi corrotti e guasti, senza poter riuscir più d’utile alcuno. Ne furono però di mio ordine fabricati 16 in circa et in fine ritrovata nella medesima isola buona congiuntura, perché al Zante et alla Ceffalonia valevano gli acceti quanto gli stessi vini, ne comprai 250 barilli a lire 10, pretio molto avantaggioso, premendo assai nel rimettere questa muunitione, come certo farà l’illustrisismo signor mio precessore mediante il suo zelo, che sarà forse accompagnato da miglior fortuna. A già stimo havere discorsa questa parte a bastanza e mi prometto siano per farci sopra l’Eccellenze Vostre consideratione matura, ricercandolo il ben essere di quelle piazze tanto celebri alla christianità et la mondo. Perché se bene pare che l’occhio concorra dove è la parte del corpo offesa et il pericolo della perdita, ad ogni modo il sole ch’è viva immagine del Prencipe da per tuto difonde la necessaria virtù de suoi raggi. Né la prudenza humana, che riguarda la conservatione nostra e delle cose nostre, permette diferenza tra il bisogno, perché è quello posso (massime facilmente) avennire, onde se non ci fa sempre superiori del tutto all’aversità, ci riesce però in ong’occasione di notabilissimo giovamento.

Vengo alle munitioni da guerra, e vaglia il dirlo a consolatione dell’Eccellenze Vostre, le fortezze di Corfù ne sono molto ben provedute.

E vi(?) principalmente un deposito di polveri così gande et abbondante, che apporta meraviglia a chi l’osserva et eccede senza il forse la credenza de chi non lo vede. Riservasi alle somme urgenze, cioè quando fossero strette quelle piazze e si dovesse per sostenerle far forza alla forza, onde sendo intangibili non ha dubbio che sempre sarà pronto questo grande apparato di munitioni togliendone la necessità. Il tempo nondimeno, che nel progresso finallmente il tutto annichila mediante la privatione del suo primo essere, benché per anco non habbia havuto forza di distruggere questo gran corpo, ad ogni modo l’ha reso assai debole, e già lo conobbero gli stessi periti, non solo per l’evidenza della raggione, che tanto loro persuadeva, ma per la medesima prova d’esse polveri, nella quale resta chiaro il difetto nella loro vehemenza, a paragone d’altre posteriormente fabricate.  Anziché fu arricordato perciò la necessità di raffinarli, se bene doppo stabilita non ha havuto l’essecutione. Io colla notita dello stesso bisogno e col motivo di puro zelo ravvivo il medesimo all’Eccellenze Vostre, sapendo certo non potersi tratare di negotio più rilevante per il valore della materia e per l’importanza de fini che riguarda. È ben vero che v’é bisogno sopra di consideratione, perché il rispetto di tanta quantità di polveri, che farebbe riuscir la refinatione molto lunga, quello del luogo, ch’è di tanta importanza, ricercano tutti che altrove s’intraprenda questa così gran’opera, ma potrebbe farsi a parte a parte, e dove meglio stimassero l’Eccellenze Vostre, le quali habbino pure per massima indubitata che abbandonarsi questo negotio, quando nel progresso, che Dio non voglia, occorresse sostener quelle piazze e diffenderle dall’oppressioni hostili, riuscirebbe disperata l’impresa, tanto più che gli preparamenti grandi, come non si fanno così non si rimettono senza profusion di terori(?), lunghezza di tempo e concorso di molte difficoltà.

Oltre il sopradeto deposito vi sono pure in Corfù altre polveri delle quali è permesso il consumo, quando per l’ordinarie fattioni, quando per supplire alli bisogni d’altre piazze e del Zante in particolare, dove n’inviai per li già scritti rispetti quantità conveniente all’urgenza, quando per sovenir l’armata, in caso non ve ne siano di sua raggione, come pur mi commisero l’Eccellenze Vostre con lettere de primo settembre passato, all’hora che risolsero inviar l’illustrissimo signor Capitano de galeazze Cornaro a porger soccorso all’illustrissimo signor Capitan pur di galeazze Capello, rispetto al combattimento havuto in Alessandretta con gli galeoni inglesi. Onde circa munitioni può versar il bisogno e la necessità né si deve metterlo in dubio, ma per divertirlo stimarei fosse bene il somministrarne con più frequenza.

