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22 dicembre 1593 Antonio da Ca da Pesaro

Relazione

Relazione di Antonio da Ca da Pesaro ritornato di Conte e capitano a Sebenico
22 dicembre 1593

Serenissimo Prencipe, illustrissime et eccellentissimi Signori
Essequendo le prudentissime leggi di Vostra Serenità di doverle riferire quelle cose che ho giudicato degne di sua notitia in questo mio ritorno dal governo della sua città di Sebenico, che è di quella importanza che gli è benissimo noto, per risiedere nel centro della Dalmatia, d’ogni intorno confinata da Turchi, con li quali se ben è pace generale, si vive non dimeno in continui disturbi et travagli, rispetto alla mala natura loro et rispetto ad altre cause che nel progresso del mio ragionamento andarò discorendo, ho deliberato di prettermettere quelle cose che le posson esser state rappresentate per il passato et ciò per non le apportar tedio, come sarebbe quando con longo ragionamento io volessi di correrle del sito di essa città, dell’ampiezza et suo circuito delle muraglie, del numero di quei sudditi, della qualità et conditioni loro et istessamente delle ville di quel contado, perché sarebbe un repplicarle infruttuosamente quello che gli è manifesto, poi che tutte queste cose sono quasi nel medesimo stato o poco differenti da quello che sono restate et conservate dopo l’ultima guerra Turchesca. Et però lasciando questi particolari passarò con buona gratia di Vostra Serenità a quei capi che mi pareano degni di maggior consideratione et più importanti alle cose sue, onde riverentemente le dico.
Che si come quella città è assai ben popolata d’ogni stato di persone, che sono circa 7.000 et più tra nobili, cittadini, artefici et villani, così il manco numero è quello de nobili, più è quello de cittadini, maggiore quello de arteffici et molto più quello de contadini, per essersi questi in tempo di guerra ritirati dalle ville da terra dentro di essa città, di maniera che, come le dirò più a basso, sarà per mio parere necessaria cosa che per sicurtà di essa città gli proveda con l’auttorità sua, o di quel modo che le sarà da me riverentemente raccordato, o come parerà meglio alla sua molta prudenza. Confina la detta città, cosa che non fa alcun’altra di quella Provincia, con due Sanzachi, l’uno di Chlissa et l’altro di Licca, con li quali s’hanno continui negotii et travagliosi affari, per ciò che per ogni minimo accidente fanno grandissimi ricchiami con lettere più tosto scritte all’uso de barbari, come sono, che per dimandare effetto di Giustitia, concludendo sempre le cose loro in bravate et minaccie, che chi volesse contender con l’orgoglioso proceder suo, bisognarebbe star sempre con l’armi in mano o cedendole esser di continuo con la borsa aperta ad ingolarli et presentarli, et con tutto che si faccia questo secondo gl’ordini della sublimità Vostra, manco gli basta, persuadendosi loro che questa cortesia non divenga dalla benigna mano di lei, ma che sia mero obligo della Serenissima Reppublica. Ma certo tra tutte le cose che dalla Serenità vostra sono state sapientemente riformate, quella dell’haver regolati i presenti che se gli danno dalli rettori delle città di quella Provincia, è ottimamente fatta, mentre però che sarà osservata, perché presentando uno più dell’altro, si causa notabil disordine, perché da questa alteratione si fomentano i pravi pensieri et ingorde voglie dei Sanzachi, dando loro causa di dimostrarsi più amici di questo che di quel rettore et più di questa che di quella città, et di più nuovi disgusti, scorrerie, depredationi et altre male operationi; è vero che è cosa impossibile il poter star nel rigore di quel semplice presente che da lei gli viene mandato, perchè quando appresso li Sanzachi non sono presentati almeno due o tre de suoi Turchi principali, come sono Chieccaia, Cadì o altri simili, che sono quelli che governano il paese, questi suscitano continui garbugli, fanno scorrerie, prendeno di quella anime, ammazzano empiamente quei sudditi, impediscono le vittovarie et principalmente de grani et carnazi, et se alle volte non lo fanno in persona lo comettono sotto mano a suoi seguaci, che ne hanno sempre preparati d-e crudelissimi et se delle male operationi se ne dimanda giustitia, questi ministri sono quelli che non pure la impediscono, ma la soffocanno con l’auttorità loro appresso li medesimi Sanzachi, talmente che si sta sempre alla perdita o del poco o del molto et perciò è necessario donar loro ancora alcuna cosa, come è forza aggiunger anco qualche rinfrescamento ben però di non molta spesa alli detti Sanzachi, per non dar loro materia d’alterarsi, vedendosi trattati a peggior conditione de suoi predecessori, ma questo non nasce da alcuna nuova introduttione, ma per quanto ho potuto intravenire da quello che è stato introdotto et usato farsi da molti anni in qua, anzi da quando Clissa passò in potere de Turchi, perciò che essendo all’hora introdotto nuovo Sanzacco a quei confini, fu giudicato che potesse tornare a proposito per ben vicinare che così s’havesse a fare, se ben anco questo puoco o nulla giova appresso le barbarie loro, ma altro non si può fare.
