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21 luglio 1601 Alvise Venier

Relazione

Relazione di Alvise Venier ritornato di Conte a Zara
21 luglio 1601
[ASV, Collegio, Relazioni, busta 72]

Serenissimo Prencipe,
di quelle poche cose spettanti al carrico mio, che io potrei rifferire alla Serenità Vostra intorno il reggimento della sua città di Zara, dove mi sono trattenuto a fedelmente governarla per mesi 34 e giorni nuove, ho fatto elletione di alcune, che per l’importanza sua, mi sono parse degne della notitia di Vostra Serenità, alla quale doppo che haverò riverentemente e con brevità parlato del lazaretto, del fontico, del numero  di quell’anime e d’altro, haverò anco con sua buona gratia posto fine.
Il lazaretto di quella città, Serenissimo Prencipe, all’arrivo mio in Zara s’attrovava havere un capitale di duccatti mille, se bene nell’errario publico non erano se non trecento, rispetto che stava intaccato da molti di quelli che malamente l’havevano già tant’anni maneggiato, onde essendo questa materia, che da se stessa fa sentire l’importanza sua, rissolsi di volermi introdur la dentro, come che conviene al debito di buono e fedele rappesentante publico, e feci chiamare a me li procuratori di quel loco pio, a quali feci intendere, come volevo, che i debitori pagassero et così veduti li libri publici, intorno a quali havendomi occupato per qualche tempo, con la presenza però sempre di detti procuratori e nodaro del lazaretto, ho ritrovato il debito e li debitori, a quali havendo parlato con quella desterità che ho stimato necessaria, rispetto alle forze di ogn’uno et habilitatoli di tempo, hanno finalmente fatto la sodisfattione, ch’é stata sommamente carra a tutta la città et in particolare alla persona mia. Per il che hora s’attrovan nell’errario di esso loco pio li detti duccatti mille, pronti per spendersi nelli bisogni che potriano occorrere, che Dio non lo permetti per sua misericordia, si come di continuo sono parimente esposti per il fontico di quella città nel qual giornalmente si vanno mettendo biave che vengono portate da Turchi, da Murlachi e d’altrove, le quali vengono pagate col detto danaro del lazaretto, per allimento di tutti quei habitanti nella città e territorio, dall’angustia e sterilità del quale non si cava biava che basti sodisfar al bisogno per mesi tre, in modo tale che’l clarissimo Conte, che per tempo s’attrova a quel carrico, è in necessità di far provisione di formenti e altre biave, in quella maniera che vien ispirato dalla maestà d’Iddio, al cui aiuto essendo io ricorso, confesso esser stato esshaudito, havendo in quel tempo havuto continuamente formento e biave a precio convenevole, che non solo hanno sodisfato al bisogno di quell’anime della città e scogli, che sono al numero di ondecimille cinquecento vinti otto (11.528), ma ancora alla grossa multiplicità di militia ordinaria, stradioti et altri, che sono in quella città al servitio suo, et all’innumerabile straordinaria militia che di tempo in tempo teniva mandata in quelle parti la Serenità Vostra e particolarmente nella città di Zara, dove sbarcavano e si trattenevano i mesi continui, stando ivi in aspettatione che le gallie andassero a levarli, le quali in numero s’affermavano in quel posto, con barche armate; con tutto ciò ne ho havuto tanto, che non solo ha supplito al bisogno, ma ne sono state somministrate altre isole circonvicine, per bontà dell’Onnipotente Dio Nostro Signore, non dirò per alcuna mia industria, della quale è ben vero che non ho mancato, per tenire ubertosa la città al meglio che ho potuto, se bene continuamente ho recevuto infiniti incontri, per l’interesse della militia ordinaria e stratia, il qual disordine, si come mi dava quel travaglio che lascio stimare alla prudenza di Vostra Serenità, essendo questa materia importantissima, così come ho detto, è stata tale e tanta la provisione da me fatta che non solo è stata sofficiente, ma copiosa ancora.
Per il che intorno a ciò mi par necessaria, per sodisfattione delli clarissimi conti che per tempo saranno a quel governo, di riverentemente raccordare alla Serenità Vostra che in questo proposito ella decchiari et espressamente commandi, che si come il clarissimo capitano è cognitore di ogni misfatto che potesse occorrere nella città in tempo di notte, se bene da suddito sottoposto alla censura d’altro suo rappresentante, così medesimamente la essecutione di tutte le vittuarie della città spettar debbi solamente a quel clarissimo conte, o ad altro suo rappresentatne, si come meglio parerà alla prudentia sua, il qual debba esser giudice competente di quella persona che tollesse la robba al venditore, contra suo voler, se ben gli e la volesse pagar, overo commettesse qualch’altro errore, con tutto che fosse in altro non sottoposta a detto clarissimo conte, o al detto rappresentante da lei decchiarato, altrimente non vi nascendo sua nova delliberatione, vertiranno sempre difficoltà tra quei clarissimi rettori, con mala sodisfattione loro e di tutta la città, che in vero ne venirà a patir ogni volta che il commando di quelle vittuarie sii in ogn’uno delli rettori, ai sudditi di quali, bisogna che’l solo conte provedi da vivere, come ho fatt’io a tutti et in particolar a quei nobili cittadini e popolo, per solevatione dei quali è stato terminato da l’eccellentissimo signor Proveditor general Pasqualigo, che non solamente i clarissimi conti, che per tempo saranno a quel carrico, siino soli cognitori e patroni della materia delle biave della città, ma ancora giudici contra quelli che commettessero in questo proposito di biave qualche fallo, ancoraché non sottoposti al foro di essi clarissimi conti, come meglio si legge in detta terminatione fatta a 7 di novembre passato.