Quanto all’a[rt]egliarie, che sono in gran copia, vero è che da principio le ritrovai così in mal stato che certo non vi si saria accommodata la mia credenza, se l’effetto stesso non me l’havesse fatto conoscer. Onde scuoprendo tanto bisogno e consideratione ancora, oltre il rispetto del publico servitio, la riputatione di quelle fortezze, dove fra gli pezzi d’artiglierie, altri erano mezzo montati con evidenza di dover riuscir inutili alle occasioni, altri caduti a erra, altri quasi che nella medesima sepolti, immediatamente risolsi di far provisione di legnami per la fabrica di nuovi letti e nel corso di poco tempo restò effettuata, come pure nel progressso la stessa fabrica. Questa è stata la più coppiosa che mai si facesse, arrivando a 184 letti, de quali 45 ne ho impiegati in servitio di quelle piazze, dove lasciai per ciò tutte l’artegliarie ottimamente provedute, e me ne assicurai con haverle una e doi volte osservate prima del mio uscir del carico. Cento ne sono destinati alle urgenze del Regno di Candia, per l’isatanze efficaci che me ne fece l’eccellentissimo signor General Molino. Informai l’illustrissimo signor mio successore della necessaria loro missione in quelle parti, non havendo il vascello albanese, qual d’ordine della Serenità Vostra capitò a Corfù per Candia, non poté levare se non alla summa di 30 letti, gli altri all’intiero della detta summa haverà supplito l’illustrissimo mio successore alle occasioni d’inviarli in Candia. Resta ancora pur Asso, Zante, Zeffalonia, perché quelli illustrissimi rettori me ne ricercarono, come pure al mio aviso fecero capitar la ferramenta di letti vecchi per armare così de nuovi, con minor aggravio publico mediante quel impiego, onde quanto a questa parte non resta certo che più desiderare.

L’armeria veramente si come si ritrova in buonissimo stato, rispetto alla continua applicatione d’un armarolo, che stimai ellegger con pieno gusto dell’Eccellenze Vostre, a fine d’acconciar quell’armi in parte rotte et di mantenerle nette dal rugine, che suole anco renderle mal condittionate, così resta hora sfornita assai, rispetto alla dispensa di 500 arcobuggi fatta all’ordinanza della città e borghi al tempo della mostra, stante il naufraggio seguito a Meleda, nel quale restai informato che quelle militie, all’hora impiegate in servitio sopra l’armata, perderono l’armi e con raggionevole scusa certo, mentre erano intente alla preservatione di loro medesime. Onde sarà necessario (come già scrissi a Vostra Serenità) siano rimessi altretanti arcobuggi a Corfù, anzi più tosto moschetti più proprii per il militar d’oggidì, a fine resti l’armata con la solita provisione d’armi, la quale è altretanto necessaria quanto d’honore e riputatione a quelle piazze.

Non parlo poi di palli e d’apprestamenti per occasione di guerra, perché non n’osservai bisogno alcuno.

Dirò bene ritrovarsi gli molini da mano quasi tutti inutili, restandone uno solo accomodato al uso nel bisogno, dove che l’illustrissimo signor mio successore potrà impiegare il suo ardente zelo nel loro acconciamento, sendo io stato sempre implicato in altre urgenze, le quali stimai più importanti, che per altro con pieno gusto haveri intrapresa quell’opera diretta anch’essa alla necessità della guerra. Per le quali complirebbe molto una munetione(?) di legne, come altre volte fu discora et abbraciata, benché non ne habbia veduta l’effettuatione, et che questa fosse intangibile, potendo solo quando andassero le legne a male impiegarsi nel servitio delli corpi di guardia, con risarcir il deposito con li ducento passa che sono destinati ogn’anno a tal urgenza mediante l’obligatione tiene l’armata.

Ma perché circa le munitioni doi cose possono considerarsi, cioè la dispensa e la conditione del ministro; quanto alla prima dirò io esser certo che mai uscì dalle munitioni predette cosa alcuna di mio ordine, se non legitimamente premendo, anzi nel vederne l’impiego in publico servito, stimando che senza questo non basti né venga apportato il debitore. Circa la qualità poi dell’munitioniero, già scrissi più volte a Vostra Serenità, che per l’importanza del maneggio e per le consequenze del carico, doveva egli havere in sé non solo attitudine e sufficienza grande, ma pari divotione e fede, in luogo massimamente di tanta gelosia, rispetti certo essentiali e che per mio senso saranno stati dall’Eccellenze Vostre molto ben avertiti nel’elettione di così principale ministro.

Né con questa occasione tralasciarò di significar alla Serenità Vostra, che per quanto fu a me possibile, m’addoperai in far che fossero riveduti li conti del munitioniero defunto Benedetto Tiepolo, onde in capo a poco tempo gl’inviai a Vostra Serenità, però circa alcune cose principali, come formenti, segale, migli e denari, e finalmente sollecitando sempre quel ragionato, ho veduto il pieno inventario di tutte le cose e portati anco gli conti al mio ripatriare qua a Venetia.

Ben è vero che in questi si può desiderar perfettione maggiore a totale evidenza della publica indennità, ma non è possibile il giungere a tal segno senza le note che tuttavia s’attendono da questi magistrati illustrissimi all’Arsenale, Arteglierie, Fortezze, Biave et Armamenti, di quanto habbiano inviato al detto munitioniero nel corso del suo carico, principiando dal 1607 sino al 1628, rispetto che il ragionato non ha di volta in volta appostato debitori il sopramassaro delle robbe ricevute, conforme a gl’ordini del Serenissimo(?) Bembo, auttenticati con publico decreto, e così manca il riscontro per veder il tutto chiaro, onde riverentemente arricordo la necessità della missione di dette note, perché d’altra maniera quest’opera converrà restar imperfetta senza assicurarsi dell’industria del publico capitale.

Passo hora a dire delle militie, de quali altre sono forastiere e pagate, altre del paese e senza stipendio, per non esser che destinate a gravi occasioni, senza alcun obligo di fattione, a che sono tenute le altre.