Sono ben all’incontro riseccate molte altre spese che faccevano li rettori che andavano al governo di quella città et che più importa oviato a quel pericolo che per due volte all’anno soprastava non solamente a quei sudditi, ma alla persona del medesimo rappresentatne di Vostra Serenità, con l’haver lei saviamente levato gli abboccamenti che s’haverano con quei Sanzachi, perché gl’interessi et spese publiche che per ciò si facevano eccedevano di gran lunga il presente ordinario, oltra quello che era speso da particolari per honorare accompagnando la persona del rettore; et il pericolo era tale che bisognandosi andare a trovare li Sanzachi fuori della città et ben spesso con forze inferiori, stava in arbitrio de Turchi, il tagliar a pezzi quanti vi si trovavano et sfodrar spada farsi patroni della medesima città. Onde si come questa ottima institutione è stata hormai posta in uso, così riverentemente ricordo a Vostra Serenità, che la faccia inviolabilmente essequire, per le sudette cause et per quelle ancora che dalla somma sua prudenza possono esser molto meglio prevedute et conosciute, che da me dicorse né considerate.
Ha voluto Dio, Nostro(?) Signore, darmi tanto di spirito ch’io habbia con riservato modo proveduto ad ogni accidente, ch’havesse potuto apportar disturbo a Vostra Sublimità in proposito delle ordinarie publiche controversie et contentioni, che sogliono sempre polullare tra quei nobili et cittadini, di modo che le cose sono passate nel mio tempo molto quietamente, anzi posso io dire d’haver havuto tanta gratia che mi è parso godere d’un corrispondente amore tra l’uno e l’altro genere et così anco gli ho lasciati con molto mio contento, è vero certo che io ho posto più di pensiero in questa che in alcun altra cosa, parendomi che così potesse esser grato alla Serenità Vostra et che così ricchiedesse il buon servitio delle cose sue. Et questo nasce dalla superiorità ma è peggio, che molte volte la Giustitia resta per ciò impedita di non poter fare il suo debito corso né di captura né d’altro contra di li rei delinquenti, quando bisogna, et a me principalmente è avenuto che essendo stata necessaria qualche retentione personale, ho convenuto lasciar di farla essequire, per non dar materia d sollevatione a questa gente bassa, come per cosa simile fece per il passato. Onde crederò che per ogni conveniente rispetto potria esser sempre bene il spinger li detti villani ad habitare fuori di essa città. Et per levarli l’occasione di non poter dire che per la guerra passata le loro ville sono distrutte et che non hanno dove andare, se gli potrebbe assegnare per loro stantiare la Punta della Maddalena, che è una parte di continenete che si estende come una lingua dalla parte di Levante dentro nel porto, per mare manco di mezo miglio discosta dalla città, dalla quale in ogni occorrenza potrianno esser soccorsi e diffesi oltra che quel luogo è serrato dalla parte di terra da una cortina di muro che gli assicura da ogni improviso accidente, o d’incursione de Turchi o d’altra mala gente.  Et parimente commettere che quei contadini che erano delle ville dalla parte di Ponenete, hora occupate da Turchi, s’havessero a ridure ad habitare appresso la torretta da buora(?), ch’è una delle due che sono al Stretto del canale e che di ordine publico furono smantellate in tempo di guerra, perché oltre che si sollevaria la città dal già detto pericolo et da qualunque altro che potessero apportare gl’accidenti venturi, si veniria ad assicurare assai più la campagna da incursioni Turchesche et da huomini di mal fare, che non è al presente imperò che quando questa sorte di gente rustica temesse di perdersi con le loro famiglie, starebbe molto più occulata, che non fa così nel ben guardarsi, come nell’astenirsi di non dar delle male sodisfattioni a Turchi, come fanno alle volte col tenir mano con Uscochi, tall’hora col rubbargli degl’animali che volesse Dio che non lo facessino da che ne nascono ben spesso esclamationi dei Sanzachi et molte volte anco dell’istesso Bassà.
