1635 Lorenzo Dolfin
Relazione
Relazione di Lorenzo Dolfin ritornato di Provveditore e capitano a Corfù
1635 settembre 1
Serenissimo Prencipe
Questa eccellentissima Republica, studiosa alla sicurezza del suo Stato et a prosperare istessamente i publici interessi, eguale ed incessante ad invigilare con inesplicabil prudenza et con affetto paterno al ben essere de suoi sudditi, ben con maturo consiglio ha ingionto obligo speciale a suoi rappresentanti nel ritorno da governi delle città, presidii et popoli del Dominio suo, di rifferire pienamente alla Serenità Vostra et all’Eccellenze Vostre il vero stato di quelle et di questi, per potter fondatamente et con le proprie deliberationi applicare i più uttili rimedii e provisioni, ove concoresse il bisogno.
Piacque alla Serenità Vostra di conferire a me, Lorenzo Dolfino, devotissimo et riverentissimo servitore suo et dell’Eccellenze Vostre, la carica di proveditor et capitano di Corfù. Rappresentanza in vero importantissima per la conditione et qualità sua.
Io ritornato da questa, ben volentieri e con allegro animo e per ubbidienza della publica volontà et per il zelo che conservo inalterabile del buon servitio della Serenità Vostra, intraprendo la fontione, con cossì lodevole et ottimo fine instituita e procurando di supperar me stesso, tenirò fisso il penssiero d’incontrarmi, in quanto mi sarà concesso dalla mia debolezza, nella buona intentione publica. Mi appiglierò adunque a punti più gravi ed essentiali et che altre si per mio riverente senso meritano l’applicatione del riflesso prudentissimo della Serenità Vostra et dell’Eccellenze loro.
Meno mi estenderò in descrivere l’una et l’altra di quelle fortezze e città, come cose tutte molto ben notte alla Serenità Vostra. Dirò solo esser le fortezze senza dubbio, per la venustà(?) del loro sito in espugnabili. Godere elle il più bello et prezzabile dall’opera della natura, che con facilità mirabile ha prevenuto in ciò l’industria e poco meno che tutti i lavori de gl’artifici, a quali certo ella superba non riconosce in queste che picciol obligo, onde si rendono maravigliose e famose, cossì ben meritatamente si possono chiamar, come in effetto sonno, giogie inestimabili, la base et il cuore della sicurezza del maritimo Imperio, anzi animurale della Christianità tutta.
In queste arrivato io mi diedi immediate a fruttuosi travagli, né hebbi più vivo oggetto che d’invigilare alla buona custodia, ben esser et riputatione loro, come ricerca il decoro della Serenissima Repubblica et d’esse medesime et il dritto de publici affari.
Volsi con particolare diligenza rivedere quelle compagnie, che in vero trovai provedute di buoni et ben disciplinati soldati. Questi però, per lo sbando fatto d’ordine della Serenità Vostra di tre delle compagnie desse che erano delle più numerose, cioè l’una di cento e cinquanta, l’altra di cento et la terza di cinquanta fanti, sonno restati così ristretti, che ben difficilmente al presente possono supplire all’ordinarie fattioni, onde per non disarmar alcuni caseli, che in diverse occasioni furono novamente fatti fabricare da eccellentissimi generali, convengono fare tre di dentro e tre fuori, aggravio incompatibile. L’accrescer di queste militie parmi complisca sommamente alla sicurezza di queste gelose piazze e lo stimo altre tanto bisognevole, massime nel tempo dell’estate, mentre in questa staggione si conviene armare le saline per custodia de publici sali, interesse molto rilevante alla Serenità Vostra, mandarne alla Parga per rinforzo di quel luoco et alle volte al lazareto ancora per guardia e sicurtà delle mercantie che là capitano, oltre che continua è la diminutione e per accidenti d’infermità, di morte, per effetti di giustitia et perché ancora molti ne fuggono. Crederei però che per augumentar queste militie fosse bene, senza missione d’altre compagnie, ridur in numero di sessanta fanti effettivi cadauna di quelle che per servitio di quei presidii in avenire si espedirano, mentre di questa manera, supplendosi bastevolmente all’urgenza, si venirebbe ad avanzare le paghe de capitani et officiali, che si converebbe spender col accrescimento di altra compagnia, rimettendo però questo mio riverente senso alla somma e matura prudenza dell’Eccellenze Vostre.
Mi parve non minormente neccessario il vedere li publici magazeni dell’una et dell’altra fortezza, come anco li alloggiamenti de soldati et bombardieri. Questi, sicome riverentemente avisai con mie lettere di 19 maggio 1633, ritrovai in malissimo stato et anco alcuni di essi ruvinosi et stimolato particolarmente dal proprio debito, inviai con dette mie notta di quanto bisognava per il loro accomodamento, ma non essendo stato spedito in quelle monitioni alcuna cosa per questo spetial affare, restano al presente nel primiero mal essere, ben che habbi procurata la loro restauratione, in quanto mi è stato possibile et per mezzo dalle ristrette mie commissioni in materia di spese. Non mi resta però che considerare alla Serenità Vostra col solito della mia riverenza, che essendo et li alloggiamenti per servicio de soldati et li magazeni per conservare le publiche monitioni molto neccessarii, quando non si applichi il penssiero al loro ressarcimento, che può seguire ben con qualche spesa, si converrà poi ridurli nel primiero stato con dispendio molto eccedente et rilevante, e pure può alcuno ruvinare più che di breve.
Con particolar scontento del mio animo non posso certo dire di non haver osservata la pessima conditione di tutti questi luochi co’ l’evidenza del bisogno et con tanta spesa della Serenità Vostra erretti.
Incontrai pure non picciola mortificatione et egual stuppore in veder le munitioni di così celebri piazze non solo mancanti, ma si può dire affatto prive delle cose più neccessarie e de quali le fortezze devono esser continuamente munite. Poiché al mio arrivo non trovai pur un granno di formenti nelle munitioni stesse et meno denaro in quella cassa per farne la provisione, quale per mio senso stimo di vantaggio neccessaria, come tale è stata anco giudicata per l’adietro dalla publica sapienza.
Pare impossibile ed è pur vero, ch’io trovassi pur anco sforniti quelli magazeni di megli, che servono ad uso d’importante e propria monitione, et se benne picciola quantità di essi ne tenivano, era però di modo fracido e guasto, che fu ispediente, in conformità degl’ordini della Serenità Vostra, gettarlo al mare, per non tenir infruttuosamente occupato un magazeno.
Questo deposito è stato da me con ogni possibil vantagio publico in parte redintegrato et al presente ne ho lassiato in quelle monitioni stara mille quattrocento e sei, et in quella cassa ducati quaranta due in circa, onde doverà l’illustrissimo signor(?) mio successore supplire al detto deposito, che è più che urgente, con altro denaro.