Discorrendo circa le prime dico mantener la Serenità Vostra un presidio di 565 fanti, che accresciuto poi colle compagnie estraordinarie si trattengono in Corfù, come in principale piazza d’arme, et sono triplicatamente numerose, ascenderà circa 900 soldati più e meno secondo l’occorenze e lo stato di dette compagnie, che hora sono piene, hora diffettive nel numero.

Da principio viddi quel presidio con mio particolar gusto ripieno di bona gente, come nel medesimo stato apunto di bontà lo lasciai al mio partire, non essendosi fatta certo alcuna perdita quanto a questa parte colla mutatione universale di quella soldatesca sotto il mio reggimento. Ben è vero che mi restava a destinar in oltre maggior puntualità e rigore nelle fattioni, tutto ciò ve lo introdussi ben presto moltiplicando (come ho già detto) le ronde et armando cinque caselli, oltre li primi che s’armavano, onde l’illustrissimo signor mio successore, per mio senso, ne doverà esser rimasto molto sadisfatto.

La maggior spesa, che faccia la Serenità Vostra in Corfù, è quella delle militie, nel nutrimento delle quali impiegarà ducati 48.000 in circa all’anno. Ma quando ella si risolvesse, come già ne le scrissi, di permetter ad uno delli doi capitani che stanno in cittadella, il riempire la compagnia sino alli 90 fanti e solo vi stasse a servire, come pochi anni fa era solito osservarsi, venirebbe certo ad avvanzare, havute in consideratione la paga del capitano regolato, quella del’alfiere e de gl’altri soldati, che cessarebbono ducati mille in circa all’anno. Lo repplico di nuovo riverentemente, conoscendo cosa di grande e manifesto utile, rispetto che con questa somma di danaro si potrebbe andare suppliendo in buona parte all’urgenza di tanti bisogni in quelle piazze, né il publico ne sentirebbe alcuno aggravio. E tanto più stimo dover ricordar questo, quanto che so d’haver nel medesimo tempo avisata Vostra Serenità ritrovarsi in quel presidio una compagnia sopranumeraria, il cui rispetto mi portò nel già detto pensiero, massimamente che havendo io scoperto un debito con il publico di oltre 14.000 lire sopra detta compagnia e so d’haverne dato parte con triplicate lettere, il capitano Iseppo Bozza, che da me l’hebbe per modo di provisione, havendosi obligato a disfalcarlo col quarto del suo stipendio, non essendo stato ancora confirmato nel carico, come egli ricercava et in tal caso solamente si sottoponeva al detto obligo di falco non d’alcuna sodisfattione, ma gode la compagnia come ogn’altro capitano del tutto libera.

Oltre le già dette militie vi sono poi gli bombardieri in numero di 52 e questi medesimamente provarono il medesimo rigore delle fattioni, in che sopra il tutto desiderai la puntualità e se m’occorso alcune volte ellegerne nella vacanza di piazze, son certo che no lo feci senza la previa notitia della loro sufficienza, mediante il rigoroso essame coll’intervento del governator e capo, in che, come in ogn’altra cosa, mai volsi havesse mai luogo l’affetto mio proprio o gli altrui uffici.

A cavallo poi servono gli stradioti sudditi oriondi da Napoli di Romania. Nello stato presente si sono questi avanzati assai nella bontà de cavalli, per il rigore, se ben moderato per molti rispetti, che usai alle loro rasegne, che però da principio ne cassai molti come troppo deboli e tristi. Si potrebbe far di vantaggio, ma la consideratione del tenue loro stipendio, che è di nove ducati al mese, il qual è di 45 giorni, mitiga il sommo del rigore. Ad ogni modo come sudditi divoti di Vostra Serenità, godendo del’ombra del suo dominio e della sua prottetione, vivono con contentezza d’animo e tanto più quanto che sono stati ultimamente gratiati della continuatione della loro militia dell’ordinaria facoltà, rimess’a quell’illustrissimo signor proveditor e capitano, di riempir le loro piazze vacanti, perché dovendo prima a tal fine conferirsi in questa città era ciò loro di troppo grave incommodo e danno, rispetto al dispendio che vi concoreva, ond’è stato effetto della benignità e clemenza publica, il consolare di questo modo una natione così benemerita e che d’altro non si gloria, che d’assersi più stabilito nella divottione e fede verso il suo antico Prencipe, quando fu constretta a mutar stato e fortuna.

Del frutto poi che possi apportar questa cavallaria al publico servitio, non intendo raggionarne, rimettendomi all’esperienza de tempi andati. Dirò bene che se vi si aggiungessero li cavalli, che doverebbono mantenere a requisitione publica gli baroni dell’isola, riuscirebbe ciò di molto utile nell’occorenza di bisogno, oltre che le publiche raggioni, c’hora giacciono prostrate, risorgerebbono colla dovuta reccognitione et ossequio.

Quest’obligo delle baronie significai alla Serenità Vostra esser antico sino dalla deditione di Corfù e con le scritture appresso le dimostrai l’adempimento senza alcuna dubietà, onde il ripeter adesso il medesimo vagli solo ad eccitarne la memoria, colla mira al essito proffitevole alli publici interessi.

