2 giugno 1617 Antonio Civran
Relazione
Relazione di Antonio Civran ritornato di Provveditore alla fortezza di Corfù
1617 giugno 2 (forse 20)
Serenissimo Prencipe, Illustrissimi et eccellentissimi signori
In questo mio ritorno di proveditor et capitano di Corfù doverei rifferire a Vostra Serenità molte cose, che da me sono state osservate et operate in quella carica per ben e fruttuosamente servirla. Ma perché so le gravi occupationi che hanno hora(?) l’Eccellenze Vostre, mi restringerò a quelle sole che stimo necessarie della loro notitia, offerendomi però sempre prontissimo di esporle pienamente, quello che in qual si voglia materia spettante a detta carica fosse desiderato.
Et perché anco lo stato di quell’isola, città e fortezze da diversi eccellentissimi signori generali et da molti miei precessori è stato rappresentato in questo eccellentissimo luoco, da quali medesimamente(?) sono state raccordate diverse cose necessarie alla difesa e conservatione loro, non toccherò punto questa parte, poiché le relationi di quei signori si possono sempre vedere, oltre che havendo anch’io nel principio del mio reggimento scritto particolarmente quello che stimai bisognoso per servitio di quelle piazze, mi rimetto alle stesse lettere et ad una scrittura che in questo proposito le mandai. Solo dirò che havendo io riparato a molte cose contenute in detta scrittura, che per la poca spesa ho potuto fare senza altra espressa loro commissione, resterà che a tempo più opportuno sia dato qualche buon ordine per il rimanente.
Nella mostra generale di tutte le cernide dell’isola che feci fare alla mia presenza, ho ritrovato quelle delle quattro balie in numero di 800 et le ho regolate et riformate nel medesimo numero et quelle della città et borghi, che erano di 150, ho ridotte a quattrocento, havendo ritrovato gente atta e bastevole a tal accrescimento. Sono queste tutte assai atte all’armi et havevano anco disposto gli animi ad esser adoperate nelle occorrenze presenti, che però se saranno impiegati in qualche fattione, stimo presteranno sempre buon servitio, havendole anch’io con buona maniera inanimiti ad esseguire prontamente gl’ordini, che da Vostra Serenità venissero dati in questo proposito.
De galeotti ho accresciuto il numero sino alli due mille seicento, li quali per mio credere riusciranno assai meglio di quelli del Regno di Candia, et poco travaglio haverebbe apportato a quei popoli l’armar, con quelle genti et con quelle delle doi altre isole di Zante e Ceffalonia, quattro o sei galee il presente anno et se per ordinario anco se ne armasse ogn’anno qualche d’una, oltre che sarebbono più presto all’ordine di quelle di Candia, si assueffariano quelle genti a simil fattioni, con molto servitio di Vostra Serenità.
Oltre questi si trovano in quell’isola circa quattro mille Albanesi, venuti da terraferma ad habitarla, i quali, per gli ordini di Vostra Serenità, non anno alcun obligo di guardie, né di galea, et ciò rispetto al beneffitio che fanno alla detta isola con il coltivarla et se ne vede effetto molto buono, perché hanno ridotto a coltura assai luochi boschivi, ma si come attendono più a piantarvi viti ed olivi, che a seminarci grano, così chi gli obligasse a seminare qualche parte di detti terreni, renderebbono l’isola, ch’é per se stessa fertilissima, anco più abbondante, perché il numero di questi Albanesi si va sempre più accrescendo, restandone ogni anno, di quei che vi vengono ad habitare il verno, in buon numero anco l’està et vi fanno le loro habitationi.
Il castel Santo Angelo, ch’è situato in quell’isola dalla parte di Ponente Garbino, è luoco di molta consideratione, non solo rispetto al benefficio che fece a quei popoli al tempo della guerra Turchesca, che in esso si salvorno come intendo sei mille persone, ma perché è in sito per natura fortissimo, onde merita di esser ben custodito; e ne tempi presenti vi ho posto un capitano di quelle cernide, persona esperimentata nelle guerre, un officiale et quattro soldati Italiani, oltre vinti cinque altri di quelle cernide, a quali ho provisto delle cose necessarie, in maniera che resta hora a bastanza guardato et sarà bene tenirne in ogni tempo gran conto, per molte cause che dalla prudenza di Vostre Eccellenze possono esser ben considerate.