È cosa altre tanto mostruosa il sentirsi che quelle monitioni non solo non siano bastevolmente provedutte di oglio, raccogliendosene massime tanta quantità in quell’isola, ma che ne anco non ne habbino più che zare doicento sessanta et che tra queste ve ne siano circa cento e vinti ridotte in morga [feccia dell’olio]. Raccordai riverentemente con mie di 13 giugno 1633 che sarebbe stato a proposito fare di questa alcun esito et investire il tratto in oglio buono, prima che si rendesse afatto in utile et si faccesse terra, ma non havendo sopra ciò ricevuto mai alcun publico ordine, non stimai benne, senza l’assenso della Serenità Vostra porvi altra mano.
Queste ritrovandosi ancora in qualche buon essere, si può sperare di cavare alcun uttile, per investire il tratto in oglio buono, che sommamente è necessario, particolarmente per il continuo consumo che se ne fa nei corpi di guardia.
Ritrovai parimente gl’acceti in pochissima quantità et questi ancora andavano a male, come pure faranno in poco progresso, per il mancamento de arnasi[botti, recipienti da vino] sufficienti, che vorrebbero esser cerchiati di ferro. Diedi anco di questo riverente conto più volte alla Serenità Vostra, la quale si compiaque rescrivermi, che l’ordine per la ferramenta era stato già dato et che sarebbe inviata, ma però mai è stata essequita questa publica volontà et al presente ne ho lasciato in quelle monitioni barille cento sessanta cinque.
Ha inteso la Serenità Vostra come quell’importanti piazze siano cossì strettamente scarse di monitioni da vivere, e pure chi non sa che il buon provedimento et la conservatione di questa sia al sommo neccessaria, mentre quella mancata, non vi è dubbio alcuno che sii affatto perduta la diffesa, consistendo ella più nel mantenimento e continuatione del vito, che in ogn’altra cosa; tutta volta in questo punto a me non occore aggionger di vantaggio al sano giuditio dell’Eccellenze Vostre.
Sonno pur anco mal provedute quelle fortezze di munitioni da guerra et s’io debbo dire il vero alla Serenità Vostra, stuppeffato quando entratto in quei magazeni viddi nude le mura e sfornite le restelliere di moschetti, arcobusi et spade, né potei che egualmente affligermi di un tanto mancamento, quale rappresentato io immediate con le stesse mie di 19 maggio 1633, fu rimesso all’eccellentissimo signor Inquisitor Basadonna, il penetrare de chi, quando et in che maniera fossero state dispensate queste armi, onde a me in questa parte fu levato il modo di poter servire alla Serenità Vostra e con tanta maggior mia mortificatione, quanto che havendo io communicaro all’Eccellenza Sua quel importante negocio, per ubbidienza delle publiche commissioni, per la moltiplicità de gl’affari che teneva con l’armata, non le è stato concesso tempo di applicarsi ad indagare in questo non insesibil interesse et tutt’hora restano quelle monitioni prive di così neccessarii apprestamenti.
Anco nella fortezza Nova, si come pur avvisai, non s’attrova alcuna munitione, né da guera né da vivere, e pure crederei che il conservare anco in essa al meno un deposito di arme e di polvere fosse se non bene.
Rifferendo poi il stato di quell’artigliaria, dirò esser ella in maggior parte in buon essere, non già perché al mio arrivo ve la trovassi, ma perché nel progresso del reggimento ve l’ho rimessa, con la provisione opportuna de legnami e con la fabrica de letti, che fecci fare con l’evidenza del bisogno, mentre buon numero di quei pezzi posti sopra le mura et belouardi eran scavalcati et affatto in terra, senza pottersene valere in caso di bisogno et con indecoro grandissimo di quelle piazze. Questi altre volte con fruttuoso servicio eran proveduti di rispetti et coperti da mantilletti, ma al presente provano, e dell’uno e dell’altro, estrema neccessità, con tanto maggior danno publico, quanto che ne verno per la quantità delle pioggie marciscono li leti et ruode et l’estate per li eccessivi caldi si seccano et creppano. In quelle monitioni per far mantelletti non s’attrova pur una tola, onde il provederne stimo gran risparmio e servitio publico.
Mi successe di trovare ancora le polveri, monitione tanto importante, così poche, mal conditionate e con li caselli quasi scoperti et pieni d’humidità, che gran meraviglia non è che fossero andate a male. Applicai immediate il pensiero al loro racconcio et feci in sieme governare le polveri d’esse per la loro conservatione. Queste però non assendono a più che a barilli et cassette doicento sesanta, onde essendovi l’ordinario consumo per essercitare li scolari bombardieri, le militie et cernide, riesce summa molto debole al bisogno, convenendosi in oltre mandarne ben spesso al Zante et Ceffalonia, per servicio di quelle fortezze, et somministrarne all’armata ancora. Parmi per ciò che il spedirne sufficientemente sia ben fatto et altre tanto neccessario.
Per li bisogni di guerra vi è il deposito grande et se reali sonno l’informationi c’ho havute, resta grandemente proveduto, ma vogli Dio che così sia, che per la quantità del tempo, che non è stato fatto alcun fondi di detto deposito, non sii in qualche parte diminuito. Ho voluto vedere la qualità di quelle polveri, quali si mantengono buone. Il soleggiarle però riussirebbe loro di molto servitio et io conossiuto il benefficio, che da ciò potevano ricever, fecci dar principio all’opera, ma havendosi trovato li barili dal tempo corosi et che nel maneggiarli si rompevano, tralasciai di far proseguir più avanti, per non esservi in quelle munitioni cassele(?) né tavole per fabricarne, si come pur di questo ancora ne avisai la Serenità Vostra. Punto per mio senso rilevante che merita l’addatato riflesso dell’Eccellenze Vostre.
Devo dire che provano ancora quelle fortezze grandissimo mancamento di stoppino. Di questo pure vi è il continuo consumo, e per essercitare le cernide et per le ordinarie fattioni di quelli soldati sopra le mura in ronda et in sentinele, onde il provederle abbondantemente anco di questo stimo molto necessario, poiché quando manca si conviene farne la provisione, con non picciol publico disavantaggio altre volte praticato.