Vengo alle militie del paese, che sono scolari bombardieri, ordinanze della città e borghi et del isola.

Gli scolari bombardieri sono ducento in numero, non compressi gli offitiali, divisi in quattro squadre, commandate et ammaestrate da quattro capi di bombardieri de principali.

Al mio arrivo ritrovai questa sorte di militia, introdotta dalla gloriosa memoria dell’eccellentissimo signor General Pasqualigo, molto diminuita nel numero e poco meno che senza disciplina. Onde conosciuto il bisogno, doppo riempite le squadre di buona gente, volsi fossero successivamente ogni domenica essecitati a colpir nel segno, conforme l’essecutione delli ordini del già eccellentissimo signor General Belegno in simil proposito, n’ho veduto quel profitto che desideravo, sendo hora essa militia non meno pronta et instrutta di quello si ritrovi in qual si sia altro luogo.

L’ordinanze poi della città e borghi saranno circa 900 et più ancora persuade la ragione, che queste come più trattabili e capaci di disciplina siano migliori di tutte le altre, ma l’esperienza però non me ne fece certo, mentre al mio arrivo ritrovai che il loro capitano Giuio Gritti non haveva di esse rollo alcuno, così che a pena conosceva li suoi offitiali. In capo nondimeno a poco tempo diedi parte a Vostra Serenità della formatione del rollo predetto, con scielta di 700 e più huomini fatta dall’universale descrittione di quelle genti, opera che mi riuscì certo di molta fatica nel progresso, ma di altretanto gusto poi nel fine, per la consideratione dell’essito così rilevante.

Queste cernede (torno a dire) nutriscono nell’altrui credenza ogni buona riuscita ne gl’essecitii delle armi, hanno perciò bisogno di valoroso et esperimentato capitano, che le vadi disciplinando, riducendo ad effetto et a frutto la loro capacità, è tale apunto il detto capitano Giuio, se bene aggravato dall’età, con indispositione grande, non può sodisfare come egli vorebbe al suo debito et al suo desiderio, onde sendo già al termine della sua conditione, non sarà se non conveniente in lui il riposo e per goderlo a pieno qualche recognitione, la quale doverà certo esser impiegata degnamente in sogetto di singolar merito e valore.

Restami a dire delle ordinanze dell’isola, le quali saranno mille fanti non più, perché la Serenità Vostra si serve di quelle genti al tempo nell’occasioni d’armar galee. Hanno questi doi capitani, cioè uno per ogni doi Balie et ogn’uno di essi ha quattro insegne sotto la sua disciplina.

Di questi viddi la mostra generale et in particolare mi riuscirono molto bene quelle d’Alestimo e di Mezzo, dando segno di buona peritia nel maneggio dell’armi. Non tanto mi sodisfecero quelle d’Oros et Agirù, perché sendo habitanti nelle montagne e ripiene di rozezza, come solo dediti al coltivar terreni, durano fatica a riuscir anco mediocremente ne melitarii essercitii con lunghezza di tempo.

Addotto quanto m’è occorso circa le militie, mi porto al terzo capo della mia rellatione. E perché da principio mi si fa avanti il luogo della Pargha, dirrò all’Eccellenze Vostre esser questo situato in terra ferma vicino al mare, distante dall’isola 50 miglia. Vi saranno 1.200 anime in circa, e da fattione 460, sendo tutti questi legnaioli, fabrichatori di barche, di botte et di loro si serve il publico bene spesso nel tagliar legnami per quelle fortezze e per questo arsenale, anziché formai d’essi un rolo, come anco di quelli del borgo delle Castrade, a fine sia noto sempre quali siano gli più sufficienti et obligati nell’occorenze di si importante lavoro.

Sono gli parghinotti molto poveri, né rispetto all’angusto territorio del luogo hanno terreni a bastanza per il loro sostentamento, ricevendo per ciò la maggior parte del vittò dalla terra ferma, la quale per il detto luogo principalmente soministra alla città ancora e grani e animali et altre cose, onde bene si scorge di quanto utile e benefitio riescha il luogo della Pargha. Oltre che capitandovi barche da molti paesi, sendo gli turchi vicini, viene da quel governatore spediti gli avisi, che vi s’intendono al proveditor et capitano di Corfù.

Il detto governator è un cittadino corfiotto, che dal’illustrissimo reggimento Proveditor et capitano viene eletto di anno in anno. Ha carica d’invigilar alla buona custodia di quel luogo et al ben esser di quelle genti a quei confini. Giudice nel civile, ben che sino a ducati 25, e nel criminale ancora, havendo auttorità di far porre prigioni, dar la tortura, ma quando il delitto merita pena di sangue, bando, galea, formato il processo lo rimette secondo la qualità del reo all’illustrissimo reggimento o proveditore et capitano.

Vi mantiene Vostra Serenità un capitano con 20 fanti et un bombardiero, ma l’estate vi se spedisse rinforzo d’altri 20 soldati del presidio, con quell’appresso fa di bisogno, per la diffesa di quei sudditi in occorenza di corsari o d’altro accidente.

