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22 dicembre| 1649 Filippo Boldu

Dispaccio del 3| gennaio| 1650|

N. (senza numero)

Serenissimo principe,
diverse feluche ponentine si sono sparse ultimamente per questi mari, infestando la navigatione et svalleggiando ogni conditione di persone, senza distinguer i sudditi della Serenità vostra, havendo li giorni passati spogliato doi barche di questo canale che erano andate a caricar vino nelli porti di Giuliana; ho stimato però complire a pubblici interessi di ispedirle, come ho fatto subito, in tracia la galea et doi barche armate di questa guardia, con ordine di fermarne alcuna ad oggetto di rimover quanto più sia possibile così rilevante pregiuditio.
Continuando i niarchi [?] nelle premure di veder adempite quelle brame che li possano render stabiliti nella pubblica devotione et nella desiderata tranquilità, et per loro contento, supplicano la permissione a due di essi di venir ad humiliarsi ai piedi della Serenità vostra, come più distintamente comprender potrà dal senso dell’occluso constituto, il quale colle predette notitie trasmetto in adempimento del mio humilissimo debito anco all’eccellentissimo signor general, coltivando intanto l’animo dei medesimi popoli con tutte le rimostranze di più affettuosa indubitabile publica predilettione, et della perseverante ottima volontà di renderli al possibile consolati.
Il sangiacco di Erzegovina, seben partito di Castelnovo, come divotamente significai con le precedenti di 31 del caduto, si è diversi giorni fermato sopra quella giurisditione della quale, per l’ultimo riporto che tengo, si è allontanato cinque giornate.
Quello di Scutari è stato li passati giorni ad abboccarsi con i popoli di Barda [?], et a procurare l’aggiustamento tra i lucci [?] et quei di Podgorizza, che però non vi è certezza lo habbi conseguito.
Mi ritrovo dupplicate commissioni dell’eccellentissimo signor general di permettere la licenza al signor […] La Longa, cessati i sospetti a questi confini, in virtù delle ducali della Serenità vostra. Con la presente fregata lo accompagno all’eccellenza sua, onde sopra la notitia et stato di queste decorrenze rissolva ciò che più stimerà con la sua infalibile virtù, non potendo io che compatire le angustie di questo soggetto, che, accompagnate dal merito di lunghe et fruttuose fattiche, lo rendono degno di respiro, come dall’altro canto rissentire vivamente la sua luntananza per i requisiti che possede di virtù, et di una singolar esperienza dei confini et della natura dei popoli.
Io credevo certamente a questa hora veder sovenute queste necessità con tante proviggioni deliberate, delle quali, in sette mesi che hormai mi trovo a questo servitio, altro non è pervenute che doi soli vascelletti di biscotto, riddotto anche esso a gran mancanza, continuando tuttavia queste povere militie nella horidezza [?] dei tempi presenti a languire, senza drappi et senza gabbani, et le ciurme di galea et genti di barca armate senza tende, scoperti giorno et notte, et soggetti a tutte calamità che li rendono inconstanti alla sofferenza et necessitan a ripieghi pregiuditi alieni [?] al servitio delle Eccellenze vostre, vedendosi massima a mancarle i sovegni delle ordinate prestanze.
L’espeditione del denaro arrivato alli primi di agosto, che ha servito per soli due mesi, può dar a conoscere a che si siano avanziate le mie vigilie, et le mie continue premure per protraher fino a questa hora il sostentamento del presidio et di dieci barche armate.
Non ho tralasciato addietro credito publico, mi sono esteso ad essiger qualche debito di commissarie, seben con poco frutto [?] rispetto alla miseria incomparabile di questi cittadini. Qualche aiuto di imprestito privato ho pure incontrato con obbligo della restitutione all’arrivo del primo danaro, né altro mi resterebbe potei operare per contribuire il sollievo alle militie et per tenerle divertite da qualche strana deliberatione che di levar li argenti dalle chiese, il che […] contende il culto del Signor Iddio, et il riflesso di maggiori premure che potessero sopravenire; et di levar con violenza i capitali dalle fregate, che pur è punto considerabile per non estinguere il negotio, levar i viveri alla città et il sostentamento ai sudditi. Il poner mano ai depositi dei migli, per compartirli in loco di denaro, come ha fatto l’illustrissimo Pesaro mio precessore in assai minor angustie, non lo admette la debolezza loro, trovandosi in sommo bisogno di esser accresciuti, per il dovuto sostentamento dei sudditi, me lo prohibisse la conditione dei tempi ristrettissimi, ma molto più il riguardo di non levare alla piazza questo poco di alimento, onde prevego [?] che più a lungo in questo stato la desterità et la prudenza perderan il loro vanto, et io la consolatione di non haver potuto maggiormanete contendere colla necessità; se grande è il mio tormento di pensar giorno et notte (destituto di avisi, in una città piena di miseria) per trovar ripieghi da mantenir il presidio et le barche armate, di gran lunga si rendere maggiore per la necessità che mi violenta ad accrescer le molestie alle publiche presantissime cure, con ricorsi frequenti per implorare gli effetti della singolar providenza delle Eccellenze vostre, le quali, come son certo, rifletterano al stato di queste occorrenze, che ci rendono tanto più estimabili per la vicinanza di nova campagna, et per i sospetti di molto accresciuti, così vengono da me divotamente supplicate di compatire alle premure che derivano dall’unico zelo del publico servitio, et dal bene di questa piazza.
Allegato sarà il foglio di aviso che tiene il signor cavalier Bolizza dal solito confidente di Ragusi. Gratie etc.
Cattaro, li 3 genario 1649 m.v.