Sovviemi di dire questo ancora alla Serenità Vostra, che sarà bene il smembrar queste genti fuori di essa città, per che si come per l’obedienza che per il passato solevano dare ad ogni minimo ceno delli rappresentanti della Serenità Vostra, diedero materia all’eccellentissimo signor Marchio Michiele di felice ricordo, mentre era suo capo general da mare di ridurle sotto regola di disciplina militare et ne instituì ordinanaze, le quali poi furono rinovate già dieci anni, con notitia di lei, anzi per questo effetto ella gli mandò circa trecento archibusi, così hora voltando il tutto a contrario effetto, non pure non fanno alcun publico servitio per custodia di quei confini, per bisogno che sia, ma quelle armi che furono loro date per questo principal rispetto le tengono, credo io, più tosto per mal usarle che per fine di voler prestare il dovuto servitio, poi che mai si movano per importante accidente che sia fuori della città, il che non procede da altro che per non temere l’ordianria giustitia di quel regimento, che non ha forze di poterli castigare, et per esser allettati nelle commodità che sentono dall’habitare dentro di quelle mure, di maniera che in tanto la Serenità Vostra si può prometter bene di questi villani, in quanto non vorrà Dio che prendino occasione di voler adoperar le dette armi dentro della medesima città. Se mo’ la Sublimità Vostra si promettesse che la militia Italiana che ella tiene a quella piazza alla porta di Terra ferma et nel Castel Vecchio, che sono in tutto fanti ottanta, sotto il governo del Rosso d’Ascoli, le dico che in ogni evento di sollevatione di essi villani, non solamente questo numero di militia, ma sei volte più non sarebbe sufficiente a rimettere non che opponersi alla furia et potenza di questa gente, ma ne anco ad impedirle alcun minimo loro sinistro pensiero, anzi per questo particolar rispetto le direi che  poi che questo poco pressidio non può mantenire quella città da qual si voglia avenimento o di dentro o di fuori, mandandosi o non si mandando li contadini ad habitare la campagna, si potria scansare la spesa di quel governatore et della sua compagnia, poi che vista infruttuosamente, perché aggiungendosi solamente dieci fanti al capitano della porta et altri dieci al castello, non per altro che per fare le sentinelle et guarde notturne alle muraglie, et per tenire dodici soldati a Verpoglie, che di mese in mese si mandano tratti dal corpo di tutta essa militia, basterebbe a tutto il bisogno che ha quella città a tempo di pace.
La Serenità Vostra ha riverentemente da sapere, oltre quanto gli ho fin qui ragionato, che la detta sua città non cava da quel territorio biave per il trattenimento et vivere di due mesi, et che il restante dell’anno si mantiene di quelle che riceve mercantilmente dal Paese Turchesco, di modo che quando non ne ha per questa via, le cose di quei sudditi passano molto strettamente, ma che è di maggior consideratione nasce questo inconveniente che oltre il patimento di essa città, quel castello et quel importantissima fortezza di San Nicolò restano come sono tuttavia senza munitione pur d’un grano di biave né altro hanno mai che quanto giornalmente gli è sovvenuto dalla medesima città, ma quando non ne ha per suo bisogno, manco può somministrare a quelli delli detti due luoghi. Però riverentemente ricordo alla Serenità Vostra che per ogni buon rispetto ella faccia ponervi dentro qualche staro almeno di meglio, o d’altro grano, sotto quelle regole et ordini che le parerà esser bene, affine che in tempo di qualche accidente non restassero assediati et per ciò cadessero in qualche irremediabile disordine.
