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26 settembre 1795 Andrea Querini

Dispaccio del 1 dicembre 1796

N. 53

Serenissimo Principe,
autorizzato dalle Sovrane Ducali 22 ottobre prossimo passato a definitivamente concludere, ed ultimar la molesta briga delle quindici mille piastre, che da oltre due anni reclamavano i negozianti di Scutari derubbati violentemente per rea opera di alcuni sudditi da Pastrovicchio, io venerai nel pubblico beneplacito la mia risorsa contro le frequenti rimostranze sul proposito dal mercante Niccolò Mussani, impaziente di qualunque giustificata dilazione.
Ho già prevenuto co’ miei divoti rapporti l’Eccellentissimo Senato, che l’estero pretendente, dopo un reciproco diverbio per più volte sostenuto, era finalmente concorso al ribasso di mille piastre, e ch’io per fiduciare di docili tarlo ancora a qualche più discreta misura, sempre che mi fosse concesso di definir l’ingrata contingenza.
Riassunto quindi il maneggio, ricusì dapprima il Mussani, oltre la già assentita, di piegare ad ulteriori bonificazioni sulla massa del capitale; anzi con tutta pertinacia insistette sul compenso di 950 piastre, a titolo delle spese incontrate in un biennio, dopo la patita sciagura.
La mia fermezza irremovibile nella negativa del vagheggiato compenso lo persuase a declinar dalla data ricerca, e quindi raddoppiati gli sforzi del mio zelo per ridurlo a più discrete restrizioni, sono riuscito di concretar il suo rimborso a sole tredici mille piastre con assoluta quietanza.
Col ragguaglio Mercantile fu cadaun zecchino in talleri valutato a sei piastre ed un para; e perciò le tredici mille assorbirono talleri veneti quattro mille duecento novanta sette e mezzo, convenuti per intiero risarcimento; come Vostra Serenità può desumere dagli esemplari delle carte relative, che a prova non dubbia del mio assunto umilio ai sovrani rimarchi (numeri 1. 2. 3.).
Soddisfatto in me medesimo di aver con tale effettivo esborso, senza alcuna esterna ingerenza del pubblico nome, ridotta a buon termine l’imbarazzante incidenza, e di aver agli esteri autenticata la costante rettitudine del Governo nella (?) del commercio, e nell’esercizio di perfetta giustizia; tutt’altro aspettarmi dovevo, per amareggiar l’onesta mia compiacenza, e per invogliare in nuovi disturbi la mente pubblica, che il riscontro di nuove proditorie rappresaglie perpetrate dalla consueta, e tuttavia impunita mala fede di alcuni individui della medesima Comunità di Pastrovicchio contro due barche dirette alle coste di Antivari, e cariche di merci spettanti a sudditi ottomani.
Nel ragguagliarmi l’Illustrissimo Provveditor Estraordinario con espressa gaeta dell’ingrato emergente, me ne dettaglia le più minute circostanze.
Procedevano da Ragusi le due barche: la traversia de’ tempi le obbligò a gettar l’ancora nel porto di Budua: e dopo più giorni di tranquilla stazione, furono d’improvviso notturnamente aggredite con armi da fuoco dalle persone marcate al numero di sedici nell’annesso foglio (numero 4).
Tre individui dell’equipaggio restarono vittime di que’ furiosi aggressori; uno ferito cogli altri ha potuto a nuoto salvarsi; e le barche colle rispettive mercanzie caddero in mano della violenza di que’ sudditi; che frequentando senza riserve il delitto provocano e meritano gli effetti della Pubblica vendicativa indignazione.
A tal grado giunse la loro ferocia, che nel dì susseguente tesero agguato agli esteri fuggitivi, e forse col sacrificarli disegnavano di far perder le traccie dell’esecrabile delitto.
Altri però si salvarono in Budua, e quindi si ridussero in Antivari.
I primi portatisi innanzi l’Illustrissimo Provveditor Estraordinario reclamavano il castigo de’ rei, e il proprio compenso.