Filippo Boldu, proveditor estraordinario.

Allegati:
Avisi capitati al signor cavalier Francesco Bolizza da Ragusa, sotto li 11 genaro 1650 (1 c.)
A dì primo genario 1650, in lettere da Napoli si ha che il confidente di Ragusi habbia havuto lettere da Madrid, che il turco ivi tuttavia da Sua maestà [?] sia trattato alla grande, et che si fa gran stima di sua persona, ma che non si può penetrare cosa alcuna del suo negotiato.
Che era per espedirsi da quella corte il fratello del viceré di Napoli al governo di quel regno, tenendosi il viceré destinato per ambasciatore in Costantinopoli.
Altri dicono all’impresa di Porto hongone [?]; che don zio [?] preparasse 12 galioni per la prossima primavera, et si dice che li manderà in levante, ma non si sa a che effetto. Tutti questi particolari sono scritti alli signori di Ragusa.
Una delle quattro navi che don zio mandò per causa dei corsari intorno alla Sicilia ha fatto presa di una nave francese che veniva da Alessandria con valsente di 100 scudi.
È morto in Calisi [?] il marchese Masibradich raguseo, che teniva sempre in mare sei galioni al servitio degli spagnoli, et haveva in pagamento non so quanti 1000 ducati annui.
Li sudditi veneti hanno principiato condur sali a Nerenta con [?] ricever robbe da levante. Questi signori hanno però terminato di espedire al bassà di Bosna et sangiacco di Arzegovina, et mandarli i commandamenti del Gran signore di non potersi in quel loco vendere sali di altri, che dei ragusei ma che non si possono condurre nei tempi correnti, venendoli […] dalle barche armate venete, et mentre non venga rimediato dal bassà et sangiacco stessi, hanno pure deliberato di espedire un mercante in Costantinopoli per appuntar li loro aggravii in tale affare.
Viene scritto da un confidente di Messina a questi signori che, quando la regina di Spagna fu in Milano, ha promesso all’ambasciatore veneto di far concedere dalla maestà di quel re 12 navi in aiuto alla Serenissima repubblica, et che poi sia seguita l’offerta al stesso ambasciator di tante navi di don […], ma che li signori venetiani hanno procurato se li diano della squadra del Masibradich, et che di queste si fa preparamento in Messina per l’effetto stesso, ma per quanto li vede non sarano espedite fino alla prossima primavera.

A dì 3 genario 1649 m.v. (1 c.)
Constituto [?] in offitio signor Petro de Zuanne da Bisano, capitato da Niarchi [?], il quale espose come sempre.
Giovedì passato mi son levato da Onogoste per venir con un poco di mercantia a questa parte, et da voivoda Petras Gavrilovich mi è stato imposto strettamente di rifferire a questi signori che non può più soffrire le punture et le sollevationi non solo del suo paese, ma di tutta l’Arzegovina, perché si ritardino quelli provedimenti di cui già tanto tempo vengono pasciuti per l’impresa di Castelnovo; che la primavera è vicina, et spetialmente la festa di San Zorzi, che è il principio di nova campagna, che se a quel tempo non si rissolve alcuna cosa, loro assolutamente doverano ceder alla forza del Turco, quale è rissoluto di far campo contro questi confini, et invece di sperare li loro aiuti, proverano poi la loro aversione perché la prepotenzi gli obligherà a tale partito. Che ci rissolva una volta a darle qualche segno della publica munificenza, che quando altro non si possa, le sia permesso mandar due di loro ambasciatori a piedi di Sua serenità per esporre li loro interessi et havere le publiche deliberationi in questo modo, non potendo loro certamente più vivere.
Hanno lasciato turchi un’opinione nel paese, et questa è stata imbevuta, che il turco andato in Spagna sia stato spedito per aggiustar tutte le differenze che vertivano tra la Porta et quella Corona, et stringersi insieme nella maggior colleganza, per levare alla Serenissima repubblica gli aiuti et le assistenze della medesima Corona, per donar a questa tutto lo stato veneto che occupasse dalla parte del mare, et per facilitare col suo mezo il conquisto dell’impresa principiata; tali sono li concetti che spargono li turchi, ma Dio sa quale sia la verità.
Il bassà di Arzegovina si è fermato a Sliuboman [?], ma con poca gente, né si sa di certo se sia per proseguire verso il seraglio.
[…]

AS Venezia, Senato, Dispacci, Cattaro, b. 1
Trascrizione di Francesco Danieli.