22 dicembre| 1649 Filippo Boldu
Dispaccio del 13 giugno| 1650|
N. (senza numero)
Serenissimo prencipe,
alli 10 del corrente è ritornato a Ragusi il prete Allegretti con diversi capigì da Costantinopoli per ritornare in Spagna; ha relatione fatta a solito confidente; et se bene non comprende l’essentiale del negotio, che continua a passare in somma secretezza, le circostanze ad ogni modo eccitano il mio debito verso l’oggetto del ben publico di trasmetterla con questa espressa espedittione di caichio alla Serenità vostra et all’eccellentissimo signor general, per doverle aggionger quello che in continuatione vi cavasse da suoi discorsi et dalla sua partenza per Spagna.
Heri per via di Budua restai avisato trovarsi all’infestatione di questi mari tre feluche ponentine, in traccia delle quali ho spedito verso Trasti [?] questa galea, ove intesi esser approdata una di esse; questa mattina arriva un patrone di fregata, che haveva caricato di cere [?] et […] a Ragusi per Ancona, et rifferisce di esser da una di dette ponentine trovato in mare, stato privato della fregata con tutto il carico, di che ne facio avanciare la notitia all’eccellentissimo signor generale, per quelle deliberationi alle quali non può applicarsi la mia debolezza in questa congiuntura, per la diversione di così grave pregiudicio.
Sarà occlusa la fede degli avanzi del già collegato [?] Avit [?] morto [?] in questa piazza, che io trasmetto alla Serenità vostra in obedienza delle ducali di 11 aprile passato.
Io continuo nelle pene, riddotto nelle mancanze di suffragare alli bisogni del presidio, et per il credito che conservano diversi privati colla Serenità vostra, come per le loro angustie, provo così difficili et ristretti gli aiuti che mi levano la speranza di poter lungamente ressistere, senza i mezi della publica pietà; l’emergente dalle armi mosse dal sangiacco porta seco l’aggravio di qualche spesa nelle esplorationi et nelle altre occorrenze che riguardano il debito della diffesa et preservatione dei popoli, et sospende totalmente l’arivo [?] dei sali, per trovarsi le genti del monte obbligate et soggette alla di lui obedienza. Et quello che accresce le mie afflittioni è che quella mira [?] si cava dalle rate dei datii, o dalla vendita dei sali pretende l’illustrissimo signor rettor et proveditor, et habbi a servire alla sodisfattione del medico, del suo capellano, mastro di scola, che sono della città et alla sola dispositione sua, ad esclusione delle militie tanto privilegiate, mostrandosi molto alieno di compatire alle angustie publiche, al cruccio del mio animo, et di rifletter alle conseguenze delle soversioni che possono nascere dall’uso di queste distintioni poco convenevoli, spargendo semi poco aggiustati all’oggetto del servitio publico, di esser troppo piccolo il pane che ci dispensa, carissimo il formento, né poter ressister le militie et i bombardieri, et dove fin hora, gratie a Dio, si è contenuto ognuno nei limiti della convenienza, per haver goduto pronti et adeguati gli assegnati [?] nelle strettezze che corrono per il proprio sostentamento, per il dispenso così di pane come di denaro, come con altre ho accennato alle Eccellenze vostre; hora da questi motivi usciti dalla voce di un rappresentante ricevono il formento et si appigliano ai più esorbitanti pretenzioni, ricavando cose impossibili et riducendo l’animo mio in continua agitatione. Per essecutione della publica volontà si continua la ratione del pane alle militie, alle quali si contribuisce l’altra metà in denaro; questo requisito riesce altretanto necessario quanto che dalla sua permanenza dipende la preservatione del capital publico, investito negli ultimi mille stara di formento ispedito; tacitamente in ogni modo ci permette che contrabandieri facino di altra sorte di pane, qual riuscendo di maggior peso, per consister di farine comprate a minor prezzo et senza datio, viene più volentieri comprato dal privato, con gravissimo pregiuditio dei soldati, quali per ciò o non possono vender quello le vien dato in conto dal terzo, che sono costretti darlo via con gran discapito; et le farine del fontico, non potendo smaltirsi, come pericolo che vadino a male, ciò chiaramente comprobando la repulsa data a datiari, non voler permettendo con proclami soliti il devieto a contrabandieri di far pane di fuori via, a pregiuditio delli sopradetti interessi publici.