S’attrovano li molini da mano fabricati con l’evidenza et misura del bisogno tutti rotti. Potrà però l’illustrissimo mio successore, col suo ardente zelo, indricciare il pensiero al loro racconcio, non havendo io in questa parte potuto adempiere alle commissioni della Serenità Vostra di XI [undici] novembre passato, per la strettezza grande di danaro che ho sempre provato in quella Camera. Nel principio però della mia carica fecci, per riverente essecutione delle publiche impositioni, accomodare il molin da vento, che nella primiera forma non poteva lavorare, come avisai le Serenità Vostra. È al presente in buonissimo stato, ma come cosa non usata in quell’isola riesce infruttuoso, per non trovarsi soggetto che lo sappi far macinare. Ne procurai uno dal Zante, ma capitato in quella città e fatta esperienza di esso, alcuni giorni doppo, per non poter nella staggione dell’estate così frequentemente macinare, per che coperto dalla montagna di quella fortezza non può godere il beneficio del vento Maistro, si partì, come ne diedi conto alla Serenità Vostra, che intesa la temeraria partenza di costui, m’incaricò seguire l’arresto suo, per il quale havendo io immediate scritto in buona maniera al Zante, non s’è potuto venire in cognitione dove sii, né per tutte le diligenze usate è stato poi possibile di trovare alcun altro che vogli condursi in quelle fortezze per attender ad esso molino.
Al ben essere di quelle piazze complirebbe pure sommamente una munitione di legne, come altre volte è stato raccordato alla Serenità Vostra, la quale gradendo il pensiero ne commesse l’essecutione, se benne però non viddi l’effettuatione di questa publica volontà, anzi che per l’ordinario uso di quelli corpi di guardia, non ve ne sonno mai state tante che suppliscano alla staggione del verno, con tanta mala sodisfatione di quei poveri soldati, quanto è il danno et patimento che vengono a ricevere da questa macanza, mentre nel tempo del verno, essendo quasi continua la caduta delle pioggie in quell’isola et convenendo essi far l’oridinarie fattioni, e in ronde e in sentinelle, bagnandosi di vantaggio, non hanno poi per esser privi li corpi di guardia di fuoco, modo di sciucarsi.
Discorerò hora di quelle munitioni, come materie principali e di alta importanza. Dirò adunque consistere il loro dritto nella dispensa et nella conditione de ministri. Quanto al primo son io certo che non sia mai uscita cosa alcuna dalle predette monitioni di mio ordine, se non legitimamente, et senza scrupolo del monitioniere. Circa poi la qualità delli ministri già scrissi più volte alla Serenità Vostra, che e per l’importante conditione delli maneggi et per le consequenze delle cariche, dovevano non solo esser di proportionata attitudine, ma anco di esperimentata fede e quale appunto in luoco di tanta gelosia si ricerca.
Sonno raccomandate adunque quelle importantissime munitioni alla fede di quattro ministri, cioè armiraglio quelle d’arsenale, al sopramassaro di biscotti li medesimi biscotti et a doi munitionieri, l’uno di quella fortezza Vecchia et l’altro della Nova, tutte l’altre appartenenti alla guerra et al vito, con quelle pure per l’armata.
Giudicai potesse ricever fruttuoso servitio la Serenità Vostra da una revisione diligente del maneggio di tutti questi ministri. Applicai adunque il pensiero all’opera et con accurata diligenza impiegai la mia debolezza a questa scabrosa fontione, onde ritrovai che il monitioniero di fortezza Nova, da che fu istituita quella carica, che fu sotto la felice memoria dell’eccellentissimo signor Filippo Pasqualigo Proveditor generale di quelle isola, non haveva mai non solo reso alcun conto del suo ministerio, ma che ne anco teneva alcun libro, registro di quello riceveva o dispensava, disordine altre tanto mostruoso quanto che portava seco imposibilità di poter veder fondatamente in ogni occorenza il conto del maneggio di questo ministro.
È pure più che considerabile il carico di quell’armiraglio, per la frequanza degl’armizzi d’ogni sorte che de qui vengono inviati per servitio dell’armata. Questo non sapendo (come per lo più non sanno quelli che essercitano simil carica) non potendo in consequenza tenere alcuna scrittura et se pure da far qualche nota di quello riceve e dispensa di altrui mano, non servendogli per altro che per un semplice et svanibile memoriale, ritrovai il suo maneggio tanto confuso, che chiamò una lunga et diligente applicatione per ridurlo in stato di poter veder il conto della Serenità Vostra.
Mi persuadei d’incontrare almeno effetti di pontualità nella revisione del maneggio del sopramassaro di quei biscotti, come quello che è di tanta consideratione et egualmente facile a tener regolato, tuta volta m’ingannai di gran lunga, mentre lo trovai così pieno di confusioni, che mi fu neccessario farli regolare le scrittura di quattro ani intieri, ommessa con tanta trascuragine, che io mi restai stupeffato di così incredibile negligenza.
Nelle mani del monitioniero di quella Vecchia fortezza si può dire rittrovarsi, come in fatto è, l’anima di così importanti piazze, mentre alla fede sua sonno raccomandati tutti gl’apprestamenti d’armi, le munitioni da vivere, ogn’altra sorte di ordegni e provisioni per quelle publiche fabriche et gl’utensili in sieme che servono ad uso dell’armata, come tende, drappi et altre robbe diverse. Questa carica, come con più mano di lettere avisai alla Serenità Vostra, viene essercitata per sostituto, e sostituto greco, contra la forma delle leggi, ben con ottimo pensamento e fine stabilite. Questo sostenendo peso così importante, contro anco la volontà sua, nel ricevere et dispensare si serviva di così mala regola, che rendeva non difficile, ma impossibile il poter veder in alcun tempo il fondi di così gran maneggio. La confusione de mandati che le venivano fatti, nasciuta dal tenerli senza alcuna immagginabil distintione, il non haver né tener libro regolato, chiaro e schietto, con che dando debito e credito a sé stesso di quello riceveva et dispensava, acciò si potesse vedere con che fede s’impiegasse in tanto ministerio, venivan a formar un caos. Ma quello che rendeva più stuppore, è che per l’introdutione già fatta in quelli magazeni de diverse robbe senza esser mai stato appostato debitore, appareva per le dispense fatte con mandati et da ricever di essi sempre creditore et ciò per esser stato trascurato di tener conto delle fatture delle robbe inviate de qui.
