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20 luglio 1637 Marco Donà

Relazione

1637 20 luglio Marco Donà Provveditore alla cavalleria
AS Venezia, Collegio, Relazioni, busta 70

Serenissimo prencipe
L’arrivo a Zara dall’illustrissimo Erizzo mio successore, m’ha sollevato finalmente dalla carica di Proveditor general della cavallaria in Dalmatia, sostenuta per il spatio di più di 19 mesi continui, nella quale essercitatosi da me l’ardore del mio natural instituto nel buon servitio della Serenità vostra, con tutto quel spirito che maggiore ha potuto venir dalla debolezza mia, ho procurato che quelli suoi fedelissimi sudditi, con intatta presservatione di quei confini e dagl’haveri loro, godano il frutto di quella quiete e pacifico vivere, che sommamente li solleva e rende consolati nella confinanza di prencipe ben amico e confederato, ma ne’ ministri e sudditi sempre avido d’avanzamento. Questa (lodato Dio) m’è successo di stabilire, non senza molta fatica e travaglio, dopo rintuzzata nelli principii della carica la temerità de turchi confinanti, quali uniti sotto il commando di Halibei dalla Vranna, poco avanti deposta dal sanzaccato et il capitan bei Bessiraghiul [?], sogetti di molto seguito e d’auttorità in quelle parti, con essercito formato procurarono d’inferir danni a quelli sudditi; ma dopo lunga scaramuccia d’uno giorno intiero, con gran mortificatione loro, convennero ritornar, si ancorché molto superior di numero alla gente di Vostra serenità. Dopo il qual tentativo, persuasi anco dall’interesse del commercio, non hanno più ardito di passar a così fatte rissolutioni, ma si sono sempre contenuti tra i termini della modestia e del buon vicinato. Così che anco nella mia partenza ho lasciati i confini in tanta quiete, che appoggiati al valore et all’intelligenza dell’illustrissimo successore [?], si può pensar che lungamente habbino a conservarsi nella medesima tranquillità, senza occasione per la qual si possa temere de nuovi disconci, spero tanti anni [?].
Tra le cose più importanti che stimo mio debito di riferir all’Eccellenze vostre, osservate da me con qualche ammiratione, è il disordine che passa da molto tempo in alcuni sudditi del territorio di Zara, ma particolarmente in quelli di Zaravecchia, ville convicine, di coltivar li terreni de turchi contro le tante prohibitioni di Vostra serenità e con quelle pregiudiciali consequenze, che alla sapienza publica sono benissimo note; disordine derivato non tanto dalla strettezza di terreno nelle pertinenze di quei luoghi, quanto perché abbondando il paese turchesco di larghe e spatiose compagne alle gengive del confine, vengono concesse loro nella coltura di quelle conditioni migliori che non possono havere nella propria giuridittione. Quando però l’Eccellenze vostre stimassero di loro servitio il non permetterglielo assolutamente, né dissimularne la trasgressione, come di presente succede, sarebbe necessario di rinovarne ordeni molto più rissoluti per la prohibitione, con comminationi di severissime pene a chi ardisse contravenirvi.
Io per tenerne lontano il pregiudicio, sono stato sempre occulatissimo e con estraordinaria vigilanza, ho procurato di far che si contengano ne’ propri limiti e quando le protestation non sono state bastevoli, ho fatto più volte dalle guardie della cavallaria ammazzar loro qualche annuale, minacciarne i pastori et abbruggiando loro le capanne cacciarli fuori del confine, acciò con la connivenza o dissimulatione non venissero a stabilirsi nel possesso..
Tra tutti quei confinanti li più dediti a simil usurpationi si sono provati in ogni tempo li turchi o islam, quali nella strettezza et angustia della propria giurisdititone, per esser situato quel luogo all’estremo del confine, molti anni sono che hanno reddotto a coltura diversi terreni delli sudditi di Vostra serenità. A questo disordene, da me stimato di summa rillevo per le consequenze importantissime che tirra dietro, ho io tenuto continuamente applicato l’animo, né ho potutto trovarvi rimedio valevole per impedirne il progresso, non che per rimoverne [?] affatto il pregiudicio, il quale per luogo corso d’anni havendo già preso piede e stabilitisi i turchi nel possesso, riuscirà sempre difficile ogni tentativo che venisse fatto per la rilassatione delli medesimi terreni, poiché essendosi dopo l’ultima guerra abbandonate e distrusse in diversi tempi, per le frequenti molestie de turchi, alquante ville della Serenità vostra poste a quelle frontiere, gl’habitanti delle quali per l’adietro sono stati solliti di coltivar quelle compagne, che per questa causa furono derelitte. I turchi vallendosi dell’occasione a loro proffitto sono sempre andati prima col pascolo e poi col lavoro di quelle convertendole in proprio uso, a segno che possesso continuato di lunghissimo tempo, hora ne pretendono essi legitima padronanza e dominio.
