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30 dicembre 1616 Vincenzo Grimani

Relazione

Relazione di Vincenzo Grimani ritornato da Provveditore e capitano a Corfù
1616 30 dicembre

Serenissimo Prencipe re(?)
Dovendo io in questo mio ritorno di proveditore et capitano a Corfù, per compita sodisfattione del mio ufficio, dar riverente conto a Vostra Serenità dello stato di quella città, fortezze et isola, e di quello di più che può concernere il buon servitio delle cose sue, procurerò, co’l mezzo della presente mia breve e riverente relatione, di complire a quest’obligo con rappresentarle tutto quello, che per la poca cognitione o prattica che ho potuto acquistar nel corso di tre anni, che mi son trattenuto a quella carica, stimerò degno della notitia sua, tralasciando, per non tediarla con soverchia scrittura, ogni particolare che o per esser diffusamente trattato da altri illustrissimi miei precessori o per essere di poca importanza, non mi paresse necessario, soggiungendo però all’Eccellenze Vostre quei riverenti raccordi che conoscerò poter conferire ai publici interessi. Et per procedere in quest’attione con qualche ordine, dividendo il mio discorso in tre parti, descriverò loro nella prima, colla dovuta sincerità e riverenza e con quella maggior brevità che fia possibile, lo stato presente della città, fortezze et isola di Corfù e suo distretto. Nella seconda tratterò pur brevemente delle militie, così a piedi come a cavallo, che in esse servono alla Serenità Vostra et in proposito della Camera fiscale e della fabrica de biscotti dirò quanto giudicherò poter riuscir di utile al publico servitio. Discorrendo poi nel terzo et ultimo capo quello che mi parerà bisognevole circa la materia de confini co’ turchi e la levata di militia albanese, ambidue negocii essentialissimi e di singolare importanza.
Per principiar dunque dal primo capo dico; che l’isola di Corfù, degna per sé stessa di somma consideratione e molto più per le maravigliose fortezze che sopra di essa possedono l’Eccellenze Vostre, è situata alla bocca di questo golfo, che tirra da Scirocco verso Maestro; discosta dalla terraferma di Epiro diversamente, cioè dalla parte che principia presso Lasoppo et è verso Maestro lontana dalla terraferma due sole miglia e dall’altro capo verso Sirocco il minor tramite è di sei miglia, fra le quali due parti vi è distanza di dieci, dodeci fino diciotto miglia dalla isola a terra ferma.
L’isola si divide in quattro parti, che si nominano Balie.
La prima si chiama Balia di Alestimo,
la seconda si dice Balia di Mezzo,
la terza di Oros et
la quarta di Agino.
Quella di Alestimo principia al Cavobianco da pianure all’incontro di terraferma, sendo poi di fuori verso Garbino tutta montuosa, come è anche montuosa nel suo fine, che si unisce con quella di Mezzo.
La parte di Lavotiane(?) è diligentemente coltivata e ripiena di vigna e di olivi, ma il rimanente di detta Balia è riddotto in boschi e luochi incolti, sendo questa parte boschiva et incolta la più fertile di tutta l’isola, ma si lascia di coltivare per il picciol numero degli habitanti, quali sono tutti mal sani, né possono ivi dimorare per il mal aere, causato dalla putrefattione di alcune acque morte e specialmente da un lago nominato di Corissia, ch’è vicino alla marina verso Garbino. In questa Balia vi sono molini in due luochi: a Messongi et alle Benizze, quelli sono pochi e malissimo ad ordine, ma questi sono al numero di vinti e per esser lontani dalla città soli sei miglia, se ne servono non pure i cittadini et isolani, ma etiamdio(?) i publici rappresentanti e spetialmente il proveditor et capitano nel far macinar i frumenti per la fabrica de biscotti, se bene ciò si fa anche con molta difficoltà, poiché sendo detti moltini posseduti da povere persone, che non havendo commodità di
tenergli in accocio, gli lasciano perlo più andar a male, si convien finalmente per necessità di macinare i frumenti per i biscotti, fargli accomodar con publici danari, dei quali poi si rimborsa la Camera dalle quotidiane utilità che si traggono da essi molini, quali se fossero ben tenuti, tuttoche siano pochi, sendo nondimeno molto commodi per essere e poco lontani dalla città e vicinissimi alla marina, serviriano sommamente al publico bisogno, non potendosi valersi degli altri sparsi per l’isola, quali per esser molto discosti dalla città et anco mal ad ordine, servono solamente a contadini. Questa Balia, che nella sua parte più vicina al mare verso la  terraferma è quasi tutta piana, ha vintitre casali fra grandi e piccioli, con tremilla e più anime, fra le quali vi sono archibugieri cento trenta in circa e quattrocento cinquanta atti a servire per galeotti.
Dal fine di questa Balia principia quella di Mezzo, distinta in colli e collinette, con molte pianure e campagne, oltre ad alcuni monti che vi sono per lungo dalla parte del mare verso Garbino. Quivi si fanno poche semine, per il picciol numero degli habitanti, e nei luochi migliori sono piantate vigne et olivi, facendosi quivi i migliori vini di tutta l’isola et in buona quantità, come si fanno anco molti olii. In questa Balia vi è una gran campagna detta la valle di San Zorzi, la quale se si potesse riddurre a coltura, dando essito alle acque che vi si raggunano(?) l’invernata et impediscono la coltivatione, riuscirebbe di molto servitio ai publici et ai privati interessi, poiché sendo terrenno feracissimo e grasso, se ne raccoglieria copia grandissima de grani, dei quali l’isola di Corfù ha grandissimo bisogno, convenendo per otto e più mesi dell’anno ricorrere alla terra ferma per il vitto de suoi habitanti. Ha questa Balia casali vinti tre fra grandi e piccioli, habitati da anime cinquemille ducento in circa, fra le quali vi sono cento trenta archibugieri et ottocento vinti in circa atti al servitio del remo.