All’arrivo mio però in quelle fortezze, si come avisai a 29 zugno 1633, trovai che questa carica veniva sostenuta da due ministri, l’uno figliolo del quondam Benetto Tiepolo già munitioniere, et l’altro sostituto di un tal Zorzi Turco, elletto da questo Eccellentissimo Collegio l’anno 1628, qual sostituto anco al presente continua, ma come ho detto con poca volontà di attender nella carica. A questo essendo stato principiato a consegnare quelle monitioni per ordine dell’illustrissimo mio precessore, vedendo io quanto malamente in mano di due ministri erano governate, rissolsi di far continuar la consegna. Seguita tutta la consegna stessa partì il Tiepolo per questa città senza mia saputa, anzi in sprezzo della licenza che gli fu da me negata, mentre per il dritto de publici interessi intendevo vedere il fondi del suo maneggio, non solo, ma anco di quello del quondam suo padre, che è di vinti sette anni, ma lui ben forse col rimorso della propria conssienza, per schiffar quest’incontro, disseminando di conferirsi in certo luoco dell’isola per affari suoi particolari, tolse la fugga et se ne venne in questa città, onde non è stato possibile haver il conto di queste amministrationi. Di tutto questo rilevante negocio, in sodisfattione del mio debito, ne diedi riverente aviso alla Serenità Vostra a primo aprile 1634, per quelle rissolutioni che havesse stimato conferire al servicio suo et a reprimer la temerità del Tiepolo egualmente.
Passo hora a discorere di quella Camera fiscale, che pure col medesimo fine di proffittare gl’nteressi della Serenità Vostra vuolsi diligentemente vedere, come di che maniera veniva maneggiata. Porta ella seco per la somma importanza sua tre considerationi: cioè entrata et uscita, amministartione di denaro et qualità de ministri. Quanto al primo capo dirò che si come la Camera di Corfù non ha di entrata che solo 16 in 17 mille ducati, che si cavano di datii, affiti, censuali, regalie et decime di offitii di quella comunittà, così è aggravata di spesa de ducati sessanta mille in circa all’anno, un anno per l’altro, non comprese le spese estraordinarie di fabriche.
Ben è vero che questa spesa per la diminutione di quelle militie, per lo sbando fatto di oridine della Serenità Vostra di tre di quelle compagnie, resta al presente molto scamata, non dimeno riesce però tale, che superando l’intrate, quando dalla benignità della Serenità Vostra non le venghi proveduto, converà al sicuro l’illustrissimo signor mio successore incontrare di quelli difficoltà, che ho provate io nel provedere alli biaogni di quelle militie, et mi credano l’Eccellenze Vostre che l’altre cure di quell’importantissima carica son riuscite alla mia debolezza molto lievi, rispetto a questa della provisione di denaro, nella quale ho provato nelle congionture de tempi presenti pene incredibili, che ben rendevano l’animo mio così appassionato, che più non potevo essere, e tanto maggiormente quando che da ogni parte ero circondato da instanze delle militie, bombardieri et altri poveri opperarii et salariati, senza poter il più delle volte soccorere al loro bisogno, ma solo pascerli di buone speranze, col compatire egualmente le loro miserie et lagrime et affliger me stesso insieme; et per ciò convenni con mia particolar mortificatione riuscire dal principio del mio reggimento siano al fine sempre molesto alla Serenità Vostra con continue richieste di denaro.
Dell’amministratione poi del publico denaro poco mi occore dire, passando con ogni possibil candidezza, per quello ho sperimentato nel corso del mio reggimento, sendo sempre seguito il saldo delle casse a tempo debito et alla mia presenza in conformità de i comandamenti della Serenità Vostra.
Circa la qualità de ministri, dirò che se benne nel ministerio del denaro publico ho provata in essi la dovuta fedeltà, ad ogni modo ho scoperto in loro una negligenza così grande e pregiudiciale a publici interessi, così nel far riscuotere come nell’administratione della scrittura, mentre ella passa con non picciola confusione. Et essendo poi tutti greci, quando si tratta di alcuno di loro, li rappresentanti, havendo gli ministri interessati, o per parentella o per amicicia, se vogliono essiger alcun credito publico incontrano mille difficoltà e sempre si porta avanti. Ond’io nella revisione che fecci di quella Camera scopersi un disordine notabilissimo, che nel prendersi nelle deliberationi delli datti piezi non equivalenti et idonei, veniva di tempo in tempo a constituire creditrice la Serenità Vostra di molto denaro, senza alcuna speranza di essigerlo.
Et ritrovai ancora creditrice la Serenità Vostra di due mille e più ducati di decime degl’officii, che per benignità publica gode quella città, per non essersi dato debito alle persone subentrate nelle cariche, ma agl’offici stessi.
Per estintione et distrutione totale del numero immoderato de disordini et abusi, che ben facilmente pottevan apprir le viscere ne’ publici interessi, ritrovati cossì nelle monitioni, come nell’arsenale biscotti et Camera, et che mi furono somministrati dalla mia debolezza et dal buon zelo in alterabile, che ho tenuto sempre del dritto de publici interessi, et che inviai con mie lettera di 20 novembre et primo dicembre 1633, a quali terminationi, quando da auttorità supprema sii data forza con la loro approbatione, onde venghino puntualmente essequite, si caverà a publico beneficio quell’ottimo frutto col cui oggetto sonno state da me stabilite.
Terminai ancora che dalli datii et decime de salariati fosse per conto publico estratti li tre soldi per lira, per che con sommo pregiuditio della Serenità Vostra questa intiera essatione era transcurata, mentre di questa ragione non veniva scosso che un semplice soldo, come a 30 maggio 1633 avisai alla Serenità Vostra, dalla quale essendo stata approbata questa mia terminatione, si ha riscosso di questo conti ducati cinque mile doi cento e vinti, quali per le angustie et urgenti neccessità di quella Camera, ho convenuti impiegare in servicio di quelle militie, congionture che istessamente mi hanno reso imposibile l’essequire la deliberatione dell’Eccellenze Vostre d’inviarli all’eccellentissimo depositario in Cecca, quale però con danari che si doverano inviare in quella Camera potrà esser sodisfato et io di ciò ne supplico la Serenità Vostra, onde gradendo il benefficio ch’ho apportato a questo publico importante interesse, venghi a godere il frutto di quella benigna gratia, che ha essercitata in emergente della stessa natura con miei precessori, acciò per questo incontro partorito da così importante interesse, non mi restino ritardati i miei bollettini et impedito l’andar a capello.
Li casali di quell’isola ancora ritrova debitori di ducati 1.296 per conto di megli, orzi et formenti per dispense fatte in diverse volte da quelle monetioni(?) per loro servitio et solievo, et a questi pure ho fatto pagare l’intiera summa sudetta, che in vero come ha portato non picciolo beneficio a quella Camera, in così strette angustie di denaro, così è tanto più considerabile, quanto che essendo di debito vecchio di dieci in undeci anni, era posta in dimenticanza, né si pensava più a riscuoterla.