Non sono restato con tutta la piacevolezza et desterità possibile di considerare a sua signoria illustrissima i riguardi dell’interesse della Serenità vostra, la convenienza, il praticato per l’adietro et quanto compla al servizio della piazza, in tutte le cose havendo essercitato quegli atti di stima che il carattere di publico rappresentante, l’età, la congiuntura dei tempi et il fine retivo [?] della volontà publica mi han persuaso. Le ho infine essibito tutta l’auttorità di questa carica et la direttione di tutte le cose, purché habbi egualmente l’incombenza di supplire alle occorrenze. In alcun modo non posso incontrare il suo genio, né comprendere la sodisfattione che possa desiderare; onde con mia passione, perché conosco le cure publiche, convengo portar [?] la presente molestia, ommettendo infinite altre novità, et supplicar le Eccellenze vostre a voler permettermi la licenza di ripatriare, già essendo entrato il duodecimo mese del mio continuato servitio a questa carica, oltre gli precedenti impieghi, ma molto più per rissentire con insoferenza i dolori articolari, altre volte da me patiti che prevengo dovermi riddurre ben tosto in stato inhabile, se dalla somma carità delle Eccellenze vostre non mi viene comministrata l’apertura del rimedio, con la predetta sospirata licenza con cui mezo, consolato questo signore di quello per aventura brama, haverà campo di essercitare le dotti della propria virtù, nel supplire alle incombenze di una et l’altra carica.
Gratie etc.
Cattaro, li 13 giugno 1650.
Filippo Boldu, proveditor estraordinario.
Allegati:
Avisi da Ragusa in lettere di 10 giugno 1650, date li 13 detto (2 cc.)
Heri alli 20 hore arrivò qui don Alegretto con nove capigì et un capigì bassà, mandati dal supremo vezir ad accompagnarlo fino in questa città; subito si è trasferito nel minor consiglio, ove si è trattenuto per tre hore continue.
Ha portato doi lettere a questi signori, una del Gran signore et l’altra del supremo vezir, quali concludono che, prima del ritorno di detti capigì, debba esser dato l’imbarco per Spagna al predetto don Alegretti, qual vorrebbe riposare per sei overo otto giorni almeno.
Si è dichiarito che poteva ritornar in Spagna per terra o per mare, ma di haver voluto far il viaggio a questa per visitar la patria, et rifferire alli signori il suo viaggio, aggiungendo haver aperto le commissioni del suo re in […] nell’andar a Costantinopoli, che così tenesse particolar incarico et che in quelle habbi trovato tre lettere scritte in lingua spagnola, una per il Gran signore, l’altra per il supremo vezir et la terza per il muftì grande, con particolar protesto di non le conferire per viaggio a chi si sia, meno al viceré di Napoli né a don Gioani.
Che in Costantinopoli sia stato ricevuto dal supremo vezir con dimostratione di grande affetto et stima, facendolo alloggiare in un palazzo appresso il suo, di haverlo tenuto in cinque hore continue all’audienza et procurato che vada a quella anco del Gran signore, ma con propria ufficiosità negata da esso don Alegretti per non tener tal commissione dal suo re, ma di consignar le semplici lettere et riportare le risposte, rappresentando cosa sconvenevole che da un re tanto potente si venga all’audienza del Gran signore senza portargli il regalo degno per sua maestà, ma che, ritornato in Spagna, sarebbe stato espedito un ambasciatore grande, per supplire a questo debito.
Che alla seconda audienza havuta dal supremo vezir, le habbi questo mostrato per qual causa il suo re non cominci a far libero il comercio nella costa di Puglia et in Sicilia, a cui rispondere detto Alegretti che il suo re dalle Indie ha tante robbe nelli sui regni, di maggiori qualità di quello le potrebbero venire da queste parti di Levante, ma che di queste cose, alla venuta dell’ambasciator grande, haverebbe temuto proposito seco, coggiongendo detto Alegretti a questi signori, che nelle presenti congiunture dei mali contanti [?] del regno di Napoli et di Sicilia non si voleva metter in compromesso che li trattino qualche strattagema delle nove ribellioni.
Che intorno la sua casa di Costantinopoli le fossero tenute guardie per osservare le sue prattiche, di che dolutosi, si habbi scusato il vezir col dirgli che lo faceva per honorarlo et che desiderava sapere se un soggetto del bailo veneto era stato a visitarlo, a cui rispose di sì in atto di ufficiosità, et che questa haverebbe lui restituito per seguire l’uso praticato tra clissini.
Che sia stato regalato dal supremo vezir di una fodra di rebelin [?] et due vesti superbissime, con essergli stati portati molti sachetti di monete d’oro per le spese del viaggio, quali habbi ricusato dicendo che dal suo re ne haveria havuto abbastanza, et ricevendo semplicemente le vesti.