Doppo la Balia di Mezzo seguono le altre due insieme di Oros et Agiru, separate da questa per lungo ordine di montagne, ove sopra un’alta cima dalla parte verso Garbino, vi è il castel di Sant’Angelo, il quale come io stimo che sia di qualche consideratione, poiché se bene è di antica struttura, per esser tuttavia in sito eminente et convenientemente forte, può dare in ogni evento sicuro ricetto a molte genti dell’isola, come è seguito appunto in tempi di guerra, così non posso restar di dire a Vostra Serenità quello che in tal proposito mi par necessario; et è che venendo ordinariamente mandato al governo di quel posto uno de più poveri cittadini di Corfù, il quale, eletto dal consiglio di quella communità, ivi ad ogn’altro fine di trattiene che per servitio delle cose publiche, stimarei che fosse bene mandarvi persona di più commoda conditione, la quale servisse il(?) publico con solo fin di honore e non di privato guadagno. La maggior parte di questa Balia di Oros è montuosa et il rimanente è diviso in colli et in alcune compagne, ove si raccolgono biade d’ogni sorte, sendo popolata di diligenti agricoltori. Ha casali dieci nove, con anime quattromilla seicento in circa, fra le quali vi sono cento sessantacinque archibuggieri et huomini da remo seicento e trenta.
Segue la quarta et ultima Balia detta di Agiru, quasi tutta in colli, oltre a qualche montagna et alcune campagne presso il mare. Questa è più ferace di vini e di olivii che di frumenti o altre biade, et sebene si fa gran quantità di seminati, non supplicano però di gran lunga al vitto di quegli habitanti. Vi sono casali trentaotto, quasi tutti piccioli, et anime quattromilla cento in circa, fra le quali sono compresi centonovanta archibugieri et seicento trenta atti alla fattion del remo.
Hora che si sono descritte le quattro Balie dell’isola di Corfù, soggiungerò brevemente a Vostra Serenità quello che più stimerò degno di sua notitia d’intorno ai luochi a quella attinenti, risservandomi a parlar nel fine di questo primo capo delle fortezze et della città; et perché fra detti luochi circonvicini et attinenti all’isola il più principale è quello della Parga, da questo comincerò il mio dire. La Parga dunque è situata alla riva del mare nella terraferma di Epiro, discosta dalla città di Corfù cinquanta miglia, che confina dalla parte da terra co’ turchi, quali perlo più tengono fieramente travagliati quei poveri habitanti. Il castello di questo luoco è cinto di buone mura et governato da un cittadino corfioto, che ogn’anno viene eletto da quegli illustrissimi reggimento et proveditore et capitano, et oltre ad esso vi sta anco di pressidio ordinariamente un capitano con vinti fanti italiani, speditovi da Vostra Serenità, et un bombardiero. Sono quivi seicento e più habitanti fedelissimi alla Serenità Vostra, fra i quali si trovano circa cento sessanta huomini da spada e trenta quattro marangoni, dei quali si serve il publico in far tagliar legnami per dai boschi di Butrintò per letti d’artiglieria e stortami da galea. Altri di detti habitanti si applicano alla proffessione maritima et altri all’agricoltura, e questi sono così diligenti in tal opera, che se non fossero molestati da turchi, come ben spesso avviene, raccoglieriano tante biade, che sariano bastanti al bisogno di tutte quelle genti.
Dalla parte verso Sirocco risiede l’isola di Paxo, distante dall’isola di Corfù venti quattro miglia e poco lontana da quella vi è un'altra isoletta nominata Antipaxo, ambidue habitate e coltivate da paxinoti, gente dedita all’arme, espetialmente trecento archibugieri, che nelle occorrenze valorosamente si diffendono da ogni molestia di vascelli da corso, che ben spesso sogliono là capitare per la commodità di due porti che vi sono, e dalli proveditori et capitani di Corfù viene ad essi archibugieri annualmente somministrata munitione di polvere e corda, per l’effetto sodetto. In queste isolette vi sono terrenni altretanto fertili quanto ben conltivati, ond’è che producono tanta copia di biade, che non pure supplisce al bisogno di quelle genti, ma ne sovengono ancora quelli di Cavobianco, che ne sogliono haver penuria.
Vi sono anco dalla parte di terraferma di rimpetto all’isola di Corfù alcune peschiere, giurisdittione di Vostra Serenità, cioè quella di Vataza, quelle della Bastia e quelle di Butintro e di Gerovoglia, fra le quali tutte quelle di Butintrò sono le più principali, affittandosi fino ducati 60.000 per una condotta di anni sei, sebene hora non sono affittate a più che a ducati 36.000 settecento trentaotto. In queste ho impiegato ogni mio spirito, acciò siano ben tenute e migliorate da quei conduttori, procurando la diversione delle molestie, che ben spesso vengono loro inferite da turchi confinanti, così per conservatione delle raggioni di Vostra Serenità, come perché ad una nuova condota, che si doveria far doppo la presente, che principio sotto reggimento dell’illustrissimo Contarini mio precessore e per le conditioni di quei tempi seguì a prezzo così basso, possi l’affitto di dette peschiere tornar di nuovo alla somma di ducati 60.000 et di vantaggio.