Sono la detta città, castello et fortezza assai ben fornite d’artellarie di varie sorti, le quali come sono tutte notate nei suoi inventarii, così sono molto mal fornite di ruode, letti et altri legnami, si che conviene che glie ne siano mandati, perché in occorrenza molte boche non si potrebbono adoperare, anzi se al mio giunger a quel governo io non gli vi havessi fatto fare li suoi mantelletti, overo caselle di tavole, le ruode et letti, sarebbono fin qui totalmente marciti e guasti, ma questa opera gli ha pure meglio conservati.
Con questa occasione non voglio restare di dirle anco del particolar bisogno che ha a sudetta fortezza di San Nicolò, il quale è che essendo tutta voltata e tenendosi a pello d’acqua molti delli più belli et maggior pezzi continuamente su le ruode si mar[c]iscono così fattamente esse ruode e letti, che la Serenità Vostra ha una spesa troppo grande oltre che venendo il bisogno d’adoperarle non se ne potria prometter alcun securo servitio, procedendo questo dall’humidità che grandemente risente sotto li volti, così per rispetto del mare che gli batte d’ogni intorno, come per non havere al di sopra tanti spiracoli, overo aperti che bastino a rissolvere la detta humidità, di maniera che se dalla Serenità Vostra non gli sarà proveduto venirà ad havere una perpetua spesa et in bisogno di doversi valere di quelle artellarie, non potrà, ma la provisione per opinione mia è tanto facile quanto è necessario che sia fatta et si potrà in questo modo, che ella dia ordine che quelle artellarie che sono sotto li detti volti, siano scavalcate dalli letti et poste sopra li suoi cavalletti, che se gli faranno per questo rispetto di legname di rovere o d’altro legno durabile, tenendoli però sempre alli suoi luoghi dissegnati, perché in un punto si possino reponere sopra li medesimi letti, con quei inzegni che sano adoperare quei bombardieri. Et per conservare le ruode et letti che se gli leveranno di sotto, è necessario trovar luogo coperto et asciuto, et però vi è la casa del capitano di essa fortezza, la quale non solamente è alta et capace per questo effetto, ma commoda et idonea, però se gli potranno poner et resservar dentro et dare al detto capitano due di quelle altre casette de soldati che ve ne sono de buone et assai recipienti, per che certamente se piacerà alla Sublimità Vostra di fare quanto io gli ho predetto, sparegnerà non pure la molta et quasi continua spesa che ha nel rinovare li detti letti et ruode, che da un anno in poi che stanno al basso si fanno inutili, ma li conserverà che in ogni evento gli haverà in pronto, buoni da potersene valere, nel resto poi da me operato a sicurtà della detta fortezza, mi reporto a quanto le scrissi a 25 d’agosto ultimamente passato.
Con lettere mie di X [dieci] d’agosto del 1592 avisai li illustrissimi signori proveditori sopra l’artellaria et con altre mie di 5 settembrio passato significai alla Serenità Vostra il puoco et inutil numero delli bombardieri che sono così nella città, castello et fortezza, come del poco servitio che possono prestare per esser hormai vecchi et fatti inutili, accioché da lei fuse proveduto di quel modo che le havesse meglio piaciuto, per il buon servitio delle cose sue, hora riverentemente le repplico il medesimo parendomi che così convenghi all’obligo mio et acciò che lei sapia quali sono li detti inhabili, rimetterò li loro nomi al fine di questa mia relatione. Et perché la presente matteria de bombardieri mi da occasione di aggiungerle la dico che dalla Serenità Vostra sia rinovato l’ordine suo di 24 d’ottobre 1587 acciò che sia mantenuta et essercitata la scola di quei scolari bombardieri, per quel rispetto et buon servitio che in ogni occorrenza si può havere di questa sorte di gente e dentro e fuori di quella città.
