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10 settembre 1606 Zuanne Lion

Relazione

Relazione di Zuanne Lion Bailo a Corfù
1606 settembre 10

Havendo comandato la Serenità Vostra et le Vostre illustrissime et eccellentissimi Signorie, ch’io Zuanne Lion, ultimamente ritornato di bailo di Corfù, metti in scrittura quelle poche cose, che per debito mio et servitio publico, ho riverentemente esposto nell’eccellentissimo collegio. Dico che la città di Corfù, la qual dopo la terza dessolation d’essa, s’è resa da pochi molti anni in qua e si rende tuttavia per le molte fabriche fatte e renovade assai riguardevole e importantissima quanta altra si ritrova nel Stado della Serenità Vostra, non solo per la sittuacion d’essa, essendo la chiave di tutto il Levante, ma anco perché è propugnacolo e difesa della parte da mar, posso dire della libertà di questa Serenissima Repubblica, come da molte e molte esperienze è benissimo noto alla prudenza dell’Eccellenze Vostre. A questa parve alla benignità della Serenità Vostra d’inviarmi per bailo, cargo invero molto grave e maggior forse di quello si conviene alla debolezza delle mie forze, nel qual invigilando io di continuo il publico servitio, ho procurato, come non indegno loro ministro, di esercitarmi, resservando sempre ogni interesse di Vostra Serenità, con quella maggior satisfattion di que’ popoli, che per me sia stato possibile et giudicato conveniente; del culto e religion de quali, non covenendomi dirne più che tanto, passarò con silencio, che quando mi fosse lecito diria, e questo sia ascritto alla molta loro devotion verso la Serenità Vostra e non a termine d’impietà, che al glorioso nome di questa Serenissima Repubblica mostrano segni più proffondi e più humili di riverenza, che a quello de Santi e quasi ch’io non dissi di Dio estesso, et volesse Dio che tenissero quei principali maggior riverenza a Sua Divina Maestà e più custodia delle loro anime, perché non ardiriano, come si fa di continuo dalla maggior parte d’essi, di viver con assidue e frequentade usure, nominate fuffuri(?) e prostichi, perché questa loro esecrabile avaritia ha redutto in tanta e si irreparabile estenuità e miseria la povera contadinanza, che misera per natura e fatta miserabile per estrorsioni, non ha né sa con che né come più sustentar le infelici loro persone, perché quei pochi terreni, vigne e case, ch’erano state addocchiate da alcuni insaciabili, sono state con vilissimo precio, ma con infinita usura, in brevissimo spacio di tempo, a loro stessi adiudicati et appropriati, al che non è possibile che sia posto rimedio da ministri di Vostra Serenità, perché non prima vien scoverto(?) ch’il publico rappresentante sia altretanto rigoroso, quanto giusto, che i stesi offesi o spaventati dalle minazze di quelli o fatti timidi, dubitando di non haver più ricorso a medesimi nei tempi delle loro miserie e necessità, contentano avellenarsi nel loro medesimo calese più presto che riccorrer alla giustitia e palesar le loro incurabili piaghe, ond’è che la publica mente non vien a conseguir il suo santissimo fine, perché l’isola resta inculta, la città in contino bisogno de grani, Vostra Serenità fastidita dalle continue instanze de rettori et i rappresentanti molestati sempre dalle indoglienze de cittadini per occasion di biave, i quali, dovendo dir il vero, sono poveri si che la maggior entrata di chi si sia di loro, e forse de molto pochi, non arriva a scudi ottocento l’anno, ma si fattamente di animo ellevato, che non so se tall’hora debbo chiamarli pacifici e quieti per virtù o per necessità, et la stretta loro fortuna i suade, anzi dirò violenta et necessita, a ricercar alcuni carghi, com’è venditor al sal, rassader all’istesso, pesador dei sachi che si masenano dentro e fuori della città, cavallarotto di camera, capo de cavallarotti et altri simili offici servili di rendita di 150, 80, 50, 20 et fin otto ducati all’anno, et oltra l’attender a questi e altri pochi loro officii, vivon quei cittadini ociosissimamente, poiché sono innetti et innatti a qualsisia cosa, non essendo fra li ordini dell’arme et delle lettere alcun esercitio virtuoso che in quelli sia desiderato, non che impreso, attribuendo essi questo, ch’è loro proprio diffetto, al mancamento e bassezza delle loro fortune, che però non è maraviglia, se del continuo quei animi inquieti vanno machinando qualche sinistro effetto, contrario alla sollevation del povero e favorabile sempre ai proprii loro commodi et interessi.