Delle altre peschiere di Vataza, Bastia e Gerovoglia, non essendo elle di molta consideratione et havendone havuto Vostra Serenità sufficiente notitia da altri illustrissimi miei precessori, non le ne dirò altro per brevità.
Presso alle dette peschiere di Butrintò vi sono alcuni boschi folti et grandissimi di giurisdittione turchesca, ripieni di legnami bellissimi et attissimi a far letti di artiglieria e stortami da galera, a che havendo io applicato ogni mio pensiero, conoscendo questo servitio sommamente importante e di singolare giovamento a gli interessi del publico, in tre anni ch’io mi son trovato a Corfù, ho continuamente mandati i marangoni della Parga a tagliar di detti legnami, per galee e per letti di artiglieria, di quelli ne ho mandato alla casa dell’arsenale grandissimo numero e di mentre appresso la medesima Casamera ne havea maggior bisogno e di questi gran quantità ne ho inviata nel Regno di Candia, ho guernita l’artiglieria del Zanthe e della fortezza di Nasso, oltre haverne compitamente fornite e provedute le piazza di Corfù et spetialmente la Nuova cittadella, che ne havea grandissimo bisogno; poiché quasi tutta quella artiglieria trovai al mio arrivo, per mancamento di letti in terra scavalcata, di maniera che in ogni occorrenza non se ne haveria potuto ricevere servitio alcuno.
Ben è vero che nel taglio dei detti legnami ho havute molte e laboriose difficoltà appostemi da turchi, ma sendo io andato con loro sempre cautamente destreggiando e dicendogli che detto taglio non si fa per altro, che per haver legnami da fabriche per uso della città, gli ho acquetati in modo che non ne fanno più moto; et hora si può senza contrasto continuare esso taglio, poiché da tanto tempo in qua, servendosi dei boschi sola la Serenità Vostra, può ella stimarsene assoluta parona. Et veramente parmi che per ogni rispetto si debba sollecitar l’effettuatione di questo servitio, mentre non vi è impedimento, non potendosi sapere quanto habbia a durare così fatta commodità, poiché se turchi se ne avedessero, con ogni forza e studio procurerebbono d’impedirlo. Et questo è quanto ho stimato necessario di dir riverentemente a Vostra Serenità circa l’esser dell’isola di Corfù e suo distretto, havendo tralasciato più cose, che per non esser di molto rilievo e perché so che ella ne ha havuto in altri tempi piena informatione, non ho stimato esser bene il farne repplica con sua molestia. Mi resta solo per fine di questo capo rappresentarle lo stato della città e delle fortezze, intorno a che la passerò anche brevemente, così per non saper che aggiungere all’operato dell’Eccellenze Vostre nella rara e maravigliosa struttura di esse, come anco per non apportar loro tedio, repplicando quello che tante volte da altri illustrissimi miei precessori haveranno a sufficienza  inteso. Dirò dunque che nell’ingresso mio a quella proveditoria, che mi fu consegnata a 22 di settembre 1613 dall’illustrissimo signor Girolami Contarini mio precessore, gentil huomo di molto merito e di conosciuta virtù, trovai bailo l’illustrissimo signor Angelo Cabriel, l’intelligentia e valor del quale s’è apertamente potuta conoscer dalla piene sodisfattione che hanno ricevuto quei popoli dal suo supremo(?) governo, con particolar servitio della Serenità Vostra. A cui è successo l’illustrissimo signor Lorenzo Contarini, il quale tuttavia reggendo con ottimo ordine quella importantissima carica, con sodisfattione universale e con molto utile del publico, si rende meritevole di ogni laude; e le vestiggie de predetti signori seguendo, pure i clarissimi consiglieri di quel reggimento con molte diligenza e virtù mi hanno fatto riuscire, e più lieve ogni peso e men difficile ogni difficoltà nell’amministratione del mio ufficio. Nella fortezza Vecchia, ove rissiede il proveditore et capitano, vi habita anche Monsignor Reverendissimo Vicenzo Guerini Arcivescovo, prelato di conosciuta et esperimentata bontà, il quale non prendendosi altra cura che dell’anime alla custodia sua raccomandate, mostrandosi in ciò e negli interessi di Vostra Serenità zelantissimo, regge e governa con singolar prudenza et con piena sodisfattione de publici rappresentanti la sua chiesa.
Giunto a quel reggimento, in essecutione delle commissioni ch’io tenevo da Vostra Serenità, mi applicai subito alla revisione delle militie, dello stato delle quali si raggionerà a suo luoco.
Rividi poi le munitioni e prima quelle de frumenti, che ascendevano alla summa di stara quattromilla ducento novanta sette, quali conforme al solito de(?) grani di quelle parti cominciorono in brevissimo tempo a guastarsi, ilche havendo io riverentemente significato a Vostra Serenità et ricordatole che saria risucito di dupplicato servitio al publico il convertirgli in biscotti, poiché di questa maniera si haverebbe schivato il danno che haverebbono apportato guastandosi et i biscotti si fabricavano con grandissimo vantaggio, mi diede ella ordine di così fare, ond’io immediate essequii; et vedendo che il far di nuovo quella grossa provisione de frumenti era sottoposto al medesimo rischio, né havendo all’hora quella Camera commodità di danaro, come non ne ha manco havuto fino al mio partire, pur per supplire a questo bisogno ne comprai alquanti, quali mentre furono vicini alla corruttione feci convertir in biscotti, né doppo di essi pur per strettezza di danaro ho potuto comprarne. Anzi in questo proposito non resterò di dire a Vostra Serenità, colla mia solita riverenza, che sendo quei frumenti tanto deboli, che non durano più che tre o quatro mesi, giudicherei poter riuscir di maggior servitio a Vostra Serenità il munir quelle fortezze di segale, che sono biada più durabile e men pericolosa da guastarsi, continuandosi però a far compreda de frumenti, per la fabrica de biscotti.
