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26 marzo 1617 Gerolamo Zane

Dispaccio del 16 aprile 1617

N. (senza numero)

Serenissimo prencipe
alli giorni passati furono fatti preggioni sopra quest’isola da una barca d’uscochi doi pastori di queste mandrie, li quali essendo ritornati hoggi a circa mezo giorno a casa, ho fatto subito venire uno d’essi alla mia presentia, poiché l’altro s’attrova amalato, et tolto il suo constituto ho stimato debito di subito inviarlo alla Serenità vostra, si come faccio con la presente a finché la resti informata del tutto. Havendo anco l’istesso constituto mandato con la medema diligenza all’eccellentissimo signor generale in Dalmatia, il quale, per quanto intendo, è passato alla volta di Curzolla. Gratie.

Di Cherso a 16 aprile 1617.
Hieronimo Zane conte e capitano.

Allegati: costituto del pastore preso prigioniero dagli uscocchi (n°1).

Allegato n°1

In lettere di Cherso de 16 april 1617.
Adì 16 aprile 1617
Fatto venire de mandato dell’illustrissimo signor conte et capitano di Cherso alla sua presentia un giovane vestito all’usanza dell’isola con barba castagna, d’ettà d’anni trenta in circa, et interrogato del nome suo, cognome, padre, patria, et essercitio, rispose.
Ho nome Giacomo Pauglievich di quest’isola, pastore nella mandria Plat, et mio padre haveva nome Nicolò, qual è morto, et faccio l’essercitio di pascolar gl’animali. Interrogato: se alli giorni passati è stato fatto preggione da uscochi. Rispose: Signor si, ch’io et Francesco Matrovich pastor ancor lui in detta mandria alli 11 del mese di marzo passatto siamo stati fatti preggioni da uscochi in questo modo, che quella mattina di 11 essendo stati mandati dal bravaro a rivedere gl’animali per la mandria, ch’era un grandissimo caligo, il mio compagno non si tosto gionse alla marina, che fu retento da una barca d’uscochi che era ivi, et io essendo rimasto alla guardia, subito ch’io mi accorsi di detti uscochi mi posi alla fuga, et essi si missero a seguitarmi et mi feccero preggione, et condussero in barca. Interrogato: quante barche. Rispose: era una barca sola, capitano della quale era un’Andrea Ferletich, et essi potevano essere al numero di sessantatre. Interrogato rispose: questo capitano Ferletich è di ettà d’anni trenta in trentasei, negro in viso, di statura alta, ma di brutta fisonomia. Interrogato rispose: tra il numero di quest’uscochi non credo che ne fussero vinticinque di buoni, ma gl’altri erano vecchi et putti. Subito che fossimo fatti preggioni, et condotti in barca, stessimo là ascosi sopra l’isola in una grotta tutto quel giorno, et la notte a circa hore doi si partissimo dal detto luoco et andassimo alla volta di scogli di Zara, et gionti al scoglio di Scarde trovassimo una barchetta, nella qual’era un Martin da Selve con doi altri compagni, quali andavano cercando lavorenti, et fattili preggioni affondorono la barchetta, et di poi capitati al scoglio di Melada ritrovassimo un vassello di Puglia, che credo fosse di Giulia Nova, in tre arbori, nel quale feccero preggioni essi huomini et gli tolsero pan, vin, et zaladia, che havevano et poi lassorono detto vassello coì sorto senza huomini, ne per’altro effetto menorono via essi Pugliesi, se non perché non havessero occasione di manifestare essi uscochi. Partiti da Melada andassimo ad’un altro porto nominato Smochizza, dove rittrovato un vassello pur Pugliese carico di pane et vino, ne tolsero gl’uscochi quella quantità che volsero, et per pagamento della robba gli diedero tanta carne né gli fecero altro dispiacere, ne meno feccero preggioni gl’huomini, ma solamente li sagramentorno, acciò non dicessero cosa alcuna, né li palesassero. Et nel partir fuori di detto porto, havendo scoperto sopra una di quelle ponte un putto che pascolava gl’animali, alcuni d’esse uscochi smontorno in terra et lo feccero preggione, conducendolo sopra il vassello Pugliese et consignandolo al patrone, acciò lo menasse via perché non potesse palesare ad’ascuno li andamenti et viaggio d’essi uscochi. Interrogato rispose: partiti dalli scogli di Zara andorono vogando alla volta di Traù, dove in una grotta stetero ascosi dalla mattina fino la sera, et in questo mentre essendo capitati alla marina doi vecchi che pascolavano gl’animali, doppo vaher raggionato con’essi, et datoli giuramento a non palesarli, li licentiorno, et noi la notte si partissimo, et nel viaggio rittrovati tre tragurini in una barchetta che pescavano, li feccero preggioni, havendo affondato la loro barchetta. De lì poi continuando il viaggio rittrovassimo in mare doi vasselli perastini che vellizavano carichi di formenti, a quali accostatisi gl’uscochi con fenta ch’erano di barca armata e parlando all’Albanese gli furono adosso,  et ne ammazzorono sette perastini, quali si havevano gettato all’acqua, et quattro altri feccero preggioni, tra quali era il patrone nominato Triffon da Perasto et un Zanne