1 marzo| 1610 Giovan Battista Marin
Dispaccio del 7| luglio| 1610|
N. (senza numero)
Serenissimo prencipe,
nel corso di mesi 12 che servo la Serenità vostra in tante turbulentie et controversie tra questi di comunità et cittadini populari, parmi raggionevole et il carico mio necessario di rapresentarle con brevità (come facio riverentemente) et con ogni fideltà tutte quelle cose che mi sono passate fin qui per mano nell’amministratione del dinaro publico. Però la Serenità vostra con la solita somma sua prudenza et bontà degnarà gradir questa mia piccola dimostratione di real et fidel servitù in cosa così relevante et giusta che (rimediandoci a molti disordini et maleficii occorsi) concerne immediate il servitio publico il benefitio et quiete universale di questa sua (dirò infelice) terra.
È tale dunque et così ben alligate et concatenate la intelligenza di otto o dieci di questo consiglio in deliberare così unitamente tra loro, come anco di persuadere a gli altri facilmente in generale tutto quello vogliono, che non è cosa che prima da loro premeditata (desiderandola) non riesca poi et in Collegio et in Consiglio a tutti voti felicissima et di loro sodisfattione per ingiusta et indebita che ha così la volontà (che è sola) del Rettore. Però che vogliono spendere et dispensare il dinaro di questo come a loro modo, il che li reuscisse tanto più prontamente quanto che non vi è chi voglia contradire et opponere alle loro machinate deliberatori chi per dir invero doveria sempre essere qualche prattico et intelligente dei ordini et statuti della terra et non aderente per avvertire almeno i Rettori et far conoscere il giusto et honesto, così nel mover le liti, le quali al presente sotto nome publico ben spesso vengono fatte in difesa et offesa di particolari persone, pigliando il patrocinio et contravenendo a questo e quello, sì come li torna a proposito fomentare et perseguitare più uno che l’altro, come anco di elegere nei carichi et publici maneggi persona fidele et non a compiacimento et a fine che senza nessun suspetto et parcialità potessero esser menate le spese in libro, et ogni altra partita et scrittura publica, et acciò che il dinaro di questa comunità passasse per cassa delle tre chiavi a ciò deputata dei Camerlenghi di commun, et fosse speso solamente nelle occorenze opportune et bisognevoli, come dispongono le leggi et ordini della terra, la qual cosa se ben con ogni mio spirito (come oggetto principale) ho procurato sia esseguita, tuttavia al mio dispetto li agenti hanno commandato et li Camerlenghi, obedendo loro, scosso il dinaro di […] et dispensato come meglio li ha piaciuto senza mia saputa, et senza haverlo patto passare per detta cassa, della quale io tengo una delle tre chiavi, acciò si conservi et non sia defraudata […] anco mi ha convenuto amministrare la debita giustitia, ma poco frutto ne ho tratto, perché stando questa colliganza (la quale par che sia di presente più che mai unita per non scoprire loro mancamenti) ogni dì vanno più di mla in peggio in disordine. Poscia che li ambasciatori in più volte hanno ricevuto più di 15.000 lire da un anno et mezo in qua, et mai ho potuto vedere compitamente i conti loro, restando debitori di grossa somma, et perl sottomano procurano sempre di haver dinaro con doppio maleficio publico, non volendo che le sue attioni siano viste, sì come a punto uno di questi giorni hanno persuaso il Camerlengo attuale a riscotere nascostamente dinaro, far menar la partita et darglielo con l’assenso dei Sindici, con la forma di un mio mandato impostoli in vigor di detti ordini et leggi, cose veramente sì come parono incredibili, così vere, et in fatto apparenti come io sono humilissimo et devotissimo servitore della celsitudine vostra.
Ho scoperto inoltre notabilissimo disordine nell’amministratione del denaro di fondico, poiché invece di custodirlo et tenirlo pronto per comprare formenti a suoi debiti tempi con avantaggio, per bisogno della terra et università, si spendeva et era convertito per il più in uso particolare et in mercantia, però che li ministri iscambievolmente nascondendo le sue frodi et inganni nel far i conti andavano con ogni accurata deligenza adombrando questa loro pessima deliberatione, et i Rettori non potevano far altro, perché veramente vedevano il saldo, se ben in effetto quel dinaro era tolto imprestido o in altro modo, non dubitando il creditore della restitutione, dovendo cascare in mano allo successore, chi haveva promesso di farla immediate ricevuta la cassa, sì come anco delle farine et formenti accadeva. Ho finalmente di più ritrovato per partite menate all’officio illustrissimo del sale, che li ambasciatori suditti hanno scosso ducati 3.000 in circa di raggione del settimo [?] di questa comunità, non havendo reso conto alcuno né sapendosi in qual modo siano stati dispensati da loro, chi ne ha [?] dato gran maraviglia et stupore a chi è stato capace di questo così importante negotio, col qual fine sigillo il mio raggionamento et alla suprema prudentia et maturo giuditio della Sublimità vostra lascio il mio pensiero, poiché altri non ponno indubitamente rimediare. Gratie etc.
Di Pirano, alli 7 luglio 1610.
Giovan Battista Marin, Podestà.
AS Venezia, Senato, Dispacci, Istria, b. 6
Trascrizione di Francesco Danieli.