Solevano passar già rumori grandissimi tra li parghiotti e gli turchi di Margheriti loro confinanti, et in particolare al mio arrivo vi si scorgeva poca buona intelligenza per il credito, che tuttavia tengono essi parghinotti di 100 reali con gli medesimi, conforme alla sentenza della Porta, in resarcimento dell’asportatione che già seguì de loro animali, il qual denaro fu anco per metà sborsato, ma però(?) poi è convertito dal Bei in proprio uso. Tutto ciò stimo siano certo insieme accordati e reconciliati, perché gli stessi di Margheriti lo bramano, et io pure essortai questi vivamente, anzi gli persuasi, colla raggione del loro bene, a valersi dell’occasione et ad abbracciarla.

Il medesimo tentativo di riconciliatione e di pace fu fatto a parghinotti da quelli della Prevesa e di Santa Maura, ancora concluso e stabilito dell’tutto avanti il mio partire, che però si promette hora quei sudditi gran bene, perché oltre l’intendersi col’gli vicini, li quali prima solevano bene spesso turbar la loro quiete, potranno anco mediante la libera prattica in tutte quelle parti, haver il commodi di tagliar legnami per proprio uso e di astrazer grani per il loro sostentamento. E quello che pur è di nominosa importanza al publico servitio, più facile sarà il penetrare per il loro mezzo gli andamenti de Turchi et ogn’altro particolare.

Non tralasciai di visitare poco havanti il detto luogo della Pargha, che servi pur amirabile consolatione di quei sudditi, mentre attestai loro quanto siano cari alla Serenità Vostra e quanto gradisca la loro divotione e fede. Osservai gli bisogni di restauratione in molte parti, né potendo applicarvi l’animo, rivolto ad altri negotii, sendo anco vicino alla partenza, ho lasciato all’illustrissimo mio successore piena instruttione del tutto e portato dal proprio suo ardore nel publico servitio, non macharà certo a questo et ad altre necessità.

Poco lontano dalla Pargha vi sono le aque del Fanaro, dove gli sudditi di Vostra Serenità vanno a peschare e da essi, per la giurisditione che è sua propria, ne cava un piciol datio di ducati 12 in circa all’anno.

Pasando al ingiù 5 miglia discosto dalla città vi è il luogo detta la Bastia, principal scala, di dove capitano, oltre a grani e vini, molte mercantie per quella città e per quest’ancora, quali vengono prima riposte in quel lazaretto a far la contumacia.

Qui appresso vi sono le aque, dette per ciò della Bastia, che conforme a quelle del Fanaro s’affittano al publico incanto e la Serenità Vostra ne cava all’anno circa ducati 110.

Più a basso al dirimpetto della città vi è il luogo detto Buttintro in distanza di 9 miglia. Ivi sono le peschiere, che per la vicinità del luogo si chiamano Buttintro, e la Serenità Vostra ne trazze di datio circa ducati 8.500 all’anno, affidandosi di cinque in cinque anni al publico incanto.

Questo datio, ch’è il maggiore di tutti gli altri a Corfù, si ritrova in stato tale, che non porgendosi rimedio al danno grande ch’apporta alle dette peschiere la vicina fiumara, detta la Paula, mentre crescendo vi scorre dentro con notabilissimo preiuditio de conduttori, che perdono il pesce in tal occorenze, decaderà molto alla vicina condotta dal suo ordinario, com’al’incontro divertendosi questo danno, è per ascender per comun senso ducati 10.000.

Io per questi rispetti mi conferii sopra quel luogo e doppo haver conosciuto che meglio ciò non possa succedere che con far un taglio, per il quale prendessi la detta fiumera altro corso, ne formai l’accordo con reali 300 con un tale turcho, il quale ne haveva preso il carico, tutto ciò esperimentando nel principio l’impresa troppo dispendiosa, con manifesta perdita, nel progresso levò mano al lavoro, né di nuovo l’intraprese, ancoraché gli interessati nel datio le offrissero in dono 50 reali di propria borsa. E per me stimo che sarà certo necessitato l’illustrissimo mio successore a farli qualche crescimento, perché non resti abbandonata opera così fruttuosa, come bene la conobbero l’Eccellenze Vostre all’aviso che loro ne porsi.

Per sicurezza di dette peschiere ritrovai ivi una torre, che per il lungo e continuo corso delle aque è dalla loro salsedine corrosa alla pianta, haverebbe certo bisogno di esser restaurata, facendoseli una contrascarpa per totale fermezza, non potendosi, massimamente quando sia vero quello di che restai informato, riedificare doppo caduta. Ma come si sia, servendo questa di commodo a gli huomini che assistono alle dette peschiere e per diffesa delli medesimi in caso volessero gli turchi danneggiarla, stimarei (quando così paresse alla summa prudentia dell’Eccellenze Vostre) fosse bene, come già loro scrissi, il far questa restauratione, la quale facendosi poi con desterità e non interessando il nome publico, non alterarebbe per mio senso in modo alcuno l’animo de turchi. Tanto più che solo si tratterebbe di conservar il già fatto, non di rifabricarlo di nuovo, nel quale caso si haverebbono più verisimilmente ad incontrare quello che hora con minor cagione pare si tema.

