1619 Piero Bondimier
Relazione
1619 febbraio Pietro Bondumier ritornato di Provveditore generale in Candia
AS Venezia, Collegio, relazioni, busta 79
Serenissimo principe
Dovendo io Piero Bondimier, conforme alle leggi et antichi ordini conservati da una interotta essecutione, in questo mio ritorno di Provedtior general dal suo importantissimo Regno di Candia, riferire alla Serenità vostra et all’Eccellenze vostre illustrissime quello che nel corso de mesi 57 mi si è fatto conoscer degno della suprema sua intelligenza, se bene per le solite mie indispositioni, per le continue occupationi che ho havuto io, in particolare di procurar levata [?] di militie greche, operationi così necessarie et grate a Vostra serenità, che mi hanno tenuto buon [?] pezzo occupato, né mi è stato perciò permesso, come era mia risoluta volontà, vedere et informarmi a pieno di ogni minuto particolare dello stato del Regno, mancamento et bisogno suo; tuttavia superate dal calor del mio desiderio tutte le occupationi et fatto, come si suol dire, sforzo a me stesso, ho scielte quelle cose che ho stimato maggiormente necessarie della saputa et provisione di Vostra serenità et dell’Eccellenze vostre illustrissime, acciocché con il proprio della prudenza loro, fattoci sopra quella reflessione che giudicherano convenirsi, possino anco quando conoscessero questo mio riverente ragionamento, che l’infalibili loro deliberationi stimerano a proposito, ilche come sarebbe di mia somma contentezza, mentre l’affetto verso la Patria havesse havuto tanto di forza in me, destandomi anco a pensieri lontani molto dal mio proprio, che io fossi stato debole instrumento delle sue importanti provisioni; così anco quando questi mei ragionamenti paressero alla Serenità vostra poco fruttuosi, non perciò debbo restar manco degno della gratia di lei, poiché avido del ben publico, senza alcun riguardo a me medesimo, ho eletto più tosto di palesar l’imperfetto del mio discorso, avanzandomi nel merito dell’obedienza et affetto alla Serenità vostra, che tralasciar quelle cose che ho stimato con la mia debolezza degne di esserle rappresentate, né ho voluto con il silentio coprir le mie imperfettioni.
Tratterò donque con quella maggior brevità che potrò in questo mio discorso: del sito, grandezza, porti et spiaggie di esso Regno; delle città et fortezze, di qualche oppositione che viene loro fatta, come siano munite de monitioni et forze; quello che si potesse pensar in tempo che fosse tentato d’invaderle; quanto si potesse prometter da nobili, cittadini et popolo; come vengono governate l’entrate di Vostra serenità, quello che è andato in tempo mio di spesa; quello che vi vorebbe in tempo di guerra et l’operato da me nel suo servitio.
L’isola di Candia è tra l’Asia et Europa, è discosta si può dir ugualmente dalla terra ferma, la sua forma è lunga dal Ponenete al Levante miglia 240 in circa, et di circuito intorno a 600, avicinandosi alle isole e terra ferma sottoposte all’imperio ottomano, non essendovi più di distanza dalla parte di Ponenete, cioè da capo Malia fino a capo Spada, de miglia 80, per Levante da Capo Salamon fino a Rodi vicino all’Anatolia poco più di 100; et si può dir parapeto della christianità et principal sostegno et riputatione di questa serenissima Repubblica. Et sebene questa isola in gran parte è dotata dalla natura de diruppi, monti et luochi sassosi, che renderà sempre dificile lo sbarco de genti et condotta di artegliaria all’inimico, è però tanto vicina alli luochi sopradetti et a tutte le isole dell’Arcipelago, che per la facilità del viaggio et in particolare nel tempo dell’estate per li venti favorevoli, che regnano a tal navigatione, si faria in poche hore, non che in giorni, et perciò per la facilità che haveriano, potrà quando habbi pensiero il Signor turco di mover l’armi a questa serenissima Repubblica mettersi facilmente a quell’impresa.
Tra Capo Salamon et Capo Sidero vi è il porto di Paleocastro, capacissimo di ogni grossa armata, vi è acqua abbondante, puono le galee metter la prova in terra, ma è aperto da Grego levante.
Questo sito è stato tenuto sempre in gran consideratione per il porto, per la comodità delle acque et per la vicinità delle isole dell’Arcipelago, come ho detto, et perciò diverse volte è passato per mente a publici rapresentanti, con l’opinone de capi da guerra, di che n’è stato dato conto a Vostra serenità, che per privar l’inimico di porto così comodo et capace di ogni armata, fosse per riuscir di molta sicurtà di quell’importantissimo Regno, fabricare in detto porto di Palocastro, che vuol dir in lingua italiana fortezza vecchia, sopra un eminente scoglio che domina in gran parte esso porto, un maschio, overo piciola piazza, per assicurarsi da quella parte. Questo sito l’ho veduto l’occhio proprio et si come credo che l’assicurarsi havesse ad esser buon partito, così il dover moltiplicar in tante piazze, che tirano in sé consequenza di grossa spesa nel fabricarle, continuo presidio et consumo de monitioni per guardarle, mi lascia hora ambiguo de dirle liberamente il mio senso, tenendo anco dubio in me stesso, che l’inimico non sia per sbarcare così facilmente essercito formato in quel sito, perché il volerlo condur poi con quelli apprestamenti et artegliaria, che fariano bisogno per venir all’acquisto di città principale, che haveria ad esser Candia, la quale è la più vicina piazza et che lodato il Signor Dio è di consideratione, convenendoli far viaggio per terra di più de miglia 140, per monti, strade alpestri et siti angusti, dove si potrebbe con non molta gente darli da pensare, prima che potesse passar inanti. Per queste cause stimo che non sia così facilmente per applicarvi l’animo, quando però (si che si ha da dubitare) non li venisse in pensiero di prender quel posto, per metter un piede sopra quel Regno, per impatronirsi liberamente di quel porto et haver strada libera da guastar il paese circonvicino et andarsi poi con il tempo avanzando, per questa causa donque lo stimo che sia di molta considertione.
Dal detto porto di Paleocastro, passando dalla parte di Ostro, navigando verso Ponenete, vi sono molte spiaggie et ridotti, ove possono salvarsi qualche numero de vasselli, così armati, come di alto bordo, ma per il più sono scoperti da Ostro Siroco et qualche d’uno anco da Garbino; tralasciarò quelli di minor conditione, per non apportar lungo tedio all’Eccellenze vostre illustrissime, tocherò solo li più principali et dove per il più sogliono capitar vasselli di corso.
Prima si trovano li scogli nominati Gaidaroni, che sono all’incontro del castel di Gerapetra, distanti circa otto miglia, in detto loco vi è buonissimo tenitore et abbondanza d’acqua, ricevono anco qualche comodità di rinfrescamento, seben contra li decreti de publici rapresentanti, da quelli sudditi, che alletati da ingordo utile che ne ricevono, per esser lontani da gli occhi de superiori, riguardando anco assai poco all’importantissima materia di sanità, cadono in si fatti errori et alla giustitia riesce assai dificile, per esser si può dir tutti interessati, l’haver lume di si fatte transgressioni. Tirando per il medesimo camino 40 miglia in circa vi è un luoco nominato Caluslimiones, ove ben spesso in questo sito si ricoverano simil sorte de vasselli. Dieci miglia più inanti vi è il casel Priotissa con una spiaggia de miglia sei, irrigata con abbondanza d’acque da dui fiumere et è scoperto di luoco dalli medesimi venti. Dal detto castello fino a quello della Sfachia vi sono intorno a 40 miglia, incontro del quale con altretanta distanza vi sono l’isolette nominate li Gozi, ricetto de simili vasselli, sono questi scogli seminati et goduti da Sfachiotti, a quali ben spesso succede che da vasselli de Tunesi [?], de Barbaria vengono molestati, ma sono anco gente che valorosamente si difendono et a tempo mio hanno ricevuto qualche piciol danno, come ne diedi all’hora conto a Vostra serenità. Dalla Sfachia facendo il medesimo camino circa ad altri 30 miglia vi è il castel Selino, ove può stare qualche numero di galee con le prove in terra, è però scoperto da Ostro Garbino et qualche altro vento ancora, et vi è comodità di acqua. Passando più inanti, ha porto da fermarsi ogni armata, particolarmente nel tempo dell’estate, non potendo in altra stagione sicuramente salvarsi più di sei, over otto galee sotto San Nicolò. Et [?] per nave è porto sicuro da ogni tempo, per esservi buon tegnitore [?]. Da tutti li sopradetti luochi si può più tosto dubitar di ricever qualche incursione, che di veder sbarco di armata reale, così per la poca sicurezza de porti, come per esser cinti d’asprissimi monti, et per il più lontani da tutte le principal città del Regno.
Passando dalla pare di Tramontana et tirando verso levante lasciarò il golfo del Chissamo, sottoposto solo a qualche picciola invasione, che si potesse ricever da qualche vasseletto armato, non potendosi in quelle spiaggie dubitar di gran danno.
Da Capo Spada tirando verso il piano della Canea, nominato da Greci il golfo Micigogna, ove vi è qualche picciol spiaggia, over ridotto, di questa me ne passarò con silentio, non essendovi luoco da farvi consideratione. Poco inanti vi è lo scoglio nominato San Todoro sopra il quale vi ha fabricate Vostra serenità dui honeste piazze, però di picciolo recinto, le quali et per la loro eminenza et per il grebano sopra il quale sono erette, difendono quel porto over ridotto capace di buon numero di galee et sicuro nel tempo dell’estate, ma per l’invernata non serve ad altro che a nave, ha scarsezza di acqua, bisognando servirsi sopra il Regno, cioè dal fiume Platanea.
Dal detto scoglio sino alla città della Canea, sono miglia cinque in sei. Il porto della Canea è capace di buon numero di galee, della qualità di esso, come della città non mi estenderò molto, sapendo che da illustrissimo senatore di molto valor et prudenza, che in tempo mio ne ha havuto principal carico, sarà restata a pieno informata la Serenità vostra et l’Eccellenze vostre illustrissime.
Dal detto porto della Canea fino alla Suda, lasciando a dietro luochi non molto considerabili, dirò di questo della Suda, per esser il più importante et stimato principal sito di quel Regno, dal quale non è opinion sola di me, ma di tanti altri illustrissimi publici rappresentanti et signori Capi da guerra, che in diversi tempi si sono trovati in quel Regno, si crede che in ogni tempo habbi a dipender la total salute et difesa di esso, così per la sua capacità, come per il comodo che havarebbe l’inimico, quando Dio guardi, s’impatronisse di esso, non tanto per alloggiarvi ogni grossa armata, quanto per fortificarsi [?], per prender buon posto per scorrere et impatronirsi della campagna et per condursi a tutta sua comodità sotto una principal fortezza di quel Regno, come è la città della Canea, perciò come tale si deve guardar con molta diligenza et gelosia; poiché se devo dar il vero nel stato in che si trova al presente, lo stimo per senso mio non molto sicuro et facile per così dire di esser preso o rubato da ogni benché ordinaria armata, havendo considerato più di una volta nei moti passati, che con le forze de armate de principi grandi che si trovavano in mare, quando havessero havuto pensiero di invader da quella parte il Regno, non si havesse potuto così facilmente impedire, che non fossero venuti, per così dire, a velle piene ad impatronirsi di esso porto, che quando altro danno non si havesse ricevuto, havarebbono insegnata la strada ad altri, oltre la perdita di riputatione et forse qualche altra cosa, che dalla comodità del sito le sarebbe stata mostrata; et per meglio esser inteso, dico che quando l’armata spagnola havesse preso quella volta e tentato di entrar dalla parte della lenguetta o porporella, essendo il tramite di 800 et più passi geometrici, le galee con voga rancata, passando a raso della porporella, non tanto di notte, quanto di giorno, sarebbono entrate con pochissima lesione. Il simile anco dico de vasselli fondi.
Et quando non havessero voluto passar per quella parte, haveriano potuto entrare dalla banda del Marati, assicurando la sua armata nel porto del Lutrachi, sicurissimo et coperto da qual si voglia offesa, et preso porto che havessero al scoglietto del Marati con vasselli fondi, con la galee potrebbono dar fondo in ogni luoco dove più le piacesse. Perché dalla ponta detta del Calogiero, sarebbono coperte da tutti li tiri della fortezza della Suda; vero è che sopra la lengueta di essa fortezza vi è un pezzo d’artegliaria, che scopre alquanto trasversalmente la bocca del Marati, ma è però un pezzo solo et di distanza de 1.800 passi in circa, misurato di ordine mio dal signor Governator Scotto. Alcuni hanno detto che in quella bocca vi sia poco fondo et che già anni vi si rompesse un vassello, a questo rispondo per haverla fatta scandagliare dal sopradetto signor Scotto, alla presentia anco d’altri, che in ogni parte tutto quel canale et nel minor fondo, che è doppo passato i mezo di esso su la man sinistra per occasione d’una gran placa, vi sono però quattro et più passi di fondo et in tutte le altre sei, sette et fino a 10, et circa il vassel rotto, non essendo pratico il patrone che lo conduceva, entrato nella bocca, non essendovi tenitor buono, da vento impetuoso avendo i ferri, fu portato ad una delle sponde, dove si ruppe, essendo in quella parte maggior fondo che nelle altre. Et di più in fine del porto del Lautrachi vi è una spiaggia buonissima, con una salita così comoda che qual si voglia pezzo d’artegliaria si può condure ad una certa eminenza all’incontro della fortezza della Suda, che la scopre per la maggior parte a cavalliero in distanza non più de 400 passi, et con tutto che vi sia il canal da passarvi, darebbono così gran travaglio et molestia, che al sicuro distrugerebbono buona parte delle difese principali di detta fortezza et con forze risolute si haverebbe che fare a sostentarsi. Questo tanto non ho detto solo per armata spagnola, sapendo molto bene che per la lontananza de soccorsi, par mancamento de apprestamenti da guerra et de viveri, sarebbe forsi vanità quando vi pensassero, ma per altri a quali per questa via sarebbe mostrata la strada; il lasciar donque questo importantissimo porto così sottoposto ad ogni ordinaria forza, deve riverentemente dir a Vostra serenità et all’Eccellenze vostre illustrissime, che al sicuro si conviene, anzi è cosa necessaria la fortificatione del Marati, come è stato anco pochi anni sono opinione de prudentissimi senatori et capi da guerra, perché forsi un giorno si vorà fare, che non so se sarà concesso il tempo, né si deve guardare al risparmio di quelle cose che hanno gran consequenza in loro, in principalmente in questa dalla quale non tanto secondo il mio senso, ma d’altri ancora, come ho detto, dipende la conservatione di quel Regno. Et è pur vero che le fortezze reali, che si fano con tanta spesa et interesse da principi, sono la difesa di quelle, si conserva illeso il rimanente del Stato loro, siché co’l tempo, applicandovi Vostra serenità la mente, se così stimarà bene, delibererà quello che giudicarà di suo servitio. Alla quale devo aggiunger per mio credere, che oltra la fortificatione del Marati in tempo di turbolenza, sarebbe necessario tenirvi dui grossi vasselli, che ad ogni improviso bisogno si potessero armare per guardar la bocca del porto dalla parte della porporella, restando quella del Lutrachi molto ben assicurata, quando segua la fortificatione del Maruti, la qual certo mi pare che per alcun modo non si debba tralasciare, per tante ragioni et ottimi beneficii che se ne riceverebbe, come anco per l’incrosamento de tiri con la fortezza della Suda, che si augumentarebbe la difesa in quella parte. Et se bene da alcuni vien detto che della parte del canale, non essendo più de 100 passi largo nel più, ch’esso possa esser batuto detto scoglio, rispondo che per condursi in quel posto non vi è luoco ove si possi sbarcare, nonché strada [?] per condurvi artegliaria, poiché fuori del canale è tutto grebano, precipitoso, con alte rive, né vi si può fermar vassello di alcuna conditione.
