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30 giugno 1617 - 16 marzo 1618 Francesco Pisani

Dispaccio del 10 luglio 1617

N. (senza numero)

Serenissimo prencipe
Doppo ispedite le precedenti mie alla Serenità vostra, sotto lì 30 del passato, son andato rivedendo il bisogno della sua città, nella quale ho ritrovato tanti capi che hanno necessità di grande et breve provisione per la mala regola che è stata permessa, et introdotta contro l’uso di buon governo, che in tanta multiplicità, senza commodità delle cose necessarie, resto confuso nella provisione. Tuttavia, con la debolezza del mio talento vado reparando a molte cose nella maniera che degnerà di intendere, per non lasciar che il tempo apporti maggior pregiuditio a gl’interessi del suo servitio. Nella città vi era una quantità indicibile d’immonditie, e per le stradde et in molte case che habitate prima da soldati sono rese inhabitabili, quali rendevano fettore per ogni [?] et correva manifesto pericolo che nella staggione più calda accrescessero li vapori nell’intemperie di quest’ [?], et causasse mortalità grande, com’è seguito anco per il passato, con declinatione della populatione. A questo ho provvisto col farle levar in diligenza, et gettar in marina, et continuar l’istessa provisione anco nell’avvenire. Molte case senza coperti in luochi ovo si transita giornalmente minacciavano rovina, come sarebbe avvenuto con occasione de cattivi tempi, col dar morte improvisamente a vicini et a molti de militie et habitanti, che per l’uso non vi pensavano, mentre inavedutamente fosser passati per la stradola. A questo ho rimediato con proclama che siano restaurate da patroni o distrutte per sotrarsi da simile pericolo. Un pezzo di muraglia confinante con la torre a marina, oltre che minaccia anch’essa di rovinar in breve, non èuò per la sua tortuosità esser guardata dalle sentinelle che stano alla porta, et per mancamento del corridoi non si può ponervi guardia, né rondare, tutto che il sito ne habbi necessità, et la torre nella quale sono posti diversi pezzi d’artegliaria, sendo scoperta e perciò sottoposta a tutte le ingiurie del cielo, che hanno causato che li letti sono resi quasi infruttuosi, ha bisogno d’esser coperta, alché tutto si potrebbe reparare con puochissima spesa publica, col dar ordine che qui si facesse una calcara nella quale non vi entreria altra spesa che del maestro che assiste a cuccinarla et servendosi anco de manuali nelle fabriche, et delle stesse pietre della muraglia, non ci saria altro interesse che il pagamento delli maestri, et condotta di sabbione, et la provisione di tolle de larese, et albero per il coperto della torre, perché gl’altri legnami si fariano venir dall’isola et con altro ordine di muraglia a drittura con suoi corridori, si ridurebbe in stato tanto sicuro che da tutte le parti potrebbe esser guardata. Onde se la Serenità vostra sentirà di assecurar la cittù, si compiacerà dar ordine all’eccellentissimo signor generale perché somministrando alcuna summa di danaro m’impiegharò sempre prontamente, et con ogni avantaggio publico per ridur cadauna di quest’opere in perfettione. Il datio del vino della Serenità vostra, principal entrata che conseguisca la sua camara fiscale, ho ritrovato che era stato estinto (non so penetrarare li fa[tti?]) con proclama publicato lì 23 aprile prossimamente passato, et se bene il povero datiaro asserisce haver fatto più d’una volta instanza, che si vede anco giustifficata con scrittura publica, perché gli fossero mantenute le conditioni et oblighi con quali lo haveva levato al publico incanto, era nondimeno ogn’uno venduto il vino così nella città, come fuori senza datio, et questi cittadini si hanno lasciato intender liberamente che il mese d’agosto venturo, tempo che si delibera esso datio, non si havrebbe trovato alcuno che vi pro[?] un soldo, rispetto che non venivano al datiaro mantenuti, et conservati li capitoli con quali gli era stato deliberato al publico incanto. Per il che, sapend’io le spese innaccessabili che portano con se le presenti congiunture, et  come la Serenità vostra in ogni tempo con estraordinarie provisioni habbi protetto et mantenuto l’interesse de datiari, stimati sempre proprii e persuadendo incontrarmi con la volontà publica, ho rovinato esso datio con l’alligato proclama, che si conforma anco con quello che in altro tempo è stato publicato di commissione dell’eccellentissimo signor general Zane, et faccio che da cadauno sia sodisfatto al datio, et continuerò con l’istessa regola così nelli datii deliberati dal clarissimo predessor, come in quelli che saranno incantati nel mio reggimento per fare che siano conservate le raggioni publiche, et li datiari protetti di quella maniera, che conoscerò riuscir di maggior sodisfattione publica. La beccaria et pescaria sono state lasciate distrugger et abbrucciar, et