Ho detto alla Serenità Vostra del bisogno che ha la detta città di dover esser assicurata, che non sia come ho accenato in potere de villani, ove ho trattato che è necessario mandarli fuori, hora mi pare che sarebbe anche bene et servitio publico il diminuire il numero di quella cavallaria, cioè delli 60 cavalli che sono a quella custodia, ridurli in XXV [venticinque] soli sotto il comando del governatore di essa cavallaria, il qual però havesse a stantiare continuamente a Verpoglie, perché tutto il bisogno che si ha delli detti cavalli è verso quella parte, da dove partendosi possono in ogni accidente soccorrere in un punto alli bisogni, cosa che non ponno fare mai stando dentro della città, essendo che se fussero mille cavalli, non che li soli 60 che sono, non possono trovarsi mai a debito tempo su fatto del mal fare degli huomini cattivi, così per rispetto della distanza che è dalla detta città al campo di sopra, parte più infestata di tutte le altre di quel territorio, come perché sono così cattive et sassose le strade, che se bene volessero non possono non pure correre, ma ne anco seguitar di galoppo li malfattori, oltre che dalla città al detto campo di sopra vi sono 12 miglia di distanza et da Verpoglie uno o poco più, talmente che stando in Sebenico la spesa è grande, il servitio è poco et spesse volte il male è molto, per le sudette cause et assai più perché in tempo di guerra la Serenità Vostra non ne riceverà mai alcun servitio, attesa la superiorità dei Turchi, come poco o niun frutto ne ha sentito per il passato.
Verpoglie è la sicurtà et posso dire l’antemural di tutto quel contado dalla parte di Levante, così per dar ricetto alle genti della campagna, come per essere un stecco negl’occhi a gl’huomini di mala fare. Questo è luogo che è guardato da 12 fanti Italiani, che si cavano de mese in mese dalla militia della città, castello et fortezza, et appresso a questi vi sta una compagnia de otto cavalli, la quale se cambia de otto in otto giorni, et oltra questi vi sono anco alcuni pochi villani che vi habitan con le loro famiglia, ma vi stanno mal volentieri, per non havervi dentro di quelle commodità che godono quelli che sono nella città.
Questo è luogo che in tempo di guerra non si deve nè si può conservare, perché è talmente propinguo a confini de Turchi, che in ogni evento si perderebbe in pochissime hore, così perché essendo lontano per più di sei miglia dalla marina, non si potria soccorrere, come se ben anco si soccoresse non ha riparo da potensi diffendere da un minimo abbattimento di mano, non che dalle forze et possanza Turchescha, per ciò che non è altro se non un ridotto d’una semplice masiera fatta a secco, senza alcun altro requisito. Per tanto direi che in ogni accidente di guerra sarà sempre bene il spianarlo, per non dare occasione a Turchi di tentarlo con l’armi, come hora che è pace è cosa non meno utile che necessaria il matenirlo, perché conservandolo ne risultano quei buo[n]i effetti che ho prenarrati alla Serenità Vostra, et con la sua preservatione si mantengono li confini tra li suoi antichi termini, ma si come il detto luogo è di quella importanza che gli ho predetto, così conviene per non dar materia a Turchi di fare esclamationi, che sia tenuto netto d’huomini di mal fare, il che sarà bene che dalla Serenità Vostra sia efficacemente comandato.
Sogliono molte volte partire dal Paese Turchesco alcuni di quei sudditi et capitare in quel contado, et credo che succede anco per gl’altri territorii di quella Provincia sotto pretesto di non voler più vivere sotto la tiranide Turchesca, et essendo ben spesso stato giudicato dalli rappresentanti di Vostra Serenità che potesse esser bene in darle ricetto, sono stati accettati e trattenuti, ma questi d’animo inquieto et di poca fede, dopo fatti prattici del paese et del scito, o sono riffugiati in Turchia dove sono stati sempre gratamente ricevuti overo son passati a Segna e fattisi Uscochi, di modo che tolta prattica del territorio, delle contrade et siti, vi entrano poi sicurissimamente a danneggiare, con molto travaglio et pericolo delle cose publiche, oltra che si vagliano della stretta amicitia et famigliarità già contratte con qualche suddito di mala intentione.
Però dico riverentemente alla Serenità Vostra che sarà sempre bene che ella commetta a suoi rappresentanti in tutta quella Provincia, che non debbano dar ricetto a questa sorte di gente transfuga, perché al sicuro si ovvierà a molti delli sudetti inconvenienti.
