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7 marzo 1616 - 23 luglio 1617 Alvise Zane

Dispaccio del 16 luglio 1617

N. (senza numero)

Serenissimo principe
L’illustrissimo signor conte di Sebenico, nell’invio di lettere, come di avisar quelle cose che concernono il publico interesse, si è sempre adoperato con molta diligenza, fecce capitar qui hieri per cavallaro ospresso le lettere della qui aggionta copia, avisando il nuovo arrivo dell’armata spagnuola in Colfo, et a quella volta di Sebenico. Le quali lettere scritte communi a noi rettori, mi furno portate aperte da Simon Grisogono nobile di questa città, coadiutore del cancelliero dell’illustrissimo signor capitano et di suo ordine, ricercandomi sopra di esse la mia opinione. Intorno le quali fatta la debita consideratione, risposi che sopra cose di tanta importanza, era ispediente et necessario l’esser insieme, come si compiacque di fare un’hora dopo, e vi fu anco l’illustrissimo signor proveditor della cavallaria, presente l’illustrissimo signor Nicolò Bo[n] che è qui di passaggio. Onde lette, et rivedute le lettere, proposi ch’era estremamente necessario [***] mandar una barca con ogni solecitudine dietro all’illustrissimo signor proveditor dell’armata, che circa le 12 hore della mattina fecce levata da questo porto, acciò restasse avisato di quanto scriveva il signor conte da Sebenico. Contradisse il signor capitano alla mia opinione, tenendo per fermo che la barca non poteva arrivar più le galere, si che persistendo egli nel suo pensiero, convenì rimettermi, benché sentisse meco anco l’illustrissimo Bon. La notte passata circa le 6 hore, svegliato io dal rumore che facevano le genti per strada sotto le finestre della mia camara, caminando inanti et in dietro, intesi con estrema passione la perdita delle galere della mercantia, et di quella dell’illustrissimo signor Lorenzo Contarini governator, et subito fecci riccorso dal signor capitano che trovai in casa del signor provveditor della cavallaria, quale disse che circa le 4 hore seppe dell’accidente, il quale certo non avveniva se io havessi potuto saper l’arrivo del cavallaro, subito ch’entrò nella città, che per quanto mi vien riferto fu non all’hora delle 18 quando il Grisogono portò a me lettere, ma circa le 13 mentre ancora erano le galere in porto. Il che non so come intender, perché il signor capitano sottoscrisse di proprio pugno le risposte al signor conte di Sebenico, nelle quali si è detto che arrivò il cavallaro circa le 18 hore, et non alle 20 come s’intende che il signor capitano da sé solo ha scritto alla Serenità vostra. Intendo adunque che il cavallaro andò imediate da Sua signoria illustrissima, né so per qual causa non capitasse prima da me, se non fu perché il signor capitano gelosissimo di questa fortezza usa già alcuni mesi de farsi condur davanti per li soldati delle porte tutti li patroni dei vasselli, et ogni forestiero che capita a questa città, per inteder minutamente le cose che corrono. Il che di prima io solevo fare conforme all’antichissima osservanza delli conti precessori, come cosa aspetante indubitamente alla mia giurisditione, et solevo poi subito far parte a Sua signoria illustrissima et all’illustrissimo proveditoe della cavallaria de tutti li particolari che mi capitavano, de quali da molto tempo in qua son privo, né ho voluto farne moto a Vostra serenità per non arecarle qualche noia. Hora mo’ dicendomi l’illustrissimo signor proveditor dell’armata, che è stato mancamento il non avisarlo di quanto haverà scritto il signor conte da Sebenico, l’ho informato della verità com’è passato il negotio, et per mia legitima iscusatione, per la quale son violentato di riferire le cose predette a Vostre eccellenze illustrissime, con quella sincerità et purità che si deve, che per altro interesse non mi sarei mosso certo. Et le mando insieme un constituto qui alligato in copia de altri che trattengo per brevità, dal quale vedendosi con qual maniera tutti capitano al palazzo del signor capitano vigilantissimo in tutte le cose, possa Vostra serenità argomentar per vero, che il detto cavallaro non fecce capo da me. Si ragiona che Calil agà della Vrana habbia mandato ad offerir a noi rettori et al proveditor della cavallaria tre mille fanti per difender queste [?], ma intendendo che il signor capitano ne ha scritto a Vostra serenità mi persuado che la offerta sia stata fatta alla sua persona solamente, onde mi rimetto alle sue lettere. Gratie.

Di Zara, lì 16 luglio 1617.

Alvise Zane conte.

Allegati: lettera del conte di Sebenico ai rettori di Zara (n°1); costituto di Antonio di Zorzi da Selva, provveditore del vascello chiamato a dare spiegazione per non essersi presentato al cospetto del conte di Zara dopo aver trovato presso Meleda alcune lettere gettate in mare dai ragusei (n°2).

Allegato n°1

In lettere del capitano di Zara de 16 luglio 1617.