Per guardia ordinaria di tal fortificatione, quando si facesse, basterebbe in tempo di pace poco numero delli medesime soldati della Suda, con l’aggionta nel tempo dell’estate di qualche numero della cernide dell’Acrotiri, che è poco discosto, gente robusta et valorosa, molto divota et obediente a comandamenti de publici rappresentanti et ciò riuscirebbe con poco interesse del publico.
Di rimpeto alla fortezza della Suda da 1.000 passi o poco più in circa, vi è una eminenza grande circondata ancora da antique muraglie, chiamata in italiano città vecchia, sopra la quale da molti capi da guerra in diversi tempi sono stati fatti varii discorsi et considerationi; et in particolare era opinione dell’eccellentissimo signor Giovanni Battista dal Monte di fortificarla, dovendosi spianar poi le muraglie della Canea, ne fu di ciò nelli tempi passati trattato in questo eccellentissimo Senato et fattone longhissime scritture, onde a me non resta che aggionervi d’avantaggio, stimando che siano cose più tosto da desiderare che di già fossero effettuate, che pensarvi hora a metterle [?] in essecutione.
Passando inanti vi è la spiaggia dell’Armirò, che per non esser sito pregiuditiale a quel Regno, la tralasciarò, ma poco inanti vi è il porto di Rettimo, la restauratione del quale molto tempo fa è stata raccomandata da Vostra serenità et da quei sudditi tanto desiderata. Alla effettuatione di quest’opera vi applicò l’anima l’illustrissimo signor Pietro Foscarini fu Rettor in quella città et nelli primi giorni del suo ingresso mi diede parte di questo suo ottimo pensiero et mi mandò disegno, essibendosi pronto in adoperarsi con ogni suo potere, senza risparmio di fatica alcuna, per la restauratione di esso. Et io conoscendo benissimo la singolar prudenza, valor et mente retta et non mai lodata abastanza di questo illustrissimo senatore, rimessi a lui la perfettione di essa opera, et co’l occhio proprio ho veduto con quanta diligenza et fatica inestimabile si sia impiegato, havendola al partir suo da quella città lasciata in assai buon termine, come mi persuado che del tutto ne habbi dato conto a Vostra serenità.
Partendosi da Rettimo venendo verso Candia, non vi resta luoco sino a Tali, ove sicuramente vi si possino fermar galee per esser parte sassosa con molte secche. A Tali poi si possono ricoverar, quando la necessità astringe, fino a 10 galee, ma è scoperto da Grego Tramontana. Questo gode il beneficio dell’acqua, che ha da un monasterio della Madona, poco discosto fra terra, dove ve n’è in abbondanza.
Da questo luoco fino alla Fraschia, sono miglia 20 in circa, né vi resta altro a dietro, che picciole spiaggie et ridotti per barche di niuna consideratione.
Il sito della Fraschia è assai buon luoco, nel tempo dell’estate può prender porto ogni grossa armata di galee et navi, è circondato da monti, ha qualche mancamento d’acqua.
Tre miglia dentro della ponta della Fraschia, vi è la fortezza del Paleocastro che domina in gran parte il sudetto porto, questa è distante 10 miglia dalla città di Candia, il porto della quale è capace de 50 in 60 galee, non possono però tutte metter scala et convenirebbono anco tirar dentro li loro palamenti, questo è sicuro da ogni vento.
Partendosi di Candia verso levante, non vi è altro porto sicuro che quello di Spinalonga, questo è capacissimo di ogni grossa armata, ma non è molto abbondante d’acqua, da questa fortezza fino al Paleocastro di Sittia, che è il primo posto che tocai nel principio del mio ragionamento, non vi è se non qualche spiaggia o ridotto per qualche vasselo di poca consideratione. Haverà per tanto fin qui inteso la Serenità vostra et l’Eccellenze vostre illustrissime li porti o ridotti più principali, che sono nel suo Regno di Candia.
Questo suo importantissimo Regno è diviso in quattro città con suoi territorii, cioè principiando dalla parte di levante: Sittia, Candia, Rettimo et Canea.
La città di Sittia è discosta da quella di Candia per Levante miglia 100, è posta su la rippa del mare de Tramontana, dove sono anco tutte le altre città et fortezze principali. Questa è aperta di muraglie, ha solo un picciolo castello, atto a resistere a batterie di mano, per non haver alcuna difesa de fianchi, come si usa hoggidì, per resister et per offender l’inimico, è circuito de mediocre muraglia, è poco terrapienata; questo luoco così per il sito di esso, come per il recinto del castello, è di assai poca consideratione.
La fortezza di Spinalonga, se bene lo stato di essa tante volte è stato rapresentato a Vostra serenità, tuttavia [?] son in obligo di dirle, che come è stato benissimo il fabricarla per sicurezza di quel porto nella sommità di quel scoglio, così il recinto da basso viene stimato esser superfluo, patisse delle oppositioni di qualche rilevo [?] et di esso si havarebbe potuto far dimeno, liberando la Serenità vostra di doi terzi della spesa che fa al presente et senza alcun frutto. Questa fortezza è ben munita d’artegliaria et di conveniente munitione per lo stato presente.
La città di Candia per la sua qualità, per gli importantissimi servitii che ella deve portare in occasion de bisogno, che nostro Signor Dio lo tenghi lontano, per la difesa di tutto il Regno, stimerei se non bene con la comodità del tempo applicarvi l’animo per perfecionarla, facendosi ogni giorno più evidente il bisogno, rispetto al continuo consumo de terreno, che si va facendo sempre maggiore, et particolarmente per il danno grande che si è ricevuto gli anni passati dalle continue pioggie et insolite nevi, che sono state particolarmente nella città, non più venute a memoria d’huomini, ciò deve metter in necessità la Serenità vostra a pensar per il rimedio dalla parte del mare, che per non esser stata mai incamisata, trovandosi anco assai debole di terreno, dirupato in molti luochi, volendosi rimediare come si deve, si convenirà incamisarla. Et per sua informatione volendo far muraglia simile a quella fatta dalla porta del Dramata, verso la Giudaica, che è il suo fondamento in grossezza de piedi cinque et un quarto et alla sumità piede uno et mezo, di altezza de passi tre, vi anderà passi quadri di muro circa 780. Qui non vi vorà fondamento per esser tutto grebano et la materia sarà molto vicina. Vi sono anco le doi cortine tra il baloardo Vitturi et Giesù et tra il Giesù et Martinengo, che ancor esse non sono state mai incamisate; et medesimamente la cortina tra il baloardo Martinengo et Bethelen, la qual si trova incamisata solo in altezza de piedi otto in circa, che volendola alzar alla misura delle già fatte, vi vuole l’altezza di muro de piedi 17, che per esser longa passi 122, vi vorà di muro quadro passi 220 in circa. Si come a quelle del Giesù et Martinengo, che sono lunghe passi 62 l’una, vi vorà passi quadri 720 tra tutte due. In molti luochi di quell’importantissima piazza è necessario l’allargar delle fosse, l’ingrossamento et alzamento de parapeti et specialmente intorno alle piazze de fianchi, che per coprir le piazze de baloardi et per l’apertura di essi fianchi, vengono dalla campagna in molti luochi scoperti. Et perché pare che con la longhezza del tempo, si trovano oppositioni alle fortezze già fabricate, con nove inventione, così a questa di Candia, viene opposto che le piazze alte e basse, che si trovano a tutti li fianchi di essa, siano piene de difetti; et da capi da guerra viene stimato che riducendosi ad una piazza sola per fianco, in altezza uguale della piazza del baloardo, riuscirebbe di maggior sicurtà et a maggior difesa di esse. Vi sarebbe anco bisogno di riparare con qualche poco di muraglia al piede del cavallier Martinengo, per la rovina de terreni che ha fatto et del continuo fa dalla parte della città, la quale è tale che rispetto alla natura di essi terreni, che non si può unir il novo con il vecchio, per diligenza che sia stata usata nel bagnarli et baterli, et tanto meno in questo cavallier ciò è riuscito, per la sua molta altezza, havendo anco veduto et praticato, che con la frequenza delle pioggia si fano alcuni busi, così nel mezo delle piazze de baloardi come in ogn’altro luoco, et benché nel loro principio siano picciolissimi, tuttavia nel spatio di una o dui stagioni, chi non è presto a rimediarvi, si sono così grandi et cavernosi che riesce cosa di meraviglia, non sapendosi discerner ove questo terreno si perda, perciò del continuo bisogna porgervi rimedio.
Del forte di San Dimitri vicinissimo a quella piazza et del luoco del Marcula, come di questo ne diedi conto nel principio della mia carica alla Serenità vostra et le rapresentai del pregiuditio che se ne riceveva, dal credere che ogni di più si andava habitanto, havendolo trovato populato di più di 5.000 anime. Et se bene nel tempo dell’illustrissimo signor Giacomo Corner, mentre fu dignissimo Capitano in quella città, fu ordinato con molta prudenza, acciocché quelle genti si risolvessero di venir ad habitar dentro, che fusse descritto cadauno di loro nel rollo de galeotti et angarici; niente di meno ha ciò poco giovato, perché godendo essi la libertà di star fuori et tanti altri comodi della campagna, sofferiscono volontieri questo obligo, più tosto che venir ad habitar in essa città. Io in conformità dell’ordine datomi da questo eccellentissimo Senato, feci distruger qualche d’una delle migliori case che in esso loco si trovavano, né ho permesso il fabricar ad alcuno, né restaurar in alcuna parte le già fabricate, se così sarà osservato con il tempo si anderano anichilando et per necessità la città venirà ad esser maggiormente habitata.
Il forte di San Dimitri è posto di terreno assai grande et domina la città grandemente. Di questo terreno ne fu fatto portar dentro buona quantità dall’eccellentissimo signor Giovanni Giacomo Zane, mio precessore, per construir il cavallier alla Sabbionera, uno delli migliori posti di quella piazza et molto necessario, havendo ancor io, subito gionto a quel carico, fatto continuar la total perfettione di esso, essendo stata alciata in tempo mio tutta la piazza ugualmente piedi tre et mezo et alzato il parapetto altri piedi tre et in grossezza della parte di fuori, cioè dal detto forte passi tre; sarà sempre ottima risolutione il pensar di levar detto terreno dal detto forte di San Dimitri, acciò il detto cavalier possi scoprire et batter tutta la valle vicina, coperta hoggi di in gran parte da ditto forte, non mancandovi luochi nella piazza, ove è bisogno di riponerlo con molto frutto.
Per rimediar a così fatti et altri mancamenti in tempo mio ho fatto quanto ho potuto, ma la strettezza del danaro in che continuamente mi son trovato, non mi ha permesso il lavorar di pietra intorno a dieci muraglie, né far qualche altra cosa d’avantaggio, come sarebbe stato il mio desiderio.
Questa sua importantissima piazza è ben munita d’artegliaria, come sono tutte le altre città et fortezze del Regno, ma de monitioni et altre armi sono in qualche parte diminuite di quello che erano gli anni passati, per il consumo che se n’è fatto nelle ordinarie mostre, nell’armar di galee et nella levata de fanti Greci, che sono passati de qui in servitio della Serenità vostra; si come da più mani di mie lettere sarà stata informata. Onde stimo che sarà senon bene il pensar a rimetterne et il pensar anco, quando fin hora non sia stato deliberato, di mandar in quel Regno un polverista in luoco del quondam Bortolomio Paradiso, già mancato di vita, come diedi conto alla Serenità vostra con dupplicate mie lettere, così per poter accomodar le polveri che havessero bisogno, come per poterne fabricar di novo, restando l’edificio già tanto tempo infruttuoso.
Lontano miglia 12 di Candia verso Tramontana si trova lo scoglio della Standia, questo non è habitato, se non da qualche pastore con suoi animali, ha porti capaci di qualche numero di galee et in particolare di quello nominato della Madona, questo luoco non è abbondante di acqua, ma per la vicinanza a quel Regno, dove si può facilmente provedere, et per altri degni rispetti ancora è posto di molta consideratione.
Vi è, come ho detto di sopra, il castello nominato Palocastro della Fraschia, questo luoco se ben picciolo è di consideratione, perché domina in gran parte il porto della Fraschia; è fornito d’artegliaria et di monitioni da guerra, ma di vettovaglie è provisto dalla città di Candia, scondo [?] il bisogno.
La fortezza di Rettimo è piazza debole, patisse delle appositioni per la picciolezza de baluardi, bassezza di muraglie, angustezza de fianchi et è anco batuta da una eminenza di un monte nominato Santo Athanasio, non più discosto de passi 400, per la qual eminenza fu già non molti anni sono fatto un cavallier in essa piazza, il qual si trova così vicino alla gengiva della muraglia, che in ogni evento di travaglio, si può dubitar che in pochi titi dell’inimico, cagionarebbe la rovina di tutta quella fronte et dalle pioggie anco viene del continuo consumato.
Questa piazza ancor essa è ben munita d’artegliaria, ma di monitioni viene per il più soministrata dalla città di Candia.
La fortezza della Suda è piazza buona, se ben è dominata dall’eminenza del monte, dalla parte del Lutrachi, come ho detto, ma è di necesso [?] però accomodar li parapetti del continuo con buon terreno, come si convien fare in tutte le altre piazze, è ancor essa ben fornita, come le altre, d’artegliaria et de monitioi insieme. Saria se non bene il procurar di conservar la porporella di essa, et io per quanto mi è stato permesso, mentre ho havuto commodità di galee, ne ho impiegata una a quel servitio, perché l’inverno con le tramontane, riceve sempre qualche danno.