in esso luoco di ammazzar li animali, et vender il pesce in luochi publici, ammazzavano li animali nelle case de particolari et del pesce alcuno non era patrone di quello che prendevano, con declinatione non pure delli datii della Serenità vostra, ma parimente notabile della povertà del che ho divertito col far ammazzare et vender il pesce nei luochi ordinarii, con sodisfattione universale et avantaggio de suoi datii. Il palazzo della Serenità vostra, che serve in questa città per habitatione del suo publico rapresentante, era ridotto in malissimo stato, et in mancamento di molte cose necessarie per esser passati ann che in esso non è stato fatto alcun conciero, onde per la restauratione d’esso, e per sostener il carico con quella dignità che ricerca la publica munificenza, ho convenuto spender in questo principio del mio ingresso, non solo li quaranta ducati delli tre ottavi permessi per leggi a rettori potersi impiegar nelli concieri del palazzo, ma molto maggior summa (che non so come reintegrarmi) per nun lasciarlo correr in maggior rovina, che sarebbe poi riuscito di spesa et interesse più considerabile della Serenità vostra, sicome dalla polizza che ho fatto tenere della spesa da periti, ella ne potrà sempre restar pienamente sincerata. Il pressidio del castello di Besca della Serenità vostra, nel quale l’eccellentissimo signor general Belegno v’ha posto quaranta fanti delle cernide, ho fatto cingere et fortificare dalli stessi habitanti, senza spesa publica, in stato tale che da batteria di mano possono diffendersi da qualsivoglia tentativo de nemici. Ho ritrovato anco abuso di non puoca rilevanti anelli nodari di questa città et isola, persone nella maggior parte idiote, che non hanno niuna e tanto puoca intelligenza di tal professione, che in luoco di divertire a litigii con publici instrumenti, et testamenti, li accrescevano con la loro inesperienza et ignoranza, et contra la dispositione delle parti 12 gennaro 1612 et 13 luglio 1613, hanno continuato et tuttavia continuavano a instrumentar con titoli imperiali et de altri prencipi alieni senza riconoscer alcuna autorità del suo prencipe naturale. Il che, come è immediatamente contra le deliberationi dell’eccellentissimo senato, così per provisione et essecutione di esse parti publicate al suo tempo in questa città, tutto che da loro sia dissimulata la intelligenza, ho formato et fatto publicare l’aggionto proclama, acciò sappino che l’instrumenti celebrati doppo la parte con auttorità de altri principi, et con altri titoli, che delli compresi nella parte 12 gennaro 1612, sono nulli et nell’avvenire non possono farlo, se non servate le leggi, essendovi qui nella città per ogni modo, nodaro creato auctoritate veneta che può sodisfar all’occorrenze et al bisogno di cadauno, et se bene haverei potuto proceder anco al castigo contro li transgressori delle parti, non però ho voluto farlo, se dalla Serenità vostra non sarò con lettere particolari evitato all’essecutione di esse leggi, per non allontanarmi mai dal suo volere. Questo particolare ho voluto dinotare riverentemente alla Serenità vostra, perché vado presentendo che se bene la volontà di quell’eccellentissimo senato è dechiarita in esse parti, li nodari vanno sollevando questi popoli a mandar a piedi suoi per ottener che l’instrumenti da loro stipulati fin qui contro la dispositione delle leggi, restino validi per non esser astretti li nodari a far la restitutione delle mercede tolte per l’instrumenti, come sento che lo debbano fare, come quelli che ingannando li poveri popoli si hanno indebitamente valsuto di auttorità dannata dalle sue leggi, et se bene per dar forma alla loro supplica portassero gravezza de popoli, non però si scorge altro interesse che delli medesmi nodari, perché con l’istesso danaro che converranno restituire alle parti, stipulerano novi instrumenti per mano di nodaro legale, che non patirà alcuna oppositione. Si compiaceno però la Serenità vostra et l’Eccellenze vostre insieme, gradir quel puoco che può derivare dalle deboli mie forze, in loco di qual molto che si ricercarebbe nelle presenti commotioni, et degnirmi esse supplire con la sopranatural loro intelligenza ad’ogni mia diffesa, col dinotarmi come riverentemente le suplico, la sodisfattione publica intorno le cose representate, perché incontrandomi per avventura in alcuna cosa con la publica intentione, resterò [?]nimato a continuare con innaccettabil diligenza per non farmi conoscer mai nell’essecutione de commandamenti publici, inferiore di prontezza all’obligo mio naturale et al desiderio che vive in me di avanzarmi nella benignità della Serenità vostra. Gratie.

Veggia, lì 10 luglio 1617.
Francesco Pisani proveditor.

Allegati: copia del proclama circa il pagamento del dazio del vino.

AS Venezia, Senato, Dispacci, Dalmazia, b. 16.
Trascrizione di Marco Rampin.