In lettere dell’illustrissimo signor conte di Sebenico delli 15 luglio 1617, mandate alli rettori di Zara. Ricevute lì 15 detto circa le 18 hore, et mandate aperte a me conte dall’illustrissimo signor capitano per Simon Grisogono nobile di Zara, et coadiutore del cancelliero di Sua signoria illustrissima.
Hieri mattina alle 13 hore in circa, da questo castello et da alcuni di questi monti, su scoperta al scoglio di Sant’Andrea una grossa armata, che schierata tirava fino appresso il scoglio di Zuri. Per all’hora non seppi che giuditio fare, se potesse esser la nostra o la spagnuola. Ma sendosi scoperta questa mattina, ho voluto andar anch’io di sopra a vederla, et in effetto ho veduto molti et molti vasselli, et mentre stava così in pensiero, è gionta una barca che partì hieri l’altro da Liesina, dentro la quale vi sono alcun del scoglio de Zuri di questa giurisditione, li quali mi riferiscono questa essere l’armata spagnuola in numero de 40 vasselli grossi, et 30 in circa de sottili, che vano voltezando et avanciando sempre per calar in qua. Aggiungono che hieri hanno sentito mentre navigavano per venir qua, verso Liesina, forse cento tirri d’artigliaria, et che la nostra armata si era preparata aspettando quella al porto. Questo tanto ho voluto ad ogni buon fine far sapere a Vostre signorie illustrissime per cavallaro espresso, al quale ho commesso che debba venirsene in diligenza, che mi sarà caro intendere a che hora sarà gionto costì, col suo rittorno, et a Vostre signorie illustrissime bacio le mani.

Di Sebenico, a 14 luglio 1617.

Ambrosio Corner conte e capitano.

Allegato n°2

In lettere del capitano di Zara de 8 luglio 1617.

Allì 7 luglio 1617.