Fra la città, ch’è di quindici contrade, e i borghi, che sono Castrade, San Rocco e Manduchio, si trovano anime ottomille e cento in circa, non compresi i hebrei, che sono da quatrocento in su, ne manco i passaggieri, soldati e gente di armata, che fanno tutti insieme buonissimo numero, et nell’isola ch’è di grandezza di miglia settanta con casali 96, si ritrova da 15 mila e novecento anime, così che in tutto, non inclusi quelli che ho detto a Vostre Signorie illustrissime, si numerano fra la città, borghi et isola intorno a 24.000 anime, compresi i pretti et fratti latini, che sono nelle sei chiese: Domo, Santa Giustina(?), San Francesco, la Nonciata, San Giacomo e San Rocco. Non restando di dir alla Serenità Vostra, che saria di molto servitio publico e di grandissima et maggior sicurtà a quella importantissima fortezza, che fosse trasportato esso Domo nella città, per quei rispetti, quali considerati in altro tempo dalla prudenza d’illustrissimi senatori, causorno in questo eccellentissimo luogo maturissimi et lunghissimi discorsi, come che parimente giudicheria publico beneficio, che con una general descrittion dell’isola fossero ritrovate quelle molte usurpationi che sono state fatte a pregiudicio di Vostra Sublimità.
S’io volessi, Signori eccellentissimi, dir alcuna cosa della devotion dei Corfiotti verso questa Serenissima Repubblica, direi che giudico molto maggior la fedeltà del popolo che dei cittadini, non stimando questi altro effetto di virtù o di gloria, che esser intenti solo all’accrescer le loro fortune, et dove non concorra il loro utile, sprezzar ogn’altra cosa, che il popolo vive povero et fedelissimo al nome Veneto, senz’altra speranza sempre, se non che la publica pietà lo sollevi un giorno dalle oppressioni di quei prencipali, per il che hanno quei miserabili havuto più d’una volta pensier di far espeditioni a piedi della Serenità Vostra, ma l’infelicità del loro stato li ha ristretti nei limiti della pacienza, sperando che col mezo de publici rapresentanti sia fatto in questo eccellentissimo luogo il vero ritratto delle tante loro calamità; l’occasion però dei presenti moti ha per dimostrar che sono fedelissimi, o pur per confermarsi in quella ordinaria disposition che tiene la nation Greca verso la volontà dei sommi Pontefici, mi ha fatto legger nel volto di tutti et intender dalla bocca de molti un ardente desiderio che hanno di esponer quanto è per loro possibile a diffesa et esaltation di questo Serenissimo Dominio. Né è meraviglia, Serenissimo Signor(?), se in una città così picola, com’è Corfù, si ritrovano tante anime, perché usano di maritarsi tutti i fratelli, per molti che siano in una casa, uso tanto de pretti, quanto de laici, anziché per non si scordar questa loro ordinaria institution, osservano molti di far le promissioni et stipulationi dei contratti nuptiali, quando che i sposi et le spose sono apena che nella puerità, ne così presto principiano a sentir il vigor dell’età ottima, che si riducono a consumar i loro matrimonii. Questa quantità di persone, Serenissimo Principe, ha bisogno di molta provision per il loro viver, perché come più volte diedi riverente conto a Vostra Serenità con mie lettere, la città et borghi consumano sedici mille et più stara di formento all’anno et l’isola, per l’incoltivation d’essa, non rende a pena che possa suplir al bisogno di tre mesi, per felice raccolta che sia, oltra che la contadinanza, ricorrendo quasi tutto l’anno al fontego et convenendosi allimentarla con suma infinita quantità di menudi et non se ne ritrovando il fontego, convien esser suffragada de formenti, onde il consumo si fa all’hora di gran lunga maggior di quello ho detto alla Serenità Vostra. Nel che non includo le fortezze, perché ogni provision che si riceve vien compartita medesimamente con l’illustrissimo proveditor et qua mi convien dire, che se la vigilanza et prudenza dell’illustrissimo già proveditor Canal et se la molta carità et infinito studio dell’illustrissimo proveditor presente Bragadin non havessero suplito all’imperitio mia, haverei forse passato i anni del mio regimento con maggior penuria de grani di quello, che mercé a Dio et alle loro Signorie illlustrissime, m’è successo, restando all’illustrissimo mio successor così abbondante quel fontego de formenti vecchi, che non potendo i ordinarii magazeni d’esso capir li 4.000 stara in circa che ho consegnato, mi convenne far provision de magazeni privati per accommodarlo, riuscendo a gran servitio dei poveri quest’abbondante quantità, in tempo che nella nova raccolta si sente universal sterilità di biave, non solo nell’isola di Corfù, ma ancora nei luoghi vicini del paese Turco.