La piazza delle Grabusse, benché le difese di essa siano assai corte, bassa di muraglia, nondimeno per il sito dove è fabricata riesce di ottima sicurezza per la buona custodia di quel porto, serve a tutta l’isola per la corrispondenza delle guardie del Cirigotto, che dano segno fino a Cerigo. È monita ancor essa d’artigliaria, come le altre, et de moniitoni ancora.
Vi sono anco dalla parte di Ostro: Sfachia et Selino. Questi sono luochi da salvar quelli habitanti più tosto da qualche scorraria, che da potersene prometter altro, et sono per il più serrati da monti così aspri, che con pochissima gente si ostarebbe a gran numero de nimici, che pensassero d’invader il paese da quella parte, eccettuato però quello di Gerapetra, per esservi la comodità della campagna et la vicinità di un mar all’altro che non eccede più de 12 miglia, che è la più stretta parte dell’isola et più facile all’incursione.
Le forze di quell’importantissimo Regno, secondo l’opinione universale consiste più nella qualità de siti, che nella qualità delle genti, le quali non sono molto atte alle armi et particolarmente quelle di Sittia, qualche cosa è di meglio quelle di Candia, sono migliori quelle di Rettimo et Canea, et molto più riescono valorose quelle della Sfachia, ma però questi difficilmente si possono persuadere ad allontanarsi dalle loro case.
Tiene la Serenità vostra in quel Regno 16 capitani Italiani sopra quelle cernide, che sono formate di gente nominata privilegiati, cioè nel territorio di Sittia doi, con soldati 1.300. In quello di Candia cinque, con soldati 2.300. In quello di Rettimo quattro, con soldati 2.650; et in quello della Canea altri quattro, con soldati 3.090. Alla Sfachia uno, con fanti 1.200; che in tutto sono soldati 10.540. Dette ordinanze sono simili a questa d’Italia, che quanto sono più vicine alli confini tanto più riescono migliori, così quelle che sono alle marine, per esser più vicine al pericolo, restando esse più spesso in continuo essercitio, massime quelle dalla parte di Ostro, rispetto alla frequenza de vasselli di corso che capitano in quei mari. Sono esse essercitate con l’ordinarie mostre et doverebbono esser tutte armate d’arcobusi et moschetti, ma molti di esse adoperano li archi, ho procurato di levarne [?] quanto più ho potuto; et se havesse havuto quella quantità de moschetti, che ho con più mani di mie lettere ricercato, haverei d’avantaggio avanzato nel numero, havuta però la debita consideratione alli siti dove habitano et alla qualità delle genti, perché per me non stimerei esser di suo servitio che nelle proli de Papadopoli vi fosse in tutti simil arma [?], dubitando che in qualche occasione havessero a rendersi poco obedienti a comandamenti publici, come è accaduto in altri tempi, ma non sotto di me che lodato Iddio sono stati obbedientissimi.
Se questa militia de privilegiati sarà da buoni capitani et officiali essercitata, si potrà la Serenità vostra valere di gran parte di essa nelle publiche occorrenze.
Della qualità de capitani che ho trovato in quel Regno sopra dete cernide et di quelli che sono venuti in tempo mio, ne ho dato con mie lettere distinto conto a Vostra serenità, dicendole che prima tutti sono capitati senza sargenti et tamburi, onde stimerei ben che fossero tenuti condur seco d’Italia detti officiali, perché gionti un Regno per il più si servono di persone forze troppo pratiche del paese et s’impiegano nel servitio loro particolare, più tosto che nella disciplina de soldati, aggiongendole, con la solita mia riverenza, che non si doveria lasciar per qual si voglia causa detti capitani fermar nel Regno più delli anni cinque statuiti dalle leggi, né tramutarli da luoco a luoco doppo fornito il detto tempo, ne meno dar tal carichi a persone accasate o apparentate in quel Regno, come ben spesso ho veduto succedere, vero è che bisogna anco pensare che con sole lire 58 soldi 18 di questa moneta, che hanno di stipendio al mese, detti capitani non possono mantenersi, da che l’Eccellenze vostre illustrissime possono molto ben comprender che per il più si conducono in quel Regno con fini diversi et contrarii al loro servitio.
Oltre queste militie de cernide, che sono formate come ha di già detto per il più d’huomini da campagna, vi sono anco le cernide delle città fatte de proprii cittadini habitanti in esse. Queste sono raccomandate a signori colonnelli, che sono de principali cittadini, vengono essercitati da governatori delle ordinanze sotto il comando del sopraintendente di tutte le cernide del Regno. Li colonnelli sono in tutto 10, cioè in Sittia uno con soldati 540. In Candia cinque con soldati 2.030. A Rettimo doi con soldati 1.131. Et alla Canea dui con soldati 937; che in tutto fano fanti 4.638, de buon numero de quali per opinione mia se ne potrà la Serenità vostra prometter buon servitio nelle proprie loro città in tempo di bisogno, che il Signor Dio lo tenga lontano. Questo non portano alcun interesse, se non della sola monitione che si consuma nell’essercitarle; sono armate di arcobuso con qualche numero de moschetti et piche, ho rivedute quelle di Scitia, Candia et Rettimo et ridotte al sudetto numero, cassando gli inutili et rimettendone de buoni; ho anco rivedute quelle della Canea, che mi sono riuscite di buonissima gente et forse migliori delle altre.
È solita di tener la Serenità vostra in tempo di pace per ordinario presidio di gente italiana pagata in quel Regno 25 compagnie, de fanti 150 l’una et quattro di minor numero, che sono destinate servir l’una in Sittia, l’altra nel castel di Candia, la terza nel Paleocastro della Fraschia et la quarta a San Todoro sotto la Canea, sono espedite queste compagnie con obligo di servir anni cinque per cadauna et come nel principio della mia carica trovai esse compagnie diminuite del debito numero, così per il spatio de quattro anni, non essendo mai state mutate, né venutone de nove d’Italia, si sono diminuite maggiormente per li licentiati, faliti, morti et condennati che certo non erano rimaste se non per poco più della mità.
Nell’anno ultimo del mio generalato sono capitate nove compagnie, ne ho regolate et licentiate altre nove delle più vecchie et manco utili, conforme all’ordine datomi da Vostra serenità. Ho rimediato a qualche disordine, che prima non ho potuto fare per il mancamento sopradetto, ma l’eccellentissimo mio successore, vigilantissimo nel servitio publico, con le compagnie che ha condotte seco et con quelle che doppo sono state espedite in Regno, haverà modo di purgarle tutte et ridurle a buon servire; et sarà se non bene il pensar a mandarne delle altre, havendo tutti li capitani che si trattavano in tempo mio forniti gli anni cinque statuiti dalle leggi, non stimando servitio di Vostra serenità che essi capitani si fermino li otto, nove et 10 anni, come è seguito al mio tempo, perché dovendo dir il vero, si fano troppo pratichi del paese et i soldati per il più diventano casalini.
Di così fatto disordine con più mani di mie lettere ne ho dato riverente conto a Vostra serenità et fui più volte avisato di esser stata ordinata la provisione per le tramute di essi, ma se non nel fine del mio reggimento la ho veduta in parte, come ho detto di sopra. Et mentre sii conservato l’intiero numero delle sopradette 29 compagnie in tempo di pace, si come vien stimato a bastanza per gli ordinarii presidii, così in tempo di guerra, che il Signor Dio ci guardi, universalmente viene tenuto da suoi capi da guerra, che per ben presidiare tutte le fortezze et città del Regno et per dar contrapeso alle militie greche, che si conveneriano introdur in esse per tal effetto, con 20.000 fanti italiani, si durerà fatica a supplire.
Raccordarò anche alla Serenità vostra et all’Eccellenze vostre illustrissime che quando occorrerà mandar militie in Regno per ordinario o per estraordinario presidio, sarà sempre bene di farle imbarcar a buoni tempi, con buoni vasselli, et ordinar che siano ben vestite et ben trattate, perché imbarcandole in tempo dell’inverno consumano nel viaggio lungo tempo capitaria [?] per il più mal conditionate, molti vano di male, la Serenità vostra perde senza alcun frutto la gente et geta via la spesa ancora. Et quando gli soldati capitano con poca sanità, mal vestite et per la mutatione dell’aria non havendo il modo da recuperarsi con sole sei gazette che hanno al giorno, delle quali ne sono anco tenute da capitani per loro crediti, dandosi in preda alla disperatione, vedendosi lontani dalle case loro, ingannati da promesse de capitani et officiali, che per haverli li promettono quello che non hanno in pensiero, né gli possono attender, perciò buon numero se ne va di male.
È caduta anco la elettione di qualche d’uno de questi altri [?] capitani venuti in Regno in persone che non hanno il modo da sostentar se stessi, non che di sovenir li loro soldati. Et questi sono delli nominati da soggetti che hanno havuto carica di far gente in tempo delli moti passati, si come di si fatto et altri disordini, per non li dar altro nome, ne ho dato conto alla Serenità vostra con mie lettere de 29 settembre passato.
De capi da guerra, come mi sia trovato per tutto il tempo del mio Generalato l’ho tante volte rapresentato con mie lettere a Vostra serenità desideratane la provisione, ma solo posso dir poco prima della mia partenza vi è stato i qualche parte proveduto. In Candia son stato del continuo con un solo capo da guerra, che fu il signor Conte Ascanio Scotto, il quale in tempo del maggior bisogno cade in grave et longa infirmità, questo ha sostenuto la carica non solo di sopra intendente di tutte le cernide del Regno, espedito perciò da Vostra serenità, ma di governator ancora delle militie di Candia, perché essendo mancato di vita in tempo dell’eccellentissimo mio precessore il signor Horatio dal Monte governator di dette militie, ad esso signor Scotto fu data essa carica et sostenuta da lui fino il mese di luglio passato che capitò in Regno il signor Conte Ugucion Rangone, destinato da Vostra serenità al detto carico.
A Rettimo ho trovato domino Alessandro Boniventi governator di quelle militie pagate et si come questo soggetto l’ho conosciuto divoto et fedel servo di Vostra serenità, così la metà dell’anno se ne sta nel letto inchiodato dalla gota et il resto del tempo per la causa sudetta poco se ne può promettere, convenendo farsi portar da luoco a luoco.
Alla Suda vi trovai domino Camussan Nani, questo è buon servitio di Vostra serenità ma è carico de molti anni et per il più aggravato dal medesimo male di gota, tuttavia me ne son valso di esso per vice governator alla Canea, doppo la partenza del signor conte Polcenigo, che di ordine di lei passò in Italia et esso Nani ha sostenuta la detta carica fino all’arivo del signor Francesco Orsino.
Alle Grabusse ho trovato per vice governatore domino Gregorio Sicinavi, che havea anco in essa fortezza una sua compagnia, questa l’ho regolata con l’arivo delle nove venute in tempo mio, sapendo non esser mente di Vostra serenità che li governatori habbino più compagnie, ma esso Sicinari è rimasto ancora al detto governo, sono però molti anni che vi si attrova, il servitio publico per mio senso comporterebbe che gli fosse mandato il cambio et egli anco grandemente lo desidera et me ne ha fatto instanza che lo rapresenti a Vostra serenità.
A Spinalonga per buon pezzo vi è stato per vice governatore il st.o [?] Angelo Migliorati, in luoco suo è venuto di ordine di Vostra serenità domino Alfonso Forni.
Quattro sono li governatori delle cernide che tiene la Serenità vostra in quel Regno, uno in Sittia che è stato tutto il tempo mio domino Agostin Calegari, l’uno in Candia, che trovai al mio arivo esser domino Sebastiano Orseli, che passò poi di ordine di lei al governo delle militie pagate della Canea, dove in pochi giorni vi lascio la vita et certo Vostra serenità ha perduto un servitor di fede et devotione. A Rettimo vi è domino Aurelio Rocca, già deputato da me in luoco del quandam domino Mutio Melisardi et confirmato poi da questo eccellentissimo Senato. Alla Canea è venuto ultimamente domino Carlo Cabrieli. Da tutti questi soggetti l’Eccellenze vostre illustrissime ne ricevono ottimo servitio.
Raccordarò riverentemente a Vostra serenità che riuscirà di suo servitio il far passar in Regno il cavallier Cataneo, già destinato per sopraintendente di tutte quelle cernide, carico in questo mentre appoggiato al signor Conte Ugucion Rangone, il quale come è buon et devoto servitor di lei, così per qualche sua indispositione non potrà prestar quel servitio che ricerca carica di tanta importanza, né certo si deve lasciar questa sopraintendenza senza il proprio capo, dal quale dipende la buona disciplina di tutte esse cernide del Regno.
Ho lasciato al mio partir in quell’isola bombardieri provisionati, compresi li capi che servono nelle città et fortezze, un numero de 97, cioè 53 in Candia, doi in Sittia, 11 a Rettimo et 31 alla Canea, che fano il numero sopradeto. Oltra di ciò vi sono descritti scolari bombardieri in Candia 349, in Sittia 50. Alla Canea 333; et a Rettimo 152; che in tutto fano 884. Questi sono stati da me riveduti, cassati gli inutili et rimessone de buoni et ordinato che siano essercitati dalli capi et ogni prima domenica di mese fatto tirar di falconetto, come ho osservato sempre dove mi son trovato. Con questa quantità de provisionati et da scolari bombardieri, si supplisse a tutte le fortezze et castelli del Regno. A questo numero de scolari, da quali in tempo di bisogno se ne riceverà ottimo servitio, ve vora sempre la sopraintendenza di qualche capo di stima et esperienza per assistervi et tenerli in essercitio. Per tal sorte di militia la Serenità vostra non ha altro interesse, che della sola monitione nell’essercitarli et quella poca ricognitione che si da a chi meglio colpisse. Questi sono della medesima conditione che bottegari et simili persone, come sono in questa città.
Li provisionati sono stati mandati in quel Regno in diversi tempi con diverse provisioni. Vi sono de quelli che hanno ducati 20 al mese di quella moneta, altri 12 et altri 10, et alcuni con soli ducati 50 all’anno. Furono espediti l’anno 1583 12 con ducati 10 al mese per cadauno, l’anno del 1612 altri quattro con ducati 20 et altri 12 il medesimo anno, con ducati 12 furono eletti soggetti italiani di buona esperienza, per far avanzar li scolari in si fatta professione, che sono tutti si può dir nativi del Regno, giudicando anco ciò doversi fare non tenendo per bene che tutto il maneggio dell’artegliaria, che tanto importa in una piazza, resti nelle mani per il più de soli paesani. Del numero delli sopradetti provisionati, si conviene concederne qualche d’uno per servitio delle galee che si armano in quel Regno, acciò servano per capi in esse, non potendo li signori sopracomiti et governatori provedersi d’altra maniera, come medesimamente si convien fare per sotto capi delli scolari bombardieri del medesimo Regno.