Revidi poi la munitione dei megli, quali trovai alla somma di stara sei milla settecento e vinti; et havendo circa di essi procurato di esseguir l’ordine di Vostra Serenità co’l rinovarli, tuttoché per così fare habbia usato ogni diligentia possibile, non ho però potuto distribuirne più che stara mille cento vinti quatro, quali ho dati a contadini dell’isola, che quest’anno ne renderanno altrettanti de nuovi, et del rimanente di detti migli, che sono vecchi et corrono rischio grandissimo di andar a male, sarà bene che la Serenità Vostra dia ordine che siano smaltit, nella maniera che alla somma prudenza sua parerà più a proposito.
Doppo rivedute le sodette munitioni, revidi anco quelle degli aceti et olii, conservate in vero come sono anco le altre con particolar cura da quel sopramassaro, de quali, ancorché ne tempi presenti non sia necessario il far maggior provisione, nondimeno li haverei acresciuti per maggior sicurtà di quelle piazze et ad ogni altro buonfine, se havessi havuto in quella Camera danaro di tal raggione.
Visitai appresso la munitione delle polveri, la quale è sicome è sommamente necessaria nelle fortezza, così si trova in quella di Corfù copiosissima et in stato di tal perfetitone, che non si può desiderar di vantaggio.
Et perché dovendosi anche in questo luoco dire alcuna cosa delle artiglierie, basterà solo il significare a Vostra Serenità, che sono in numero et in qualità tali, che possono abondantemente supplire in occorrenza di qualunque bisogno. Ben è vero, come ho anco detto di sopra, che nella Nuova cittadella ne trovai la maggior parte scavalcata, per mancamento de letti, ma havendo io di questi fatta copiosa provisione, con i legnami tagliati dai boschi di Butrintrò sopradetti, restano tutti i pezzi ad ordine, con molti letti da rispetto e con quantità di legnami per fabricarne degli altri.
Vi sono anco altre munitioni di moschetti, archibugi, corsaletti et arme simili, delle quali sendo stata Vostra Serenità a pieno informata da miei precessori e da me ancora per lettere, non le farò altro discorso, che affermarle che sono ben tenute e custodite da quel sopramassaro, et che essendo tutte arme antiche e non solite usarsi a tempi presenti, stimerei necessario il rinovarle.
Doppo le sopranominate revisioni mi applicai anco a riveder le fabriche publiche di ambidue le fortezze, fra le quali havendone trovate molte vecchie, cadenti e rovinate, ne ho fatto instaurar alquante; e spetialmente nella fortezza Vecchia un magazen da frumenti, chiamato Morosini, che hevea il colmo tutto conquassato, et hora ben accommodato serve opportunamente al bisogno.
Trovai parimente principiato dall’illustrissimo Contarini mio precessore il cavalier del beloardo Marinengo, la quale opra, acciò non andasse a male rimanendo imperfetta, le feci dar la dovuta perfettione. Trovai anche un magazen presso la versiata, quale essendo stato già fatto di legnami e per la sua antichità caduto a terra, lo feci riedificare di muro, siché serve hora, come faceva anco prima, a serbarsi letti d’artigliaria et altri simili apprestamenti. Conobbi anche esser nella medesima fortezza bisogno di maggior numero de forni per la fabrica de biscotti, però ne feci fare alcune bocche sopra i forni vecchi, che servono a molto commodo per la fabrica sopradetta; et finalmente(?) havendo la Nuova cittadella bisogno grandissimo di alloggiamenti per quel pressidio, feci anco quivi edificare un quartiero bellissimo nella più eminente et importante parte di essa, ch’è capace di cento sessanta soldati et in ogni occorrenza di bisogno ne capi(?) anco ducento. Nelle quali fabriche, tutte fatte per ordine espresso di Vostra Serenità, non ho speso più che ducati 5.000 in circa, tuttoché la construttione del quartier sopradetto sia riuscita di spesa grande, havendosi convenuto portar a spalle sopra quelle eminenze, con fatica grandissima, tutte le materie e fino l’acqua.
Havendo fra qui rappresentato a Vostra Serenità lo stato delle munitioni e fabriche, parresse(?) che qui dovessi toccare anche alcuna cosa della Nuova cittadella, ma non conoscendo che per hora quella piazza habbi bisogno di altra fortificatione, né meno di alloggiamenti per il pressidio che vi si mantiene, non le ne dirò altro, poiché quanto alla sicurezza sua, sendo stata guardata e custodita con grandissimo ordine prima dal clarissimo signor Alessandro Bondulmer, gentil huomo di spirito e di valore, da poi fin negli ultimi mesi del mio reggimento dal clarissimo signor Marco Marcello, vigilantissimo et diligentissimo, et hora sendo pure colla medesima vigilanza et diligenza governata e custodita dal clarissimo signor Pietro Memmo Capitano et dal signor Conte Bartholomeo Nievo mandato ultimamente da Vostra Serenità al governo di quella militia, stante il valore, bontà et esperienza di detti consiglieri(?) non ha in questo proposito la Serenità Vostra che più desiderare.