Questa negligenza de ministri nell’essigere i publici crediti è rimasta ad ogni modo abbattuta dalla mia diligenza, mentre che con particolar applicatione et con la mia assistenza, havendo fatto fare li estratti dalli publici libri, prima con dolci et amorevoli esortationi, et poi con rigorose essecutioni, ho riscosso da debitori vecchi et fatti quasi in essigibili ducati 4.233. Ben è vero che s’attrova in quella Camera un libro de resti de debitori vecchi, la summa del quale pare ascendi a novanta e più mille ducati. Questi essendo la maggior parte de eccellentissimi capitani generali et generali da mar et altri publici rappresentanti, ch’hanno reso li loro conti in questa città, il rimanente poi, che è pochissima summa, è di debitori affatto in essigibili.
Et si come nel riscuotere non tralasciai diligenza alcuna, così volsi che quelle carriche che senza frutto apportavano interesse alla Serenità Vostra fossero levate, che per ciò ritrovati in quelle fortezze due quartier mastri con ducati dodeci al mese per cadauno, due informadori di biscotti con ducati otto pur per cadauno, stimando superflua l’oppera delli due informadori et di un quartier mastro che non serviva, ma si valeva di un sostituto, diveni alla loro cassatione, lassiando un sol quartier mastro, molto diligente et pratico nel suo ministerio, avanzando con ciò ducati vinti otto al mese avantaggio de publici interesi; come pure di altre dieci ho procurato la scansatione, mentre che da me condenato alla galea il inveladore de formenti per suoi delitti, nell’elettione del sostituto non gli applicai altro che soli ducati otto al mese, dove prima ne haveva disdotto, si che con queste scansationi, ho avantaggiato la Serenità Vostra di 38 ducati al mese.
Et perché nel principio della mia carica et nel fine ancora, ho convenuto applicar l’animo alla fabricatione de biscotti, nella quale so certo di non haver tralasciato diligenza, perché oltre il publico civanzo riescano a segno di perfettione, non devo tacer che quando si continuasse in quelle fortezze la fabricatione, riuscirebbe con altro tanto maggior publico vantaggio rispeto al comodo di comprar li formenti, di far condur le legne senza dispendio delle galere, col civanzo della condotta delli medesimi biscoti, che per il più capitano anco mal condetionati, quanto che l’esperienza dell’anno presente imparticolare ha fatto conoscer, anzi provare, l’incomodi sofferti dalla gente di armata per il mancamento causato dalla malvaggità di tempi, col naufragio di molti vasceli carichi de medesimi biscoti.
Crederei però, che quando la Serenità Vostra stimasse suo servicio di far continuare in quelle fortezze la fabricatione de medesimi biscoti, fosse benne appoggiarla ad un soprastante di buona conditione et fede, quale havesse cura di ricever li formenti, in vece di consegnarli al sopramassaro, mentre questo per qual è sorte di civanzo può alterare la qualità de formenti nella crivelatura, col render li biscoti d’inferior conditione di quello ricerca il bisogno et la mente publica.
Et acciò questo ministro si potesse impiegare con puntualità et diligenza et altre tanta legalità in cossì importante ministerio, stimarei benne che alle quaranta due lire che ha di salario al mese gli fosse data qualche conveniente augumento, con obligo però di dar sufficienti et idonee pieggiarie di buona amministratione, per levar l’occasione de intachi altre volte successi in questo ministerio, con pergiudicio degl’interessi della Serenità Vostra.
Et continuando io pure a far motto alla Serenità Vostra quanto stimo esser di servicio suo, dirò haver osservato che dalla Camera dell’armata, tra le altre robbe che invia in quelle monetioni per servicio dell’armata, ispedite frequentemente delle schiavine, crederei che potesse riuscir di rilevante vantaggio agl’interessi publici, far far neccessaria provisione di questa qualità di robbe in quelle parti vicino a quali si fabricano et capitano là prima che siino condotte qui, come ne diedi pur parte alla Serenità Vostra con mie lettere di 4 ottobre 1634.
Ho pur scoperto, per mio senso, esser superflua la missione di vantaggio abbondante in quelle monetioni di riso per servicio dell’armata stessa, mentre si come avisai la Serenità Vostra a 24 luglio passato, ve ne è quantità di sachi talmente guasti da sorzi et corrosi, che rende stuppore, cossì che non pottendo venir in brevità di tempo dall’armata levati, portano pericolo di andar a male, oltre la diminutione et deterioramento che continuamente vanno ricevendo, senza che li ministri possino ripparar il danno, onde crederei fosse se non benne di soministrar in avenire in minor quantità di quello è stato fatto per il passato.
La cavalaria della strattia, che per debiti contratti per soventioni havute da quella Camera per rimettersi a cavalo andava debitrice ducati 2.834, è stata astretta da me alla sodisfattione de ducati 2.418, onde a quest’hora non ha altro debito che di ducati 416.
Quella militia, se ben in numero molto inferiore di quello fu a suoi principii instituita e che non declina punto dalla natural sua fede, devotione et ardenza di ben servire, non può ad ogni modo prestare quel servicio che il suo buonanimo vorebbe et che sarebbe neccessario. Sopra che chiamato dal mio debito, devo riverentemente dire, che se ben l’istitutione di questa miilitia fu ne primi anni per consolare quelli bene meriti dissendenti da Napoli de Romania, che si fossero ricoverati in quell’isola, non dimeno pretese anco la mente publica di riceverne fruttuoso servicio et l’isperienza ha in diverse occasioni de tempi passati fatto conoscer la loro fede e devotione, ma al presente essendo, come le ho detto, molto diminuita di numero, per le publiche deliberationi, et parte di essi ridotti in stato miserabile et altri fatti commodi, rispetto a benni concessigli dalla Serenità Vostra et per essersi accasati con vantaggio di dotti, questi attendono alle comodità, poco curano il publico servicio, et quelli per le stesse fortune non hanno il modo di mettersi bene a cavallo e sodisfare al debito loro, se bene in vero universalmente tutti hanno cavalli di poca fattione e più tosto per uso di macina che per militare. Sarei divenuto alla cassatione loro et haverei procurato che ne rimettessero de buoni, ma troppo ne venivano a rissentire gl’interessi di Vostra Serenità, poi che venendo concesso per ogni rimession di cavalo ducati quaranta di soventione, da scontarsi a ducati due per paga a paghe otto all’anno, ho ritrovato il debito sopra accenato, che mi neccessitò a passare con maggior rigore alla sodisfattione, come ho detto. A più bisognosi di cavalo e meno debitori ho però concesso la rimessa et la soventione, acciò non restassero affato in fruttuosi, col beneffitio della paga; mio riverentissimo senso sarebbe che questa cavalaria, atteso il poco servitio presta alla Serenità Vostra, si potesse levare, non già con un sbando universale, per non apportare in un sol colpo tanta afflittione a quella militia, ma senza rimetter altri nelle piazze vaccanti, fosse lasciata per sé stessa cadere, come intendo esser stato ordinato di quelli del Zante et Ceffalonia.