Che il vezir si sia espresso tenir i venitiani molti aiuti da principi cristiani contro il turco, eccetto da spagnoli, a cui rispondeva don Alegretti non havergli somministrato Spagna per non esser stata ricercata.
Che nelle sue commissioni le sia stato partecipato di haver il Bocado [?], ambasciator veneto in Spagna, procurato molto che non si mondi la sua persona in Costantinopoli, per esser raguseo, di che il medesimo Basadonna habbi procurato di sincerarlo, dichiarandosi don Alegretti di non guardar questo, ma che in ogni occasione farà il possibile per l’interesse veneto, come ne può testificare il bailo.
Che al suo partire le sian stati consignati dal supremo vezir due tapeti con fondi d’oro, con altri regali da portar al suo re et dalle donne del seraglio, mandate alla regina Macrame, et altri regali moderni et bellissimi.
Afferma non saper il contenuto delle tre lettere portate in Costantinopoli, né le risposte.
Che li francesi sono odiati molto alla Porta, ma che vengono […] per dar ad intendere che, per far cosa grata al Gran signore, mantengono la guerra ai spagnoli, aciò non possino aiutar i venetiani.
Che fosse apparechiato il denaro per spedir in Candia et di haver quello convenuto compartire alle militie, che di molto creditrici si erano amutinate in Costantinopoli.
Che per timore delle navi venete, quali si trovano alli Dardanelli, non ardivano uscire 42 galee, che stavano allestite per Candia.
Che tra la madre regina vechia et la madre regina dell’imperatore regnante passassero disgusti capitali, stando il vezir collegato colla giovine [?] per esser insidiato dalla vechia, come origine della morte di suo figlio, procurando essa regina vechia la morte della giovine et dell’imperatore, per essaltare un putto di tre anni, havuto da suo figlio con una schiava, la quale essendo già morta, in virtù della sua legga ella sarebbe la madre regnante.
Che camini grande inobedienza nei popoli, non osando i comandanti spender la loro auttorità [?].
Che il capigì bassà al suo ritorno porti un commandamento reggio al sangiacco di Arzegovina, per la fabrica di una fortezza o ad un certo passo di Bielopaulichi, o in terra ferma, sopra Risano.
Che gli interessi della pace con i venetiani sian disperati, mentre il turco non si renda padrone del regno di Candia o che li venetiani non lo riaquistino colle armi.
Che tra i spaoglani e gianizzari continui la desunione, restando i gianizzari sempre avantaggiati per esser uniti col vezir.
Che in Costantinopoli fosse capitata persona a rifferire al vezir di trovarsi debolissime le navi venete ai Dardanelli, con 50 soli huomini per cadauna, et che il vezir oggettasse di dar la tortura a detta persona, creduta per spia dei venetiani, temendo di qualche strattagema et mostrandoli poco curarsi se le galee non uscivano, poiché attrovandosi altre in arcipelago, queste potevano supplire al trafico da monta [?] in Candia, tanto per gente, quanto per altre cose necessarie alla guerra.
Che il novo bassà di Bosnia si trovasse a Novipassar, qual tenesse ordine di difender i confini di Dalmatia, et far gran dimostriationi di guerra senza inovar altro, fino le pervengano altre commissioni dalla Porta.
A dì 12 giugno 1650, a hore 20 (1 c.)
Constituto in offitio Luca [?] Draghi, chiaus da […], capitato a questa hora nella città, il quale, interrogato di qualche novità, rispose [?]: “Capitato il sangiacco a Podgoriza, sparse la fama voler andar contro bielopaulichi, et per esser questi popoli molto odiati per le violenze, rapine et molti altri mali inferiti al paese. Ogni uno si rese facile a concorrer colle armi [?] sotto le insegne del sangiacco sudetto, ma egli segretamente negotiando con loro l’aggiustamento lo divise [?] in 3.500 reali et in diversi schiavi; doppodiché, lusingando gli altri del monte, necessitò loro ancora ad accordare il donativo da farle di altri 3.000 reali, et con questa occasione volse disponersi di 200 [?] aspitare [?] a danni di Zuppa, Mahine et di altri confini delli venetiani.