Dalla parte inferiore delle dette peschiere vi è uno spatio di terreno ben di otto e più miglia, che portandosi fuori in mare oltre il luogo detto Santi Quaranta forma una penisola et è nominato Essamili. Questo è compreso nella iurisditione di Vostra Serenità, ma per esser il detto spatio di paese quasi tutto sterile, rispetto alli monti e sassi che vi si ritrovano, oltre che gli turchi dall’altro capo confinando tengono occupato, rende poco utile. Onde gli heredi del quondam Cavalier Condocali, la famiglia del quale ne fu investita dalla Serenità Vostra in una portione di campi cento, tra il pascolo e quello viene loro corrisposto dalli albanesi, d’alcune poche seminative che sogliono farsi a certe rive, non cavano d’affitto più che ottanta ducati all’anno.

Dall’altra parte delle dette peschiere dentro nella terra ferma vi sono boschi grandissimi, ne’ quali si tagliano legnami, così per servitio di quelle fortezze come di questo arsenale, et io nel corso del mio reggimento, se bene privo di quel danaro che è solito destinarsi a tal impiego e construtto tal volta a ritrovarne, come feci sempre senza alcun interesse publico, ne ho fatto un taglio maggiore che si facessi mai. Perché oltre una provisione coppiosa de legnami per letti d’artiglieria, havevo inviato a quest’arsenale più di 2.000 sortami per la fabrica di galee, havendo premuto sempre nella loro missione al partire de vaselli per Venetia.

Ma certo che quest’importante affare, incaricatomi con più mani di lettere publiche, efficacemente mi riuscì molto grave, più per rispetto de sudditi che delli stessi turchi, perché gli sudditi posero sempre a campo mille difficoltà, astringendomi ad usar il rigore e la forza, acciò si conducessero al’opera del taglio, dove per lo contrario li turchi lo permisero così copioso e pure so certo che Vostra Serenità, fosse mia buona fortuna o altro che io non devo penetrare, non ha sentito alcun dispendio in donativi, anco d’un semplice vestito.

Di qua è facile il comprendere la buona intelligenza che passa a quei confini fra gli turchi medesimi e gli sudditi di Vostra Serenità, oltre che non si può negare che fra di loro non passi negotio di panni, di grani et d’altre cose con reciproca sodisfattione.

La stessa quiete e pace vive pure con gli sudditi turcheschi, li quali non solo vengono volontieri ad habitare nell’isola, facendosi per habitanti del paese, ma di più amando servitio e sodisfattioni(?) delli buoni trattamenti ricevuti nelle passate occorrenze di guerra, sono prontissimi ad abbracciarlo di nuovo, come anzi fecero l’offerta et l’essibitione, quando già ne diedi parte all’Eccellenze Vostre, che sopra le mie lettere spedirono a far levata di 300 fanti greci e cimerotti il generale Pietro Rondacchi, il quale col mio aiuto e la mia opera s’avanzò molto nell’adempimento del suo obligo.

Haverei ancora procurato la levata dell’altri 600, comessami dalla Serenità Vostra con l’ordine posteriore, ma fui constretto alla renontia del carico. Spero però che l’illustrissimo mio successore haverà potuto sino al presente condur a buon fine questo negotio, superando ogni difficoltà che havesse potuto incontrare.

Passo a discorrer del lazzaretto et qui entro nel quarto et ultimo capo della mia relatione.

Quel luogo fu erretto l’anno 1575 per facilitar il nosgotio a questa città e per assicurar anco la salute di quei sudditi. All’hora fu dalla Serenità Vostra posta una tassa o gabella circa le mercantie a fine che nel progresso venisse di tal modo a rinfrancarsi della spesa fatta in simil fabbricha. Il tempo nondimeno nel corso di tanto spatio, havendo causati in detto luogo una deterioratione molto grande, per la quale non senza raggione se ne querellavano gli mercanti, sospinti dall’interesse proprio, rispetto al danno venivano a ricever le loro mercantie nel caso di pioggie; e considerando io coll’evidenza del bisogno il sommo pregiuditio era per risultarne al publico nel particolar de datii e gabelle, risolti di restaurarlo dall’una parte e perfettionarlo dall’altra, con aggiunta di nuova fabrica, riducendolo nello stato che pur si vede.

Sono hora in detto luogo coperto dall’una e l’altra parte le stalie 24, alle quali in molti luoghi erano caduti gli tetti, con rottura e fracidamento di legnami. Ritrovandosi fortificate ne muri, dove erano deboli o per qualche rovina inutili al bisogno. Tengono oltre l’ordinario le tramezzate pur di muro, restando così tolto il dubio della prattica fra gli mercantii liberi dalla contumacia e dalli sospetti con manifesto pericolo d’infetitone, non facendo io all’hora differenza che le mercantie passassero direttamente e senza contumacia dalla Bastia a Corfù o vi fossero condotte dal lazaretto medesimo, dove coperte l’habitationi de guardiani e del priore, fatti acconciar li moschetti e l’armi, più certo non resta da desiderare.