Zoccolovich parimente da Perasto. Interrogato rispose: doppo fatti detti preggioni li posero nella loro barca et tolsero fuori delli vasselli quella robba che gli parse, cioè pan, vin et danari che trovorono, et poi li affondorono con tutto il carico. Interrogato rispose: li detti patroni Triffon et Zuane pregorno gl’uscochi che non li ammazzassero, promettendogli di taglia l’uno tresento toleri, et l’altro dusento, et così non l’hanno ammazzatti ma condotti seco. Et quella notte istessa capitati pure sopra la giurisdittione di Traù, dove sta un Romiso[?] si fermorono ivi ascosi in una grotta tre giorni, et tre notte trattenuti da Siroccho, che non potevano andar avanti, anzi che tirrorno anco la barca in terra. In capo di tre giorni bonazzato il vento si partissimo pate velizando, et parte vogando, et si conducessimo ad’un altro luoco, che non so dirvi che luoco fosse, perché non ho prattica di quei paesi, dove trovata una barca con alcuni huomini dentro, gl’huomini scamporono in terra, et fuggirono via ch’erano pescatori, et in barca gli trovorno del pesce, pan, vino, et rede, et il tutto gli tolsero affondando poi la barca, et smontati in terra tolsero da cinquanta castradi et poi si partissimo andando alla volta di Curzolla, havendo fatto tra essi deliberatione di saccheggiarla. Ma attrovato in un porto un vassello in forza di marciliana lo presero, et s’impadronirono, il quale era carico d sale, oglio, felzade, cordovani et altre merci. Interrogato rispose: potevano essere doi miara, et più quarte di sale, dusento barille di oglio, quaranta mazzi di cordovani, felzade sessanta sei, dogle ottocento, sie miara di naranzi, doi mazzi grandi di cera che non posso sapere la quantità. Interrogato rispose: intesi che il vassello era veneciano, et andava a Venetia, ma non ho inteso il nome del patrone, ne di dove venisse, et haveva sopra quatto o sei pezzi d’artelaria, et condussero di longo via detto vassello con la robba sotto vento a Pescara, dove gionti subito ne fu data prattica, et smontassimo tutti in terra. Interrogato: che cosa hanno fatto delle robbe ch’erano nel vassello. Rispose: mentre si trattenessimo in Pescara, andavano gl’Uscochi vendendo il tutto, et facendo danari, che gli era stata data libertà di farlo così dal Marchese di Pescara come anco era venuto ordine dal vice re di Napoli, et il sale lo havevano posto in un magazeno. Interrogato rispose: gli uscochi ne havevano dato libbertà di caminare per la città, ma perché quattro d’essi erano andati a Napoli et havevimo pressentito che ne voleva vendere, si rissolvessimo di fuggire tutti noi schiavi al numero di sedici, si come facessimo, et hoggi a punto sono giorni quindeci che siamo fuggiti. Interrogato rispose: usciti di Pescara si ritirassimo fuggendo sopra il Stado del Papa, et capitati alla santissima Madonna di Loretto, et poi in Ancona sempre elemosinando per vivere s’imbarcassimo, et gioni a Selve sopra la giurisdittione di Zara, io et il mio compagno siamo venuti alla volta di Ossero, et questa mattina a circa mezo giorno siamo gionti a casa, dovve son venuto subito alla presentia di Vostra Signoria Illustrissima, per fargli sapere questo mio ritorno, non havendo potuto venire il mio compagno per esser’amalato. Interrogato rispose: mentre si havemo trattenuti a Pescara habbiamo veduto che detti Uscochi erano benissimo visti, et accarezzati da quei popoli, anzi ch’intesi che a quattro d’essi principali, quali erano andati a Napoli, il vice re gli haveva fatto un donativo di cinquanta scudi per cadauno. Interrogato rispose: al nostro partir da Pescara gl’Uscochi restorono ivi, et dicevano di venire presto a casa, et che erano carichi di danari. Interrogato: se ha inteso cosa alcuna di bertoni spagnuoli. Rispose: a Pescara non abbiamo inteso cosa alcuna, ma solamente nel viaggio intendessimo che nove d’essi erano passatti alla volta di Curzolla, altro particolare non so dirvi. Subdens expose: detti uscochi minacciavano grandemente al popolo Chersino, dicendo apertamente che quanti ne attrovarano vogliono ammazzarli, et cavarli il cuore, et questo per’occasione d’un’uscocho, che già un anno fu fatto morire, et annegare qui in Cherso. Che se non fosse ciò stato fatto, non haverebbero mai fatto […]. Interrogato rispose: non si tosto giongessimo a Pecara che vennero littere, et avisi agl’uscochi, che gli erano stati serrati li passi dall’armata venetiana. Interrogato rispose: ci trattavano malamente gl’uscochi mentre erimo schiavi, poiché a pena ci davano un pezzo di pane al giorno, ve so dire che viaggio habbino deliberato di fare, perché non si lasciano intendere. Interrogato rispose: questa barca d’uscochi non era ancora impegolada, ma solamente conza con il secco, et in Pescara gli hanno fatto fare le falche, et il spirone, et che di banchi sedici di longhezza. Quibis habit.

AS Venezia, Senato, Dispacci, Dalmazia, b. 16.
Trascrizione di Marco Rampin.