1642 Antonio Girardi
Relazione
Relazione di Antonio Girardi ritornato di Bailo a Corfù
1642
Serenissimo Prencipe
Ritornato di bailo a Corfù, dove sono stato ispedito dalla benignità della Serenità Vostra a reggere et governare quelli suoi fidelissimi sudditi, a quali ho fatto indiferentemente godere quelli effetti di giustitia et ubertoso vivere, che nella cognitione del mio riverentissimo debito ho stimato complire il loro avantaggio et il publico servitio; et se non haverò totalmente colpito nel segno della publica sodisfattione, acerto Vostre Eccellenze non esser concorso difetto di mia volontà, ma incontro di poca fortuna. Et però, in essecutione delle leggi, in sucinto sono per riferirle il stato delli habitanti et isola stessa, per dover poi, sempre conforme l’occasioni, apportarli quel di più che Vostre Eccellenze si compiacerano incaricarmi.
Corfù è isola picola dal Signor Iddio riposta in quel sito per antemural della christianità, mentre si ritrova alla bocca del golfo Adriatico et lo divide dal Mediteraneo. Per Tramontana costeggia le riviere del Signor Turco, in alcun luoco non più lontano che di tre miglia in circa, et per Garbino il Cao di Otranto, città soggetta a Napoli del Re Cattolico, non più lontano de ottanta miglia in circa. È fertile per natural suo, poiché tanto rende quanto vien coltivata, ma tenendo li habitanti suoi negligente natura, tanto solamente coltivano e seminano, quanto basta per loro uso, anzi che per il più, in occasione di scarsi raccolti, riccorrano anco li villaggi al fontico per esser soccorsi, dilettandosi per il più di impiantar vigne, per la poca fatica in mantenerle et per l’esito che hanno de vini dalla frequente ressidenza delle armate della Serenità Vostra in quelli contorni et acqui; si augumentano anco li olivari et da me intorno ad essi sono state essequite pontualmente le leggi. La città medesima si ritrova dalla natura nel mezo per apunto dell’isola dissegnata, tenendo ugualmente 36 miglia in circa de distanza per cadaun capo. Possede due Regie fortezze, l’una per Levante, dove risiede l’illustrissimo signor proveditor et capitano, et l’altra per Occidente detta la Nova citadella; la prima meravigliosamente dalla natura preparata et l’altra con miracolo del arte costruita, che si rendono inespuganbili, così per esser favorite dal sito come ammonite d’armi et viveri, et perché essendo poco il recinto, poco numero di genti anco bastano a difenderle, né con esse può haver luoco alcun assedio, per quanto ho potuto sopra il fatto comprendere, mentre la vicinanza de due potentati, come ho sopra detto, o l’uno o l’altro sempre per la propria ragion di Stato in ogni evento, che Dio non permetti, è necessitato di dargli soccorso. Si ritrova populatissima, in maniera che con angustissime case le famiglie si vano restringendo nelle habitationi, mentre ogn’uno procura fabricare et havere habitatione nella città sudetta, anzi che, non potendo i popoli tutti habitare in essa, hanno fabricati et ampliati tre grandissimi borghi, mentovati respettivamente: Castrade, San Rocho et Manduchio(?), tutti poco fuori, anzi appresso la città, vicini alle dui porte ditte l’una Reale et l’altra Rimonda. Vi risiede un Archivescovo latino, qual è Monsignor fra Benedetto Bragadino nobile dignissimo della Serenità Vostra, con entrata di circa quattro mille ducati all’anno et dodeci canonici, essi ancora rispettive con prebende bonissime. Uno delli più famosi suoi re fu Alcineo, ma poi agranditi di potenza li re d’Epiro, suoi confinanti, et perché li fu fuorusciti di quel regno doppo commesso alcun misfatto, si ricovravano sopra detta isola di Corfù ed Iudi(?) poi di quando in quando molestavano il Stato loro, si risolssero si soggiogare, come soggiogorno, detta isola, descolandola in maniera che la lasciorno dishabitata. Li Corinthii, all’hora