Fu espedito ancora l’anno 1612 per sopraintendente di tutta l’artegliaria et bombardieri del Regno, il capitan Giacomo Berlendi et in luoco suo hora si trova il capitan Giacomo Peroni, così del primo per quanto ha servito in tempo mio, come del secondo, ho conosciuto in loro ottima esperienza et mi sono riusciti buoni servitori di Vostra serenità.
Dui sorti di cavalleria s’attrova la Serenità vostra haver in quel Regno: la feudata et quella della Stratia. La feudata vorebbe esser de cavalli 1.200, ma eccede al presente poco più al numero de 1.000, questa diminutione non so vedere proceder d’altro che da gli altri pretii de cavalli che hoggi dì si vendono in quel luoco, da che deriva che li feudati si contentano più tosto di pagar le pene che di provedersi et di questa maniera si consumano et Vostra serenità resta senza il debito servitio.
È stato già deliberato in questa materia, sopra il capitolo presentato dall’illustrissimo signor Giacomo Querini cavallier in questo eccellentissimo Senato, fin sotto li 21 april 1617. Et se sarà data essecutione a tal deliberatione, credo certo che riuscirà di publico servitio et di beneficio et sodisfattione de quei sudditi.
Questa cavalleria è compartita in 11 condotte, sei nella città di Candia, doi a Rettimo, altre doi alla Canea et una in Sittia, godono il carico di conduttiero gentil huomini veneti principali della colonia di quel Regno, solo in Rettimo è uno di casa Gribia, nobile cretense et di famiglia molto benemerita di Vostra serenità et di beni de fortuna assai commodo.
Questa cavalleria è montata da feudati, che sono nobili veneti et cretensi et quando qualche d’uno è obligato guarnir più di un cavallo, lo fa montar da suoi servitori, che sono tuti contadini, nominati scudieri, come la qualità de cavalli riesce assai buona, molto meglio sarà quando sarano uniti li carati [?] delli feudati, levando li roncini, affatto si può dir inutile, conforme alla sopradetta deliberatione dell’eccellentissimo Senato.
Le genti che la cavalcano et le armi che per il più adoperavano, essendo state in buona parte regolate dall’illustrissimo Proveditor Donato, come più a basso toccarò, con tutto ciò stimo che poco servitio si possi prometter da loro. Li nobili non assuefatti alla fatica, né al patimento della campagna, né al portar l’armi, molti de quali si trovano anco senza questi, certo non potriano durare a star longamente in campagna et alli continui viaggi che sarebbono tenuti di fare per condursi alle marine et per impedir lo sbarco a nemici. Li suoi scudieri, come ho detto di sopra, sono senza dubio tutti contadini, poco atti a maneggiar l’armi et in particolar l’arcobuso; ben spesso vengono mutati da loro patroni, né certo sarebbono buoni a prestar a Vostra serenità quel servitio che ella si promette et che l’immensa spesa che viene fatta da quelli signori feudati nel mantener essa cavalleria ricercarebbe.
Le armi loro al mio arivo in quel Regno erano lancie et arcobusi da fuoco, ma ridotti dalla diligenza et molta esperienza dell’illustrissimo signor Proveditore Donato per il più in arcobusi da ruota, arma più propria et più atta a maneggiarsi, li rende in qualche parte più utili al suo servitio.
Questo illustrissimo signor certo nella sua carica non ha lasciato cosa alcuna per ben servire Vostra serenità, facendo le sue mostre a debiti tempi et non sparmiando ad alcuna fatica per avansar detta cavalleria, ma facendosi per il più quattro mostre all’anno, essercitandoli dui giorni per mostra; se in questo essercitio s’avanza qualche cosa, tutto il resto del tempo fino alle altre mostre pensano ad altro che a questo servitio et per ciò si scordano l’avanzato; et per me credo che resterano sempre li medesimi et poco utili. Di ciò ne ho dato con occasione di havermi trovato presente alle mostre generali, conforme al mio debito, dui altre volte conto a Vostra serenità et aggiontoli che stimerei fosse per riuscir di ottimo servitio il dar essecutione alla parte di questo eccellentissimo Senato de 17 febraro 1613, che ordina che siano mandati in quel Regno 500 fanti tra crovati et albanesi, perché questi in tempo di pace havessero a servir in quelle piazze a piedi in luoco di altre tanta militia italiana et in tempo di guerra, che Dio non voglia, habbiano a montar sopra quella cavalleria in cambio delli inutili, come gente che al sicuro prestarebbe maggior servitio et ciò con poco interesse publico; et per me crederei che quando si potesse ben assicurarsi di ricever da quei feudati tanto danaro in luoco dell’obligo di tener cavalli, introducendo in cambio loro cavalleria albanese et crovata pagata, se bene fosse anco per riuscir il numero inferiore et poco più della metà di quello che è al presente la feudata, ne fosse da questa militia per ricever in tempo di bisogno la Serenità vostra maggior servitio che dalla feudata et quelli signori forse più contenuti, oltre che vi sarebbe sempre in quel Regno qualche numero de cavalli, che quelli gentil huomini tenirebbono per loro comodo et sarebbono anco pronti a prestare molti di loro nelle occasioni buon servitio. Questo è il mio riverente senso in questo importantissimo negotio, il quale se ben imperfettamente lo rapresento a Vostra serenità, così per non conoscermi compitamente atto di esperienza in questa professione, lo sottopongo però alla censura della summa prudenza di Lei et dell’Eccellenze vostre illustrissime et de chi ne ha maggior intelligenza di me.
La cavalleria pagata si è de 300 cavalli di stratia, sotto cinque capitani et un governatore a 50 cavalli per compagnia, presta buon servito così per le guardie delle marine del Regno, come in altre occasioni che alla giornata si rappresentano. Dui si tratengono in Candia, dui alla Canea, una a Rettimo et l’altra in Sittia, hanno bisogno ancor esse di esser mutate a suoi tempi debiti, perché continuando a lungo in detto servitio, per morti, faliti et condenati si conviene rimetterne de gli altri, che per il più sono dello stesso Regno, con nomi suppositi di esser dell’isole dell’Arcipelago o altri luochi della Morea.
Ho havuto in tempo mio per il governo di essa il fu [?] domino Pietro Primevio, che fini li giorni suoi in attual servitio di Vostra serenità, con mio infinito dispiacere, vedendo a perder un buon servitore di vera et sincera devotione; doppo la sua morte ha sostenuta la carica domino Camillo suo figliolo, espedito da questo eccellentissimo Senato, il quale imitando il buon servitio prestato dal padre, si rende degno della gratia di Vostra serenità et dell’Eccellenze vostre illustrissime.
Per l’ultima descrititone che fu fatta l’anno 1608 dalla felice memoria dell’eccellentissimo General Sagredo de galeotti et angarici, ne furono descritti nel territorio di Candia: galeotti 17.845, angarici 3.068. A Sittia et Gerapetra: galeotti 2.905, angarici 390. Nelli territorii di Rettimo et Canea nel primo galeotti 9.059, angarici 1.398; nel secondo, cioè nella Canea per la descrittione ultimamente fatta, galeotti 6.434, angarici 1.303; che in tutto fano la summa de galeotti 36.243 et de angarici 6.159. Questi angarici principiano a servir de gli anni 14 et servono fino alli 60, ma arivati alli anni 18 entrano ancor loro nell’obligo di servir per galeotti, qual li resta fino alli anni 49, al qual tempo in virtù de gli oridini del già eccellentissimo General Foscarini di felice memoria, restano liberi. Nel sopradetto numero de galeotti vi è sempre qualche diminutione essendone mancati di vita molti et imparticolare con l’armar estraordinario che si è fatto in quel Regno da pochi anni in qua di ordine di Vostra serenità et per esser ritornate le galee per il più a disarmare molto mal conditionate; aggiontavi la levata di 4.000 fanti in circa, che in tempo mio ho cavati da quel Regno et passati al servitio di lei in armata et in Italia, oltre anco buon numero che nell’armar che si è fatto di galee, si trovano inhabili al detto servitio. Et se bene nel corso del tempo ne viene crescendo qualche d’uno, non ariva però a gran longa a quelli che sono mancati. Et quando la Serenità vostra conoscesse così comportar il suo servitio di poter pretermetter l’armar non tanto estraordinario, quanto le quattro galee ordinarie, che tiene in commissione il Proveditor general di armar ogn’anno, credo che si farebbe buona risolutione, consolarebbe l’animo de quei sudditi, grandemente sbatuti et intimoriti et fatti si può dir miserabili per l’armar che si è fatto dal 1607 in qua di 118 galee in quel Regno, che come siano ritrovate per il più mal conditionate, la Serenità vostra et l’Eccellenze vostre lo intenderano più a basso.
Questo serenissimo prencipe che gli ho rapresentato fin qui sono tutti li sudditi da fattione che si trovano in quel suo Regno, poiché pochissimi sono quelli che restano senza qualche peso, tutti li sopradetti soldati descritti nelle cernide delli territorii, quelli delle città, scolari bombardieri, cavalleria feudata, angarici et galeotti, sono cavati da un numero di poco più de 200.000 anime, che si trovano in esso Regno.
Quello che in tempo di bisogno se ne potesse prometter di essi la Serenità vostra dirò che delli nobili veneti et vretensi, per la loro divotione verso di lei et trattandosi del loro interesse, per la conservatione de loro beni, esponerebbono volentieri la vita in difesa di esso Regno, del medesimo mi prometterei de cittadini, ma di qualche parte della contadinanza, viverei dubioso della loro fede, perché hoggidì sono ridotti così miserabili, che a pochi resta alcun comodo, sono per il più debitori alli loro cavallieri et di quanto raccolgono dalla terra con li loro sudori e stente, poco gli resta, si nodriscono buona parte dell’anno, si può dire di sole herbe, sono assai maltrattati dalli più eminenti, che in particolare di essi se ne servono, come se schiavi loro fossero, né ardiscono gli oppressi riccorer alla Giustitia, perché havendo veduto che pochi anni sono da Vostra serenità con paterna carità furono mandati in quel Regno senatori principalissimi, con suprema auttorità per consolarli et sollevarli dalle tirannie, per così dire, se bene sono stati alcuni de principali castigati, alcuni relegati et mandati al loro confine, questi però ben presto sono stati gratiati et ritornati alle case loro, più altieri che prima, benissimo conscii de chi li havevano querellati et de testimonii contra loro essaminati, con il farne perder di essi qualche d’uno, senza che se ne habbi potuto da suoi, né dalla Giustitia haver alcun lume; hanno intimorito di maniera gli altri che vivono hora con più ossequio, che se schiavi loro fossero, né occorre pensarvi che essi memori delle cose passate ardischino di portar avanti la Giustitia li loro gravami. Quello che si possi prometter la Serenità vostra de sudditi senza robba per il più mal trattati, come ho detto, et malcontenti per l’armar di tante galee, lo pensi la singolar Sua prudenza, il meglio che per me stimo si potesse fare in tempo che quel Regno fosse per esser invaso da nemici, sarà con destrezza il levarne quel numero maggiore che si potrà di essi et ponerli sopra le galee, che se bene sarano per andarvi malvolentieri, come ho detto, stimo però esser miglior partito havergli mal contenti a detto servitio, che vedergli ritirati alle montagne, disobedienti a publici rapesentanti et con pensieri forsi lontani del buon servitio di Vostra serenità. Dovendo servire per essempio quello che successe di simil gente nel tempo della perdita di Cipro. Per quanto aspetta a me, et sa lo Iddio, non ho mancato in tutte le occasioni che mi sono rapresentate di sollevarli, consolarli et far tutto quello che ho potuto per tenerli obedienti et devoti a Vostra serenità et al nome di questa serenissima Republica.
Fino l’anno 1586 fu già dall’eccellentissimo Generale Mocenigo di felice memoria, di ordine di questo eccellentissimo Senato fatti far li conti a tutti li contadini del loro debito, che haveano con Vostra serenità per conto di angarie, et rimessoli in gran parte il debito et saldate le loro partite fin tutto l’anno 1585. Onde stimerei che fusse di gran sollevamento et aggredito molto da quei popoli a tempi presenti, che si trovano in gran miseria, una simil gratia et gli levarebbe dall’estorsioni che da ministri per tal essatione ben spesso li vengono usate, non potendosi da publici rapresentanti, benché ardenti nel servitio publico sapere, né vedere ogni cosa.
Sono tenuti gli angarici obligati, come ho detto di sopra, anco al servitio della galea, che tanto importa a Vostra serenità, di far ogn’anno un’angaria per uno per tutto il mese di marzo, che è una settimana intiera, né conseguiscono altro utile per tutta detta settimana che gazette sei et meza et quando non vengono al tempo sopradetto et che sono astretti col mezo de essatori, non conseguiscono altro che gazette tre et piccioli sei per cadauno, ma se poi restano debitori di essa angaria, se li fa pagar per cadauna di esse lire tre et gazette quattro. Quelli che sono tenuti di venir con li loro animali a far la sudetta angaria di una settimana intiera, hanno solo gazette otto et meza per cadauno et non venendo al tempo sopradetto non conseguiscono altro che la metà et il resto è assiganto alli essatori per loro mercede; et quando sono astretti a far il pagamento in danari, convengono dar lire cinque et gazette una per ogni angaria, consideri la Serenità [Vostra] et l’Eccellenze vostre illustrissime come possino questi miserabili sostentarsi una settimana intiera con si tenue pagamento, oltre il tempo che consumano nel venire et nel ritornare alle case loro, che a molti vi vogliono tre et quattro giornate.
Lo scosso in tempo mio fin tutto l’anno 1618 in danari di detta ragione di angarie, non è stato più nella Camera di Candia de ducati 1.300. In Rettimo ducati 576. In Canea 79; che in tutto il Regno sono stati ducati 1.958, de quali anco li ministri ne conseguiscono di beneficio cinque per cento; certo che di ogni gratia che de Vostra serenità gli sarà fatta, rimettendoli qualche parte del debito che hanno per il tempo passato, per la causa sudetta d’angarie, sarà effetto proprio della molta carità che regna nel petto di Vostra serenità et di questo eccellentissimo Senato, conforme a quanto è stato altre volte fatto et in tempo che quei poveri sudditi si trovavano con maggior comodità.