Ma in vero Prencipe Serenissimo, come in quest’opera così grande e necessaria hebbi gusto particolare di prevenir gli publici commandamenti, così restai restai sodisfattissimo della spesa concorsavi del denaro e del tempo, perché in capo a tre mesi ridussi a perfettione il tutto con soli 1.200 ducati, e pure tante difficoltà mi s’opposero, fra le quali in particolare quella di convenire a forza di martelli cavar dalle viscere della terra e dal vivo sasso la materia per il lavoro.

L’utile che si cava dalla sopradetta impositione sopra le mercantie, che pure tuttavia continua, è stato sin adesso di circa ducati 600 all’anno, e spendendovene 400 e più ne salarii del priore de guardiani et altri officiali, rimangono solo 150 ducati in circa all’anno. Ma ad ogni modo, sendo questa restauratione e nuova fabrica per riuscir di molto commodo alli turchi, non ha dubbio et essi medesimi l’affermano, com’anzi principiai a vedere qualch’effetto, crescerà il concorso loro con le mercantie e quest’utile ascenderà a maggior summa dell’ordinaria, per lo che in poco tempo Vostra Serenità è per rimborsarsi il denaro speso in opera certo non manco durabile che fruttuosa.

Hora me ne vengo a trattar Camera fiscale, discorso che seco porta tre considerationi, cioè dell’entrata e dell’uscita, del’aministraitione del publico denaro et della qualità de minustri.

Circa il primo capo è noto per mio senso all’Eccellenze Vostre che la camera di Corfù, compresi gli dacii, i censuali non arrivano a 17.000 ducati d’entrata all’anno, e ne spenderà per il meno 70.000, non comprendendo alcuno estraordinario. So(?) che altre volte fu riccordato a Vostra Serenità l’accrescer queste rendite con l’aggiunta di qualche datio, in particolare sopra il vino, ma io ne resto alquanto sospeso nell’animo, e perché quel paese di presente non è molto fruttifero, per le raggioni addotte di sopra, e perché quei popoli, non soliti ad alcuna novità simile, stimarebbono grave et intollerabile ogni benché lieve peso.

Che però non è meraviglia se per la povertà della Camera il proveditor e capitano di Corfù bene spesso si ritrova in strettezza di danaro, la quale quanto riesca grave si può di vantaggio considerare et io ne aggiungo il mio testimonio, sendo che fu questa l’unica afflittione provassi in quella carica, ne’ primi sei mesi della quale esperimentai al vivo di come siano accerbe le ponture della necessità. Volse però Dio benedetto sollevarmi e consolarmi insieme, perché nel progresso, et da Venetia et dal Zante e Ceffalonia, mi capitò danaro in gran somma, così che oltre l’haver sodisfatto sempre intieramente le militie et altri stipendiati, haverò anco soccorso ne’ più gravi bisogni l’armata con forse più di 80.000 ducati e sempre ne diedi conto a Vostre Eccellenze particolarmente.

Dell’amministratione poi del publico danaro poco mi occorse dir all’Eccellenze Vostre, perché nel corso del mio reggimento, che è stato di circa 25 mesi, conobbi sempre passasse con ogni candidezza, né le buone regole e forme che tiene quella Camera lasciano in ciò alcun dubio, non potendosi poi chiuder assolutamente l’adito ad una libera e mal disposta volontà.

Quanto sia alli ministri, regolandomi con quella sapienza che ne ho preso nel corso del mio carico, non posso dir altro se non che sono del paese, né so approvare che ogn’officio a Corfù cada nelle mani di genti del paese. Anziché fu già con parte espressa stabilito, che quello di raggionato in Camera fosse commesso ad altro soggetto forastiero, ma suddito, con farne qui l’elettione, benché l’esperienza hora non corrisponda alla publica volontà.

Ciò parmi degno Signori Eccellentissimi di considerattione grande, perché una profonda cognitione de gli publici interessi e cose publiche, come ha lo scontro et il ragionato predetto, forse non è bene sia commune a tutti, come per avventura più ad uno che all’altro si converebbe. Oltre che trattandosi de greci, gli rappresentanti hanno gli ministri interessati o per amicitie o per parentelle e nell’esiger d’un credito publico s’incontrano mille difficoltà, viene portato il tempo della sodisfattione in lungo, se bene io superai il tutto col mezzo d’un ostinata, ma degna premura in questa parte, havendo riscossi anco alcuni vecchi con essecutioni rigorose, in modo che non ve n’haverò lasciato certo in tutta somma di ducati 1.000.

Me ne passo alla fabricha de sali, nella quale con ragione gl’illustrissimi proveditori e capitani impiegano sempre ogni maggior spirito loro, sendo chiaro consister in essa lo sforzo delle publiche rendite. Io pure caminai col medesimo ardore in questa parte et se bene non hebbi di qua alcun(?) denaro per simil impiego, ad ogni modo mi sono valso in ciò di quello delle militie, senza che pur ne venisse a sentire il publico alcuno interesse, scoppo mio principale in qual grave urgenza si fosse restarono ogn’anno coltivate le saline e conforme all’ordinario continuata la fabricha de sali, che nel corso del mio reggimento è stata di migliara 270.