Doppo la descrittione della città et fortezza potrei anco descorrerle qualche particolare dei borghi, ma per esser breve, tralasciando ogni superfluità, le dirò solo che sono tre: cioè San Rocco, Castrade et Manducchio, tutti popolati, di maniera che colla città e due casali, cioè Potamò e Servopuli, che vanno uniti con essi, contengono anime ottomilla cento e dieci, che aggiunti agli habitanti delle Balie dell’isola sommano in tutto anime vinticinquemilla quattro cento trentacinque, non essendo compresi in questo numero la militia, la strathia, forastieri né hebrei; et questi pure divisi in cento trenta sette fameglie, sparse per la città confusamente e con grandissimo disordine, sono sei milla persone di diverse nationi, poiché ve ne sono di nativi corfioti, de levantini e de ponentini, e fra questi gran numero de spagnuoli, quasi tutti con buone commodità.
Mi resterebbe, doppo le materie di sopra significate, dire anco qualche particolare delle saline, ma perché da certo tempo in qua, perché sia del tutto abbandonnato questo negotio, restando esse saline senza lavoranti, dirò solo che quando fossero ad ordine et si fabricassero sali, non costerebbono a Vostra Serenità più che vinti ducati ogni mille mozetti, et vendendosi ducati cinquanta, parmi che sarebbe assai honesto guadagno; oltreché non fabricandosi  più sali a Corfù, quando siano smaltiti quei pochi che vi sono, converrà(?) quell’isola rimanerne in grandissima penuria. Ilche significo riverentemente alla Serenità Vostra ad ogni buon fine, terminando con ciò il primo capo, statuitomi da principio.
Nel secondo dovendo prima descriverle l’essere e le qualità delle militie, così a piedi come a cavallo, che servono nelle fortezze di Corfù, le dirò che mentre sono piene tutte le compagnie, come io le trovai al mio primo(?) arrivo a quel reggimento, e le ho anco lasciate al mio partire, l’infanteria ascende al numero di quattrocento sessanta sette soldati, divisi in otto compagnie, una delle quali assiste al governo della cittàdella Vecchia et è di fanti novanta, e le altre sono di cinquanta o sessanta soldati per cadauna, assai ben tenute da loro capitani sotto il governo del signor Conte Ugaccin Rangone, del quale non dirò altro a Vostra Serenità, poi che sendo cavaliere di tanti e così varii pensieri, non saprei di dove prender principio a descriverglielo. Al numero sodetto d’infanteria aggiunsero già l’Eccellenze Vostre i trecento fanti straordinarii della carica di Domino Ottavio Cecconi, il quale servì in quelle fortezze con affetto di molta prontezza e devotione, fino a tanto che fu poi da esse colle medesime sue compagnie spedito altrove. Et sicome quell’aggiunta di pressidio era necessarissima per riputatione di quelle piazze, per maggior sicurezza e per li frequenti passaggi di armate aliene, così stimarei che dovesse esser molto a proposito il mantenervi sempre qualche numero di straordinaria soldatesca, sendo l’ordinaira così poca che a gran fatica basta a supplire alle più necessarie fattioni.
La cavallaria poi è di cinquanta quattro cavai(?) leggieri stradiotti, divisa in cinque compagnie: la prima sotto’l commando di domino Giovan Rhenesi governator e le altre de capitani, tutti discendenti insieme co’lor soldati da benemeriti napoletani di Romania.
Di questa non possono dir Vostra Serenità, se non che i sodetti governatore e capitani attendono cola debita diligenza al publico servitio, mantenendo buoni cavalli e mostrandosi pronti a servire in tutte le occorrenze. I soldati parimente sono anch’essi assai ben ad ordine de cavalli, ma havendo bisogno di armature, quando fossero convenientemente proveduti, se ne potrebbe promettere ogni buon opra. Ch’è quello appunto ch’io ricordai anco riverentemente a Vostra Serenità con mie lettere, quando feci l’ingresso a quel reggimento.
Vi sono appresso quaranta bombardieri provisionati e due capi, l’uno dei quali serve con una parte de bombardieri nella Vecchia e l’altro con l’altra parte nella Nuova fortezza, comandando però a tutti il capo Zannetto da Venetia, persona molto da bene e per la diligenza che usa nel suo carico, con molto zelo et servitio delle cose publiche, degno della gratia dell’Eccellenze Vostre, poiché oltre a gli altri servitii che presta, per la cura assidua e diligente che tiene degli apprestamenti publici e de legnami e letti d’artiglieria, è tanta e tale che non potrebbe esser maggiore né migliore.
Doppo le militie pagate seguono le ordinanze d’archibugieri di genti del paese. Queste si dividono in cinque squadre l’una della città e borghi, e le altre quattro della quattro Balie, commandate da sie [forse tre] capitani co’ suoi sergenti spediti da Vostra Serenità, l’uno dei quali risiede nella città co’l suo sergente e gli altri due pur co’ loro sergenti l’uno da un capo dell’isola e l’altro dall’altro capo, havendo ogni squadra due alfieri e due tamburi di persone del paese.
La prima squadra che è quella della Balia di Alestimo, può esser di cento trenta archibugieri, come s’è detto di sopra, e di questi ve ne son molti de buoni et esperti nel maneggio dell’arcobuggio, per esser la maggior parte cacciatori.
La squadra della Balia di Mezzo è di cento ottanta soldati, parte dei quali sono disciplinati e parte con poca disciplina.
La squadra di Oros è di cento sessantacinque, quali sono mal destri e poco atti al maneggio dell’arcobuggio, eccettuati però quelli che habitano la parte più bassa di detta Balia, che sono buonissimi archibuggieri.