È opinione si può dir universale di persone di esperienza et di maturo consiglio, che per ben guardare quel Regno in tempo di guerra la maggior sicurezza di esso habbia da dipender in haver una buona banda almeno di 30 perfette galee, per tenir con esse travagliata l’armata nemica, ove pensasse di sbarcare, et per esser dotata quell’isola dalla natura de siti atti con poca gente di tener il nemico lontano, si doverà in ciò far ogni sforzo, acciò così facilmente non possa condursi sotto piazza principale, ma prima in qualche parte consumarsi; et perciò sarà ben fatto d’haver in esso Regno qualche compagnia de corsi o altra militia italiana, overo oltramontana buone et eletta per potersi valere di essa, accompagnata con qualche numero di militia paesana, per conseguir l’effetto sudetto.
Come sia stato in tempo mio mal proveduto di militia et capi da guerra l’ho detto di sopra et l’ho rappresentato con più mani di mie lettere a Vostra serenità, non intendo perciò di apportargli altro tedio con il narar di novo le cose già scrittegli et le provisioni ricercate. Perché in tempo di tanti sospetti di armate et vasselli di corso, certo mi giovavano molto li frequenti avisi, che mi venivano dati dalli clarissimi signori Vettor Moresini, Iseppo Civran et Pietro Molino, che si sono trovati al governo di Cerigo, vigilantissimi in detto carico; et mentre che dal signor secretario Spinelli, residente in Napoli diligentissimo nel servitio di Vostra serenità, venivo del continuo avisato delli grossi preparamenti di armata che si faceva in quella città da quel signor vice re, delli discorsi che andavano atorno per dove potessero esser impiegate quelle forze, del pessimo animo di quel ministro et altri ancora nel servitio di lei, che parimente da questo eccellentissimo Senato venivo eccitato et con molta prudenza a star ben avertito, poiché l’insidie de nemici davano causa di assicurarsi anco dall’ombre del male, avertendomi di muttar li presidii, di dar ogni buon ordine per la sicurtà di quelle piazze, vedendomi io, posso dir, senza capi da guerra, con poche militie italiane mal buone, con qualche mancamento de monitioni et in strettezza di danaro, può pensare la singolar prudenza della Serenità vostra et dell’Eccellenze vostre illustrissime come mi sii più di una volta trovato; et mentre davo gli ordini alli proveditori delle fortezze per la buona custodia di esse et facevo introdur qualche poco di militia greca, per supplir in qualche parte al mancamento dell’italiana, che vi giongeva al meglio che potevo qualche capo, ero ricercato da quei signori clarissimi di proveder a loro bisogni, con instanze gagliarde, rispetto alla strettezza che havevo di tutte le cose, che bene spesso non sapevo da che parte vogliermi. Raccorderò per tanto alla Serenità vostra et all’Eccellenze vostre illustrissime che non stimo in alcun tempo esser bene di tener quell’importantissimo suo Regno così sprovisto de capi da guerra, di militie, di monitioni, de necessarii apprestamenti per quei arsenali et di danaro, et tanto meno si deve farlo in tempo di sospetto, ma pensare opportunamnte alle provisioni, perché forsi non si potrà poi farlo per la lontananza del viaggio, per la poca sicurtà di esso et massime a tempi presenti, che quei mari si può dire esser sempre infetti da vasselli de corso de più nationi et in particolare d’Algeri e Tunesi, che da certo tempo in qua, sotto pretesto di venir ad unirsi con l’armata turchesca, in buon numero si tratengono nelle acque di Sapienza et luochi circonvicini, ricevendo ogni comodo nelle terre del Signor turco, et così nel suo venire et molto più doppo licentiati dall’armata sudetta nel ritornare, trattano quanti vasselli li capitano nelle mani alla peggio, non la perdonando né ad amici né a nimici et se haverano da continuar con il venir in quei mari in così grosso numero, si può tener quella navigatione per persa.
A questo proposito voglio anco aggiongere che oltra li sopradetti vasselli di corso, pochi anni sono si è introdotto venir in levante alcuni altri vasselli Famenghi, espediti da signori genovesi nel’isole dell’Arcipelago con danari contanti per levar formenti per Genova et ponente; et ne ho vedute anco in questo mio ritorno alla Patria alquanti delli medesimi nel porto del Zante, destinati alle Scale di Morea per l’effetto sudetto et un altro ancora nel porto di San Zuanne de Medoa in Albania, che si può dire nella propria case di Vostra serenità per l’istesso. Se questi haverano da continuare, si può tener per certo che il Regno di Candia ne patirà grandemente, per essergli levati d’Arcipelago quei formenti che erano soliti capitar in esso Regno, et medesimamente l’isole del Zante, Ceffalonia et Corfù et la Dalmatia insieme, per quelli della Morea et Albania, che si può dir con verità esser li proprii loro granari [?].
Ho lasciato al partir mio da quel Regno in quelli arsenali 36 corpi di galee, 18 in Candia et altre tanti alla Canea, compresi quelli venuti a disarmar l’anno presente, li quali non posso dir che nel ritorno che hanno fatto anco gli altri delli anni passati siano venuti in quel buon stato, che è desiderato da questo eccellentissimo Senato, perché gli palamenti, armizi et qualche altro apprestamento ancora potevano esser di miglior conditione. La causa di si fatto mancamento, tengo per certo non derivar da altro che dal poco amore et poca cura che vi è nelli officiali delle galee nel custodirli et conservarli, poiché occorendoli ben spesso valersi di essi per armizar le galee, così bagnati poi come li ricoverano, li ripongono nelle giave senza governarli, siché ben presto per tal causa se ne vano di male. Nel numero delle sopradette 36 galee, ne ho lasciato 10, cioè sei in Candia et quattro alla Canea, che si potrano in pochi giorni accomodare, per valersi di esse quando il bisogno lo ricercasse, et vi sarano anco li loro palamenti et armizi in pronto et per qualche altra galea d’avantaggio.
Al mio arivo in quel Regno trovai nello arsenale di Candia una galea fabricata in esso, che poco vi mancava alla perfettione, le feci fornire et me ne son valso di essa nell’armar l’anno 1617, et ha servito l’anno 1618 et il presente ancora, havendo fatto ottima riuscita. Ne ho fatto levar un’altra nel medesimo volto et al mio partir l’ho lasciata del tutto imboscata de bonissimi legnami, cavati tutti dal Regno, della qual sorte se ne trova buona quantità et a honesto pretio, come ne diedi conto a Vostra serenità, con mia lettere di 31 gennaio 1617; et fu per esecutione dell’ordine datomi da questo eccellentissimo Senato in lettere di 28 ottobre dell’istesso millesimo, ma de magieri, late, cordoni et colombe, bisogna che sia fatta la provisione da questa città, per non attrovarsi simil sorte de legnami in quell’isola et medesimamente si conviene anco mandar li pironi per li magieri, baccalari [?] et postice, perché quelli fatti di là non riescono compitamente buoni. Et se havesse havuto simil legnami et apprestamenti, haverei lasciato esso corpo di galea in perfetto stato.
Fu già deliberato dall’eccellentissimo Senato di mandar in quel Regno legnami et apprestamenti per la fabrica di dui copri di galee, da farsi l’uno in Candia et l’altro alla Canea, se si darà essecutione, haveranno modo quelle maestranze di essercitarsi et non star occiose o almeno con poco frutto, si alleverà qualche buon maestro, che servirà poi a farne delle altre; et mi perdoni la Serenità vostra et l’Eccellenze vostre illustrissime se le dirò, ma con la solita mia riverenza, che ben spesso da questo eccellentissimo Senato viene deliberato sopra le instanze fate da publici rapresentanti per servitio delle cose di lei, ma poi o è tarda l’esecutione o poco se ne vede l’effetto, ciò dico perché a me é accaduto et questo un giorno potria grandemente pregiudicare al suo servitio, sarà dunque se non bene il pensar a provedervi per tempo, havendo in consideratione la lontananza del viaggio et altre tanti rispetti benissimo noti alla singolar prudenza della Serenità vostra et dell’Eccellenze vostre illustrissime.
Di marinarezza hoggi di in quel Regno vi è mancamento grande et in particolare di buona conditione, non vi essendo più memoria de galeoni, che con singolar prudenza ordinò il già eccellentissimo Foscarini che fossero navigati alla latina, per allevar con essi marinarezza atta per galee; et la marinarezza provisionata da Vostra serenità in quel Regno per l’armar delle 25 galee, non è però meraviglia se non riesce di compita sodisfattione; et ho lasciato anco qualche luoco vuoto di provisionato al mio partire, non havendo stimato bene il rimetter gente inutile, come si potesse rimediar a così fatto mancamento io non lo so vedere, perché non vi essendo più vasselli di alcuna sorte in quel Regno, non si può allevar marinarezza; et se havessi havuto a pensar a provisione de grani, come ben spesso è accaduto in altri tempi, ma non già gratia del Signor Dio sotto di me, haverei convenuto valermi, ma con infinito mio dispiacere de vasselli forastieri.
Le Camere publiche di quel Regno sono quattro: Candia, Rettimo, Canea et Sittia. Quella di Candia è governata da quello illustrissimo capitano. Le altre da illustrissimi Rettori delle città, con la sopraintendenza del Proveditor generale. Vi sono in esse molti debitori del publico, come ho già scritto a Vostra serenità, et Ella con sue lettere ha comandato a quell’illustrissimi Rettori la essatione, che da me è stata sempre sollecitata; et sicome mi persuado che da cadauno è stata fatta la parte sua, così per la strettezza del danaro che è a tempi presenti in quel Regno, et è dificile il poterlo credere, la essacione di rende dificile, per questa causa s’incontra ben spesso in molte dificoltà nel trovar chi levi li datii publici, per esservi pochi che in si fatto negotio si vogliono ingerire. Questi anco per il più sono debitori di Vostra serenità, come li loro piezi ancora, et sebene si sa esser prohibito il deliberar datii a debitori del publico, né admetterli per piezi, tuttavia per non lasciarli andar per conto di Signoria, che riesse per il più con maggior danno di Vostra serenità, conviensi qualche volta elegger il minor male et accomodarsi a quello si può, se non a quello che si vorebbe. Et con tutto che da me mal volentieri habbi veduto andar datii per il publico, ho convenuto anco qualche volta andar datii per il publico, ho convenuto anco qualche volta aderirvi, per non veder a diminuirsi tanto l’entrate publiche; si ha però procurato di raccomandarli a persona di buona fama et havutane la debita vera, acciò siano ben et fedelmente amministrati.
Ho fatto levar il conto delle entrate di Vostra serenità che si sono cavate in anni tre in tutto quel Regno et fattele divider ugualmente in tre parti, principiando dal 1616 fin tutto il 1618 ho risservato l’entrata publica esser stata de ducati 133.890 a ragion di anno, cioè in Candia ducati 86.312; Rettimo 14.620; Canea 30.193 et Sittia ducati 2.765, che in tutto fano la somma sopradetta. Oltra di ciò ho fatto cavar il conto di quanto è stato estrato in Candia dal datio della nova imposta, che è sopra li vini che si cavano per Ponenete, datio che Vostra serenità et questo anco per il tempo delli sopradetti tre anni è stato ducati 47.807, che divisi come di sopra in ragion di anno importano ducati 15.936, che uniti con gli altri cavati dalli dacii, come di sopra a ragion di anno, ha cavato Vostra serenità da quel suo Regno ducati 149.826.
A questo datio vi è deputato un soprastante eletto da illustrissimi capitani di Candia et confirmato da Vostra serenità con provisine di tre per cento di quanto si cava, questo carico sono poco più de anni 20 che fu instituito, in tempo che il negotio de vini per ponenete non faceva a gran longa la estratione che fa al presente; et non adoperandosi il ministro a questo deputato al securo un mese continuo in tutto l’anno et cavandone al presente un utile de poco meno de ducati 500 all’anno, stimo che si potrebbe avanzar la mità di essa provisione, et chi essercitarà il carico resterà anco largamente da Vostra serenità riconosciuto, restantoli anco tempo comodo a quello che al presente lo essercita di adoperarsi in altri carichi publici, con non poco suo utile, come del continuo è impiegato; et forse che anco un giorno non sarà male a pensar di deliberar esso datio, come si è fatto di quella delle uve passe del Zante et Ceffalonia, et ciò potria riuscir con qualche maggior utile publico. Ne ho dato di ciò altre volte conto che mie lettere a Vostra serenità et ho stimato anco convenier al mio debito portar di novo questo tanto alla notitia dell’Eccellenze vostre illustrissime, acciò possino, quando giudicherano bene, ordinar la loro volontà.
Al mio partir da questa città mi furono consignati ducati 30.000 in tanta moneta d’argento venentiana, la mità grossa et l’altra minuta, nella medesima valuta, li ho portati in quel Regno et posti in quella Camera, in tutto conforme all’ordine di Vostra serenità, et così di questi come di quelli mandatimi in moneta d’argento, ho fatto tener conto in parte della qualità et quantità di essa et in che è stata spesa, acciò in ogni tempo possi esser veduta la dispensa.
Il lazo delli cechini che mi ha mandato poi Vostra serenità, che è stato dalle lire 10 alle lire 11 et meza, spesi in quel Regno fin tutto novembre 1618, è stato intieramente posto a credito di lei et è de ducati 17.805, ma dal detto mezzo di novembre in poi, havendo principiato a correr li cechini a lire 12 soldi 8 l’uno, che a tal pretio furono mandati da Vostra serenità in quel Regno, non vi è stato altro lazo [?].
Di ordine pur di questo eccellentissimo Senato levai nel mio andar in Candia dalla Camera di Corfù reali 50.000, ove per ordine publico correvano lire sei l’uno, mi fu ordinato nella mia commissione che havesse a valermi di essi in comprede de formenti et altre biade forestieri, solite a capitar in quel Regno, con quel avantaggio che havesse potuto. Ne ho dato a tutti essito nelle medesime comprede et spesi ad uno et mezo per cechino con avanzo di Vostra serenità de ducati 13.440, come si può vedere dalle partide [?] del libro portato da me all’officio illustrissimo sopra le scrittura.
Et perché il danaro trato come di sopra da datii et entrate publiche, quello portato meco et quello che mi è stato mandato da Vostra serenità con le sopradetti avanzi di valute, non ha supplito a gran longa alle ordinarie et estraordinarie spese di quel Regno, ho convenuto valermi de cambii, rincrescendomi grandemente di dover far la provisione, che non pativa dilatione per questa via. Vedendo che quando Vostra serenità havesse mandato a suo tempo debito il danaro in Regno per le sopradette spese, quell’utile del lazo sarebbe stato a suo beneficio, che si è convertito in particolari. Il danaro che nel spatio de poco meno de anni cinque io ho tolto a cambio, è stato de ducati 512.824, che se fosse stato mandato in tanti cechini, vi saria stato di avanzo intorno a ducati 80.000, che è andato in mano d’altri, che per moneta corrente contata nella Camera di Candia, hanno ricevuto da Vostra serenità il pagamento in tanta moneta di lazo.