Non tralasciai ancora di rivedere et far essercitare le cernide della città et borghi, in conformità della mente publica, et si come quelle dell’isola riescono atte et pronte a tutte l’occorenze publiche et obbedienti a commandamenti de rappresentanti, così le cernide stesse della città et borghi si rendono sempre difficili alle mostre et alle ridutioni, non ostante il castigo contro gl’inobedienti.
Crederi però potesse riuscire di maggior publico servicio et isparmio il levare il capitano di queste, che per dir il vero per la poca obbedienza loro viene ad esser infruttuoso et altre tanto superfluo et invece di questa militia ellegger particolarmente di quelli della città, et più a proposito scolari bombardieri, et del rimanente e degl’altri delli borghi formare un rollo de salineri et de marinai, per esser questi pronti ad ogni occorenza d’armare, quale essendo per quello ho veduto la maggior parte barcaroli et navigando francamente alla latina per quei mari con barche di gran vella, riuscirebbero per mio senso certo più proficui a publici interessi, et questi essentandosi dalle altre fattioni concorrebbero con gusto all’obbedienza in ogni tempo, il che pure mi è parso degno della publica notitia.
Per ben essequire le commissioni della Serenità Vostra, non tralasciai di personalmente conferirmi per tutti li casali dell’isola a deputare le guardie, preponendo il commodo di quelli sudditi all’incommodo del mio lungo viaggio per quelle montagne e Balie, e perché questa deputatione riuscisse più essata et puntuale, per ostare con buon frutto ad ogni mal incontro, come ricerca la scicurezza di quell’isola, volsi prima transferirmi per tutti li posti et conossere con distintione li più importanti, per applicarle guardie convenienti. Per questo rilevante effetto fecci la descrittione universale di tutte le anime, la quale posta in un libro con gran diligenza, servirà per lunghi anni a solievo degl’illustrissimi miei successori, e non solo per la deputatione delle guardie stesse, ma per far anco con ogni maggior facilità et prestezza scielta et levata di genti da spada et da remo per bisogno et rinforzo dell’armata; et perché per la formatione di questa annagrafe si è osservato di dar a particolari persone da quali veniva fatta l’oppera sal migliara due, interesse molto considerabile al publico, levando de cetero(?) questo abuso, elessi et deputai soggetto per mio creder molto diligente et atto alla formatione del medesimo libro et a tener regolato il presente, con gl’altri oblighi espressi nella sua ellettione, che sonno molto rilevanti et come stimo proprii del publico servitio, senza alcun aggravio publico, ma con la sola recognitione di quei censuali che da isolani erano pagati al capitano dell’isola al presente levato. Questa mia visita fu certo di gran contento a quelli habitanti, per li suffraggi ch’io concessi alle loro instanze, come avisai alla Serenità Vostra, ma di maggior consolatione riusci al mio animo, per haver ritrovato numero grande de habitanti et particolarmente di gioventù fiorita et atta a prestare ottimo servicio. Li vechi ascendono al numero di novecento sessanta doi. Gl’huomeni da 15 anni fino alli 50: 5.890. Giovani da 15 anni in giù 4.826, et donne d’ogni ettà 10.452, che in tutti ascendono ad anime 22.137, numero considerabilissimo, rispetto all’accrescimento che ho osservato, perché dall’anagraffe fatta dell’illustrissimo signor Lorenzo Moresini fino al presente, che sonno sette anni in circa, trovo rimesso il numero di 1.987 morti et di più accrescimento d’anime 2.387, compresi però 1.000 novi habitanti.
Al contento ch’ho ricevuto per questo augumento de sudditi alla serenità Vostra, s’ha opposto la mortificatione di dover rappresentare in questa parte, quello che da mie precessori non sarà certo stato tacciuto, che è la poca raccolta de grani che fa quell’isola e di gran lunga inferiore al bisogno di così numerosi habitanti, né in questa parte accennerò che la valle di San Giorgio riuscirebbe molto commoda e sufficiente al lor bisogno, la quale anco per esser in gran parte coltivata, facilmente potrebbe esser ridotta a perfettione, quando però fossero levati alcuni mollini, per opera de quali et acciò più a lungo possino macinare, sono trattenute con sostegni et arzeri l’acque. Il demolirli riuscirebbe certo la salute di quella valle, la quale è così deliciosa e fertile, che merita ogni impiego per renderla frutifera, ma non pottendosi per particolari fare quest’oppera, sarebbe neccessario che la Serenità Vostra applicasse essa il pensiero a così importante affare, per dover esser redintegrata della spesa sopra li benni che si andassero bonificando, come pure li patroni de molini doverebbeno dalli medesimi benni esser parimente ressarciti. Onde quando quell’isola col benefitio dell’intiera coltura di questa valle venisse a rimaner sufficientemente proveduta di grano, goderebbe dalla natura et dall’industria il donno d’ogni perfettione, perché nel resto avanzandosi sempre più in numero di ollivari e col sboscarsi da ogni parte di quelle montagne mediante l’opera di novi habitanti, si può credere fermamente che in brevi anni sarà tutta l’isola fruttifera et ne può la Serenità Vostra sperar gran beneffitio massime nell’entrate de ogli.
Luoco molto proprio per ridur a coltura sarebbe anco quello appresso il lago di Corissia(?), quando fossero impedite le pesche delle anguile in quel luoco, mentre per causa di quele, venendo trattenute et ristrette l’acque, non potendo haver essito vehemente putrefacendosi, rendono quell’aria di pessima qualità et si può dire infetta et per ciò quasi inhabitabile il paese. Quando si lasciasse il corso libero alle acque, non vi è dubbio che sborando nel mare che vi è vicino, col flusso e riflusso allargandosi la boca del lago, si purgherebbero quell’acque et l’aria in sieme.
Visitai anco il castel sant’Angelo, il quale in vero ritrovai in pessimo stato, cossì rispetto a quartieri rovinati, come per la casa di quel castelano poco habitabile, le porte di esso rotte et li caseli cadenti, con infinite altre imperfettioni, ad alcune de quali havendo posto qualche rimedio, restano l’altre nel primiero mal esser per la strettezza di danaro di quella Camera, che non mi permetteva il passare a spese estraordinarie; e pure il conservare in qualche buon stato questo luoco stimo se non bene, pottendo massime in accidente di mali incontri servire di sicuro ricovero a buona parte degl’isolani, come è pure seguito lo essempio a tempi adietro.