Ho detto alla Serenità Vostra che quella città confina con doi Sanzachi, uno de Clissa l’altro de Licca, peso o per meglio dire travaglio, che non sente alcun altra di quella Provincia, oltre che a Bagnaluca vi è il Bassà della Bossena con suprema auttorità et però sarà bene, s’io non fallo, che lei dia in commissione al clarissimo Baillo in Costantinopoli che stia sempre avertito che non sia rimandato a questi confini né Mustaffa, che era Sanzacco de Clissa nepote del Gran Signore, né tenuto in Licca Imbraim, che era figlio di Memibegh, perché essendo l’uno e l’altro giovani superbi et incorrigibili, così s’hanno sempre dimostrati inquieti, mal affetti et inventori di molti disturbi et finalemente promottori di tutti quelli travagli che si hebbero in quel contado all’hora che vi penetrò dentro Ferrat Bassà, per essere instruttissimi dei mali pensieri e delli inganni del detto Bassà, tentati contra li detti confini et contra il luogo di Verpoglie, anzi tutti dua sottoscrisse la querella che dell’anno 1588 egli mandò alla Porta, perché quando vi starà Imbraim che è in Licca et per avventura Mustaffà ritornasse a Cliassa, per ogni minimo humore che venisse in testa ad alcun di loro si potriano rinnovare li passati disturbi.
Riverentemente le rappresentai con lettere mie di primo settembre passato, il molto bisogno che ha quella città d’esser sovvenuta de sali et le dissi li rispetti per i quali la Serenità Vostra gli ne doveva mandare, onde rimettendomi alle dette lettere mie, per non tediarla hora di nuova letture in questo medesimo proposito, non gliene dirò altro, ma quello che mi resta d’intorno a ciò et d’altri particolari concernenti l’interesse delle cose sue in questo proposito et di quelle saline, con sua buona gratia ne darò conto all’illustrissimi signori Proveditori al sale, perché poi sue Singorie eccellentissime possino portare dinanzi a lei quel più e manco che le parerò degno di sua notitia.
Non mi pare di dover dir altro a Vostra Serenità dell’importanza di quella città, della debolezza delle muraglie et della facilità che haverebbono Turchi ad impatronirsene, quando la volessero, perché pressento che questo più d’una volta gli sia stato per il passato puntualmente referito da altri publici rappresentanti, ma non voglio già restar di dirle che è tale la commodità che haverebbono Turchi di fabricare et conservare ogni grossa armata dentro di quel canale, che penetra nel suo paese, più di 12 miglia, che non potrebbono avere né desiderare luogo più atto né più sicuro di quello, et però lei è sapientisisma gli potrà poner quel pensiero che è solita sempre fare per conservatione delle città et cose sue, che per me non saprei dirle cosa d’intorno a ciò che non sia stata prima veduta et conosciuta.
Manco le rinovarò quello che gli è manifesto, cio è che quella sua Camera fiscale è così povera che non può resistere alli salriati et stippendiati suoi ordinarii, che se non fusse sovvenuta dalla cassa dei sali, quando però ve ne sono, quei poveri mercenari che per il più sono forestieri, sarebbono necessitati partirsi da quel necessario servitio et procacciarsi il vivere per altra via, perché io non vorrei esser tenuto per troppo prodigo del suo danaro, ma così è certamente perché essendo cessate le mercantie del paese Turchesco, ristrette anzi serrate quelle de Fiume et finalemente per esser quei sudditi talmente impoveriti che non hanno modo non pure da mercantare, come solevano, ma ne anco da guadagnarsi il vivere, è cosa necessaria che da lei sia mandato qualche sovegno alla detta Camara o di sale o per qualche altro modo che parerà alla gratia et benignità sua.
All’andar mio a quel reggimento, mi furono dati di commandamento della Serenità Vostra dall’officio sopra le Camere mille ducati, acciò che doppo investiti in tante biave per bisogno di quella città, io havessi in anzi il partir mio a sodisfar le due ultime paghe a quella militia, quanto al pagamento l’ho fatto intieramente conforme all’ordine di Vostra Sublimità, ma quanto all’investirlo non ho havuto occasione alcuna d apoterlo fare, se non con qualche intacco del capitale, per ciò che al giunger mio a quel governo trovai che la medesima città haveva fatto una investita di mille e cinquecento ducati in tanti grani, li quali m’impedirono che non puoti impiegare li detti denari come era mio desiderio ma però gli ho sempe tenuti ad uso di essa militia, nel sovenirla fino a tanto che è venuto il tempo di saldarla de tutto in tutto, si come ho fatto, il che sia per riverente aviso a Vostra Serenità et si come con lettere mie ne diedi  conto di tutto questo alli medesimi signori Sopra le Camere.