Tutta la spesa poi che è andata in tempo mio per mantener quel suo Regno et isole di Cerigo e Tine, oltra le entrate sopradette, è stata de ducati 811.588, pervenutimi in questo modo, cioè mandati da Vostra serenità in quel Regno in più volte, compresi li predetti ducati 30.926. Li ducati 49.838, levati dalla Camera di Corfù in tanti reali. Et li ducati 512.824 volti a cambio, che tutti fano la summa sopradetta. Oltra di ciò sono stati spesi tutti li sopradetti avanzi di valute, un altri avanzi ancora fatti da me, che sono in tutto ducati 33.450, et tutti posti in partita viva a credito di Vostra serenità, come si può vedere dal sopradetto libro presentato nell’officio illustrissimo sopra la scrittura. Siche detratta la spesa fatta nell’assoldar le militie greche et ducati 14.000 consignati tutti in danari contanti all’eccellentissimo Venier, mio successore, per saldo della mia amministratione, viene questa spesa a risponder a ragion di mese ducati 14.064, compresa quella dell’armar delle galee.
La valuta che è corsa in tutto il tempo del mio reggimento in quel Regno non è astata [?] altro che de cechini et qualche poco di moneta di rame, così nelle piazze come nelle Camare publiche, perché quella poca di moneta bianca portata da me et mandatami da Vostra serenità, doppo dispensata o in salarii de publici rappresentanti o in pagamenti di galee et di militie greche, uscita di Camera non si è più veduta. Era solito vedersi delli reali che ben spesso variavano il pretio et correvano per la città, ma nelle Camere publiche non li ho mai permessi. Et doppo l’ordine di questo eccellentissimo Senato, che comandò che essi reali non potessero correr a maggior pretio de lire sei l’uno et che all’istesso pretio si dovessero ricever nelle Camere nei pagamenti publici, si sono subito smariti se ne contratta però tra mercanti, con far il mercato a tanti reali senza specificar il prezzo et se ne servono nelle loro mercantie, ma pur uno non è stato mai portato in Camera. Riccordo riverentemente a Vostra serenità che se ella manderà ancora in quel Regno della moneta di rame, riuscirà non solo a sodisfattione et comodo di quei popoli, ma anco nel far li pagamenti di quelle militie.
Si trova in quel Regno di ragion publica la summa de sesini, che con mie lettere di 31 gennaro 1617 avisai la Serenità vostra et l’Eccellenze vostre illustrisisme et ciò in essecution di suo ordine valutati però a tre alla gazetta; sono in Candia ducati 135.740. A Rettimo ducati 23.039. Et alla Canea ducati 27.499, che in tutto fano ducati 186.279. Questi sesini furono dal già eccellentissimo General Capello di felice memoria fatti riconoscer per buoni et oltra al cugno [?] ordinario, bollati nel mezo con un picciolo San Marco. Quelli che si trovavano al tempo di questa regolatione nelle Camere del Regno, costavano a Vostra serenità tre alla gazetta et a quattro furono tolti quelli de particolari. Quelli di Candia sono posti in tante cassette et è stato formato debitor di essi in partita viva in quella Camera l’eccellentissimo mio successore, havendo gli li consignati inanti il mio partire. Di quelli di Rettimo et Canea sono stati posti debitori quell’illustrissimi Rettori, acciò siano tenuti in ogni tempo di renderne conto. Questa sorte di valuta è desiderata sommamente da quei popoli, rimettendomi sempre al parer della Serenità vostra. Per me credo saria ottima deliberatione a non tener questo capitale morto.
Le condanne pecuniarie che venivano fatte dall’illustrissimi Rettori del Regno et da giudici inferiori, erano compartite un terzo ad essi illustrissimi Rettori et da giudici et li altri dui terzi erano contati in Camera a beneficio di Vostra serenità. Deliberò poi questo eccellentissimo Senato con singolar prudenza l’anno 1615, che tutte esse condanne intieramente dovessero esser poste in Camera, giudicando che oltre la sodisfatitone che fossero per ricever li sudditi, per non esser giudicati da giudice che havesse parte in esse condanne, fosse anco per riuscir di beneficio publico. Ho voluto veder quello che si è cavato tre anni prima et tre anni doppo il sudetto decreto in tutto il Regno. Et ho trovato che dal principio del 1612 fin tutto il 1614, che sono anni tre, si è scosso di ragion di dette condanne ducati 7.326. Et dal 1615 fin tutto il 1617 che sono altri anni tre doppo la sudetta 1.345, dimodo che si vede che doppo l’ordine sudetto, la Serenità vostra ne ha ricevuto danno di consideratine.
In tempo del mio Generalato, lodato il Signor Dio, non vi è stato mancamento de grani, perché con quello che ha prodotto il Regno et con quello capitato, se ben scarsamente dalle isole dell’Arcipelago, si è supplito abondantemente non solo al bisogno di quei popoli et militie, ma per fabricar biscotti, che danno servitio al bisogno delle galee che sono state a quella guardia et di altre così grosse come sotili, che più di una volta per servitio di Vostra serenità sono capitate in esso Regno, et a quelle ancora che ho armate et supplito all’imbarco per il viaggio delle militie greche, che si sono cavate da quell’isola per servitio di lei.
Il precio del formento, così terriero come forestiero che ho comprato, non ha eccesso a perperi sei la misura, che viene a risponder intorno a lire 11 il staro venetiano; et il biscotto a ragion de ducati 19 il migliaro. A questo pretio ho lasciato formento in quei fontici per fabricar biscotti misure 3.798 et biscotto in quei magazeni migliara 650 di buona conditione, fatto fabricar da me in tempo opportuno, per tutti quei bisogni che havessero potuto accadere, mentre che la Serenità vostra si trovava havere una numerosa armata. Et questo formento è oltra quello che si trova nelle base [?] di Candia per conto del deposito, come a suo luoco dirò, et quello delli quarti ancora.
È stato anco in diversi tempi comprato da me qualche quantità de legumi venuti dall’Arcipelago, de quali in gran parte ne è stato fatto essito et si faceva del resto alla giornata. In questi havendo avanzato ducati 2.728, di essi ne è stato dato credito a Vostra serenità, come si può veder dal libro del maneggio di quel fonticaro da me presentano dove s’aspetta. Con la sudetta quantità de grani si è tenuto abbondante quel Regno et la città di Candia in particolare, aggiontavi la diligenza dell’illustrissimi signori Duchi Bernardo Venier et Donà Moresini, che sono stati in tempo mio, a quali aspetta la provisione delle vittuarie della città, con il far portar dentro li quarti obligati a quel fontico et proveder con singolar prudenza a tutte le altre cose necessarie per il vitto di quei popoli.
Si attrova creditrice Vostra serenità da gli habitanti del Lassiti di formento misure 100.000 et più, facendo ogni quattro misure et meza un staro venetiano. Di questo come negotio spettante all’illustrissimi signori Capitani di Candia, tengo che essi ne haverano dato conto a Vostra serenità, essendosi per tal effetto condotto in quel luoco pochi mesi sono l’illustrissimo signor Gerolamo [?] da Leze al presente Capitano, senza alcun risparmio di fatica et spesa; non mi estenderò per ciò più oltre, ma solo dirò con la solita mia riverenza, che facendosi ogni giorno più quei sudditi miserabili et accrescendosi ogn’anno più il loro debito, venirà questo giusto credito di Vostra serenità a farsi inessigibile, essendo questi formenti destinati per fabrica de biscotti.
Si trova haver Vostra serenità in quelle monitioni una buona quantità de megli, mandati in diversi tempi, ma come stimo che sia necessaria il conservarne qualche quantità per li bisogni che potessero accadere, così non stimo bene il multiplicarne, perché in tempo di pace et nell’abbondanza che posso dir, lodata sua Divina maestà, haver in tempo mio goduto, non occorreva pensar di darne essito ad essi, prima perché il pretio sarebbe stato maggiore a quel del formento, la qualità del grano non è usata da quei popoli et la contadinanza, come ho detto a suo luoco, per la sua miseria in tempo di bisogno si nutriscono per il più di herbe.
Ne trovai al principio del mio carico buona quantità, che già 37 et più anni fu mandata in quel Regno di cativa conditione, ne diedi subito con mie lettere conto a Vostra serenità, mandai la mostra di essi, mi fu commesso da questo eccellentissimo Senato per risposta dui cose. L’una che havesse a procurar di darlo a rinovo; et l’altra che procurasse di venir in luce da chi derivava tal mancamento, con castigar chi havesse mancato dal loro debito in custodirlo. La prima non fu possibile di essequire, perché come ho detto simil sorte di grano, non essendo usitato in quel Regno, pochissimo o niente se ne raccoglie. La seconda trovai che solo per la longhezza del tempo era così fattamente deteriorato, lo feci crivelare [?], come meglio si è potuto, et quello che si è cavato di honesta conditione è stato posto in assai buon luoco per conservarlo più che si potria et il cativo e putrido l’ho fatto gettar nel mare.
Deliberò con singolar prudenza la Serenità vostra, l’anno 1612 30 aprile, di mandar in quel suo importantissimo Regno cechini 30.000 d’oro, acciò con essi fosse formato nella città di Candia un deposito di 30.000 stara di formento venentiani, et che fusse conservato in tutto e per tutto con le conditoni in essa delibertione dechiarita.
Al mio arivo in quel Regno applicai l’animo ad effettuare questa publica volontà; feci formar un libro in quella Camera in fronte del quale fu registrata l’ordine publico et in esso si è tenuta nota distinta et chiara delle comprende, pretii et permute di essi formenti, acciò si possi vedere sempre il suo maneggio et intiero stato. Questo deposito è stato del continuo custodito sotto a due chiavi differenti, tenuta una dall’illustrissimi Capitanii, che sono stati in tempo mio, et l’altra da me, et con l’assenso che tutti dui è stato maneggiato. Non si è potuto impiegare tutto il capitale in tanti formenti, come comanda la Serenità vostra, per non esserne capitati abbondantemente, come ho detto, dall’isole dell’Arcipelago, ma potrà l’eccellentissimo mio successore con occasione applicarvi l’animo, havendoli lasciato nel scrigno di detto deposito cecchini d’oro 13.811 et formento di questa ragione nel fontico misure 65.270. Nelli quali cechini sono compresi ducati 5.000 e cinque di avanzo fatto dalle comprede alle vendite de detti formenti in tempo mio; et ducati 2.200 di accressimento de cechini 15.249, che tanti s’attrovano in detto scrigno il mese di novembre 1618, al qual tempo fu accresciuto il cechino da lire 11 et mezza a lire 12 soldi otto, come il tutto si può vedere dal libro hora portato da me et presentato all’officio illustrissimo delle fortezze, conforme al detto ordine. Et se bene io son stato vicino a dui anni, senza essermi proveduto da Vostra serenità de danaro, per occasione di armar galee et espedition di militie greche tanto desiderate da lei; et che mi fusse permesso da questo eccellentissimo Senato di valermi di ogni sorte de danaro per tal causa, non ho però voluto poner mano in questo deposito, per non confonder così prudente et utile deliberatione.
Per debita essecutione di più mano di lettere di Vostra serenità in diversi tempi sono state armate da me in quel suo Regno 40 galee et di più ho mandato 400 galeotti per rinforzo di quelle armate l’anno 1616, che restorno anco in attual servitio l’anno 1617, tutte queste sono sempre partite da esso Regno, pochi giorni doppo il tempo commessomi, che per dir il vero a Vostra serenità l’ordine quasi sempre mi è capitato assai tardo, et sono venute ad unirsi con il grosso dell’armata, sopra cadauna di esse vi è stato sempre il debito numero de galeotti et ho procurato che siano di buona conditione. Quante vigilie habbi patito et in quanti travaglio si incontri mi sia più di una volta ritrovato, per ben terminare così laborioso et importante negotio senza aiuto di alcuno, lo lascio considerare a Vostra serenità et all’Eccellenze vostre illustrissime, poiché quelli clarissimi sopracomiti et governatori, che per il più malvolentieri concorrono a questo servitio, nell’armar le loro galee poco pensiero vi applicano; et per il più riservando quelli che meritano la gratia di Vostra serenità vogliono, come si suol dire, il boccone masticato et del continuo fano nove dimande et pongono delle difficoltà, non ad altro fine che per allongar la loro partenza. Nella quantità delle ciurme che si pongono sopra dette galee si convien permetter qualche numero d’andiscari, che così sono nominati quelli che vano in luoco d’altri a servir per danari. Dui cose mi hanno astretto a permetter questo. L’una il veder l’andiscaro molto miglior del principale, per haver servito altri viaggi, et il veder quel tale a chi haverà toccata la sorte esser capo di fameglia, comparendo inanti con la moglie et figlioli, faceva conoscer alla Giustitia che abbandonandoli et andando in persona al servitio era la total rovina della sua casa. Et l’altra cosa è che non andando di queste genti assuefatte, come ho detto, al servitio della galea, riuscirebbe impossibile che ciurme tutte nove che non hanno mai vedute galee, potessero si può dir l’istesso giorno che in esse vi entrano, partendo subito prestar buon servitio. Per queste cause ho convenuto, volendo ben terminare li comandamenti dell’Eccellenze vostre, accomodarmi più di una volta a quello che ho potuto, se non a quello che havesse voluto. Et per questa causa ancora tutte le galee, che si armano in quel Regno, costano molto a quella miserabile contadinanza, perché se metono andiscari in luoco suo, convengono pagarli 25, 30 et fino 40 cechini l’uno, che per il più a trovarli non li basta quanto hanno al mondo. Teme molto quella gente lo andar al detto servitio, perché vedendo quasi ogni anno, che da quelli che vi vano in sei o sette mesi, che per il più servono, al loro ritorno non sono a pena la metà. Pensi la Serenità vostra et l’Eccellenze vostre illustrissime quanta gente cavata da quel Regno sia andato di male dal 1607 in qua, che si sono armate 118 galee. Delle 40 armate da me in anni quattro, con li 400 galeotti mandati per rinforzo, come ho detto, sono passati a tal servitio galeotti 8.400 et mi sia permesso di così dire, per esser la verità, la metà a pena sono ritornati.
