21 settembre 1644 - 20 febbraio 1646 Alvise Sagredo
Dispaccio del 22 settembre 1645
N. 95
Serenissimo Principe,
questi poveri, anzi dirà miserabili, sudditti, le cui rendite consistono principalmente in sali, non havendo di essi alcun essito, né anco a pretii vilissimi di lire 3 del mozzo, che viene ad essere stara dodeci venetiani, rispetto alle prohibitioni rigorose fatte a’ sudditi austriaci di non capitare qui, come solevano fare a’ tempi andati, a provvedersene per loro uso, ma solamente nella città di Trieste; siché perciò questi infelici sudditti s’attrovano riddotti nel sommo delle più deplorande miserie, aggiontovi la scarsezza ordinaria de’ grani, che sono neccessitati procacciarseli d’altre parti per il quotidiano allimento, et la penuria estraordinaria de’ ogli, che nell’anno venturo appena suppliranno al neccessario uso degl’habitanti; di modo che le chiese et li monasterii vengono in gran parte abbandonati da’ religiosi, le monache di due monasteri che vi sono languiscono dalla fame, non havendo ben spesso neanco il pane quotidiano, et quante volte mi porto ad udire la santa messa nelle lor chiese, sempre le madri abbadesse et rimanenti monache con abbondanti lacrime mi rappresentano lo stato infelice di quelle serve del Signore, per non poter essitare li loro sali, che se non fossero tall’hora sovenute dalla carità de’ parenti perirebbero dal dissaggio, et questi pocco aiuto possono loro somministrare, non havendo a sufficienza con che mantenere le proprie famiglie; oltre di ciò, abbandonando molti per neccessità il governo delle loro medesime saline di questo circuito, le lasciano andare (...), onde non rimanendo altro sovegno et ripiego a questi miserabili sudditti, convengono portarsi altrove a procacciarsi il vito, particolarmente nella città di Trieste, ad impiegare ivi fruttuosamente li loro sudori nella coltura di quelle saline, et molti altri, così nella città come nel territorio et luoghi circonvicini, disperando di poter sostentar se stessi e le famiglie loro nell’angustie di tanta povertà, si sono rissolti di abbandonare la moglie, li figli et vendere sino la propria vita et libertà su le galere, a segno che si sarebbe vuotata questa provincia, che con tanta fatica et interessi la Serenità Vostra procura di renderla popolata, se, con il zelo che riverentemente raccordai del publico serviggio, non havesse, con l’infinita Sua sapienza, presi gl’espedienti proprii et neccessarii, et dati gl’ordeni opportuni agl’Illustrissimi signori Provveditori all’Armar, perché in avvenire non havessero a concedere più patenti per levata di gente da questa provincia pur troppo spopolata. Tutte queste gravissime urgenze, da me giornalmente praticate e compatite, mi sono state anco ultimamente rappresentate dalli deputati della città et da molti di questi cittadini, con rissolutione, mentre così fosse riuscito di mia soddisfatione, di comunicare il loro Consiglio per fare ellettione di Ambasciatori per espedirli a’ piedi della Serenità Vostra, li quali, fatta riverente espositione dell’infelicità commune, supplicassero la pietà publica acciò si compiacesse di restar servita di ricevere da questa città cinque o sei milla mozza di sale solamente ogn’anno, al prezzo et con li patti, modi et condittioni, che piglia quello di Pirano, a cui non cede punto, come ne anco ad alcun altra città o terra sudditta di vera fedeltà, ossequio et devotione; aggiongendomi appresso che questi sali, come è in effetto, riescono molto più belli et di assai miglior condittione di quelli di Pirano, et che riuscirebbero anco per la Terra Ferma, come la ragione lo persuade et l’esperienza lo ha dimostrato a diversi publici Rappresentanti, et particolarmente per quello mi affermano all’Illustrissimo et Eccellentissimo signor Carlo Contarini, già Proveditor di questa provincia, che mi dicono haverne voluto fare l’esperimento in tempo che reggeva la città di Brescia. Io, ben sapendo le gravi occupationi pubbliche nelle presenti congionture, li ho dissuasi dall’apportar maggior tedio a Vostra Serenità con ambasciate e suppliche, promettendogli di portare intieramente con mie lettere il mio desiderio et bisogno alla publica notitia, con assicurarli che dalla paterna Sua carità riceverano ogni giusto et possibile sollievo. Non restando a tal proposito di significare a Vostre Eccellenze qui essere ultimamente capitato aviso, et vedutene anco lettere, le quali affermano, che nel porto di Fiume, et altri luoghi circonvicini, fossero giunti più vasselli carrichi di sali da Barleta, il che maggiormente devierà quel poco concorso de’ compratori in questa città. Gratie etc.
In Capo d’Istria, li 22 settembre 1645.
Alvise Sagredo, Podestà et Capitanio.
AS Venezia, Senato, Dispacci, Istria, b. 39.
Trascrizione di Umberto Cecchinato.