Delle cose d’Uscocchi io non mi estenderò in dir altro alla Serenità Vostra, non mi parendo ragionevole ch’io metta la mano in quello che immediatamente risiedeva sotto la molta auttorità dell’illustrissimo signor Almorò Thiepolo suo Proveditor generale in Colfo, perché non potrei altro dire se non che questo signore ha dimostrato tanta prudenza et valore contra quei ribaldi, che non solamente gli ha ritenuti dalle continue infestationi che davano a Turchi, col transito che havevano per li territoriii delle città di quella Provincia et di Sebenico specialmente, che haveva quietato così fattamente i mali pensieri che per ciò havevano quei ministri Turcheschi, ch’io principalmente posso dire d’haver goduto un continuo rioposo, il che sarà anche per l’avenire s’io non m’inganno, mentre però che questa trista gente non rassarà per mare a danni de Turchi, ma quando sia che habbino a passare et a perseverare nelle loro insopportabili insolenze, come hanno di nuovo cominciato, auguro che non lo voglia Dio, la total rovina di quella città, ma di quella Provincia insieme, perché pretticando gl’Uscochi in quelle parti non solamente loro danneggiano il Paese del Gran Signore, ma corrompono li sudditi della Serenità Vostra col participare delle prede et ad havere con loro intelligenze secrete, le quali commovono Turchi a gagliardi resentimenti, che quando poi lo possino fare, senza ostaculo, non deve essere alcuno che non lo debba credere indubbitatamente, oltre quello di più che in conseguenza si potrebbe tirrar dietro materia di tanta importanza.
Mi è stato necessario tenire diverse spie nel paese Turchesco, per haver qualche aviso degli andamenti et pensieri de Turchi, de quali giornalmente ne ho dato conto alla Serenità Vostra, et queste tutte sono state persone del medesimo paese, le quali allettate dall’utile m’hanno dato de buoni avertimenti et con tutto che s’haverebbe speso  buona summa di danaro, quando io havessi pagato questa gente a contadi, ma per non dar tanto interesse a quella Camera, in tutto’l tempo del regimento mio gli ho donato in diverse volte et a varie persone fino 400 cabli di sale, che ad un mocenigo il cablo fanno una summa di ottanta ducati, pochissimi rispetto a quelli che s’haveriano spesi quando io non havessi trovato questo temperamento et però gliene ho voluto dar particolar conto, affine che ella sapia anco alcuna cosa di questa puoco ma ben util spesa.
Et perché dalla cognitione che in due reggimenti che er gratia di Vostra Serenità mi è toccata servirla in quella Provincia, prima a Zara et poi a Sebenico, ho compreso che gli accidenti che occorreno a quei confini, muoveno grandemente  gli humori al Gran Singore, quando o da quei Sanzachi o da quel Bassà gli viene scritta alcuna cosa, o vera o falsa che sia, di modo che ne risultano continui travagli, disturbi et pericoli, et che è peggio ne seguono occisioni di quei sudditi, prede d’anime, incendi et distruggimenti di ville, et che non manco importa mille garbugli per occupare quei purtroppo ristretti confini. Il che nasce perché se ben loro sono li primi a far dei mali, sono anche li primi a far querelle et pigliando il tratto inanzi fanno buone le loro ragioni et in luogo d’esser ripresi et castigati, vengono favoriti et eccitati a far di peggio et questo aviene per non esser alcuno almeno a Bagnaluca, ressidenza di esso Bassà, che a nome di Vostra Serenità havesse da suppire questi mali effetti et procurare che gli huomini rei fussero se non castigati almeno ritenuti dal mal fare, hora con querelle, hora con officii, altre volte con altri mezi convenienti, perché quando questa publica persona fusse in quel luogo, la Serenità Vostra senza dubbio non sentirebbe la decima parte dei disturbi che gli vengono ogni dì rappresentati da suoi rettori et quei sudditi viverebbono con maggior quiete et più sicuri che non fanno, onde parmi di riverentemente dirle che sarebbe bene che lei ne destinasse una, la quale havesse anco qualche intelligenza delle cose di mercantia, come hanno li consoli, che vanno nelle altre parti del mondo, perché Bagnaluca è luogo di