6 maggio| 1610 Lorenzo Avanzago
Dispaccio del 2| gennaio| 1612|
N. (senza numero)
Serenissimo prencipe,
ho fatto ogni posibille nel proveder alli inconvenienti che nascono giornalmente in questa mia terra di Albona et Castello di fiamma [?] causatto da pretti fumentatti dal reverendissimo loro vescovo, et ho portato il tempo alla lunga più che ho potutto per non travagliar la Serenità vostra. Né potendomi più contenire di non darli riverente conto, le dico che in esso castello di Fiamma vi sono solamente due pretti, cioè il piovano et il capelano, ambedua eletti da quel conseglio, quali sono salari atti dalla Serenità vostra con il quarto della marcheria [?], oltre che hanno molte decime et lascidi dalle qual intrade si sono timoratissimamente tratenite [?], tutavia acordatissi seco con il consenso dell’illustrissimo vescovo di Pola hanno tolto l’apalto di offitiar nel castello di Conico, giurisditione arciducale, del che essendosi dolutti più volte meco li giudici et populo di esso castello di Fiamma, et ultimamente havendomi fatto indolentia che il giorno di Natale, ma vi sono statte altre mese che di esso signor piovano et le festività di Santo Stefano et San Zuanne esser rimasti senza mesa per l’[…] del capelano, et per esser statto a dirle il detto piovano alle sudette capele, scrissi ad esso illustrissimo vescovo con quella magior modestia, che mi parse convenirsi aciò Sua signoria romana provedesse a questi desordini, mi fu risposto in maniera sì che restai certificato che questa era sua volontà; inoltre, essendo osservatissimo per antica consuetudine che in questa terra di Albona li confineri [?] delle scole, et li patumi delli ius patrinatus hanno sempre fatto eletione de capelani sì come per tutto il statto della Serenità vostra, vien esser effettuatto, par me che havendo li confrati di alcune di queste scole eletto per capelani messer […] Zuanne Melizzo, messer […] Zacharia Cataro, et messer […] Francesco Manzini, tutti tre di questo loco, et religiosi di bona mattina che romano vescovo con un molto elevatto di questi pretti del capitolo si intisi [?] offitiar esse capele, et con l’altro li ricerca a restituir l’elemosina datali da questi suditti nell’incensar li loro deffunti in esse capele, queste inovationi senza dubio sono promesse con fine manifesto di voler esso romano vescovo giudicar questi suoi fidelissimi, et volersi attribuir il temporale come dalle risposte rescritte alle mie, la copia delle qual insieme con li […] invio a Vostra sublimità, et imparticolar dall’ultima la potria vedere, di così importante negotio non mi ha parso passar sotto silentio, ma ad ogni bon fine ne ho voluto dar riverente conto alla Serenità vostra, aciò essa con la sua solitta prudenza prenda qual espediente che le parerà convenirsi. Gratie etc.
Di Albona, li 2 genaro 1612,
Lorenzo Avanzago, Podestà.
Allegati:
Lettera del vescovo di Pola del 19 novembre 1611, nella quale comunica di non esser stato pagato delle decime del suo vescovado (1 c.)
Risposta di Avanzago del 5 dicembre, nella quale viene ringraziato il vescovo per aver fatto recapitare le sue lettere al capitano di Raspo e viene promesso aiuto riguardo l’esazione del denaro delle decime degli agnelli e dei capretti. Inoltre, se il vescovo avesse bisogno di altro, verrà sodisfatto conformemente alle promesse fatte dal suo vicario, per evitare che il popolo si lamenti ancora presso il podestà. (1 c.)
Lettera di Avanzago del 2 dicembre al vescovo di Pola, Cornelio. Vengono riferite le lamentele del popolo per il divieto del vicario a far celebrare messe dai cappellani eletti dalle scole e dai detentori dello ius patronatus e per l’obbligo a consegnare al procuratore del capitolo le elemosine del Giorno dei Morti. Si chiede che il vescovo faccia rispettare le consuetudini e permetta l’elezione e la libera elemosina. (1 c.)
Lettera del vicario generale di Pola ai tre cappellani, del 6 dicembre, nella quale viene richiesto, come da accordo con il podestà, l’esecuzione dell’ordine secondo cui gli emolumenti del Giorno dei Morti vadano divisi tra il procuratore del capitolo e i cappellani. (1 c.)
Lettera del vicario del 6 dicembre, in cui si ordina ai cappellani che in futuro non debbano ingerirsi nell’officiare messe presso le cappelle domenicali e campestri del territorio di Albona. (1 c.)
Lettera del vescovo ad Avanzago, del 12 dicembre, in cui viene detto che la volontà sua è solo di regolare i diverbi tra i vari preti riguardo le loro competenze, e non di togliere lo ius patronatus o i privilegi della confraternita di laici. (1 c.)
Risposta di Avanzago del 30 dicembre, in cui vengono riportate le lamentele del popolo e dei giudici di Fiamma e del gastaldo di Santa Barbara poiché, per Santa Barbara e per Natale, non sono state fatte le messe da parte del piovano nella chiesa di Santa Barbara e in altre cappelle, né è stato permesso ai cappellani di farle. Infine, ci si domanda perché invece vengano fatte le messe a Coriaco [?], luogo arciducale. (1 c.)
Lettera del vescovo ad Avanzago dell’ultimo di dicembre, nella quale si afferma che il piovano non ha fatto messa perché non è stato pagato dal gastaldo di Santa Barbara. Inoltre, per quanto riguarda Coriaco [?], il vescovo afferma che il piovano ci si è dovuto recare per mancanza di preti nel territorio e per evitare recriminazioni da parte dei fedeli locali. (1 c.)
AS Venezia, Senato, Dispacci, Istria, b. 6
Trascrizione di Francesco Danieli.