Si trattò ogn’anno, Serenissimo Principe, la compreda delle Decime da Turchi, ma riesce anco questa tall’hora, o così poco sollevamento rispetto al molto bisogno della città ai tristi raccolti di quei paesi, non se n’havendo havuto il primo anno del mio cargo più di stara ottocento, rispetto alle guerre che talhora si sentono in quelle parti, alla mutation dei ministri et al mal contagioso, che se mi fossero mancate le barche, le quali liberamente per miei proclami, con maniera però cauta et circonspetta, sono transitate in terra ferma, levando sagacemente da questo et da quel particolare quel più de grani, che per loro sia stato possibile, et se talvolta per inaspettata et miracolosa Provision Divina non fosse capitato in quel porto alcun vassello forestier, con convenevole cargo di formenti, haverei convenuto far legger a Vostra Serenità mie lettere per causa di biave più tosto di travaglio, che di consolatione, restando però nudrida sempre alcuna speranza nell’animo de Corfiotti, per la prottettion che tiene il beatissimo Spiridion di questa città. Tuttavia il secondo anno in particolar del mio reggimento convenni per buon spacio di tempo impedir il transito alle dette barche, per causa del contaggio che grandemente si faceva sentire più accerimemente in più parti di quei contorni, onde questo impedimento ne fece il bisogno de grani et d’ong’altro viver assai maggior, si come conseguentemente restò del tutto da me avisato l’eccellentissimo collegio senato, et parlando con ogni humile e debita riverenza, stimo publico servitio che la Serenità Vostra si degni tall’hora dar grate orecchie alle dimande dei baili per nutrimento di quella città, perché se permettesse il lungo viaggio che capitassero più frequenti a Vostra Serenità le loro lettere, come continuati et costanti tal’hora si fanno sentir i bisogni di Corfù, credano certo l’Eccellenze Vostre illustrissime, che sarebbe dalla loro somma benignità ben spesso compassionate l’angustie de poveri rettori et sollecitate esse stesse dalla propria loro carità et pietà a non protraher in lungo, come tall’hora è successo, il soccorso a quella città. Al che direi esser opportuno rimedio, che l’illustrissimi capi da mare, obligati alla custodia di Corfù, si ritrovassero a tempo opportuno in quel porto, per sollecitar quanto più presto si possa la provisone di biave, poiché il procurarle tardi causa necessità ai popoli, crescimento de precii ai formenti, difficoltà in ritrovarne et molte volte impossibilità in haverne, che la sollecitudine levando ogn’altro impedimento, facilita il tutto con grandissimo contento et abbondanza di sudditi della Serenità Vostra; et questo è il maggior peso et più importante travaglio che opprime di continuo l’animo dei baili di Corfù.
Ma sappi Vostra Serenità che com’è di grandissimo et necessario servitio alla città di Corfù, che si ritrovino in quel porto capi da mar che vadino a tempi debiti a sumministrargli il vitto, così fatte le debite provisioni è più che mediocrie danno il fermarsi lungamente delle molte galee, oltra quelle che per la solita custodia di quel luogo sono destinate a quel servitio, quando però non sia raffrenata la molta libertà et peculiar arroganza delle genti delle medesime galee, poiché direi poco se solamente dicessi, che apportano carestia del tutto et che causano penuria di qualsisia cosa, consumandosi tall’hora in tempo delle loro frequentia nella città solamente fra cento stara di formenti al giorno, ma quello che importa è che danno incredibilissimi travagli a quei infelici popoli,  quali non possono reparar ai continui latrocinii, non solo secreti et non visti, ma publici et violenti, con l’aggiunta di minaccie et offese, anzi dirò assassinamenti fatti da galeotti et scapoli a chi si sia, che voglia conservar il suo o procurar di rihaver il tolto; il che tutto credo però che succeda senza saputa o permissione di chi loro comanda, tuttavia non altro sanno o ardiscono per tema della giustitia quelle misere genti, se non ricorrer al palazzo et esclamar fin al cielo, che se non s’interponesse al loro giusto sdegno la persuasione dei rettori, già che altro loro non giova, non pottendo essi rettori, come forse sarebbe convenevole et profittevole, giudicar i delitti fatti da queste sfrenate persone in terre, dubitarei che un giorno succedesse stragge di non lieve consideratione, come s’era da principio a mio tempo più d’una volta, acquetata però dell’interpostione delle proprie persone nostre fra i gravi e pericolosi tumulti de sassi, arme et arcobusi. La pietà et benignità però dell’eccellentissimo signor General Pasqualigo, ultimamente destinato proveditor general a quell’isola, ha con la sua solita prudenza et giustizia(?) corretta l’audacia di quei tristi et ritenute loro le briglie molto relassate, con infinito giubilio di tutta la città, sollevando chi si sia con satisfattion et applauso universale.
