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31 luglio 1600 Zuan Matteo Girardo

Relazione

Relazione di Zuan Matthio Girardo ritornato di Bailo di Corfù
31 luglio 1600

Serenissimo Principe
Piacque alla benignità della Serenità Vostra di gratificarmi del bailaggio della città et isola sua di Corfù, al cui carico io mi conferiti con quel desiderio, ch’era debito mio, di adoperarmi con ogni spirito nel governo de quei popoli, ma perché l’aere di quel luogo mi si dimostrò molto nocivo et contrario alla mia complessione, fui costretto finalmente di supplicar la Serenità Vostra, ch’acciò io potesse procaciar la salute, si degnasse farmi gratia del rimanente tempo di esso mio carico, dil che ne fui anco dalla solita sua clemenza compiaciuto, se bene per la morte innaspettata della buona memoria del clarissimo signor Antonio da Ca da Pesaro, eletto in mio luogo, io habbia convenuto trattenermeli fino li 21 giugno passato, nel qual giorno, per riverente essecutione di lettera di Vostra Serenità, consignai esso carico al clarissimo signor Lunardo Zuliano. Però hora, che merce alla Divina bontà, me ritrovo redotto alla patria, se bene in non molto buon stato, per non mancar di quell’obligo, che per antiquo et laudabilissimo instituto mi si deve, rappresenterò a Vostra Serenità, con tutto che mi conoschi poco atto, quello che per il publico servitio viene stimato da me più degno della saputa et inteligenza sua.
Tralascierò donque, Serenissimo Principe, de dir a Vostra Serenità qual sia la situatione, grandezza et circonferenza di quella sua isola, et meno le dirò della fideltà et devotione di quei popoli, essendo ciò stimato da me superfluo, poiché mi rendo certo, che per le relationi de molti altri suoi clarissimi rappresentanti, le debbi esser stato il tutto benissimo noto, ma come cosa principalissima et stimata da me di molta importanza, mi sforzerò di dimostrar a Vostra Serenità la qualità, bontà et consideratione di detta sua isola, il malissimo stato in che per la sua coltivatione se trovi et quanto habbia bisogno, che col sapientissimo suo giuditio la Serenità Vostra, per publico servitio et conservatione di essa, devenghi sopra ciò a qualche opportuna deliberatione.
Con l’occasione della visita, che per obligo del carico ch’io teniva feci della detta isola nel mese d’aprile dell’anno passato, volsi vederla in ogni parte et restai consolatissimo vedendo l’amenità, belezza et bontà di quella, si come poi all’incontro sentiti infinito spiacer d’animo in veder la grandissima quantità di terreni, ben che d’ottima bontà et in ogni perfettione, che vengono lasciati andar inculti et che insieme non venghi fatto alcuno beneficio alli olivari, de quali se ne trovano in grandissima quantità per tutta l’isola, piantati da suoi antenati, ma che ogni anno in luoco de rinovarne, se n’abbrucciano et tagliano per far legne et altro et etiam dall’istessi patroni, con tutto che per la temperie dell’aere riuscischino(?) felicemente et rendino una entrata tanto utile, oltra che per venir sbatute per il più le olive dalli olivari et per le frasche et altro che se trova sotto d’essi, vanno per li due terzi di male, ressultandone per ciò grandissimo danno, non solamente alli particolari, ma ancor al publico interesse di Vostra Serenità.
La detta isola se ritrova divisa in quattro parti dette balie, in cadauna delle quali vi è una campagna amplissima, oltra li molti altri terreni che vi sono in ogni bontà per biade, quando venissero coltivati, ma in luogo de coltivarli, si come ricercherebbe il bisogno di quell’isola per sostentamento delli habitanti, sono lasciate andar esse campagne se può dire del tutto inculte per pascolo de animali.
Nella balia d’Alesshimo(?), ch’è dalla parte verso Levante, se ritrova una campagna detta de San Zorzi Gialiscari, dove sono molti casali, per il più dishabitati, si per rispetto delle antique incorsioni, come per causa del cativo aere, che deviene, per quello che dicono, dal lago, ch’è in capo di detta campagna detto de Corsiglia. Il quale il signor Michiele Eparco tolse carico, col’imprestido fattoli da Vostra Serenità, di far sbucar nel mare, si per purificar l’aere, havendo lui in quei luochi molti terreni, come per il pensiero ch’esso teniva, ch’in esso se potesse far una peschiera; et per quello ch’io vidi nell’andar in visita, tengo per il debole mio giuditio, che sempre che fosse fatta la bocca ad esso lago, nel modo che se ricercherebbe, acciò che il mare potesse entrare et uscire di detto lago, fosse per apportar assai beneficio all’aere et che con tempo li casali che vi sono potessero rehabitarsi.