poderosi in mare, scoperto il sito di così bell’isola diserto et abbandonato, mandorono una lor collonia ad habitarla, et in progresso di poco tempo restò adornata et de nobili et popolari a sufficienza. Ma resisi poi mal contenti i popoli del governo, si solevorno contro essi nobili, onde parte ne tagliorno et gl’altri in sicuro loco ritirati, difesi, sinoche con l’aggiuto de Corinthii medesimi rihebbero la città et isola sudetta, onde posti di novo in obedienza, moltiplicò poi in maniera il numero delli habitanti, che non potendo esser sostenuti dall’isola sola, si divisero et andorno a fabircar et habitar Durazzo, ampliandosi il Dominio anco in terra ferma quasi fino a Fanaro, che è un buon tratto della Grecia. In questi tempi molto ben populato Durazzo ancora, ma mal contento il popolo stesso del governo de corfioti, si ribellò colla protettione de corinthii, per li che accesassi mortalissima guerra fra corinthii e corfioti, si ridusse gran parte della Grecia in due fattioni, eccettuati li atheniensi, quali conoscendo che quando una di queste parti superasse l’altra, sarebbero restati dalla potenza maggiore essi ancora soggiogati, et però mandorono una squadra di loro galere ad assister, poco discoste da quelle delle sudette signorie, per soccorrere quella parte che fosse al disavantagio conosciuta, onde fatta qualche sanguinolente aprodatione, con continue belliche revolutioni de circa 27 anni, si indebollirono da sé medesimi a segno, che Felippo, il padre d’Alessandro il Magno, prese facile occasione d’impatronirsi della Grecia tutta, si come fece, ma morto poi Alessandro, si divise il suo Imperio in molti potentati, perloche et indebolliti anco li Re d’Epiro, presero forze i romani, li quali si avanzorono et hebbero anco Corfù, trasportato poi da romani l’Imperio a Costantinopoli et diviso in Orientale et Occidentale, le restò la sodetta isola nell’Orientale Impero, il quale per esser debole di forze in mare, fu Corfù molte volte depredata da armate et da genovesi in particolare, et finalmente preso e mantenuto dalli Re di Sicilia et Napoli; del stipide de quali resata poi unica(?) la Regina Zuanna, quella anco rimase dominatrice di Corfù, che havedo poi preso per consorte uno delli Re d’Ungaria, per male sodisfattioni fu fatto da esso privare di vita, perloche dalli stessi Re d’Ungaria del defunto strettisimi congionti con mortal guerra insidiorno essa Regina, che restò costituita in necessità d’abbandonar l’isola di Corfù, perloche li habitanti di quello, dubitando esser surpresi dalla potenza Ottomana, che si andava augumentando, l’anno 1386 ritrovandosi a Casopo, o luoco circonvicino in circa 18 miglia lontano da detta città, la felice memoria del nobil huomo Zuanne Miani Capitano di golfo, con buona squadra di galere della Serenità Vostra, espedirono loro ambasciatori ad invitarlo a prender il possesso della città et isola stessa, per ridursi(?), si come fecero, sotto il felicissimo et clementissimo paterno dominio di Vostra Serenità, come consta per il publico instrumento di confirmatione fatoli dall’eccellentissimo Senato l’anno sudetto a 9 giugno nelli atti di domino Lunardo Anzoleli(?) publico nodaro; onde dal sudetto tempo sino di presente ha sempre Vostra Serenità posseduta detta città et isola, et se bene alcuna volta ha patita qualche scorreria turchesca con incendio, schiavità et gran danni, come pur seguì ultimamente l’anno 1572, i popoli nondimeno sono andati sempre mantenendosi non solo in fede e sodisfattione del caritatevole governo della Serenità Vostra, ma rifabricati gli hospitii sono ridotti di presente a commodo et divotione incomparabile verso la Serenità Vostra, ripieni d’ogni sodisfattissima ampliata contentezza, poiché gratificati dalla publica benignità di molti privilegi et concessioni d’offitii utilosi, con che godono prorogativa