Visitai pure anco il scoglio di Paxo et in questo ritrovai un numero di 1.231 habitanti, fra quali 376 da fattione. Ravidi le armi fattegli consegnare già dalla Serenità Vostra et li animai alla diffesa di quel scoglio in ogni occorenza, si per l’interesse della Serenità Vostra, come per quello della libertà propria. Et havendo osservato che in un numero di tanta gente s’attrovava ben un capo principale, instituito con regole proprie del servitio publico e di quelli habitanti, ma ad ogni modo però in occasione di fattione o d’altra occorenza, non havendo alcuna insegna né sapevano si può dire chi seguire. Così aggradendo ancor’essi, elessi un alfiero et ordiai che dovesse havere con l’insegna quell’altre prorogative che godono gl’altri alfieri di quell’isola e senza però alcun salario, et nell’insegna ordinai che fosse miniato un gran San Marco, come anco con singolar prontezza è stato fatto, sotto il patrocinio del quale allegri millitando, confidano ogni loro speranza e solievo.
Né tralasciai di consolar con la mia visita li fidelissimi parginoti, che nelle proprie miserie et angustie, felici si chiamano d’esser protetti d’un tanto Prencipe, come è la Serenità Vostra. Questi rinovelandomi li travagli che giornalmente ricevono da margariti(?), si come avisai all’Eccellenze Vostre, mi fecero di più vedere che quando all’adir di questi non sii posto freno, miseramente perderano essi li loro terreni et la Serenità Vostra il teritorio, poiché non pottendo per la loro povertà, anzi per l’asporto fattogli già de loro animali, coltivare le loro possessioni, essi turchi et albanesi se n’impossessano col piantarle et seminarle.
Ho procurato di consolarli in quella miglior maniera mi è stato possibile et li ho accertati del pronto patrocinio della Serenità Vostra et che di già haveva scrito a Constantinopoli per loro sollievo, né haverebbe mancato di procurar il castigo de tristi et sturbatori della loro quiete, et essendo poi capitati da Constantinopoli li Reggi comandamenti per il Sangiaco di Delvino et Primati di margariti, sperono con la forza di essi in vero efficacissima, conseguire la bramata quiete et solievo a pro de loro interesse.
Stretamente son stato per le commissioni della Serenità Vostra incaricato alla prottetione delli condutori delle peschere di Botrinto, per l’uttile in vero considerabile che apportano a quella Camera et in questa parte so certo di non haver tralsciato alcun opera per lo adempimento di questa publica intentione. Ma sappino l’Eccellenze Vostre che l’asistenza de publici rappresentanti poco può loro giovare, quando non habbino quella della Serenità Vostra, nell’evidenza del danno che ricevono da una fiumera vicina, anzi posso dir congiunta alla boca delle medesime peschere, poi che nella sua escressenza, inondando da per tutto et con la corrente precipitosa delle acque, rompendo le gratie che le serano, convengon sogiacere alla perdita d’infinito pesce, dal quale traggono essi l’uttilità; anzi che io zelante della conservatione di questa non asprezzabile publica rendita, conferitomi sopra il luoco, ho veduto in effetto quanto mi era stato rappresentato, ma quello che più importa è che deponendo poi quell’acque torbide, vengono ad amolire le medesime peschere, con tanto maggior publico pregiudicio. Il rimedio a tanto male è stato altre volte raccordato alla Serenità Vostra et si era anco dato principio ad essercitarlo, per opera dell’illustrissimo signor Lorenzo Moresini, ma per la tenute spesa che si prettendeva fare nel taglio proposto per divertire quel corso, non si proseguì l’opera, la quale stimo neccessarissima et celere, altrimente nella nova condota sentirà la Serenità Vostra deterioramento grandissimo et offerte molto disavantaggiose a suoi interessi, di che ve ne sono dechiaretioni espresse.
La torre ancora ivi situata per sicurtà di quelli pescatori et custodi delle peschere, fatta per l’antichità vecchia et corrosa nelli fondamenti dall’acque, poco tempo si può conservare, quando non vi si porta opportuno rimedio; l’opera però del suo restauro doverà, quando così pari alla Serenità Vostra, esser fatta con grandissima avertenza e distrezza, et senza dar sospetto a turchi di novità, poi che intendo che per le capitolationi di dette peschere col Turco, resta accordato che quella caduta non possi esser più riedificata, né fatto altro ricovero sicuro per li medesimi pescatori, quali è pur di dovere che sappino ove salvar li haveri, ma più la vitta in ogni occorenza di mal incontro con turchi, nelle fauci de quali si attrovano, oltre che questa entrata, come è il maggior capitale che habbi la Serenità Vostra in quell’isola, così quando ella li perdesse per le cause di sopra espresse, venirebbe quella Camera a sentire gran disconcio nella strettezza di denaro che continuamente prova; punto così rilevante che chiama ben con premura qual che publica deliberatione, come io all’incontro ho stimato particolar mio debito di rappesentare con puntualità all’Eccellenze Vostre questo importante publico interesse.
Non ho potuto neanco applicar il pensiero all’accommodamento del mandrachio, che pure per le stesse commissioni della Serenità Vostra mi è stato vivamente raccomandato, rispetto al mancamento del denaro, e pure il bisogno del suo escavamento ricerca presta provisione, mentre ogni giorno più si va atterando et amolendo. Quest’opera, che per mio senso doverebbe esser fatta per mano delle genti delle galere, perché manco ne rissentisse la Serenità Vostra nella spesa, non potendosi nel verno fare per la escressenza dell’acque et per esservi dentro le medesime galere, non può meno effetuarsi l’estate per asister le stesse galere alle guardie a Casoppo et altrove secondo l’occorenze, onde è neccessario che circa ciò prendi la Serenità Vostra quella rissolutione che più parerà alla sua prudenza conveniente del bisogno.
