6 maggio| 1610 Lorenzo Avanzago
Dispaccio del 28 dicembre| 1610|
N. (senza numero)
Serenissimo principe,
quando io scrivo alla Serenità vostra vorrei haver sempre occasione di significarle cosa di suo contento et sodisfatione, et che anco a me fosse di qualche gusto; ma perché nascono talhora di strani accidenti che non possono esser preveduti dal saper dell’huomo, et meno di poter dar loro il dovuto rimedio, massimamente cadendo essi in persona debole come mi conosco esser tale, sono astretto di dargliene conto come hora io fo con la presente. Saprà dunque la Serenità vostra come si trovano in questa terra et territorio alcune confraternità di devotione, dotate di honeste entrate, le quali, se venissero ben governate et amministrate dalli gastaldi et altri compagni, si potrebbono far di buon opere et pie. Intorno a questa amministratione vi sono molti ordini così de signori Sindici, come de signori Podestà et Capitani di Capodistria, li quali obligano li Rettori di questa terra a trovarsi presenti a vedere li conti di essi gastaldi et il loro saldo. Hora è occorso che, venuto da me li giorni passati il gastaldo della confraternità di Sant’Andrea, mi ricercò che io fossi contento di dargli comodità di poter fare i suoi conti et il saldo della ministratione; et io mostrandomene prontissimo, egli venne insieme con altri, per tal effetto, il dopo desinare in palazzo; et mentre mi aparecchiava di veder i suoi conti, esso hebbe a dirmi che era stato eletto in luogo suo un altro gastaldo con dispiacer di molti, come quello che era suddito arciducale, di poco tempo venuto ad habitar in questa terrra, il che era contra gli ordeni di tale elettione; della qual cosa essendomi informato, che tal carico di gastaldo è prohibito darsi a forastieri, accioché forse non saldassero il loro maneggio con la fuga, dissi a coloro che erano venuti per far li suoi conti che dovessero andar a far elettione di altro gastaldo, che fosse suddito et che poi si farebbono li detti conti. Questi si partirno per veder che fosse fatta altra elettione di gastaldo, ma indi a poco trovandosi in sala, ragionando con uno di questi cittadini, venne il pievano di questa terra, il quale anche esso si maneggia in tale confraternita (come intesi da poi) et mi disse ciò che io gli comandava, al quale io risposi che io non lo haveva mandato a chiamare, né che volevo alcuna cosa da lui, et in questo ragionamento sopragiunsero molte altre persone in sala, et esso pievano, rispondendo, mi disse se Vostra signoria clarissima non vuol niente da me, ben dirò io ciò che voglio da lei, et è di saper se ella dice che il novello gastaldo non è stato nem eletto, et se vuole che se ne faccia un altro; onde io gli disse che era vero di haver così comandato, per esser colui forestiero; et il pievano, rispondendomi con parole molte alte, disse voi non volete che egli vi stia, voglio io, et si voltò verso di […] che erano in sala interessati, et disse loro, appelative di tal dire. Io, vedendo et intendendo questo parlar imprudente et scandaloso, soprapreso da estrema passione di animo, fui per fargli altra risposta che, di parole, pur gratia del Signor Dio, da estraordinaria pacientia ritenuto; dissi ad esso pievano che se ne andasse et obedisse, lasciando che fosse essequito quanto io per giustitia comandava, et esso mi rispose con altre parole più altiere et ingiuriose, che non voleva partire et che quivi intendeva di stare; et così, in un istesso tempo, mi venne in contra diavolo, che pareva che volesse offendermi, continuando a parlar assai arrogantemente, et perché io, mostrandomi tutto flematico, pur gli diceva che si dovesse partire, altrimenti l’haverei fatto metter prigione; egli, minacciando et facendomisi vicino a faccia a faccia, diceva che li ladri si mettono prigioni, et che non si voleva partire. Vedendo io tale arrogantia et sfazzataggine, fecci suonar la campana, acciochè venisse il mio cavalliero, onde esso pievano, temendo di ciò che gli poteva accadere, alla fine si partì, parlando sempre altamente et arrogantemente. Questo così duro et estraordinario accidente mi ha portato (Serenissimo principe) quel maggior dolore et travaglio che potrà ben conoscer la Serenità vostra, veduto me, suo rapresentante, esser così malamente offeso; ma, inteso io da poi che egli si è andato vantando dell’affronto fattomi, et haversene ancor riso di me con monsignor illustrissimo vescovo, che si attrovava fuori della città, mi ha questo di maniera traffitta l’anima, che io haveva pensato, per fuggire maggior disordini, di far intimare ad esso pievano un mandato che, sotto indignatione della Serenità vostra, dovesse in termine di tre giorni esser uscito di questo castello et suo territorio, altrimenti che io l’haverei mandato ben custodito in cotesta città, ma temperando il mio giusto sdegno, et così consigliato, ho deliberato, come ho già detto, di significar il tutto fedelmente alla Serenità vostra, la quale humilmente io supplico a voler raffrenar l’orgoglio del detto pret, vindicando l’ingiuria fattami con quella deliberatione che le piacerà meglio di fare, temendo io di non poter più lungamente sofferir di vederlo in questa terra andar sparlando di me, et restar impunito con quel mal essempio, che può di vantaggio esser ben noto alla singolar sapienza della Serenità vostra, alla quale io raccomando l’honor mio, ritenendo più che sicuro che essa non vorrà soportar che la suprema dignità di lei sia stata nella persona mia sprezza et villipesa. Gratie etc.
Di Albona, li 28 di decembre 1610.
Della Serenità vostra, humilissimo et divotissimo servitore,
Lorenzo Avanzago, Podestà.
AS Venezia, Senato, Dispacci, Istria, b. 6
Trascrizione di Francesco Danieli.