Il fontego di quella città, governato da quei cittadini, come piace a Dio, materia più che importante a Corfù, non ha di cavedal più che ducati sette mille corfiotti da lire 5 soldi 10 l’uno, si che convenendo star di questo danaro una parte necessariamente in grani, che ogni giorno si dispensano ai pistori et un’altra in mano dei stessi pistori, che ricevono i formenti, con mantener la città et borghi di pane, né pagano né potriano pagar il formento ricevuto, se non dato esito al pan, summa l’una e l’altra di considerabile quantità, convien esser ben spesso impedito quel tenue cavedal del fontego, onde non può ritrovarsi pronto se non in pochissima parte, quando l’occasion dell’investita non è così facile, il ritrovarla un’altra volta, o per mancamento de grani o per esser impediti l’illustrissimi capi da mar, obligati ad altre publiche commisisoni, nel che saria giovevole a quei popoli il riccorso ai illustrissimi proveditori di fortezza per formenti, quando che o le loro Signorie illustrissime non convenissero esser scarse in concedergline, per non lasciar essa fortezza senza la necessaria munitione, overo non fosse loro da Vostra Serenità commesso, che non habbiano a dar alla città alcuna benché minima summa de grani senza l’immediato esborso et pagamento d’essi, così che circondati i baili da mille angustie per tal causa non sanno se non ricorrer alla Serenità Vostra con instanze et supplicationi.  et tanto più io credo che la poca quantità del danaro del fontego sia causata dalla trista administratione d’esso, quanto ch’il fontego del Zante, per la relatione che ho havuta, tutto che sia stato eretto qualche anno dopo questo et con l’istesso cavedal, si ritrova haver al presente 40.000 et più ducati, ond’è che questo fontego da Corfù, ritrovandosi così poco danaro, non può attender a tempi debiti alla provisione de grani in quella quantità che sarebbe necessaria e che portarebbe il bisogno della città, et l’illustrissimi capi da mar, se una volta vanno per formenti, non possono però star di continuo in quest’opera, per altre publiche occorrenze loro commesse da Vostra Serenità;onde Corfù patisse ben spesso per le poche forze che ha, estenuate et debilitate grandemente dalle rapacità de administratori, et dubito certo eccellentissimi Signori, che caminando le cose in questa maniera, s’habbi in breve spacio di tempo da vedere la total destruttione di quel povero fontego, massime che l’esperienza di due altri fonteghi distrutti per avanti in Corfù, per intachi fatti da ministri d’essi, rende ad ogn’uno che ama il servitio di quella città, la credenza di questo male assai sicura. Io per non esser infruttuoso affatto in questo negocio et per proveder in qualche maniera alle rapine di quelli administratori, stimando che gran parte del danno nascesse dal massaro d’esso fontego, per veder che al tempo dell’elettion di questo cargo venivano dati di donativo fin 300 e 400 ducati, per non haver concorrenza nella domanda, mi risolsi di aggiunger un scontro non Corfiotto et mio confidente ad esso masser, il qual fu però con torto occhio guardato da interessati, accioché assistesse sempre al metter et cavar i grani dal fontego, regolandogli appresso le misure fin all’hora falsificate, il qual scontro trattenni con l’applicatione di alcuna condanna, per non interessar Vostre Serenità, né il fontego istesso, provisione la qual, come ch’è riuscita di grandissima consolatione alla povertà, così restando confermate da Vostra Serenità, sarà di notabilissimo beneficio all’istessa et di utile a quel fontego, dependendo da essa il ritrovarsi il pan, non solamente buono, ma di convenevole peso, perché non essendo più sagaladi i formenti et consegnati con misura giusta, sarà sempre fatto et venduto di quella qualità et peso ch’è convenevole, durando di più i formenti, per non esser viciati dal masser, come prima buoni et sani, tutto il tempo dell’anno.