Da che derivi si fatto desordine, come è vero che nelle ciurme nove per il più enerano [?] delle infirmità et ne morono, così questi miserabili che con meno de lire otto al mese convengono sostentarsi et amalandosi, non havendo avanzi li barbieri delle galee, che poco buoni per ordinario sono, spogliati si può dir de medicamenti et altre tanto di carità verso quei poveri, non vedendo come poter conseguir le loro pretese mercedi al loro disarmare, li lasciano miseramente perdere. Et li signori governatori et sopracomiti, riservando come ho detto li buoni non li prestano alcun aiuto et poco ad essi pensano. Se comporterà il servito publico che sia sospeso l’armar in quel Regno, anco delle quattro galee ordnarie almeno per dui anni, può esser certa la Serenità vostra et l’Eccellenze vostre illustrissime che ciò darà l’anima a quei miserabili, che certo sono stati con l’armar del continu gli anni passati di tante galee, dal gran numero di mancamento di essi et dalle continue angarie, ridotti a cativa, per non dir a compassionevole conditione.
Oltra a questo arduo et dificile negotio di armar galee, mi fu imposto in diversi tempi efficacemente da questo eccellentissimo Senato, che io facesse levata de 500 fanti del medesimo Regno, con le conditioni dechiarite in lettere de 15 genaro 1615, che per non attendiar l’Eccellenze vostre illustrissime gran parte del contenuto di esse tralascio, solo dirò che nel medesimo tempo mi fu commesso anco l’armar di 10 galee, a questo immediate vi applicai l’animo, con speranza che in tale occasione quei sudditi non havessero ad esser disimili delle passate loro accioni, venendomi espressamente ordinato il procurar che dette militie fossero in pronto con la partenza delle galee del medesimo Regno, commettendomi in oltre il dover far risponder ad esse militie la paga istessa che hebbero l’anno 1607, dovendo esser raccomandate sotto dui capi, rimettendomi la nominatione di essi, come anco il loro tratenimento. Communicai questo desiderio dell’Eccellenze vostre illustrissime con li principali che rappresentano quella università et con li colonnelli di quelle cernide, scrivendo alli illustrissimi Rettori delle città, perché havessero a far il medesimo officio, con speranza che dovessero impiegarsi con allegro animo, con le vite et con le facoltà loro in si honorevole occasione, tuttavia trovai effetti diversi alla mia espettatione, perché se hoggi qualche d’uno a persuasione mia mi prometteva qualche bene, dimani sotto pretesto di poca sanità o di altro quello mi ritrattava. Onde si risolse il signor conte Scotto sopraintendente delle cernide del Regno, ardente certo nel servitio di Vostra serenità, di adoperarsi in questa levata, la quale io stimavo havesse a riuscir dificile, per non dir impossibile, trovando in quei popoli persa la memoria delle generose accioni de gli antenati suoi, come in tante hisotrie viene descritto; seppe però così bene adoperarsi esso signor conte, possedendo anco benissimo la lingua greca, che in poco tempo messe insieme 270 fanti. Altretanti ad immitatione del sudetto signor conte, et ciò sia detto a laude sua, ne amassò domino Nicolò Zucco cavallier da Rettimo, che in persona con fratelli et nepoti deliberò di venir con le sudette militie al servitio delle Eccellenze vostre illustrissime, nel numero de quali, così amassati dal signor conte come dal cavallier, vi erano alquanti Sfachioti tanto desiderati da Vostra serenità. Queste militie non solo contra la mia aspettatione, ma d’ogn’uno, si trovarono pronte all’imbarco nella partenza delle sudette 10 galee. Le loro paghe, quelle de capitanii et officiali non eccedetero punto alle già date dalla felice memoria dell’eccellentissimo General Sagredo l’anno 1607. Mi trovai presente alla risegna et imbarco di esse et mandai a Vostra serenità li rolli, come ho fatto nelle altre simili occasioni. Il medesimo anno 1616 con lettere di questo eccellentissimo Senato di primo agosto volse la Serenità vostra, dandomi prima aviso dell’arivo in golfo dalle predette [?] 10 galee con li 500 et più fanti sopradetti, significarmi con la singolar sua benignità la sodisfattione che hebbe, aggradendo l’operato da me, per la levata delle militie sopradette et presta espeditione delle galee, soggiongendomi che continuando le hostilità tra nostri et austriaci in diversi luochi, le conveniva per tutte le vie far raccolta de militie et accressimento di forze, per sostentare la giustitia della sua causa, et per ciò havea risoluto di valersi di novo delli sudditi di quel Regno, commettendomi l’assoldarne quella maggior quantità et de migliori che si potesse havere, valendomi nella levata de soggetti valorosi, che per aderenza anco nella Sfachia, fossero conosciuti atti all’effettuatione di questo negotio, con procurar anco con chi havesse corrispondezza di cavarne dalle isole dell’Arcipelago et luochi circonvicini del Signor turco, dandomi auttorità di dar titolo di governatore, a quelli che levassero 300 fanti con le paghe dechiarite nelle ducali et altro d’avantaggio, che tralascio per non portar tedio all’Eccellenze vostre, rimettendo anco in me la risolutione di qualche particolare che fosse stato necessario di dechiarire, per non diferire l’essecutione dell’ordine predetto, perché come Ella mi scriveva era bisogno di prestezza et sollecitudine, dandomi in oltre auttorità di poter descriver in esse militie, così per capitanii come per officili, soldati et governatori ancora, tutti quelli fossero banditi da quel si voglia consigliero, magistrato o publico rappresentante etiam con l’auttorità dell’eccelso Consiglio di dieci, purché non vi fosse nelle sententie condition di strettezza di ballotte o lettura di processo o pur che non fossero imediate banditi da questo eccelso Consiglio di dieci, con darli salvocondotto libero per tutto lo Stato di Vostra serenità durante il loro servitio, il quale fornito s’intendessero liberi et assolti dalli bandi loro; commetendomi che gli fussero fatte far le patenti senza alcuna spesa, come è stato intieramente esseguito, promettendo anco ad essi nel fine del loro servitio i benserviti dall’eccellentissimo Capitano general da mar, overo da altri illustrissimi publici rapresentanti a quali spettasse tal carico, per la total loro liberatione. Et in oltre che se qualche d’uno de quei nobili havesse voluto prender la carica di far parte di essa levata, come sarebbe riuscito caro a Vostra serenità et all’Eccellenze vostre illustrissime che seguisse, così mi davano libertà di assignarli quel stipendio, che secondo la qualità del soggetto et il numero delle genti che si obligasse di levare, havesse io stimato conveniente.
Alla effettuatione di questa levata, subito che mi capitò l’ordine, vi posi ogni spirito per la total et presta essecutione, et se bene vedevo d’incontrarmi in molte dificoltà, tuttavia essendo certo di haver in questo mio desiderio, l’assistenza et protettione di Sua divina maestà, feci il medesimo officio coll’intervenienti di quella città et delle altre ancora, dinotandole la giusta causa che havea la Serenità vostra di accrescer le sue forze, l’ordine che io haveva di assoldar quel più numero di militie che si havesse potuto, la speranza certa [?] che l’Eccellenze vostre havevano in quei suoi fidelissimi sudditi, che fossero per convorrervi allegramente et de principali ancora, aggiongendoli la benigna gratia fatta a tutti li banditi, che volontariamente passassero nella presente occasione al loro servitio. Et si come mostroron alle predette persuasioni ottima volontà, così tolsero tempo a risolversi, che altro effetto non partorì, se non quella tenue offerta di danaro che fin all’horai [?] rapresentai a Vostra serenità et a sua imitatione l’istesso fecero le altre città del Regno.
L’essatione della quale, se bene è stata raccomandata da lei all’illustrissimi Capitani di Candia et Rettori delle città, tuttavia fui hora non è stata in gran parte riscossa. Et vedendo io non poter per questa via conseguir la levata di gente tanto desiderata da Vostra serenità, procurai di novo impiegando il signor governator Scotto, il quale con l’ordinaria sua prontezza nel servitio dell’Eccellenze vostre in pochi giorni ne messe insieme altri 300. L’istesso fece domino Simon Framini [?] cavallier, che ne amassò un numero de 500 buoni soldati et in essi qualche d’uno cavato dalle isole dell’Arcipelago et con essi mandò il proprio fratello in servitio di Vostra serenità. Con l’essempio di questi et con il desiderio che haveano di servirla, s’impiegorno anco domino [?] Giovan Battista conte di Polcenig, all’hora governator alla Canea. Il quondam governator Sebastian Orsali; il governator Vicenzo Ferri; il capitan Theodoro Paleologo et il capitan Antonio dal Palagio, che mandò il proprio fratello sopra la compagnia da lui amassate che vi lasciò anco la vita in servitio di Vostra serenità.
Mi comandò poi la Serenità vostra l’anno passato, con lettere di 10 decembre, che continuando le provisioni et accressimenti di armata da spagnoli, dovesse far levata de huomini da spada, che havessero a servir sopra le galee, che si dovevano armar per loro rinforzo; et con lettere di 11 gennaro susseguente, mi comandò che oltre gli huomini ordinarii sopra dette galee, havesse ad assoldar 500 fanti di quel Regno et isole del Signor turco con le paghe et conditioni nelle ducali dichiarite. Et il medesimo mi replicò con lettere de 18 gennaro suddette, eccitandomi alla presta espeditione dell’armar delle galee et delle sudette militie, dinotandomi che la unione di esse et condotta de fanti all’armata importava sommamente che seguisse quanto prima, per molti rispetti et per prevenire gli impedimenti che potessero occorrer nel viaggio. Et poi con altre lettere di questo eccellentissimo Senato de 19 gennaro sopradetto, mi fu commesso il prestar ogni aiuto et favore al colonnel Framini [?], perché adempisca la promessa fatta a Vostra serenità di levar altri 500 fanti per servitio dell’armata; et che havesse a procurar che la maggior parte fossero forestieri et de quelli della levata passata, facendo che siano imbarcati sopra le medesime galee del Regno, con la persona in particolare di esso Framini [?], conforme alla sua offerta et deliberatione di esso eccellentissimo Senato, copia della quale mi fu mandata nelle ducali, si come, Iddio lodato, questi ordini derivati da soli suoi comandamenti hebbero si può dir la total sua essecutione e tutte queste militie assoldate dalli sopradetti et quelle ammassate dalli nobili huomini ser Nicolò Venier et ser Zorzi Barbarigo, in essecution delle offerte fatte alla Serenità vostra per conseguir la liberatione de loro bandi, sono arivati al numero de 4.500 fanti.
Questi per il più sono stati imbarcati sopra le galee armate in quel Regno et sopra le galeazze et galee sottili che in diversi tempi sono capitate, altri sopra vasselli al meglio che si è potuto, in tutto conforme a gli ordini di Vostra serenità.
Quanti travagli habbi passato per ridur questo negotio a buon termine, che era tanto desiderato dall’Eccellenze vostre, non debbo rapresentarli, acciò non pari che di ciò pretendi alcun merito con la Patria, alla quale mi conosco più obligato di cadaun altro buon cittadino.
In questo numero di militie cavate per il più da quel suo Regno, vi sono stati intorno a 150 banditi, abbrcciati da me in essecution de gli ordini di questo eccellentissimo Senato et nel riceverli al suo servitio ho havuto riguardo alla qualità del bando, né ho preterito punto alla libertà datami et alli poveri et miserabili è stata assignata la medesima paga di soldato et ad altri la mità solamente, acciò havessero il modo da sostentarsi.
Nella levata di queste militie greche, come ho procurato di ben servire a Vostra serenità conforme al mio debito, così Ella può esser certa che il danaro è stato speso con avantaggio publico, passata la scrittura per più mani de ministri, oltre il mio secretatio, così nel rimetterli come al tempo de pagamenti et il tutto alla mia presenza, come so certo il medesimo esser stato fatto da illustrissimi publici rapresentanti in Regno, che in si fatto negotio di ordine mio si sono adoperati; et de quelli doppo rimessi et absentati inanti il loro imbarco, è stato fatto restituir le paghe havute dalli loro capitani et dato credito a Vostra serenità.
Il speso fatto per la levata di dette militie con li loro capitanii et officiali, comprese le dui paghe dateli nell’imbarco, cioè una alla banca et l’altra in groppo, è stato de ducati 72.224. Questo dinaro si può dir esser stato in parte di quello che ho avanzato nel tempo del mio generalato delli pagamenti delle militie italiane, che fu d’avantaggio di 100.000 et più ducati, questo avanzo è derivato, perché havendo fin da principio della mia carica ritrovato mancamento de numero nelle compagnie de soldati italiani, come all’hora et in diversi tempi ne ho dato 100 a Vostra serenità et essendone in tutto il corso del mio generalato mancati molti per morti, faliti et condennati et qualche d’uno licentiato, non essendo venuta alcuna compagnia nova d’Italia, se non nel fine del mio reggimento, nel qual tempo conforme alle leggi doveriano esser state mutate tutte, né havendo io voluto per quanto mi ho potuto riparare dalle instanze de capitani, rimetterne de casalini, quali haverci [?] havuti sempre in caso di bisogno senza interesse di Vostra serenità, così per il mancamento di dette militie, ridotte anco per il più di mediocre conditione, ha avanzato Vostra serenità la summa del danaro sopradetto, che quando le compagnie fossero state piene, di tanta summa et d’avantaggio di danaro haverei convenuto con lettere di cambio aggravar l’errario publico, ma come ciò in tempo mio è riuscito con suo utile, così non stimo buon consiglio in alcun tempo lasciar quel suo importantissimo et lontanissimo Regno senza l’intiero numero almeno del suo ordinario presidio.
All’arivo mio a quel governo trovai perfettionati dui bellissimi vasi di cisterne, fatti far dall’eccellentissimo signor General Zane mio precessore, in luoco vicino alli volti dell’arsenale, che altro non li mancava per finirle che alcune poche minutia, le quali furono subito fatte; et certi che riescono queste cisterne utili et honorevoli a quella città, riuscendo anco l’acqua che in esse vi entra, la quale è in grandissima quantità, di ottima conditione et viene universalmente da tutti usata.
Trovai il molo di quel porto mezo distrutto, applicai l’animo alla restauratione di esso, raccomandai l’assistenza et effetuatione di così buon opera al già illustrissimo signor Francesco Moresini, era Capitano in quella città, degno in vero et utile rapresentante di Vostra serenità, che con pochissima spesa fu ridotto a perfettione et si è sempre conservato et lasciato al partir mio in bonissimo stato, ne ho dato parte a Vostra serenità fin all’hora, dalla quale mi fu commesso, con lettere di questo eccellentissimo Senato de 10 ottobre 1615, a dover pensare di trovar modo di suplir alla spesa fatta per la sua restauratione et conservatione insieme, accenandomi in dette sue che saria stato ragionevole che quelli che ne causano il danno et ne ricevono il beneficio, havessero anco a concorrer nella spesa. La rapresentai con la mia solita riverenza, che haverei stimato bene l’aggionger una piciola gravezza de soldi otto per botte a tutti li vini et ogli che si caricavano in detto porto, et che come questa gravezza riuscirebbe di poco interesse a mercanti, così estraendosi da 6.000 bote all’anno, si venirebbe a cavar ducati 400 venetiani et sebene sarebbe molto d’avantaggio del speso nella restauratione del detto molo et della spesa che vi andarebbe nel tenerlo in concio, servirà quello che fosse di più al supplimento della spesa che si fa et che non deve mai pensarsi d’intermetterla, et è quella della cavatione del porto, opera tanto necessaria non solo per li vasselli fondi, quanto per l’armata di Vostra serenità. Perché l’entrata che è assignata per l’escavatione sudetta non supplisse di gran longa al bisogno.