molto traffico, accioche cadaun mercante havesse anco da cui riccorrere in ogni suo bisogno; et che la medesima persona tenisse oltr di ciò, appresso di se quella sorte di ziffara che paresse alla Serenità Vostra di darle et una conforme ne havessero li rettori di Zara, di Sebenico, di Traù  et di Spalato, acciò che potessero passare di qua e di là delle cose secrete et di quelle che non si sanno, né si possono saper mai dei pensieri de Turchi, per non v’esser persona che le faccia sapere, perchè secondo il parer mio sarebbe una delle migliori et più utile cose che forse si potesse fare. Et perché questo non si potrebbe essequire, se non col  consenso et auttorità della Porta et senza qualche spesa, quello Vostra Serenità lo potria facilmente ottenere col mezo del larissimo Signor Bailo, et questa cavare dalle mercantie che si trazeno da questa città per la Bossena, o per qualche altra via che le paresse meglio. Ho voluto riverentemente raccordarle questo particolare, perchè ho toccato ocn mano che per haver io solamente ritrovato in Sebenico il benemerito et fidel Iseppo Matthiazzo, intelligentissimo del governo di quella città et singularmente delle ragioni di quei confini, delle quali egli è instruttissimo et zelantissimo del servitio publico, non solamente io non ho sentito trevaglio in questo proposito, ma posso dire che havendomi servito de molti avertimenti suoi, ho superato ogni dificultà et ogni garbuglio Turchesco, il quale per ciò raccomando con molto affetto alla gratia et benignità di Vostra Serenità affine che egli possa continuare in quella città per così utile et necessario servitio, ricercandolo così il bisogno di lei et specialmente a questi presenti tempi. Io non dirò altro alla Sublimità Vostra di quel Reverendissimo Vescovo, che come cittadino cremasco è suddito suo, perché delle conditioni et qualità sue gliene ho scritto più d’una volta, essendo che col dirle hora alcuna cosa di più crederei apportarle più tosto molestia che gratitudine, poiché io so d’haverla pur troppo fastidita con tanta scrittura, ma humilmente la supplico a degnarsi d’havere il tutto in buona parte, tenendo per certo che nissuna cosa m’habbia mosso a così longo ragionamento se non il zello del buon servitio delle cose sue.
Nelli ultimi giorni ch’io era per partire da quella città, mi sopragionsero le lettere di Vostra Serenità di 16 d’ottobre passato, che mi comettevano che per via provisione io mi valessi di quei soldati per custodia della contraposta che io vi ho fatto fare et per il resto del bisogno di quella fortezza di San Nicolò, onde riveduto diligentemente il rollo di quella militia e tle guarde che fa, mi son risolto per non potersi far di manco, di levare otto delli fanti della compagnia del governatore che guarda la piazza della città, et giungerli alla detta fortezza, parendomi che molto più importi il guardare essa fortezza di quello che cpme poco avanti ho riverentemente discorso a Vostra Serenità, sia necessaria la guardai di essa piazza. Et perché le cose di essa fortezza passino con quel debito riguardo et con quei rispetti che riesca l’interesse publico, vi ho posto li presenti ordeni, quali quando possino esserli grati, potrà con la suprema auttorità sua comettere la sua osservatione.
Et perchè li detti otto sodlati non habbino questo incommodo di dover di giorno in giorno passare dalla città alla fortezza, Vostra Serenità potrà farli levare dal rollo del governatore et aggiungerli a quello di essa fortezza, almeno fin tanto che da lei sarà fatta qual’altra provisione che parerà alla sua molta prudenza, alla quale et in questa et in ogn’altra cosa fatta et operata da me mi rimetto, si come tuttavia m’occorre di riverentemente raccordarle, che sarebbe bene che da lei anco fusse dato ordine in armata che non potesse in tempo di notte entrare alcune galera dentro di essa fortezza, perché sotto nome di gaere della Serenità Vostra ne potrebbono entrare delle Turchesce et senza alcuna difficultà darle qualche disturbo, si come anco di questo particolare so di havergliene con lettere mie dato particolar conto. Gratie.