Andai appresso pensando che fosse ben fatto, che conforme a quell’ordine, che ho inteso osservarsi al Zante, havesse cargo l’uno dei clarissimi consiglieri di menar, in conformità del rasonato del fontego, le partide in un particolar libro per quelle cose che sono concernenti l’interesse del fontego, dovendo anco esser presente di mese in mese alla consegnatione et revisione delle casse di esso fontego, che passano da proveditor a proveditor Greco. Tuttavia queste cose tutte et molte di più ancora sono state vedute et considerate dalla natural prudenza dell’eccellentissimo signor General Pasqualigo, il quale come che in infinite altre ha messo man salutifera per la regolatione di moltissimi disordini di camera et d’altro in quella città et fortezze, così non sparagnando a cosa che possa esser di publico beneficio, è per impiegarsi ancora servendogli il tempo nella materia del fontego et io l’ho esposto alla Serenità Vostra per non tralasciar cosa, la qual io stimi poter esser concernente il debito di buon ministro et il servitio di Vostra Serenità et di Vostre Eccellenze illustrissime.
Per la vicinanza che tiene la città di Corfù col paese Turco è necessario haver sempre buona corrispondenza con quei ministri, con i quali io passai con segni di si buon affetto, che non solo s’è tratta quella quantità di Decime, che ha permesso la sterilità del primo anno del mio regimento et la sollevation et mal contagioso sentito in quelle parti per bon spacio di tempo il secondo, ma le mutue dimostrationi di animo grato hanno causato che l’istesso Seiti(?) Bei emin della Bastia, huomo molto amato et di assai esistimation in quei paesi, volse transferirsi a Corfù per visitarmi, il quale con vive parole di riverenza et di amore, aggradiva tanto questa Serenissima Republica, che mi si dimostrava, direi quasi, più tosto suddito di Vostra Serenità che del Signor Turco, usando esso ben spesso nei suoi ragionamenti questo concetto, che come in far servitio ai rappresentanti di Vostra Serenità nelle occasioni de publici rispetti non si haveva mai lasciato avanzar da qualsisia altro ministro del suo Re, così continuando voleva lui far si che nissun di quelli che gli fossero per succeder, potesse nell’istesso ministerio equipararlo, al quale io, senza però publico interesse, per conservarmelo amico, rispetto al bisogno della città per formenti, mi dimostrai tanto grato, quanto giudicai convenirsi et che permisero le forze mie et le provisioni che concessero il paese.
Similmente richiede il servitio di Vostre Eccellenze illustrissime che passi buona intelligenza fra i reverendissimi Arcivescovi et illustrissimi proveditori di Corfù col bailo, con i quali io gratia a Dio et alla loro humana natura mi son così ben inteso, che mai passò benché minimo disturbo o inquietudine d’animo tra le persone nostre, tutto che o sia l’uso del paese o la maligna costellation di quel clima, para che quasi di continuo occorri qualche controversia tra questi rappresentanti; et tanto più m’è riuscita di satisfattion questa nostra unione de voleri, quanto che i cittadini di quel luogo, sia per desiderio che habbiano di novità o per giovamento che ricevano da tali dispareri, se non coadiuvano, almeno si rallegrano per qualche ancora che lieve accidente che segue fra i rettori d’ireconciliation dei loro animi, ond’io, che benissimo compresi in questo proposito l’humor pecante de Greci, ritrovai subito il nero antidoto per riparar affatto a quella corruttione, che fu il non dar orecchie a chi stimulava le discordie, il divertir l’occasioni che le potevano far nascer et alcuna volta ancora il levar alla mia stessa autorità qualche ragionevole prerogativa.
