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1649 Antonio Diedo di Iseppo

Dispaccio del 13 giugno| 1650|

N. (senza numero)

Serenissimo prencipe,
nel discender hieri dal pallazzo, havendo sentito cativo odore, caggionato dalle farine che si ritrovano nelli magazeni di publica raggione, mi sono introdotto in quelli in congiuntura, che ne venivano dispensate a fornari, et vedute da me così quelle di formento ascendenti alla summa de lire 32.000, come quelle di segala, che possono esser lire 50.000 in circa, tutta robba di poco buona sorte et che, non potendosi smaltire in altro modo che a ridurla in pane, che per ordine dell’illustrissimo signor proveditore estraordinario viene fatto fabricare et dispensato alle militie et bombardieri in vece di danaro per le loro paghe, vi vorrà del tempo a consumarle, et continuando li caldi tanto maggiormente pattiranno [?], essendo queste oltre li mille stara di formento ultimamente inviato, che costando caro et accrescendovisi sopra le spese, convenirà correr il calamiero in raggion di lire 61 il staro et, mescolatavi la farina di segala con quella di formento, come si prattica tuttavia, lire 56, se bene nelle precedenti mie equivocai nel dire lire 52.
Le militie et bombardieri uniformemente più che mai esclamano per la mala qualità del pane et per l’altezza del prezzo, convenendo loro ricceverlo per cavar danaro di presente, quel dai soldi sei che per tanto a loro viene dato a soldi tre et mezzo, et quattro al più, descapitandoli più della terza parte, seguendo ciò con grandissima mia mortificatione per non poterle far godere il benefficio che porta la staggione corente et la speranza di un buon raccolto venturo, et per non poter poner mano in questo affare, ché il detto illustrissimo signor proveditor estraordinario solo manneggia et dispone, et pure il pane della scaffa, per ordinario è l’honore et il biasmo appresso li popoli, ché non vogliono distinguer tante cose, delli rettori ordinari.
Nella camera fiscale non capita un quatrino, perché tutto viene girato et maneggiato con bollette, anzi, ché il scrigno publico non si ritrova manco in camera, et havendo io ordinato che si conti in essa camera il ritratto di sali che si vendono, ché pur a me solo è raccomandato questo negotio, il medesimo illustrissimo signor proveditore Boldù si è havuto gravemente a male, non potendo manco dalla vendita di esso cavar le mie solite utilità, che mi vengono assignate dal publico, né valermi nelle mie occorenze di quel che è proprio et di mia special raggione. Volendo sua signoria illustrissima che la forza prevagli et con violenza disponer di ogni cosa.
Io però, per non urtare in male sodisfattioni, vado scorendo, esercitando il naturale della mia patienza, che vedendo non poter certamente continuare quando l’illustrissimo Bragadin, che dovrà succedermi, non si ritrovi a Venetia per poterle scriver, ché venga a liberarmi, mi rissolverò di farlo per altra via, per sollevar il mio animo da queste miserie, et per non viver qui infruttuoso rappresentante, come pure riverentemente nelle precedenti mie rappresentai alle Eccellenze vostre, aggiongendo che non mi viene mai fatto sapere l’espeditione di lettere per Venetia, Dalmatia et altri luochi, né io posso penetrare se non quando li mandano da me a sottoscriver le bollette che si levano della spesa già fatta, et mi conviene passare per terza mano, quando mi occorre di scrivere. Gratie etc.
Cattaro, li 13 giugno 1650.

Antonio Diedo, rettor et proveditore.

AS Venezia, Senato, Dispacci, Cattaro, b. 1
Trascrizione di Francesco Danieli.