Quelli di Agirù sono similmente parte buoni e parte non buoni, et ascendono al numero di cento novanta.
Et finalmente quelli della città e borghi, che possono essere intorno a cento, sono più sufficienti e disciplinati di tutti gli altri; et fra tutte le ordinanze sodette sono sette cento sessantacinque soldati, la maggior parte dei quali ha bisogno grandissimo di disciplina, ch’é quanto in proposito delle millitie posso dire alla Serenità Vostra.
Mi resta raggionar della Camera fiscale, circa la quale dirò solo, che di essa e del danaro publico ho havuto sempre particolare et diligentissima cura, havendo sentito disgusto nell’animo, quando per mancamento di esso vedevo differirsi qualche servitio publico importante. Non ho mancato di avisarne Vostra Serenità et di procurar di haver danari dal Zanthe e da Ceffalonia, di dove, se bene ho havuto in tutto il corso del mio reggimento ducati quarantacinque milla ottocento sessanta uno, tuttavia(?) non mi hanno punto servito in quei bisogni, havendone convenuto dar sessantamilla all’eccellentissimo signor Proveditor general in Candia Bondulmero(?), da che è poi nata la penuria di danaro c’ha patito per l’addietro et hora più che mai sente la Camera di Corfù, con incommodo et pregiuditio non poco de publici interessi, poiché ella havendo tenuissime entrate, che non arrivano a ducati dodicimilla all’anno e grandissime spese, che ascendono alla somma di ducati 4.000 al mese, non può supplire se dal Zanthe dalla Caffalonia et anco da questa città non vien soccorsa. Stimerei però che fosse di necessità il tener sempre in quella Camera buona somma di danaro, così per le spese ordinarie et bisognucoli, come anco per riputatione et tanto maggiore sicurtà di quelle considerabilissime piazze. Mi impiegai anche con molta cura nell’assatione di crediti publici, dei quali ne ho riscosso gran parte et alcuni specialmente, che per essere soverchiamente invecchiati, riuscivano quasi che inessigibili; et finalmente sempre che s’è trattato del danaro publico, ho procurato che sia speso con quel riguardo e risparmio che si conviene, non havendo in ciò havuto alcun rispetto particolare immaginabile.
Né con minor diligenza et affetto mi sono impiegato nella fabrica de biscotti, anzi havendo conosciuto questo negocio di somma immportanza, vi ho sempre atteso con ogni assiduità et accuratezza possibile, onde con i vantaggi che ho havuto nella compreda de frumenti dalla terraferma vicina, con il levar l’occasione a Vostra Serenità di mandar da queste in quelle munitioni tanta somma quantità di denaro biscotti, quanta di faceva prima, facendole risparmiar nolli de vascelli, le spese di sicurtà et fuggir il rischio di bagnarsi i biscotti, e con molti altri civanzi che con più mani di mie lettere le ho riverentemente rappresentato alla Serenità Vostra, le ho fatto in questo solo servitio avanzar gran somma si danaro, poiché al mio arrivo a Corfù, havendo havuto sopra ciò matura e diligente consideratione mi fu et datonele particolar conto, mi fu da lei commesso, che doppo convertiti in biscotti i frumenti più vecchi e più deboli delle munitioni, ne comprassi anco degli altri per il medesimo effetto, valendomi di ducati dieci milla che all’hora mi mandava e di altrettanti che mi commetteva dovessi estrazer da quelli delle Camere di Zanthe e di Cafalonia, quali tutte furono da me così utilmente e sollecitamente impiegati, conforme alla publica volontà; che havendo poi continuato in questo servitio, per il corso di diciotto mesi che ho havuto commodità di danaro, ne ho fatti fabricar un million et cinquecento cinquanta migliara de biscotti, oltre ai fatti coi formenti sodetti delle munitioni, riusciti tutti buoni, sufficienti e di compita sodisfattione dell’armata, non mi essendo costati più che ducati sedici il migliaro, dove qui costano all’Eccellenze Vostra ducati quaranta. Di maniera che non solo haverò loro ben servito, nel procurarle i vantaggi sodetti, ma (che è poi di maggior importanza) haverò anche aperta la stradda di fabricar biscotti buonissimi, che non costeranno più di quanto le ho di sopra significato, anzi tanto meno, quanto che dalle diligenti coltivationi che fanno gli albanesi nella terra ferma, quali allettati dal guadagno vanno sboscando e ridducendo il tutto a coltura, si dee(?) sicuramente sperare così abondanti raccole, che non sapendo essi ove smaltire i frumenti che per la via di Corfù e concorrendone quivi in tanta copia, converranno necessariamente discendere a bassissimi prezzi, come è già principiato a seguire, poiché i frumenti ch’io prima ho comprato a lire 14  e 15 il mozo corfioto, al mio partire non valevano più che lire 13 soldi 10. Il che tutti ho io voluto rappresentare a Vostra Serenità, acciò ch’havuto rifflesso in questo così importante negocio e riguardo all’utile grande che porta seco, possi ella in tal proposito dar quegli ordini all’illustrissimo mio successore che al sapientissimo suo giudicio pareranno più proprii et espedienti.