Del corpo di 264 soldati a cavallo che paga la Serenità vostra in Dalmatia sotto il commando del proveditor, compresi in questo numero anco li capitani e ragazzi, giusta l’ultima riforma di quella cavallaria, una compagnia di 30 soldati si trattiene ripartita tra la custodia di Spalato e quella di Traù, altretanto servono a Sebenico et il rimanente nel territorio di Zara, perché la spesa che porta a Vostre eccellenze questo numero di militia è di non poca consideratione, ho io proceduto con applicatione e riguardo particolare [?] non meno nelli pagamenti di essa,  che nel somministrarle l’ordinarie sovventioni da cavallo, solite darsi dalla publica munificenza a quelli si devono rimontare, con obligo di scontarle in ragione di un ducatto al mese delle loro paghe, poiché nella revisione, che più volte ho voluto fare delli debitori publici che s’attrovano nella Camera di Zara, per conto delle medesime sovventioni, tuttoché io habbi usato ogni possibile diligenza nell’essattione loro e c’habbi fatto rissarcir il publico di qualche summa non mediocre di danaro, non m’è succeduto però di poterne estinguer la maggior parte, che resta affatto inessigibile per essersi contate tal sovventioni, molti anni sono, a soldati de quali non vi è alcuno che possi conoscere o raccordarsi li heredi o discendenti, meno chi habbi havuto li loro cavalli coll’obligatione del pagamento. A qual disordine quando almen per l’avvenire non si dalla Serenità vostra applicato il dovuto compenso a cautella del publico interesse, mentre le diligenze usatesi per ordene de diversi miei processori e degl’eccellentissimi signori generali ancora, per le cause predette, sempre sono riuscite infruttuose, preveggo assolutamente che il pregiudicio si farà sempre maggiore, né vi sarà modo di ripararvi.
Il rimedio che per mio riverente senso stimerei il più proprio, come si prattica nelle parti di terraferma, sarebbe il dar debito alli capitani delle sovventioni, che decetero [?] doveranno darsi a soldati loro, o almeno il commettere che non sii data sovventione ad alcuno delli medesimi senza la piezaria del suo capitanio. Perché si come al presente non havendone questi alcun obligatione, applicano al buon governo de loro cavalli, che ben spesso per la negligenza de soldati dopo scontrata poca o niuna arte del debito vengono a morte, onde per rimontarli è necessaria nuova sovventione, così che aggionto al primo debito anco il secondo, viene accresciuto in maniera che morendo poi l’altro cavallo et alle volte anco il soldato, senza heredi o sepure ne lascia alcuno sono essi tanto poveri che non vi resta modo, né speranza immaginabile di rimborso.
Così per il contrario quando i capitani fossero piezi per le sovventioni predette et obligato ciascuno per il debito della propria compagnia, haverebbe cadauno di essi per interesse proprio maggior cura de i cavalli de soldati, onde non anderebbono così facilmente di male, come di presente succede, e venendo per avventura alcuno delli sopradetti casi, potrebbe il publico farsi rissarcire dalli capitani, da quali sempre riesce più facile l’essattione.
Non tralasciarò di significar a Vostra serenità il pregiudicio che apporta a suoi interessi la tolleranza da qualche anno, che turchi dalla Vranna, contro il tenor delle capitolationi, tengono barche in quel lago. Si è procurato in altri tempi con maggior applicatine, eccitata da publici commandamenti [?] di tener lontano questo inconveniente, che per ogni rispetto riesce pernicioso, ma principalmente per le molestie et infestationi che ne possono ricevere li sudditi di Pacoschiane, Zaravecchia e luoghi convicini.
A me è successo di trovar il male già radicato, a segno che per la qualità massime degl’accidenti e delle congionture ben note alla publica sapienza, non s’è stimato tempo opportuno di passarne alla distributtione, senza manifesto pericolo di perturbar la quiete de sudditi o la buona vicinanza.
Raccordarei perciò riverentemente che li signori proveditori fossero incaricati d’invigilar al disfacimento delle medesme, ma con la dovuta desterità et in occasioni e congionture tali, che non potessero pregiudicare, né portar alteratione di momento alla quiete del confine.
Altro non mi resta per compimento di questo dovuto ufficio, che suplicar come faccio humilmente l’Eccellenze vostre di gradir con la loro paterna benignità questo primo parto della mia debolezza, quanto per avventura manchevole d’ogn’altra qualità, altretanto ripieno d’un fervente affetto di devota volontà ed ardentissimo zelo del loro servitio, nel quale io sarò per conservarmi sempre pronto et ubbidiente ad ogni publico cenno, bramoso di spender le sostanze e sparger il propiro sangue per ogni occorenza della Patria, a cui per hereditaria divotione ho già col nascimento consacrato me stesso e tutte le mie fortune. Gratie.