Nelle due fortezze, Nova e Vecchia, si trovano hora quattrocento quaranta soldati in otto compagnie. Scrissi a Vostra Serenità riverentemente il suo stato circa il numero et qualità loro, et mi rimetto alle stesse lettere, le aggiungo solo che si come ve ne sono molti di casalini, che ho tolerato per non si trovar da rimetterne, così con il mutar spesso le compagnie da una fortezza all’altra e con altre diligenze ho vietato a molti disordini, ma invero nelle presenti congiunture sarebbe bene accrescer quel presidio.
Mi ordinò Vostra Serenità sino l’agosto passato ch’io facessi tagliar bastardelle, stortami et altri legnami per la fabricatione di due galee in Candia, immediate esseguii il commandamento suo et esso legname si trova pronto nella contrafossa di quella fortezza et sarà bene ch’ella dii qualche ordine di levarlo di là, accioché non vada di male.
Quando arrivai a quel reggimento vi trovai così poca quantità de biscotti, che mi convene, per esequir gli ordini di Vostra Serenità, farne fabricare qualche quantità, et si come non fu da me tralasciata alcuna diligenza per procurarne ogni suo avantaggio, non solo nella compreda de formenti, fatta a lire(?) 16 e 17 il mozo che viene a ragion de lire 8 soldi 10 il staro venetiano(?), ma anco in quel di più ch’è necessario alla fabricatione di essi, così havendo ben praticato questo negotio, mi trovo in obligo di rappresentarle l’avantaggio grandissimo ch’ella ha nel far far detti biscotti in quella fortezza et l’interesse grande che sente nel mandarglili di qua, perché quello che ho fatto fabricare di là non costa a Vostra Serenità più de ducati 14 il mozo(?) con tutte le spese, siché consumandose nell’armada ordinariamente quella quantità ch’è benissimo noto, conosce ogn’una dell’Eccellenze Vostre l’avantaggio grandissimo che si riceve di farli di là, senza ch’io m’affatichi a rappresentarglielo. È vero che il pane riesce di peggior qualità di questo, rispetto che frangendosi facilmente quelle muole per la loro tenerezza, nel macinar il grano rendono le farine piene di quella materia ch’è dannosa alla sanità, ma è facile il rimedio con il mandar di qua pietre buone, dure et proportionate alla quantità delle acque che serve a muoverle, perché così le farine riusciranno nette et leveranno l’occasione a molinari di commetter fraudi, perché valendosi loro per scusa della fragilità di quelle pietre, mettono nelle farine terra per farle riuscire al peso, né Vostra Serenità sentirà alcun aggravio, perché saranno prontamente pagate delli proprii patroni delli molini, a quali anco tornerà conto, perché se ben costeranno loro qualche cosa di più dureranno però molto tempo. Se venissero dunque l’Eccellenze Vostre in questa deliberatione, si doverà mandar di qua ministro fedele et accurato, che habbia la sopraintendenza della fabricatione di essi biscotti et al proveditor inviar summa conveniente di denaro, perché a tempi opportuni, che sono al raccolto, faccia l’investita de formenti.
L’entrata che cava la Serenità Vostra da quell’isola, compresi li affitti delle peschiere di Butintrò, ascende a ducati 15.000, ma la spesa che fa in pagamenti di militie, de salariati e d’altri estraordinarii è de ducati 40.000 et sicome questa è certa, così quella non si può mai riscuoter tutta, perché consistendo principalmente in datii, vengono questi condotti ordinariamente da quei cittadini, i quali, essendo per il più poveri, pensano di valersi del denaro che riscuotono giornalmente da essi datii spendendolo in quello di più a loro piace et non facendo i pagamenti in tempo, et tirandosi a poco a poco in resto si fanno dopo qualche anno debitori inestinguibili et di qua aviene che tanto numero di essi debitori si trovano, contro a quali io non lasciai di usar ogni diligenza per farne l’essattione, parendomi che oltre la ragione lo ricercasse lo stato de presenti tempi. Et havendo esperimentato riuscire di poco frutto ogni altra essecutione, mi risolsi, al tempo che facevano l’elettione dei loro officii, far un ordine che alcun cittadino che fosse debitore di Vostra Serenità non potesse esser ballottato in alcun di detti officii o carichi, se non havesse pagato prima o almeno assicurata la camera in oro, overo argento per la metà del suo debito, et questo ordine ha così giovato che molti sono venuti parte a pagare e parte a depositare per detta metà, in maniera che ho riscosso da debtori vecchi in questo poco tempo ducati 4.500.