L’audienza mia è riuscita a quei popoli non manco frequente che giovevole, perché invero tante e tante sono le loro litti et tanti e così facili i litiganti, che quando anco si spendesse tutto il giorno et tutto il tempo in ascoltarli, apena saria bastevole a suplir al molto bisogno, la necessità però che ha il bailo di doversi ritrovar non solo alla deffinition, ma all’ordination di tutte le cose, accompagnato sempre con alcuno dei signori consiglieri, trattiene tall’hora inespedite delle difficultà di quei sudditi, non perché quelli signori non siano d’integrità et sufficientia grandissima, ma perché l’occupation della camera et altri loro necessarii negotii, li tengono ben spesso occupati et impediti, che se minor fosse stata l’assistenza dei signori consiglieri, com’è stata diligente d’avantaggio per quanto è stato loro permesso, che poddo dir per tal causa essermi nasciuto il regimento felice et a quei popoli proffittevole, crederei ch’essendo loro d’inestimabile contento et commodo le audienze, fossero restati poco consolati. Sia detto però senza giattanza l’espeditioni sono state tante, che desidererei ch’in luogo mio parlassero a Vostra Serenità et alle Vostre Signorie illustrissime et eccellentissime le cancellarie civili et criminali.
Non è parte mia il toccar cosa che sia delle fortezze di Corfù et governo di quella militia, perché stimerei dir poco, quando dicessi alla Serenità Vostra solamente, non esser stata da quelli illustrissimi proveditori et signori governatori tralasciata cosa, che possa esser di servitio di Vostra Eccellenza.
Due cose, oltre quanto ho detto, ho ritrovato in Corfù, le quali come di non poca esistimation per mio senso mi ha parso di rappresentarle riverentemente alla Serenità Vostra et alle Vostre illustrissime et eccellentissime Signorie, acciò che se saranno degne della loro intelligenza possano esser provedute, conforme all’infinita prudenza di Vostra Serenità et al bisogno d’esse.
La prima è che per non si ritrovare a Corfù alcun luogo per appresentadi, è necessario che si sia per qual si voglia caso come s’appresentano, o che siano serrati in prigion, che non è sempre convenevole e di ragion, essendo massime anco quelle di pochissima capacità, overo che si mandino alle loro case, assegnandogliele per luogo di appresentation, tutto che l’habitation di molti sia nei borghi fuori della città, onde occorrono moltissimi scandali et infinite transgressioni di notabile pregiuditio alla giustitia et con vilipendio della publica dignità.
La seconda e la qual stimo molto importante, che si ritrova in Corfù una quantità grande di Hebrei Spagnoli, al numero di ottanta in circa, li quali hanno principiato a metter il piede nella città l’anno 1597, essendo all’hora il principio di questi d’una sola famiglia di un Samuel Senior, dove al presente, con grandissima confusione dell’Hebraica et con publico sospetto, sono famiglie disdotto, le quali ancora vanno giornalmente crescendo et multiplicando, essendosi apunto a tempo mio accasata una famiglia di un Samuel Aboab medico; et per quello che m’è stato rifferito, havendo io voluto, con occasione di certe loro differenze, penetrar per publico servitio nelli andamenti di questi, fui avvertito ch’essi Hebrei Spagnoli sono per la maggior parte spioni, gente di mentita faccia et di supposti nomi, come apunto intesi, che altre volte con occasione di dar informatione alla Serenità Vostra, nel loro proposito sia stato attestato il medesimo in questo eccellentissimo luogo, onde son andato più volte pensando che non sia servitio di Vostra Serenità, ch’in una città di Corfù tanto gellosa et profficua alla Serenissima Republica, che confina quasi da per tutto col Signor Turco et ch’é pochissimo discosta da confini di Sua Maestà Catolica, dove apunto ressiede ministro di Sua Maestà, multiplichino tali Hebrei sagaci, danarosi, di molta intelligenza et di tanto sospetto, li quali non solo habitino la città indifferentemente, senza haver luogo serrato et particolare, ma che frequentino ancora le medesime fortezze.
Io Serenissimo Principe, illustrissimi et eccellentissimi Signori, concludo questa mia breve espositione, che in virtù di legge le appresento, con pregar la Maestà del Signor Dio, che come non ho pretteso altro da questo mio governo, se non ch’il servitio che ho prestato, seben debolmente fatto, tuttavia ardentemente operato, sia profficuo alla mia patria et grato all’Eccellenze Vostre, così possa, come infinitamente desidero, haver occasione di spender con la mediocre mia sostanza, quel poco talento che m’ha concesso il Signor Dio, per ben servire all’interessi di questa Serenissima Republica, onde espono et son per esponer sempre la vita et la robba, debiti doni d’ogni buon cittadin al suo Principe, in ogn’altro cargo et in ogn’altro tempo in obedienza e universale et particolare della Serenità Vostra et di cadauna dell’Eccellenze Vostre illustrissime et eccellentissime.