Havendo io in questo havuto prencipalissimo risguardo, prima al debito di fedel ministro in materia tanto importante a Vostra Serenità et poi a quello che si è convenuto alla christiana carità verso quei popoli, soldati e stradioti, di quali voglio credere ne havera a bastanza parlato il clarissimo signor Lonardo Giustiniano, già capitano mio collega(?), secondo che io ho stimato essere mente di Vostra Serenità et conforme a quella paterna affettione, con che ella tratta tutti i suoi sudditi, per confermar gli animi loro nella solita devotione verso questo Serenissimo Dominio et rincorargli per queste vie nel fedel servitio e vigilante custodia delle cose sue, si come mi sono affatticato di far il medesimo per tutto il tempo del mio reggimento, con i buoni trattamenti, che secondo le mie poche forze ho potuto e saputo usar loro.
Ho poi ritrovato nel depposito di quella città stara numero cinquecento novantasie (596) di formento, oltre quello delli duccatti doimille di esso depposito, comprato col danaro publico dal clarisismo mio prossimo precessor a beneffitio delli habitanti in quella città, per li all’hora correnti tempi penuriosi, a precio de lire 22 soldi 10 il staro venetiano, dei quali non si potendo far l’essito sotto il mio reggimento, per rittrovarsi le biave a molto più basso precio di quello che esso clarissimo mio precessore l’haveva comprato, giudicai in un medesimo tempo che la Serenità Vostra non venisse a patir alcun danno, ne meno li poveri habitanti, con l’esser astretti ad una tanta distributtione di formento, la qual però non è sicura, poiché molte volte o che more alcune di quelle persone a chi viene dato il formento, overo la sua segurtà, che e l’una e l’altra possono essere miserabili, overo che non viene usata quella diligenza in scadere che si doveria per buon servitio publico, pensai di levar di pericolo esso formento e di assicurare la Serenità Vostra, con far utile e bene universale, e feci che una parte delle sardelle, destinate al commodo della città nel tempo del mio reggimento, si vendesse al precio ordinario dei particolari et il sopravanciato s’impiegasse al precio di parte delli formenti soddetti, per farli con tal strada callar et redur poi intorno a quello che corressero per la città, il che havendo conferito anco con gl’eccellentissimi signori Generali Donado e Pasqualico, che hanno continuamente sollevato l’animo mio, laudorno anco questo mio pensiero; onde feci vendere parte delle sardelle di ragion soddetta a precio come di sopra, delle quali si sono avanciate lire 4.680 de piccoli, et quelle deppositai nella Camera fiscal et poi, per terminatione da me fatta sotto il primo febraio passato, le ho applicate al callo del precio dei formenti sopradetti, facendo dar via a minuto esso formento a precio corrente de lire 14 soldi 10 il staro venetiano et come più particolarmente ne ho dato riverente conto a Vostra Serenità.
Alla quale parmi bene di humilmente raccordare, che non saria se non di util e di profitto, ch’ella dasse commissione al clarissimo mio successore che facesse a suo tempo il medesimo, con l’essempio di cosa già riuscita felicemente, apportarebbe al sicuro notabilissimo giovamento in universale a tutta quella città.
Sogliono per la maggior parte quelli che o sani o indisposti restano e dispongono delle loro facoltà lasciar a diverse chiese, scole, confraternita et altri luochi pii, parte dei loro beni, i quali però non mutano mai più possessori, per quei recquisiti o strettezze che hanno tutti i beni di chiesa, il che rissulta a danno e preiudicio notabile, così della Serenità Vostra come de suoi sudditti, ma non toccando a me il passar più innanzi in materia di tanta consequenza, mi basterà di haverla accennata, rimettendo al sapientissimo giudicio suo, così in metterla in consideratione, come l’applicarci quel rimedio che ella giudicherà più oportuno.
Resta un disordine in quella città molto preiudicial al servitio publico e particolar, et è questo che dovendo per ordinario il clarissimo conte proveder di case alla stratia et altri sottoposti al clarissimo Proveditor della cavallaria, si dura(?) grandissima fattica, così perché Vostra Serenità li somministra poco danaro per l’affitto, come che queste genti, per quanto ho esperimentato, sono tali che habitano in quelle con pochissima descrittione et estrema rouina delli patroni dell’habitationi, il legname in alcune delle quali si ha ritrovato esser stato o abbruggiato o portato via, in modo che per questi rispetti al presente la città viene a restar quasi il terzo deshabitato, per esser molte casa rotte e conquassate, le quali non vengono restaurate dalli patroni et se la Serenità Vostra non mira a questa importantissima materia, con l’occhio dell’infinita sua sapienza, andaranno sempre le cose di mal in peggio, con danno incredibile, non potendo esser bastevole la diligenza e vigilanza del conte per provedervi, né saprei trovar altro rimedio, se non che la Serenità Vostra si compiacesse di far fabricare qualche alloggiamento, il qual fosse destinato a quella sola qualità di persone.
Queste poche cose Serenissimo Principe ho voluto rappresentar alla Serenità Vostra, sicuro che ella per sua benignità non sdegnerà di gradir il poco che io posso, in cambio del molto che io devo, et come so che per il corso intiero del mio reggimento ho drizzato sempre, in quanto però l’ha consentito la mia debolezza, tutti i pensieri e tutte le attioni mie ad ottimo fine, così ardisco di affermare che quantonque in valore et intelligenza molti mi avanzino, a niuno certo ciedo in candor di fede e pienezza di volontà, ne mi avanzerà qualsivoglia in desiderio di spendere la vita in ogni mia fortuna nel servitio della Serenità Vostra.