Il rimedio dunque invero, per non lasciar accresciuto più il numero di questi debitori, sarebbe che Vostra Serenità ordinasse che i datii fossero scossi non da datieri, ma venissero pagati in quella camera, come si fa in questa città, perché così si leverebbe loro il modo di valersi del denaro publico et di spenderlo, per il restar poi debitori; et anco quando così paresse bene a Vostra Serenità prohibire, che quelli che fossero debitori non potessero esser ballottati in detti carichi, perché ogni altra essecutione riuscirà sempre piena di mille impedimenti e difficoltà.
Convengo dire a Vostra Serenità che ho trovati in quella camera molti disordini, li quali sono principalmente causati dall’inoservanza degli ordini prudentissimi lasciati dagli eccellentissimi signori generali et dall’esser li ministri di essa camera cittadini Corfiotti eletti da quel consiglio, li quali essendo tutti parentati insieme, non fanno quello che al loro carico s’appartiene, per non offendersi l’un l’altro, et essendo creati a tempo, e toccando hor a questo et hora a quello i detti carichi, riescono anco di poca attitudine, ma però sagaci nei loro interessi. Onde sicome sarebbe bene che detti ministri fossero d’altra natione che Corfiotti, così fra gli altri è necessario che il ragionato sia forestiero et libero da qual si voglia interesse di parentella o altra dependenza in quella città. Provedé ben a questo Vostra Serenità e deliberò che fosse mandato di qua questo ministro, assignandoli per suo salario ducati dieci al mese, ma o perché il salario sia molto tenue, non havendo altra utilità incerta, o perché non sia venuto in risolutione di eleggerne alcuno di qua, non è stato, dopo detta deliberatione, essercitato quel carico d’alcun forestiero, et al mio arrivo a quel reggimento colui che lo possedeva non si trovava nel essercitarlo, essendosene passato in altre parti; onde, perché con il mancamento di ministro così necessario, non venisse pregiudicato alle ragioni di Vostra Serenità, elessi in quel carico per modo di provisione un altro, il quale, benché nativo del paese, è però persona di grandissima sufficienza nella materia de conti, ma come ho detto, sarebbe bene mandar di qua persona di quelle conditioni che ricerca l’importanza di quel ministerio et se le assegnasse qualche cosa di più di salario, perché si trovasse soggetto a proposito, dimostrandosi chiaramente l’esperienza, che tutti quei ministri del paese non hanno altra mira che di disordinare tutte le cose, accioché quella camera sia governata a suo beneplacito, il che havendo conosciuto sin dal principio del mio carico, applicai l’anime alla sua regolatione, commandando spetialmente l’osservanza degli ordini dei eccellentissimi generali sudetti, i quali non ho permesso che in alcuna parte siano stati trasgrediti.
Con tutti quei clarissimi signori baili, consiglieri e capitani di fortezza Nuova, che sono stati al mio tempo, ho passato quella buona intelligenza ch’è desiderata et commandata da Vostra Serenità, ne ho con essi havuto altro che una medesima volontà in tutte le cose sono con loro stato unito.
Il signor Conte Uguzzon Rangone Governatore di fortezza Vecchia, soggetto di quelle conditioni et di quel merito ch’è ben noto all’Eccellenze Vostra, è stato da me stimato assai, non solo per la sua peritia militare, ma per la fedeltà verso la Serenità Vostra, et mi son valso del consiglio di lui di molte cose spettanti al governo di quelle militie, sicome anco del parere del Vice Conte Bortolomeo(?) Nievo Governatore della fortezza Nuova, mi son servito in diverse occorrenze, havendolo conosciuto di buona volontà et soggetto di molta esperienza.
Mi ha servito per segretario messer Giulio Corona giovine di altrettanta bontà e modestia, quanta intelligenza et valore nel suo ministerio, il quale mi ha dato compita sodisfattione, et sicome non ho havuto che desiderare da lui, così mi trovo in obligo di raccomandarlo, come faccio, alla gratia di Vostra Serenità et dell’Eccellenze Vostre illustrissime in ogni sua occorrenza.
Io dunque, sicome in quel carico non ho havuto altra mira che del servitio della dignità publica reputatione et non ho certo lasciato alcuna diligenza, per quanto mi ha concesso la mia deblezza, nel ben servir l’Eccellenze Vostre, così le prometto che in quello che mi hanno eletto di Proveditore dell’Armata, io non risparmierò me stesso né alcuna mia sostanza, per sodisfare al debito che ho con la Patria sino che haverò spirito.