Et per passare al terzo et ultimo capo, nel quale ho proposto di dire a Vostre Serenità quanto stimerò necessario in proposito de confini co’ turchi e levata di militia albanesi e cimeriose(?), ambidue negotii di singolare importanza. Dico quanto al presente che confinando l’isola di Corfù colla terraferma di Epiro, giurisditione del Signor Turco, dalla quale in alcuni luochi non è distante più che soli due miglia, è necessario come s’è detto nella sua descrittione, è necessario haver sempre l’occhio non solo alla custodia di quelle importantissime piazze, ma forse molto più alla conservatione della quiete di quei confini, così per sradicare ogni sieme di mala intelligenza o discordia che potesse nascer fra confinanti, che suole poi essere origine di ogni successo sinistro e pernitioso al bene publico, come anco per particolar beneficio de sudditi di Vostra Serenità, la maggior parte de quali sostentandosi co’l traffico della terraferma, di dove traggono con molto utile non pur mercantie, ma biade, carnari et altre cose necessariissime al vitto loro, levata la quiete e la libertà del commercio, rimangono essi in quello stato che Vostra Serenità colla somma prudenza sua può immaginarsi, e tanto più quanto che essendo detti confini tutti comandati dal Sanzacco di Delvino(?), il quale in diversi luochi tien suoi ministri, questi operando per lo più con fini indebiti o contrarii al dovere et al bisogno publico, causano bene spesso fra gli uni e gli altri sudditi disgusti e rumori di pessime conseguenze, le quali produrebbono anco effetti pari e simili a sé stessi, se dalla prudenza e desterità de rappresentanti la Serenità Vostra non rimanessero acquetati, raddolcendo tal hora detti ministri, con termini amorevoli e cortesi, et tal hora intimorendogli con protesti di scrivere a Constantinopoli e di procurar co’l mezzo del Bailo di Vostra Serenità il condegno castigo alle lor prave et ingiuste operationi, le quali comminationi, molto temute da essi, fanno alle volte ottimi e fruttuosissimi effetti.
Da questi confini, in tre anni che io mi son trattenuto a Corfù, sono passati ad habitar sul’isola quattro milla e più albanesi colle loro fameglie, quali sendo gente robusta et avezza alle fatiche, s’applicano subito con molto frutto alla coltura de terreni, inche continuerebbono anco per tutto’l tempo della lor vita, con pensiero di godere il fine a sé stessi proposto di vivere sotto l’ombra e clementissimo dominio della Serenità Vostra, lontani e liberi dalla tirannide turchesca, se dalle estorsioni e mali trattamenti dagli invidiosi isolani, rimanendo miseramente ingannati, non fossero finalmente costretti di abbandonnar disperatamente le fatiche loro e ritornar di nuovo a sottoporsi al pristimo giogo della primiera servitù, a che havendo io havuto principalissimo riguardo e conoscendo questo disordine esser d’infinito pregiudicio ai publici interessi, ho continuamente procurato con ogni mezzo possibile di impedirne gli effetti, con accarezzare e protegger le dette genti da ogni ingiusta et indebita oppressione, e se l’auttorità mia si fosse estesa tant’oltre, quanto haverebbe ricercato il bisogno, sarei anco passato ad esscutioni(?), che haveriano senza dubbio singolarmente giovato al publico servitio et al privato interesse di quelle povere genti, le quali se fossero raccommandate alla protettione e sottoposte al comando del proveditore et capitano, magistrato molto più libero e meno occupato ne giudicii civili e criminali, che non è quell’illustrissimo reggimento, e tenendosi quivi quel medesimo stile che per ordinario di Vostra Serenità vien tenuto nell’Istria, ove la cura de nuovi habitanti è commessa all’illustrissimo signor capitano di Raspo, questi miseri bramosi di passar la lor vita quietamente e di attendere con sicurezza e tranquillità di animo alla coltura de terrenni, quando fossero ben trattati e difesi dalle molestie di detti isolani, multiplicheriano di maniera, che assicuro Vostra Serenità e l’Eccellenze Vostre illustrissime, che nel corso non dirò di dieci, ma di due soli anni, renderiano l’isola abondante et habitata, in modo che si troveria in stato di molta felicità, oltreché apparentandosi di tempo in tempo con i medesimi isolani, come hanno già principiato a fare, fonderiano quivi perpetua habitatione, onde havendo Vostra Serenità l’isola opulentissima e ripiena di simil gente, se ne potria valere in ogni occorrenza e particolarmente in occasione, come è la presente, di assoldare albanesi per militare, poiché questi tuttoché siano barbari e rozi, quando però habbino un poco di disciplina, sendo nel resto robusti e coraggiosi, se ne potria ella promettere ogni buona riuscita; le quali considerationi forse ben ponderate da turchi, gli mossero l’anno passato a far scrivere alli rettori di Corfù da Resuan Bassà, soggetto di eminenti considerationi, che si trattiene in quelle parti per riscuotere i crediti del Gran Signore, lettere efficacissime con vive instanze, perché fossero scacciati dall’isola detti albanesi, asserendo che passando essi colà in tanto numero et abbandonando la terraferma, veniva perciò il Signor Turco a perder molte delle sue contributioni e gli restavano dishabitate e disertate le ville. Al quale ufficio giudicai doversi rispondere, come appunto si fece, che lo scacciar gli albanesi dall’isola di Corfù era contrario non pure al dovere, ma quella libertà che la Serenissima Repubblica et ogn’altro Prencipe suole ordinariamente conceder ad ogn’uno di venire e star ne luochi della sua giurisdittione, et che si come a sudditi di Vostra Serenità et ad ogn’altro non si nega in terraferma il venir, lo stare et il partire, così anche a Corfù a sudditi turcheschi et ad ogn’altro il venir, lo star et il partir liberamente si permette, oltre che giornalmente capitando a quell’isola gran numero di barche e vascelli da tutte le parti e con ogni sorte di genti, era impossibile l’haver così particolare et essato riguardo a questo loro interesse. Della qual risposta data dall’illustrissimo signor Bailo di Corfù e da me per lettere al Bassà et anco espressa colla viva voce ad un huomo suo, che perciò havea spedito, ne rimase così apieno sodisfatto, che non ne ha fatto più altra condoglienza. Dessimo però di tutto particolar conto all’eccellentissimo signor Bailo in Costantinopoli, come facessimo anche a Vostra Serenità, acciò che quando costoro ne havessero fatta parola alla Porta, havesse potuto Sua Eccellenza convencergli colle sodette raggioni, delle quali giudico io che in simili casi anco per l’avenire i publici rappresentanti possino opportunamente et fruttuosamente valere.