Riuscì a quell’attivo cittadino il ricupero delle due barche; studiò con forme blandienti di mitigar negli esteri il senso doloroso della sofferta disgrazia, e li suffragò nelle misure espresse nell’inserta polizza, che rassegno alla sovrana approvazione (numero 5).
Non paghi dell’accoglienza, dei sussidj, e dell’impegno che distingue il benemerito Soranzo nello studio di buona vicinanza coi finittimi ottomani, vollero ridursi personalmente a queste rive, ripetere alla carica le loro querele, fermi nell’idea di non rimpatriare, se non dopo conseguito l’intiero risarcimento delle robe rispettivamente loro asportate, e dopo la punizion de’ colpevoli.
Non facile per nessun riguardo ad esaudirsi il doppio loro voto, mi convenne coll’opera del fedelissimo dragomano, e dello stesso lor connazional Mussani tentar ogni risorsa per dissuaderli da un’indebita, ed inutile permanenza in questa piazza; [vaghi] tutti e tre, che il loro mantenimento, ricader dovesse fino all’ultimazion dell’affare, a solo carico della pubblica economia.
In si angustiante contingenza non altro ripiego mi si affacciò, fuorchè di provvederneli pel viaggio retrogado alla patria fra le misure limitate di 42 talleri, e di 150 libbre di biscotto, e confido, che l’equità di Vostre Eccellenze non sia per disapprovar il consiglio, a cui dura necessità mi ha indotto (6).
Gli altri superstiti all’enunciato infortunio spinsero le loro rimostranze al nuovo comandante di Scutari.
Assoggetto ai venerati riflessi sovrani in esemplari i due suoi fogli; col primo partecipa la morte di Machmut, e la fiducia di suo installa mento a quel Pasciallagio: sollecito di palesar sempre nella coltura di una amica vicinanza l’indole sua pacifica, e moderata; col secondo mi eccita a consumar fra i termini di giustizia il serio inconveniente, sicchè rassodata l’armonia fra i rispettivi sudditi cessi permanentemente ogni pretesto a qualunque ulterior reciproco dissidio, e confinario sconcerto (7-8).
Nelle mie risposte, che pur rassegno ai numeri 9-10, io mi sono prefisso di riconfermarlo nelle spiegate disposizioni ad una leal corrispondenza colla sicurezza di tutto l’impegno, perchè i malfattori Pastrovichi non trionfino nella loro sceleraggine.
Sulla base delle passate vicende, e delle pubbliche prescrizioni tentò la prudenza dell’Illustrissimo Provveditor Estraordinario di attrarre dentro i recinti di Cattaro i capi di quella Comunità, dove costituiti in qualità di ostagi agevolar gli si potesse l’attrappamento dei rei.
E’ degno di serio riflesso il foglio, (numero 11) col quale studiano di mascherar la decisa loro inobbedienza al ricevuto pubblico comando, e come predicando la propria innocenza, sull’affettata paura di essere custoditi dentro il circondario della piazza, protestano di non istaccarsi dalle loro case, e provocano l’autorità della carica estraordinaria a livellarsi quasi colla marcata specialità de’ sudditi mediante l’uso di un reciproco carteggio.
Mi è noto pur troppo, che eminenti oggetti occupano tuttodì i consigli della sovrana sapienza: alla stessa però è nota del pari (si condoni al dover dell’uffizio, ed alla ingenuità del mio zelo il rispettoso ricordo) la deficienza de’ mezzi, che mi angustia per ogni rapporto, che concerne il governo delle due provincie, sostenuto dalla mia tenuità con viste di onorato cittadino.
Ma dove mancano i mezzi manca sovente il consiglio.
Conosco quanto importa agli essenziali oggetti di stato il non lasciar impuniti siffatti eccessi, per se le misure immaginate dalla tranquilla maturità non corrispondono, si va incontro al certo rischio di viepiù compromettere colla sicurezza individua de’ sudditi il pubblico decoro in faccia ai nazionali, e agli esteri confinanti.
Mal soffrono i Pastrovichi la dipendenza.