Il conte di milizie le parlò per nome di tutti, con gran senso; le considerò che il monte non poteva viver senza la città di Cattaro, che ivi si provedevano di quanto le occorre, vendono gli animali et le loro mercantie; senza questo commodo non potevano soggiacer alli agravii del turco, né paghar il tributo. Che capitando loro in opinione di seguitar il sangiacco, doppo la sua partenza sarebbe, consono di essi, vendicata ogni offesa et tutto il paese sarebbe posto a fuoco et fiamme dalle militie et genti sogette a Cattaro. Le esperienze passate havendo fatto conoscer quello che vogliono per domar il paese, mentre l’anno passato avanciatesi le armi [?] publiche a Cettigue [?], costituirno in dovere detti del monte, ogni uno temendo della forza publica; onde il tentativo suo, se bene conseguito con qualche frutto, sarebbe [?] alla fine a grave danno et pregiuditio di tutti del monte. Sopra le quali cosiderationi acclamato dagli altri popoli, che sdegnò il sangiacco et licentiò con mileditione le genti tutte, lasciandosi intender che si haverebbe servito di questo di Albania [?] senza impegnar né insinuar loro. Continuava qui a Podgoriza, con 1.000 huomini in circa delli monti di Banda, ma non si poteva cavare la sua rissoluta volontà; ma quello si andava subodorando, se dalli zuppani et mahini leverà qualche speranza di donativo, si astenirà anco dalla loro molestia.”
Quibus […]
[…] a 9 giugno 1650 (1 c.)
Da parte vescovo et da parte di noi tutti di Montenegro, conti et sboro di Montenegro, a Zuppa, a tutti li conti di Zuppa et a tutto il sboro di Zuppa, molto cara et amorevole salutattione; poi a Mahine, a tutti li conti di Mahine et a tutto il sboro di Mahine, molto cara et amorevole salutattione. Di poi sapiate et che capiate per vero che viene sopra di voi gran gente, la qual non è levata per molto anni, né è lenta [?], et noi tutti et tutto il paese vien contro di voi, perché dubbitiamo delle vite et sono [?] quello habilissimo [?] con lettere che vi siamo nemici, non siamo per vera verità, ma dubbitiamo delle teste et della vita et di quello che habbiamo, perché si è levato gran gente et forza et di già tutta Banda [?], da Capo fino a […] tutto si è unito come né mai prima è stato, ma vi mandiamo che sapiate et immaginatevi come sapete; ma hora vi preghiamo con Dio et S. Zuane et vi siamo compaesani della terra fino il ciel, et dal ciel fino a terra, non vi sacheggiare [?], perché assai siamo sacheggiati, ma immaginatevi come sarà meglio, et Dio vi allegri. Hora [?] li turchi del nostro paese tutto [?] et il sboro di tutto il paese vi preghiamo con Dio et S. Zuane non conducete contro di voi et noi gran male et gran pregiudizio, solo aspetano la risposta di questa lettera, quello responderà non altro [?].
[…] io vechio vescovo tocai [?] con mio solito sigillo per incredenza [?], acciò voi sapiate.
A dì 10 giugno 1650 (1 c.)
Constituto in offitio Marin Parasich da […] habbitante a Zuppa, spedito verso il monte per le osservationi necessarrie degli andamenti del nemico. Interrogato, rispose: “Sono arivato a Cettipre [?] per abbocarmi con Vixan Milich et prete Porech [?] et haver alcuna notitia circa i pensieri del sangiacco, che quasi ho havuto rellattivamente che hieri sera sono andati i popoli per traghettar il campo del sudetto sangiacco, et se non le sopraveniranno i sospetti più ricorrenti [?] della venuta dell’armata a danni dell’[…], egli si farà sbarcare a Vir per venir a danni di questi confini, quali saranno attacati senza dubbio questi due giorni, quando, havisati dell’armata sopradetta, non le divertisse la rissolutione. Tanto mi han commesso dover rifferire a zuppani, da quali sono stato spedito, per le sopradette osservationi.”
Quibus etc.
A dì detto.
Constituto […] da sirocco capitato in questo punto di Albania [?], il quale interrogato di qualche novità, rispose: “Hieri sono partito da Sabiaco. Il sangiacco si trova nelle campagne di Podgoriza, con circa 2.000 huomini di Zeta inferiore et de monti di Barda, compresi i clementi et cucci. Questi del Montenegro sono stati licentiati, doppo haver concluso con essi il donativo di 9.000 […] et aggiustandosi [?] in 2.000 […] sono di […]. Communemente si tiene che sia per venir a danni di Zuppa et Mahine. I popoli però erano ancora sotto Sabiaco, all’hora che io sono partito, che poteva esser di mezogiorno.”
Quibus etc.
Relazione di Sebastieno Guadegnini, reggitore della camera di Cattaro, sui salari pagati alle milizie, 2 giugno 1650 (2 cc.).
AS Venezia, Senato, Dispacci, Cattaro, b. 1
Trascrizione di Francesco Danieli.