Restami a dire del mandracchio. Questo fu fabricato dalla gloriosa memoria del serenissimo Bembo, all’hora che fu capitano General da Mar, per stabilire alle galee et all’armata porto sicuro in luogo appunto dove l’è ascritta e destinata la sedea(?).

Fu grand’invero l’impresa, se si considera questo fine importante, ma non minore forse se si fa refflesso alla difficoltà di gettar li fondamenti sopra il vivo e profondo del mare, con spesa quasi ch’inestimabile e di fatica e d’oro. Lasciola il Serenissimo predetto in stato quasi perfetto, non mancandole altro che parte del’ultima coperta, nella quale non essendo poi stata posta altra mano, è avvenuto che nel progresso del tempo, per il continuo batter delle aque e per il tormento dell’artiglieria delle galeazze, che particolarmente vi si scaricano sopra nell’occorenza di spalmare, si sia col rimanente della polporella sino alli fondamenti distrutta. Io però incaricato dall’Eccellenze Vostre, insieme coll’ilustrissimo signor Capitano del Golfo Giuliano, principalmente a questa restauratione, perché quanto all’escavatione ella è facile, né per ancora tanto necessaria, perfettionai certa parte di quest’opera, havendo perciò fatto tagliare quantità di petre grandi in terraferma, sendomi poi fermato dal progredir più oltre per esser nel fine del mio carico, nel quale dovendomi succedere l’illustrissimo signor Andrea Morosini, di quella virtù e di quel spirito che è ben noto all’Eccellenze Vostre, presuposi che haverebbe ciò fatto con ogni premura, se bene quando altrove non habbino a spalmar le galee grosse nel qual caso, e cadono le immonditie nel mandracchio e per il peso dell’artiglierie che si scaricano, così la porporella com’ogni altra parte si risente e cede all’violenza del tormento, resterà il tutto infruttuoso.

Ma già veggomi portato al fine della relatione mia. Devo però aggiungere prima che il tutto conciuda(?) e sarà per compimento di quanto conosco esser mio debito in questo punto, che nel corso di quel reggimento godei questo particolar favore di fortuna, che da tutti quegli illustrissimi rappresentanti non hebbi che più desiderare di sodisfattione.

Monsignor Reverendissimo Arcivescovo Bragadino capitò e fece ritorno alla sua residenza alcuni pocchi mesi doppo il mio arrivo e fu da me veduto con quel termine et affetto che merita il suo stato religioso e l’eminenza della sua carica. Lo rappresento a Vostra Serenità per un prelato di buona mente, di vita incontaminata. Seco non hebbi più che tanto di negotio, ma ad ogni modo mi si fece sempre conoscere di ottima intentione et desideroso d’incontrar così il gusto mio proprio come quello d’ogni altro rappresentante, dimostrando al vivo, doppo il governo e cura della sua Chiesa, non haver in altro collocati i suoi pensieri che in questo.

La carica di bailo in quella città restò al mio partire appoggiata alla persona dell’illustrissimo signor Marc Antonio Malipiero, la virtù e la prudenza del quale, come hanno havuto forza di accrescer il suo merito con la patria, oltre la satisfatione di quei sudditi, così sono stati per proprie per mantener sempre meco quella unione e corispondenza che tanto ama la Serenità Vostra, come profitevole al suo servitio. Et il medesimo devo pur dire delli clarissimi signori consiglieri Antonio Cigogna, Giacom Riva et Nicolò Zanne, li quali tutti non mi lasciano che desiderar di sodisfattione, in particolare quando si sono impiegati nel maneggio del publico denaro in quella Camera, nel qual caso maggior testimonio ancora diedero a me et al mondo della loro applicatione et integrità.

M’occorse in quella carica riconoscer e servire tre proveditori dell’armata, che furono l’illustrissimi signori Nadal Donado e Filippo Belegno di gloriosa memoria, e Lorenzo Tiepolo, che attualmente sostiene quel grado con quella dignità e splendore et con quel avantaggio de publici interessi che bene sanno l’Eccellenze Vostre. Con questi signori illustrissimi, come con tutti gli altri capi da mar, ancora procurai sempre di agiustarmi quanto più mi fu possibile, nel che ritrovai certo piena corrispondenza. Onde mai mi chiesero rinforzo di gente o soccorso di danaro che non premessi nel grattificarli, restandomi essi satisfattissimi. A concorer poi come fecero all’intiera obedienzia et essecutione de publici commandamenti(?) fine unico e mezzo proprio di chi mira la sodisfattione dell’Eccellenze Vostre et il loro servitio.

Questa è la somma tutta del mio discorso e di quanto mi è parso dover rifferire all’Eccellenze Vostre, il cui gusto, se io non haverò pienamente incontrato, si compiaceranno attribuire il mancamento alla mia debolezza, la quale mi farà degno della scusa, tanto più che quanto sia alla sincerità et al zelo che devo tener del servitio di questa Patria, intendo haver a pieno supplito, restandone molto consolato in me stesso e con ciò termino la relation mia.