Et per parlare in questo luoco anche alcuna cosa della levata di militie albanesi e cimeriose(?) commessami da Vostra Serenità et procurata da me con tutte le diligenze, tralasciando hora di descriverle il corso delle negociationi passate con essi et a sufficienza rappresentatele con mie lettere, mi ristringerò a dirle solo con brevità della natura di quelle genti e delle difficoltà che perciò ho convenuto superar per condurle a questo servitio. Et primieramente, quanto alla loro natura fra tutte le più barbare bisogna ceder che questa sia barbarissima, poiché non conversando essi mai che fra loro medesimi, non possono apprendere altr’uso o altri costumi che i proprii di quel paese alpestre e rigido sopra modo e se pure alcuni di essi hanno tal’hora occasione di trattar co’ turchi, ai quali prestano anco poca o per dir meglio niuna obbedienza, non possono da quelli apprendere senon maniere crudeli et inhumane, conformi apputo alla naturale fierezza loro. Di dove son procedute tante difficoltà che ho convenuti superar per condurgli, poiché fra gli altri loro difetti sendo sospettosi et insatiabili quanto più si possa immaginare, doppo haver lungamente faticato nel levar loro mille vani e mal impressi sospetti, parte nati da loro instinto naturale e parte suggeriti con sinistri uffici da persone malaffette al servitio dell’Eccellenze Vostre, convenivo poi attender ad aggiustar le ingiuste pretensioni di mille ingorde e stravagantissime voglie, delle quali se o con parole o con effetti non restavano intieramente compiaciuti, tumultuavano subito e confondevano ogni precedente conclusa trattatione. Di questi però e degli altri più vicini a Corfù, che veramente sono alquanto più quieti, ne ho levati fino cinquecento, ma tante e così ardue fatiche, le quali pure ho sostenute et passate col divino aiuto, che troppo lungo sarebbe il descrivergliele. Et se le lettere di Vostra Serenità di 9 febraro, come mi furono da lei opportunamente spedite, così havesse permesso la cattiva staggione che mi capitassero in tempo, e se non fossi stato obligato alla continua residenza nelle fortezze, ma havessi potuto transferirmi colle galee qua et là per trattar personalmente quanto era necessario, haverei di maniera vantaggiate le cose sue, che se ne haveria fatto molto maggior numero e forse sarebbe rimasta adempita la condotta di due milla da lei ordinatami. Tuttavia non si può negare, che sia stato grande e maraviglioso acquisto, l’haver dato principio et aperta la stradda alla levata di questa natione, la quale se bene è di gente fiera e che ha bisogno di militar disciplina, non dimeno, quando sia alquanto domesticata colla prattica et ammaestrata da capitani, sendo nel resto forte, animosa e per l’uso del patire molto a proposito, sarà atta a prestare ogni valoroso servitio; lauderai però (e sia detto colla mia solita riverenza, rimettendomi sempre al singolar sapere dell’Eccellenze Vostre) che havendosi principiato a condurre di dette genti, se ne andasse levando ogn’anno qualche numero, per conservarsi il potere et il commodo insieme di farne anche quando lo ricerchi il bisogno grossissime levate, dovendosi tener per fermo, che non essendo fra loro alcuno che habbia memoria che da quelle parti siano venute genti al stipendio di questa Serenissima Repubblica, hora che si sono introdotte, sia per riuscire tanto più facile il proseguire, quanto è riuscito a me difficile il cominciare. Delle quali tutte cose sinceramente e riverentemente rappresentate a Vostra Serenità, come ho detto quanto ho conosciuto più necessario, così confesso anco haver tralasciati molti particolari, l’intelligenza dei quali non le sarebbe forse riuscita affatto inutile, a questo però supplirò sempre che dall’Eccellenze Vostre illustrissime mi sarà comandato, conforme di tempo in tempo ricercheranno le occasioni. Hanno intanto al governo di quelle importantissime fortezze l’illustrissimo signor Antonio Civrano, gentil huomo di quel merito che da esse è molto ben conosciuto, il quale colla sua diligenza e virtù complirà intieramente a più difetti causati e dalla debolezza del mio poco talento e molto più dagli impedimenti che mi hanno apportato le mie indispositioni.
Si degnino in questo mentre la Serenità Vostra e l’Eccellenze Vostre illustrissime, come humilmente ne le supplico, di restar compiaciute della buona, pronta e devota volontà, con che ho procurato di servirle sempre in questa et in tutte le altre occasioni che ho havuto e come farò per l’avenire nell’essecutione di loro comandamenti, quando resteranno servite di honorarmene.
Ho havuto per secretario messer Girolamo Bon, giovane pieno di spirito et ottimi costumi, et così diligente et valoroso che ne son rimasto appieno sodisfatto.
Merita la gratia di Vostre Eccellenze e se ne possono promettere in qual si voglia occasione ogni più fruttuosa et singolar riuscita. Gratie.