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4 luglio| 1607 Alvise Balbi

Dispaccio del 7| febbraio| 1607|

N. (senza numero)

Serenissimo principe,
la notte di domenica 27 del passato capitorno certi ladri vestiti all’uscoca, armati di archibusi, spade et manerini al numero di 11 con una barca nel porto di Santa Marina, giurisdition di Vostra serenità sotto questa terra, li quali andavano in corso svalleggiando et depredando li vascelli che trovavano per li porti, et essendo scoperti da alcuni da Segna, che nel detto porto erano con una lor barca, nella quale haveano cargato formento da Pisino nell’Arsa [?], et fatto smontar detti ladri, li fecero venir a sé tutti; solo dui di loro voltorno il lor viaggio in altre parte, et tenutili quella notte seco li tolsero non solamente li centenara di ducati che haveano assassinato alli poveri sudditi di Vostra serenità, ma anco le robbe et la barca ancora, licentiandoli poi per questo territorio; et, essendo stato io di ciò avisato dalli medesimi da Segna, mandai immediate le spie per saper li andamenti loro, facendo allargar tutte le barche dalli luochi dove poteva conietturar potessero passare, ordenando al capitano et sergente di queste ordenanze che, con bon numero de persone, dovessero seguitar essi ladri, sì perché non facessero danno alli habitanti, come per procurar di haverli nelle forze, li qual malfattori, tirando il lor camino verso il traghetto di San Zorzi per voler forsi ivi accommodarsi di barca, furno seguitati da questi suoi fedelissimi et, mentre arrivorno al detto luoco di San Zorzi, trovorno che essi ladri si erano retirati et fortifficati nella chiesa, da dove tirravano delle archibusate nelli nostri et, essendo amoniti di doversi render volontariamente, non volsero mai consentire, ma liberamente si lasciorno intender di voler più tosto perder le vitte che esser condotti sopra le gallee, et così da questi di Albona fu preso partito di impicciar fuoco in essa chiesa, come fecero, quali vedendo che da molti luochi ardeva la chiesa predetta, si rissolsero o vivi o morti di uscir fuori, sì come hanno fatto tirrando cadauno di essi nove ladri delle archibusate in questi sudditi; quali, per voler di Iddio, non furno mai offesi, stanzandosi loro animosamente contra detti ladri et, combattendo seco, ne uccisero cinque, tre presero vivi et uno, ascondendosi, per esser di notte, se ne fuggite. Furno presentate le teste delli cinque uccisi et condotti li tre presi alla presentia mia, li quali, constituiti de plano, confessorno esser di Poglizza, giurisdition del Turco; uno dei quali, cioè il voivoda fra questi ladri, si chiamava Michiel Pocraicich, fu alfier sopra le barche armate delli capitani Michiel et Zuane Ligutich, l’altro si dimandava Zuane Radivoich et il terzo Nicolò Zidovich; li tre sfuggiti, uno si nominava Simon Begliussich ditto Caracosa da Zara, l’altro Zuane Preglianovich da Poglizze, et il terzo Luca da Traù, che era scapolo sopra la gallea del clarissimo Malipiero sopracomito, et questi fuggiti hanno lettere dell’Eccellentissimo signor proveditor general Zane, le quali hanno tolto per viaggio di alcuni Arbesani che le portavan a Zara, et con quelle fano quanto vogliono, fingendo col mostrarle di esser gente di sua eccellenza. Li sudetti tre presi et constituiti hanno reconosciuto le teste delli interfetti loro compagni, confessando esser delle barche armate con il nome et cognome di cadaun di loro, et che sei giorni inanci che capitorno in queste parti, che fu alli 23 del passato, partirno d’accordo tutti 11 da Zara con animo di andar in corso, depredando et svalleggiando li vascelli per far danari, per passar poi in Italia venero per terra di principio fino fuori di Nona, et poi con una barca passorno all’isola di Pago, dove trovando nel porto di Mandrie un’altra barca di Arbe con tre compagni che attendevano pescar, tolsero detta barca per esser maggiore col pigliar seco il patrone et diedero alli altri dui pescatori la minore, et incontrandosi in un’altra barca di Arbe, che in diligentia portava le sudette lettere a sua eccellenza a Zara, gli tolsero esse lettere con alquanti para de scarpe, tella, pan, vino, oglio et un’alzana, et de lì si inviorno verso l’isola di Cherso, dove ammazzorno et tolsero bon numero di animali, traversando il lor viaggio poi verso l’isola di Veglia, dove, trovato un vascello vodo nel porto di Santa Fosca, quale havea condotto il biscotto in quella città, si fecero dar con violenza da un povero mariner vecchio lire 20 [?]; et poi dal garzone delli danari del patrone ducati 50, pigliando anco un sacco di biscotto et tre camise, passando poi inanci sempre a terra via vogando in tempo di notte, venero alla ponta di Babazuizza, dove, trovando un vascello vodo et una barca con la quale un gentil huomo di Veglia andava verso Rovigno, tolsero al detto tre borse, ducati 50, alcune pattacche, che erano state mandate a Venetia, et altri danari, pigliandoli di più una barilla di vino, formazo et altre robbe, havendoli minaciato di volerli tagliar la testa, se non consentiva di darli essi danari et robbe; montorno poi sopra il navilio, dove trovando tre marineri li cominciorno strusciare et bastonare con li maneghi di manerini, descendendo uno di essi per terra per volerli tagliar la testa, et alli dui altri volevano tagliar il naso et le rechie, sempre dimandando danari, se ben essi si escusavano non haverne per haverli tolti seco il patrone, quale all’hora non era sopra detto navilio; non restorno però di travagliarli et bastonarli con haverli tolto tre camise et una caldiera, che altro non trovorno a proposito loro. Passorno poi in Istria con animo di andar depredando li poveri naviganti che trovassero nelli porti et, per voler di Iddio, capitorno nel porto di Santa Marina, dove dalli sudetti de Segna furno spogliati così di danari, come delle robbe et barca, come ho detto di sopra. Là, onde per le predette loro male operationi, ho fatto hoggi impiccar tutti li predetti tre presi, portando seco li intervenienti delli captori le cinque teste delli interfetti per ponerle sopra la pietra del bando, delle qual tutte cose, conoscendo esser debito mio et conforme alli ordeni suoi, ho voluto darne riverentemente conto alla Serenità vostra denotandole, come ho raguagliato delle cose sudette l’eccellentissimo signor Proveditor generale, col nominarli li nomi, cognomi et patria de tutti li ladri predetti, non restando di dir alla Serenità vostra che, a mia richiesta, mi fu mandato alli mesi passati munitione, cioè polvere, corda et balle per il bisogno di questa artelaria, la quale resta in utile per non vi esser bombardiero con molto pericolo di ricever questa terra un giorno dall’ardir di questi ladri qualche affronto, che per ciò riccordo riverentemente alla Serenità vostra, che saria bene il mandarne uno, sì come per altre mie gli ho notifficato. Gratia etc.
Di Albona li 7 di febraro 1607.

Alvise Balbi, Podestà.

AS Venezia, Senato, Dispacci, Istria, b. 4
Trascrizione di Francesco Danieli.