Hora parmi di non tralasciar di rapresentar alla Serenità Vostra con quanta ardenza mi sii impiegato all’essecutione de publici commandamenti nelle levate di genti della Cimara, poi che se benne al primo aviso che hebbi del passaggio di queste genti per Napoli, non tenevo alcuna commissione dell’Eccellenze Vostre per queste levate, niente di meno conossendo di quanto pregiudicio era che quella natione passasse al servitio del Re Catolico et che venisse stabilito cossì pernicioso essempio e foro, non tralasciai col mezo de miei confidenti di penetrare nel più intimo de trattati et anco divertire essi et il frutto loro, con l’imegno et oppera de principali di quei luoci, che fecci venir a me, si come avisai la Serenità Vostra con mie lettere primo et 15 luglio et 6 agosto dell’anno passato; et per maggiormente facilitarli al divertimento delle negotiationi di Napoli, considerai loro in maniera propria la prottetione c’ha sempre havuta questa bene merita natione dalla Serenissima Repubblica et la stima che in ogni tempo ha egualmente fatta del suo valore et in sieme le proposi di elegger quattro de loro principali con titolo de capitani, con trattenimento di quattro ducati al mese e con obligo di tener ammassati cinquanta fanti per cadauno, per servir particolarmente sopra l’armata nel tempo dell’estate et anco ad ogn’altra richiesta de rappresentanti publici, con paga intiera di capitani nel tempo del servitio, onde immediate ne furono molti che feccero l’offerta. Così poi capitatimi gl’ordini per le levate di queste genti, quale sia stato il mio impiego, l’effetto ben chiaramente lo può dimostrare, mentre nella qualità della staggione per gl’importanti affari della campagna, nella raccolta de granni et vinni et nella concorrenza delle levate per Napoli, con offerte di avantaggiate paghe stimolo molto eccitativo, ho pur in alberat(?) sotto due capitani due insegne di gente fiorita et sommamente atta, come pure haverei fatto seguire l’adempimento di esse, quando mi fossi trattenuto in quella carica per tutto il mese di agosto. Confido però che dall’illustrissimo mio successore non sarà punto ralentato il corso di queste leve, ma anzi facilitato con quel zelo che conosco tenere verso li publici interessi, et per ciò le ho anco communicato l’ordine che tenevo dalla Serenità Vostra, di dover venire queste genti sotto il commando di quel capitano di maggior esperienza et che havesse maggior numero di soldati, per doverlo espedire de qui, et io pure a questa publica commissione haverei data puntual essecutione, quando che dal mancamento del passaggio non mi fosse stata levata l’occasione di farlo, qual ho anco procurato nella presente congiontura della venuta de qui dell’illustrissimo signor Governator di condennati Mocenigo, che però non mi è riuscito, mentre per altre publiche importanti occorenze nel Levante, non ha stimato bene l’illustrissimo proveditore dell’armata di scemare le sue forze col dar conserva al deto illustrissimo Mocenigo. Il repplicare qual che ordine all’illustrissimo mio successore et all’illustrissimo signor proveditor dell’armata ancora intorno quest’affare, stimarei molto conferente al publico servitio, acciò quelle genti non venissero a godere infruttuosamente il beneffitio delle paghe, ma possino capitare di qua in tempo opportuno et a misura del bisogno, come è mente dell’Eccellenze Vostre.
Per fine e sigillo di questo mio discorso non mi resta che altro dire alla Serenità Vostra, se non che sapendo che l’illustrissimo signor Gerolamo Trivisano, che degnamente certo e con quel valore e zelo che è proprio della sua nascita, ha retto et governato quei popoli nel corso del suo reggimento, haverà rappresentato et sarà anco poi per rifferire et raccordare quanto occore per publico servitio; a me non resta che accenare quelle discordie e turbolenze tra cittadini e popolari di quella città che al nostro arrivo, per speranza di nostra disunione, erano tra essi rissorte, le quali però merci di una essemplar concordia d’animi et d’affetti, che dal principio al fine è passata fra quell’illustrissimo reggimento et la persona mia, restorono soppite, come pur anci, in vigor di quanto è stato terminato sopra le loro differenze, son restate maggiormente distrutte, in che continuandosi si può promettere la Serenità Vostra in quella città, quella quiete et unione che ella desidera.
Al governo et sopra intendenza di quell’importantissima piazza et militie ho lasciato l’illustrissimo signor Conte e cavalier Ippolito Valvasone Maniaco, le degne conditioni del quale non mi affaticherò in rappresentare alla Serenità Vostra, per esser a lei molto ben note, come quella che in altre occasioni ha esperimentato il suo valore, solo dirò la sodisfatione che dal suo diligente et assiduo servitio ho ricevuto, che mi fa con particolar sentimento espliciare et attestare il suo ottimo merito, che lo rende per la sua devotione e fede et alto talento che possede, ben degno della patria et prottettione della Serenità Vostra.
Ho havuto poi per mio segretario il fidelissimo nodaro ordinario della Camera Ducale Pietro Assoncia, anco della persona sua mi sento strettamente obligato de far notto all’Eccellenze Vostre la compita sodisfatione del servicio che mi ha prestato, mentre che aggiustando gl’effetti delle sue rare conditioni al oggetto di ottimamente servire, non m’è riuscito di saper che desiderare dal suo impiego, non ha mai mancato punto in diligenza e fede nell’essercicio del suo ministerio, con particolar zelo di buona regola delle cose publiche, onde come vivamente et sinceramente lodo et affermo il suo vero merito, così rattifico la buona sufficienza et isperienza che possede, a cui può appogiarsi ogni maggior carica con intiera sicurezza di fruttuoso servicio, che lo attenderà sempre meritevolo della gratia dell’Eccellenze Vostre.
Termino finalmente questo mio discorso, per non apportar maggior tedio alla Serenità Vostra et all’Eccellenze Vostre et non abbusare la loro benignità di così gran audienza, col dire di esser stato al governo di popoli fidelissimi di questa Serenissima Repubblica et a lei carissimi per la loro devotione, ben dimostrata in tutte le occorenze et particolarmente a me quando che incontratta difficoltà(?) di amassare le cernide di quella città et borghi, l’anno 1633 il mese di giugno, si offersero quelli sindici, con un numero di cinquanta di quei cittadini, di andare ogn’uno con un servitore a servire sopra l’armata, come pure rappresentati all’hora alla Serenità Vostra, onde come non cade alcun dubbio della loro singolar fede, cossì si rendono ben degni d’esser largamente protteti con la patterna affettione dell’Eccellenze Vostre. A questi ho procurato con tutte le forze di farmi conoscer di corrispondente volontà, non havendo mancato di aministrarle la dovuta giustitia et di darle a tutte l’hore quei giusti suffragi, che sonno proprii di buon rettore et debiti a sudditi di così sincera fede, per confirmarli maggiormente nell’antica loro devotione da me molto ben conosciuta et esperimentata, con molti segni affettuosi d’amore ed osservanza verso le mia persona, nel tempo imparticolare della mia partita, a gloria della Serenità Vostra. Se con quest’effetti posso meritarmi alcun addito alla sua benigna gratia, per qual che sodisfattione del servitio che le ho prestato, in recognitione del mio debito et per riverente et humile gratitudine degl’honori et gratie che oltre ogni mio merito ho ripportato sempre dall’infinita benignità della Serenità Vostra, quali oltre la dispositione propria valeranno di accutissimo stimolo, non dirò di spender le mie poche sostanze e la vita stessa ad imitatione de miei auttori, poiché queste son debite per nattura, ma di farle come hora le dedico un eterno sagrificio della mia sincerissima volontà, non vi sarà consolatione che possi pareggiare la mia. Se diffettivo, come confesso, non dispero che aggiustando ella l’imperfetto colla volontà debba riussirmi al meno benigna. Gratie.
Lorenzo Dolfin