Estratto dalle prigioni et condotti nella camera appresso la chiesa alla presentia dell’illustrissimo conte un giovine di statura grande, capelli biondi, puoca barba, et mustachi della medesma qualità, faccia rubiconda, vestito alla marinaresca di carisea turchina, cioè il borichio et le braghesse di panno mischio, et interogato del suo nome, cognome, padre, patria et esservitio. Rispose: ho nome Antonio de Zorzi Ventura da Selve, e la mia confessione è di proveditor di vasselli. Addimandato dove, quando et da chi sia stato retendo. Rispose: fui retento l’altra sera qui in palazzo in capo della scalla dal cavallaro dell’illustrissimo signor conte. Dimandato per qual causa sia stato retento. Rispose: non ve so dir. Dimandato se può immaginarsela. Rispose: mo’ signor non mi. Dettoli: la vostra habitatione dov’è, a Selve, overo in questa città. Respose: a Selve. Dettoli: che cosa sete venuto a far in questa città. Respose: son venuto con il mio vassello per procurar de cargar per qualche parte che mi si fosse presentata. Dettoli: quanto tempo è che non sete più stato a Zara. Respose: in fu il primo giorno di mazzo passato. Dettoli: che cosa fosti a fare. Respose: mi fui in compagnia de altri da Selve con occasione che havendo noi antecedentemente fermata una barca con alcuni ragusei che trovassimo a Melada, sospettando che fossero spie a danni della Republica, quali conducessimo a questa città che furono poi licentiati dalla giustitia, intedessimo che costoro haveveno gettate via delle lettere là e Melada, dove andassimo immediatamenente et le trovassimo in casa del giudice tutte bagnade e ruvinate, et così quel primo giorno de mazzo le portassimo in questa città. Dettoli: che cosa facesti poi di esse lettere. Rispose: arrivassimo in porto all’Ave Maria del giorno, dove ricercati dalla sentinella chi fossimo, et inteso che erimo huomini da Selve che havevimo portate alcune lettere trovate a Melada, da lì a puoco venne su le mura il sargente maggiore, qual fatto calare a basso un spago, gli alligassimo le lettere, et le tirorno di sopra, et poi un soldato ne fece pena, che non dovessimo uscir alcun di noi fuori della barca. Aperta che fu la porta, venne un soldato et ne fece andar di sua compagnia dall’illustrissimo signor capitano, quale diede ordine de non partirsi dal suo palazzo fin a tanto che Vostra signoria illustrissima non era ritornata da messa. Ritornata che fu andò sul forte e ne fece andar ancor noi seco, dove stato alquanto, andò al palazzo, et noi sempre di sua compagnia per non preferir dell’ordine che mi era stato dato. Io perciò mandai uno delli nostri huomini a dire all’illustrissimo signor conte, qualmente erimo venuti a Zara con le dette lettere, ma che erimo stati necessitati andar dall’illustrissimo capitano come vi ho detto, et questo huomo che fu Zuanne de Lorenzo da Selve, venne a riferirmi di haver parlato all’illustrissimo signor conte, et dirmi appresso che Sua signoria illustrissima mi faceva intender che dovessimo andar da esso, che voleva parlarne, il che riferendomi esso Zuanne in tempo, che l’illustrissimo signor capitano sentì benissimo, esso illustrissimo signor capitano mi disse queste parole, cioè: non voglio che vi vadi. Et doppo havermi Sua signoria illustrissima interogato sopra il ritrovar di esse lettere, mi disse che a modo alcuno non dovessimo venire dall’illustrissimo signor conte, ma andar subito fuori della città a Selve, altramente che quando havesse saputo che fossemo venuti dal detto illustrissimo signor conte, lui me haverave fatto andar sopra una galera, onde gli promisi de obedirlo, et mentre volevo partirmi, Sua signoria illustrissima commise che il sargente maggior dovesse accompagnarne fuori della città sino alla barca, il che intendendo io dissi che non occoreva, perché mi bastava il comandamento impostomi da Sua signoria illustrissima, la quale restò de mandar il sargente maggior, ma ne commise che dovessimo andar alla marina, dalla strada di San Dominico via et andare al campo, et subito entrare in barca e andar a far li fatti nostri senza venir dall’illustrissimo signor conte, né parlar con alcuno delle dette lettere, rispetto che queste simili cose sono cose da mare, et che aspettano a lui solo a commandare, et non ad altri. Così facessimo quella strada che andassimo per li fatti nostri. Dettoli: il cavallaro della corte dell’illustrissimo signor conte, fu egli a farvi commandamento penale di suo ordine che dovesti venir da Sua signoria illustrissima. Rispose: signor no, può esser che l’habbia fatto a qualche d’uno delli nostri huomini, ma mi non seppi cos’alcuna, et se ben l’havesse fatto a me, ero in stato de non potermi partire come vi ho detto. Dettoli: appar in questo processo che il cavallaro fecce particolarmente a te commandamento penale, che dovesti venire dall’illustrissimo signor conte. Rispose: signor certo che il cavallaro non lo fece a me, et come vi ho detto lo fece forsi ad alcun’altro delli nostri huomini. Dettoli: si vede adonque che tu sei caduto nella disobedienza, onde sei fatto meritevole di quel castigo che parerà alla giustitia per una tale trasgressione. Rispose: mo’ caro signore come voresti che io facesse, se mentre fossi qui dall’illustrissimo signor conte, l’illustrissimo signor capitano mi mandasse a chiamare et che il signor conte non volesse che gli andasse, et mi minacciasse de mandarmi in galera, bisognerebbe pure che io stasse all’obedienza del signor conte, così adungi fu quanto ero dall’illustrissimo signor capitano, che se ben Zuanne de Lorenzo mi disse, che il signor conte voleva parlarmi, il signor capitano non mi volse lasciar partir, minacciandomi della galera. Dettoli: non è credibile che l’illustrissimo signor capitano, ch’è di quella prudenza che è conosciuto, ti habbia ordinato come ti vai affatticando dar ad intedere alla giustitia per liberarti dalla pena nella quale sei caduto per la tua disobedienza. Rispose: io so benissimo che mi diede l’ordine che v’ho raccontato, et con le minacce che v’ho detto che vi furono presenti tutti li altri huomini, ch’erano meco da Selve. Dettoli: chi erano questi huomini. Rispose: voi havete appresso di voi una fede che mi fece l’illustrissimo signor capitano della detta nostra operatione, et sopra di quella trovarete descritti tutti quelli altri che erano in mia compagnia, perché hora non me li raccordo certo. Dettoli: bisogna che si risolvi di raccontar la verità, et per qual causa non volesti venire dall’illustrissimo signor conte. Respose: io ve l’ho detta ste così la verità. Quibus habitus.
Io Simon Vitanovich fui presente alla lattura fatta del detto constituto al detto proveditor Antonio, qual confermò esser verissimo.
Io Christofforo Marinoni fui presente alle cose sopraditte.
Poco doppo.
L’illustrissimo signor conte sudetto, così instando l’antedetto rettento, ha terminato con ogni miglior modo, che dando egli piezzaria de ducati dosento, de ritorner nelle forze della giustitia ad ogni suo mandato sua rilasciato. Per essecutione di che.
Illico
Constituto davanti me cancelliero domino Simion Vitanovich, cognato del sudetto Antonio de Zorzi et inteso il tenor della sudetta terminatione, voluntariamente per quello si è constituto presso de ducato dosento, che ad ogni mandato della giustitia lo farà venire all’obedienza dell’illustrissimo signor conte.

Io Simon Vitanovich prometto et mi obligo a quanto di sopra di contiene.

Io Dominico Salico, cancelliero dell’illutrissimo signor conte, ho fatto copiare, e sottoscritto concordando con hauttentico.

AS Venezia, Senato, Dispacci, Dalmazia, b. 16.
Trascrizione di Marco Rampin.