Nella balia di mezo vi è la valle de San Zorzi, la quale fu tolta a coltivare dal signor Guido Ascano del Monte, col imprestido che similmente gli venne fatto da Vostra Serenità de ducati vinti mille, ma perché da quel signor, per quanto si vede, non è stata data essecutione, se non in minima parte, a quello che per li prudentissimi ordeni dell’eccellentissimo senato dateli in tal proposito far doveva et che per ciò veniva ad esser defraudata la buona mente di Vostra Serenità et insieme li patroni di terreni ne restavano privi, senza riceverne utile alcuno, la se rissolse, a supplicatione presentatale a nome di quella communità di Corfù, di tagliar il contratto seguito col detto signor Guido Ascanio, per il che essequendo noi rettori l’ordine della Serenità Vostra, fossimo astretti di licentiar, se bene con molto spiacer nostro, quei pochi agricoltori Italiani che all’hora se vi trovavano, essendo per ciò detta campagna ritornata come prima a pascolo d’animali, che pur essa sola per la sua grandezza e bontà sarebbe bastante securamente a produr tante biade, che supplirebbero al viver de quei habitanti per la mettà dell’anno, quando che venisse coltivata.
Questo mancamento deviene, Serenissimo Principe, si per li pochi habitanti che per causa dell’antique incursioni se trovano sopra l’isola, quali per l’ultima descrittione, ch’io ho fatto fare al presente, non sono più de circa quindici mille anime et fra essi vi ne sono solamente da fattione circa quattro mille cinquecento, oltra quelli della città et borghi; come poi per cosi li cittadini come li contadini pongono ogni loro industria, spesa et fattica solamente nell’impiantar et governar vigne, per l’utile che dicono cavarne più che dalle semine, che per questo ne vengono fatte ogni anno in assai quantità et nelli migliori terreni de pianura, essendovi molti cittadini et per la maggior parte, che con tutto che se trovino haver assai quantità de terreni, bonissimi et molto atti a biade, non ne fanno seminar alcuna parte, ma comprano tutto il fromento che consumano per uso delle loro famiglia, overo viveno col pane della scaffa, ma bene raccogliono molta quantità de vini, lasciando perciò anco di far beneficio alcuno alli olivari, anci che quelli destruoreno(?) et lasciano andar di male, con molto disservitio dell’interesse publico.
Havendo io veduto così importante disordene me rissolsi, ritornato che fui dalla visita, di rappresentarli a Vostra Serenità, con mio di 24 maggio 1599, et le dissi, con quel zello che haver debbo come cittadino di questa Serenissima Repubblica, quanto io giudicava che potesse esser bene così per la coltivatione et seminagione delli terreni, come per servitio delli olivari, essendo materia tanto importante, per il bisogno che tiene questa città de ogli, poi che hora pochissimo se ne può sperare da quell’isola, che quando se vi ponesse qualche ordine, siccome per parte dell’eccellentissimo senato del 1565 si vede esser sempre stata la mente di Vostra Serenità, se ne caverebbe ogni anno in grandissimo quantità, in particolare le dissi, ch’io teniva dovesse esser bene, che fosse con strettissime pene prohibito che per l’avenire non potessero esser piantate vide in luoghi de pianura, si perché in tal modo si ovierebbe il farne d’altre, come anco perché con tempo quelle che sono fatte, invechiandosi, ritornarebbero per semine; et che nelle vigne che hora vi sono dovessero li patroni esser obligati a piantarvi intorno d’esse, nel termine che gli fosse assignato, quindeci o vinti piedi d’olivari per ogni morada, il che non sarebbe stato d’alcuno agravio alli patroni et se può dir d’alcuno interesse, poi ché nel tempo che le fanno zappar, potrebbero con l’istessa spesa far piantar essi olivari, et nel spazzo de pochi anni ne rissulterebbe molto utile a loro et grandissimo beneficio a Vostra Serenità, vedendosi che li olivari che hora se trovano nelle vigne, per esser zapati, producono la metà più olive che non fano quelli che sono lasciati andar senza farle beneficio.