di somma consideratione. Ha la città medesima un fontico con grossi capitali, ridotti dal zelo delli illustrissimi miei precessori a buon segno et ampliati in unione da me mediante la continua mia aplicatione et buona intelligenza col zelo dell’illustrisismo signor Proveditor Memo, lo quale si è nella giustitia et in tutte le occasioni di publico interesse et avantaggio dimostrato puntualissimo, siché detto capitale ascende effettivo alla summa de ducati quaranta mille cinque cento vinticinque, come con molti mie riverenti littere ho di tempo in tempo raguagliata la Serenità Vostra. Questo fontico ha un datio delle panatarie, che si suol affittare in circa annui ducati(?) 1.500, lo quale denaro stante che detto fontico si ritrova sufficienti captali, raccorderei riverentemente a Vostra Serenità di divolverlo in Camera fiscale, come è stato fatto altre volte per publico servitio in pagamento di tanti poveri sallariati, che per scarsezza di denaro languiscono di fame, si come pure facendosi in detta città essito grossissimo di acqua vita a minuto, potria da Vostra Serenità esser appaltata tal vendita ad una sol persona, che potesse poi dispensare quelle poste che paresse a lui, così in città come nei borghi. Questo appalto, venendo posto all’incanto, si caverà per l’informatione che ho presa, senza aggravio d’alcuno né minimo sentimento della città, più di mezo migliara de ducati all’anno et con l’essempio di detto insensibile aggravio potrà Vostra Serenità col tempo aggiongerli qualche altra recognitione publica, mentre non sentono quelli habitanti di presente minimo aggravio, né interesse. Non devo ommettere qualche discorso anco sopra l’administrature della giustitia, principalissimo fondamento e base della conservatione de Stati, la quale se bene è stata da me debilmente sostenuta, sono però stato assistito dal giusto fine de gl’illustrissimi signori consiglieri, con quali ho passato quell’unione et corrispondenza affettuosa, che ho stimato mio debito et publico servitio. Non dimeno abbondavano i pretesti(?) che difficoltavano le redutioni di quando in quando, con che veniva fermato il corso della giustitia, un pregiuditio de buoni et fomento de scelerati malviventi, quali trapassavano il termine dell’obedienza alle leggi et restava inondato il paese di male operationi, con pessima consequenza; et questo deriva E. E. P. P. [Eccellenti Principi?] dall’esser introdotto che li illustrissimi signori consiglieri intervengano nell’ordine et incaminatione di tutte le cose, onde il bailo è costituito in stato che per sé solo non può operar cosa alcuna, si che habitando detti illustrissimi consiglieri, l’uno in cittadella di fortezza Vecchia et l’altro in città, ove a lui piace, anco molto lontano dal palazzo pretorio, et poi occupati vicendevolmente come camerlenghi alle casse, ho provato delli mesi intieri che non si sono ridotti, con considerabili discontenti et richiami de popoli, et però a rimediare gl’inconvenienti sudetti ho stimato mio debito di riverentemente racordar alla Serenità Vostra un decreto, che quando alle hore ordinarie delle audienza alcuno de gl’illustrissimi signori consiglieri non capiti in palazzo a ridursi col bailo, il bailo solo possa conceder sufraggi et deliberar processi criminali, et operar nell’ordine et incaminamento delle cose quello stimerà di giustitia, che con questo impulso concorerano a vicenda, onde restarà administrata la giustitia et consolati tanti affliti che giornalmente esclamano; che è quanto m’occorre per hora in questa mia humilissima relatione significarle, solo aggiungo pienissimi attestati della mia sempre contravata(?) prontezza nelle essecutioni de comandi publici, con brama di spendere il sangue et far vitima di me stesso per la patria et in servitio della Serneità Vostra, alla quale riverentissimo m’inchino. Gratie etc.