Per la effettuatione di questa escavatione, si sono adoperati in tempo mio il sudetto illustrissimo Moresini, l’illustrissimo signor Anzolo da Mosto et al presente l’illustrissimo signor Gerolamo da Leze, Capitanii che con singolar diligenza et sollecitudine hanno havuto la cura; si applicò ancora il sudetto già illustrissimo Moresini nel far regolar un acqua viva che nasse fuori di essa città di Candia da tre miglia in circa in uno pozzo et quella non solo ha fatto condur nella piazza publica, ma anco al molo, in diversi palazzi et luochi publici, con comodo universale de quei sudditi et della marinarezza ancora, che capita in quel porto con ogni sorte di vassello, potendosi proveder al suo bisogno, nel tempo anco che quella fortezza si trova serrata. Né in tempo mio ha mai mancato essa fontana di render acqua in abbondanza.
Qualche altro ramicciuolo di acqua viva è stato ritrovato et in particolare nella fossa della porta Pandocratora, che da me è stata fatta accomodare et serve a comodo de viandanti et della città ancora. Ma come in tempo di pace resta Candia abbondantemente fornita d’acque, ne gode l’istesso Rettimo et Canea pur d’acqua di fontane, così in tempo di guerra, quando il nemico fosse sotto alcuna di esse piazze potria a suo piacer levarla. Conviensi però pensare ad altra provisione, la qual doverà esser con conservar le cisterne fatte dall’eccellentissimo Zane et con farne delle altre et accomodar li pozzi che in buon numero sono in quelle città in gran parte abbandonati, per dapocaggine de patroni, che godendo la commodità presente non pensano punto alle cose future.
Mi fu da questo eccellentissimo Senato, sotto di 8 ottobre 1615, mandata copia di dui lettere del clarissimo signor Marco Pasqualigo, all’hora degno rapresentante di Vostra serenità in Sittia, con la copia aggionta di una terminatione fatta dalli eccellentissimi signori Inquisitori, l’anno 1613 10 novembre, intorno a barche et vasselli delli habitanti nella terra di Gerapetra, con la quale restano essentati dell’obligo di non esser astretti, et per la lontananza del viaggio et per altre cause contenute in essa terminatione, di andar a far le contumatie nel sopradetto luoco di Sittia, ma perché non era stato provisto al pericolo che soprastava a quel luoco et a tutto il Regno, nella materia importantissima di sanità, mi fu perciò commesso con le sudette lettere di conferirmi personalmente in detto luoco, per deliberar quello che havessi stimato bene, per proveder a si importante negotio. Essequii prontamente et mi condussi nel detto luoco di Gerapetra, et ben considerato sopra essa materia, stimai altro rimedio non vi esser che levar l’abuso già introdotto, poiché facevano le loro contumatie nelle proprie barche et vasselli, et forse senza guardie, et far che fosse eretto un lazaretto serrato, ove vi potesse capir abbondantemente quelle poche robbe che alla giornata, per servitio di quella terra et territorio, capitano da luochi sospetti et urne [?] ciò deliberai, che si havesse a fare; così molto avanti il mio partir del Regno nel luoco da me statuito è stato perfettionato. Raccomandai la total essecutione di così buona opera a domino Agostin Calegari govenator di quelle cernide, con la sopraintendenza però del clarissimo signor Alvise Sagredo Rettor di Sittia, vigilante et prudente rapresentante di Vostra serenità, essendo questo luoco, se ben lontano 40 miglia di Sittia, sotto la sua giurisdittione.
Nella spesa si può dire non esser stata interessata la Serenità vostra delle angarie et da alcuni pochi apprestamenti in poi, perché da quelli habitanti, per certa compartita da me fatta, in gran parte è stato supplito; ho dato tutti li ordini per la buona custodia di esso lazaretto et come doverà esser guardato, da chi doverà esser fatta la spesa de guardiani et altro, il tutto senza interesse di Vostra serenità per essecutione dell’ordine sopradetto, se sarano ben essequiti li ordini lasciati da me in tal proposito, che sono stati registrati nelle cavallarie di Sittia et Gerapetra, per la loro intiera essecutione, certo sarà assai bene proveduto al pericolo che soprastava.
Ho fatto restaurare di novo il corpo della guardia del molo della città di Candia, che era affatto si può dir distrutto, neli soldati nel tempo del verno et delle pioggie, haveano luoco in esso da ripararsi, sono stati anco eretti di novo alcuni magazeni pur vicini ad essa porta della marina, ove erano certe case distrutte et affatto rovinate di ragion di Vostra serenità. Questi magazeni nella parte da basso servono ottimamente per conservar artegliaria, letti et apprestamenti per esse, legnami et altri publici strumenti per bisogno de arsenali, et nella parte di sopra per conservarvi una buona quantità de biscotti, molto comodi al servitio delle galee, per la vicinità del porto.
Sono state fabricate anco alcune boteghe, che erano di legname et in cativo stato, poste nella piazza appresso il voltone che si può dir che tutto quello che si cavava di affitto annualmente andava nell’acconciarle. La spesa che si è fatta nel fabricarle tutte di muro è riuscita di utile di Vostra serenità, perché oltra l’haversi accresciuto un terzo di più dell’affitto, si è levato l’interesse che si sentiva ogn’anno nell’accomodarle. Diversi altri luochi publici, così nella città di Candia come nelle altre città et fortezze del Regno, si sono convenuti ristaurare et del continuo si convien applicar l’animo nel tener in concio tanti palazzi publici, tanti alloggiamenti, corpi di guardia, magazeni et altre che quando non si vogli veder affatto andar in rovina, bisogna del continuo ponervi la mano. Io son andato in ciò più riservato che ho potuto, perché così ho osservato sempre nelli carichi che ho havuto, ma in questo mio Generalato son stato astretto di ciò fare, per havermi sempre ritrovato mancamento di denaro, di legname, ferramenti et apprestamenti necessarii.
Di questa sorte de monitioni, raccordo con la solita mia riverenza, che sarà sempre bene l’haverne in quel suo importantissimo Regno necessaria provisone, perché convenendosene far parte del continuo alle altre città et fortezze per cose che non patiscono dilatione, bisogna valersene da quei mercanti con il costo molto maggiore di questa città et ordinar insieme che [?] siano mandate con buoni tempi et con buoni vasselli, perché credo certo che delle predette provisioni mandate in tempo mio, un terzo ne sia andato a male, come sono anco andato li vasselli sopra quali erano caricate.
Quanto poi alle monitioni da guerra, che in cadauna delle città et fortezze di quel suo Regno si trovano, mi fu dal già capitan Giacomo Berlendi sopra intendente di tutta l’artegliaria, data una nota che ho appresso di me, nella quale parimente di vede la quantità et qualità di tutte le artegliarie che sono in dette città, fortezze et castelli al numero de pezzi 978, oltre alcuni aspidi et altri pezzi fatti inutili, che per non apportar longo tedio alla Serenità vostra, non mi estendrò ad altri particolari, havendo massime presentato alli officii illustrissimi ove s’aspetta li conti di tutte esse monitioni, che al partir mio da quel Regno si trovavano.
Mi diede anco ordine Vostra serenità nella mia commissione, che essendoli stata presentata certa scrittura da domino Henrico Danila, fu governator nella fortezza di Tine, copia della quale mi fu consignata et il contenuto di essa era che quella piazza potesse esser furtivamente surpresa per quello che egli raccordava, et che perciò tolte le debite informationi, io dovessi provedervi con quella minor spesa et manco strepito che fosse possibile, facendolo in modo che dalla parte de Turchi non vi fosse occasione di condoglianza. Mandai perciò persona fedele et intendente a questo effetto e trovai che la strada accenata nella sua scrittura, per dove diceva che facilmente si poteva condur gente per surprenderla, era strada inusitata, sasosa et grebanosa et che dificilmente si havarebbe potuto un huomo libero da ogni impatio, con le mani et con piedi atacandosi a diruppi condursi al castello di sopra, che era il posto da lui stimato di potersi sorprendere, oltra che sarebbe stato sicuramente scoperto dalle guardie et da altri, tuttavia quello in [?] andato da me, con l’aiuto et sopraintendenza del clarissimo Bernardin Lippomano, all’hora vigilantissimo Rettor in Tine, ha fatto ridur con destra maniera et si può dir senza spesa detto passo affatto inacessibile, col diruppar alcuni sassi di modo che hora sicuramente non si deve per tal causa dubitare.
Per quanto aspetta a quel governo spirituale ho havuto per il tempo de quattro anni continui monsignor illustrissimo Grimani arcivescovo di quel Regno, il quale come buon pastore, si è nel servitio del Signor Dio, senza risparmio di fatica alcuna del continuo adoperato, con universal sodisfattione di quei sudditi, tanto del rito latino come del greco et da tutti universalmente amato et riverito, così nel servitio di Vostra serenità ha sempre procurato con tutto il spirito di ben servir la sua Patria, ne ha lasciato a me che più desiderare in conto alcuno, dimostrandosi in tutte le occasioni buon figliolo della serenissima Republica et è stato sempre unito in amore et buona intelligenza con publico rapresentante, senza scordarsi punto dell’obligo che ogni buon cittadino è tenuto alla Patria. Questo benemerito prelato, con infinito dispiacer di cadauno, si trova da alquanti anni in qua constituito in poco buon stato di sanità et è stato astretto di ridursi alla Patria, così consigliato da medici di quel paese, doppo haver fatto esperienza sopra la sua persona, senza alcun miglioramento. Il Ritto latino, la conservatione et augumento del quale è tanto desiderato da Vostra serenità pare che si vadi più tosto scemando, che altrimente. Ne ho scritto a lei con dupplicate mie lettere di 30 decembre 1616 et di 27 [forse 22] settembre 1618. La causa di così fatto disordine deriva dal mancamento de religiosi del Ritto latino nelli castelli sottoposti a quelle giurisdittioni, et se bene in essi vi sono castellani, capitani di cernide et loro officiali, et di più molti nobili di quella colonnia et altri del medemo ritto, che per la loro povertà o per altri suoi rispetti si sono ridotti a vivere nelli casali sottoposti a detti castelli, tuttavia per mancamento di sacerdoti latini che li suministrino li santissimi sacramenti, ben spesso morono senza li ordini della Santa chiesa, overo convengono valersi de sacerdoti greci, a quali poi con il tempo aderiscono, et ciò contra la più mente di Vostra serenità et de suoi publici rapresentanti.
Mi ha comandato la Serenità vostra nelle mie commissioni di tener buona intelligenza con publici rappesentanti, questo per quanto ha aspettato a me l’ho sempre desiderato et procurato et ne ho conseguito anco posso dir l’effeto, tenendo per certo che il medesimo desiderio sia stato in cadauna altro. Ma se nel verso de cinque anni in un Regno copioso de tanti publici rapresentanti, con isole sotto poste ad essi, con la mutatione de tanti Rettori, vi possi esser nata qualche discrepanza d’opinione meco, non è ciò derivato da non buona mia intentione, poiché altro oggetto non ho havuto che il servitio di Vostra serenità. Et se per aventura mi fosse occorso di censurare con l’auttorità datami dall’Eccellenze vostre illustrissime qualche atto o sentanza criminale o civile, overo non assentire a qualche altra instanza fattami da loro, resta l’adito libero ad ogn’uno di riccorrere a Vostra serenità et avanti gli eccellentissimi Consegli che sono superiori, che per me come quello che non ha havuto altro fine che della Giustitia, resterà d’ogni decreto compitamente sodisfatto.
In tempo mio vi sono stati nel Regno et isole sottoposte, più mano de illustrissimi Rettori, Capi da mar et signori Sopracomiti, che se io volesi particolarmente nominarli apportarei lungo tedio all’Eccellenze vostre, servirà a me di dirla che tutti si sono condotti in quel Regno con ottimo fine, che tutti hanno essercitato li loro carichi con servitio di Vostra serenità et con sodisfattione de sudditi. Nel mio particolare so di non haver in questo mio generalato pensato ad altro che ad essequir bene li comandamenti della Serenità vostra et dell’Eccellenze vostre illustrissime, di procurar la buona amministratione del danaro publico, la sollevatione de sudditi et la buona custodia di quel importantissimo Regno. Et se io havesse mancato in alcuna parte, si degnarano con la loro solita benignità di escusarmi, quando che in peso così grave et carica così importante, appoggiate alla debolezza mia, vi fosse rimasta qualche cosa imperfetta, alla quale vi sarà abbondantemente supplito dal valor et esperienza dell’eccellentissimo signor Marc’Antonio Venier mio successore. Et quando io havessi operato qualche cosa di buono nel loro servitio, sarà stata gratia particolare del Signor Dio, che ha voluto favorir la mia buona volontà, la quale è stata sempre appoggiata alli prudentissimi raccordi che mi furono lasciati dall’eccellentissimo signor Giovanni Giacomo Zane mio precessore.
Ho havuto per mio secretario nel tempo di tutto il mio Generalato, messer Giulio Priuli nodaro ordinario della sua cancellaria, questo è stato sempre unito meco alle fatiche e travagli, né mi ha mai abbandonato, ha dato a me sodisfatitone compita et nel suo carico ha prestato ottimo servitio, con universal sodisfattione, con quella fede et devotione che si deve verso Vostra serenità, si come ha fatto ancora per il corso de molti anni in altri carichi publici. Questo suo benemerito soggetto si trova carico di numerosa fameglia, procura di allevar li figlioli ad immitatione sua, per poterli poi a suo tempo impiegare nel servitio di Vostra serenità. Ogni gratia che riceverà dalla munificenza publica, sarà colocata certo in vero et devoto servitore, pieno di desiderio et afferro riverente verso di Lei et dell’Eccellenze vostre illustrissime. Gratie.
Nota:
Alla fine del testo è presente un indice che riporta i numeri di pagina. A lato del testo sono indicati dei titoli, la grafia sembra diversa.
Trascrizione di Lia De Luca