Hora l’isola per l’ordinario non produce biade che suplischino per tre mesi dell’anno al viver de quei habitanti, facendo bisogno che il rimanente sia estratto alla giornata dalle parti di terraferma et tolto dalle mani de Turchi, in potestà de quali sta il far che la città et isola rimanghi in spatio di breve tempo assediata, oltra che quando la fortuna non favorisse di farle capitar qualche vassello con formenti d’altre parti, essi Turchi, che sono benissimo consapevoli, co’l mezo dell’istessi Corfioti che trafficano in terra ferma, del bisogno che s’ha di biade, li fanno pagar a pretii alti, sapendo che per necessità se convengono pigliar per quello che loro vogliono, oltre che poi non se ne può n’anco tenere la quantità che ricerca il bisogno, con grandissimo travaglio delli rettori che se trovano a quel governo; tengo per ciò esser cosa necessarissima, che già che sopra l’isola vi sono campagne amplissime et di terreni ottimi et de quali se potria sperare di cavar biade, che supplirebbero a sufficienza per il viver de quei popoli, quando venissero coltivate, che la Serenità Vostra, con la somma sua prudenza, devenghi sopra ciò a quell’opportuna deliberatione, poi ché oltra che provederà al vito de quei habitanti, la ne venirà a ricever notabilissimo beneficio, per l’avantaggio che sarà nelli pretii di fromenti, per far li biascotti per l’uso dell’armata, et sarebbe anco di grandissimo solevamento alle sue isole del Zante et Ceffalonia, quali viveno per il più delli fromenti di Dragomeste et Candele, che essendoli levati dalle galee grandemente patiscono.
Ho lasciato al partir mio in esso fontico da circa stara 2.600 di fromento, che resta a dispensarsi di quello che se scaricò della nave Ragusea, condotta dal clarissimo signor Capitan del colfo, il che diede l’anima a quei habitanti, poi che non s’haveva con che poterli più sostenere.
Di terraferma s’estrazeno anco quasi tutte le carni che se consumano per uso de quei popoli et insieme le legne, che s’adoperano per servitio di forni et anco delle case particolari, essendovi assai numero di barche che continuamente traficano, hor per una cosa et hor per un’altra, con le quali occasioni aviene che ben spesso vengono fatti rechiami da quei ministri Turcheschi, che siano trafugati delli suoi cavalli et altri animali, se portati sopra l’isola, le quali lamentatore(?) habbiamo quei clarissimi proveditori et io cercato di supire con ogni destrezza, si come conoscessimo esser mente di Vostra Serenità.
Io son stato a quel governo per spatio de mesi vinti, nel qual tempo ho havuto per collega prima il clarissimo signor Andrea Cabriele, gentil huomo conosciuto da me di molta bontà, prudenza et integrità et vigilantissimo nel servitio della Serenità Vostra, similmente il clarissimo signor Alvise Barbaro, successo in luogo suo et che tuttavia se ritrova a quel carico, se dimostra diligente per il buon governo delle cose di Sua Serenità, essendo fra cadauno d’essi et me passata sempre bonissima unione et ottima inteligenza, sicome è ancor avvenuto con li clarissimi signori Francesco Maria Malipietro, Andrea Corner et Marino Mudazzo, che sono stati consiglieri in tempo mio, con quali ho procurato di regger quei popoli con quell’amor, che per gli ordeni di Vostra Serenità era debito mio di fare. Havendo io conosciuto cadauno di Sue Signorie clarissime di assai  prudenza et meritevoli della gratia sua.
Vi è l’illustrissimo et reverendissimo Arcivescovo Monsignor Vicenzo Querini, prelato veramente di vita essemplare e il quale, come buon pastore, attende con ogni spirito a quelle cose che concerneno il governo della chiesa et salute dell’anime di quei habitanti, da quali è somamente amato et stimato, consumando Sua Signoria reverendissima la maggior parte del tempo in studdi; et in molt’occasioni che sono occorse a noi rettori di trattar seco negotiii publici, s’è dimostrato ottimo figliuolo di questa Serenissima Repubblica, con haver sempre antiposto l’interesse di Vostra Serenità ad ogni altro suo particolare.
Restami a dir solamente a Vostra Serenità, che in quello che per debolezza d’ingegno io havesse mancato in quel governo, da me con ogni devoto affetto essercitato, si degni attribuirlo non ad altro che al mio poco sapere, rimanendo certa che in me sarà sempre una pronta volontà di adoperarmi in qual si vogli occasione in servitio di Vostra Serenità et della Patria, et sicome son obligato profunder(?) per essa la vita, li figliuoli et quella poca de sostanza che dal Signor Dio mi è concessa; et alla buona gratia di quella faciomi humilmente raccomandato(?).
Di Vostra Serenità servitor devotissimo Giovan Mattheo Girardo fu Bailo di Corfù