Troppo vaghi de’ loro privilegi ne abusano senza riserva; la violenza del carattere li rende indocili alla rimostranze de’ proprj capi, il più delle volte complici della reità, o almeno soggezionati dalla preponderanza di un foriero partito.
Spoglia oggidì la provincia della squadra, affidati alla loro sinuosa posizione marittima possono senza rischio di se medesimi pirateggiar con danno del commercio, e con desolazione de’ sudditi ottomani.
L’orefice Costa fu da essi spogliato, e l’errario soffrì l’aggravio di 360 zecchini in talleri; il Mussani co’ suoi Compagni fu derubato di 15 mille piastre; e l’errario pagò per tal conto zecchini 2248 e è succede in oggi il terzo svaleggio, e si computa a otto mille piastre, non calcolata la vita di tre individui sacrificati: ma che saranno argomento di preteso compenso.
La giustizia sovrana calcolando la frequenza di tanti eccessi, e dei cruenti sacrifizi, che soffrì, e soffre per colpa di quella facinorosa popolazione saprò prefiger certa noma alla mia esattezza.
L’incendio delle piccole barche, consueti strumenti della pirateria, garantirebbe la sicurezza dell’acque suddite e l’incolumità del traffico per la via di mare: e la destinazione di un capo militare sostenuto da corrispondente forza oltremarina potria, senza alterar i loro privilegi, docilitar quei torbidi spiriti alla legge di leal sudditanza, e della dovuta moderazione.
Se il supplizio susseguita la colpa, giova lusingarsi che si minori il delitto; ma se ritarda , languido ne è l’effetto, anzi acuisce il mal talento a tentar nuovi eccessi; mentre l’impunità vieppiù li provoca.
Io ho azzardato alla sublime maturità di Vostre Eccellenze questi divoti cenni per impulso di patrio zelo, onde la pubblica economia non sia esposta a nuovi esborsi, ed affinchè sia garantito e dai sudditi e dai confinanti il supremo diritto territoriale.
Non è meno angustiante l’altro rapporto, che mi deriva dallo stesso Provveditor Estraordinario per rea opera de Gnegussani, e direttamente interessa la vita e le sostanze de Sudditi.
Nel giorno 31 Ottobre comparse uno stuolo di que’ feroci monticoli sopra la collina, che domina il sobborgo di Scagliari, ed inosservatamente calati già varj di essi, assalirono entro le proprie abitazioni que’ villici.
Feriti alcuni, gli altri avvisarono fuggendo del pericolo i vicini con terrieri, e quindi la piazza manifestando la forza del cannone fiancheggiò il coraggio degli abitanti, che sul momento uscirono dalla piazza per ripulsar gli aggressori, che risalirono il monte [impuni], lasciando estinto un suddito, e molti feriti.
Alle rimostranze del nobil huomo Soranzo mal rispose, e freddamente il Vladicca; che insuperbito dal suo trionfo sopra le armi del defunto Pascià Machmut. ed altresì confidando sull’influenza del [Preto] assai esteso in quella Provincia sembra ormai disposto a negligere quei riguardi, che si devono alla superiorità territoriale.
Coll’annessa lettera (numero 12) ho segnate a quel benemerito cittadino le istruzioni, perchè, al caso di nuovi insulti, non si risparmi la forza a salvezza comune; ma nello stesso tempo lo eccitai col mezzo di fidato confidente ad investigar le vere idee di quel sagace prelato.
Altre volte la sovrana munificenza discese a conciliarsi la deferenza dee Montenegrini con annua dispensa di pane, e soldo a’ suoi capi, e di qualche dignitoso regalo al Vladicca.
Dacchè furono sospese queste liberalità, sembra che siansi resi viepiù frequenti i disturbi, e le rappresaglie.
Se giovi ripristinar l’esempio della sapienza pubblica in addietro usato, deve deciderlo la virtù di Vostre Eccellenze, per me lo reputo la sola risorsa alla quiete di quella Provincia.
Il contagio non si dilatò fuori delle case dei due villaggi d’Imoschi.
Di 36 attaccati individui uno solo sopravvive: nelle turche dizioni infuria, e gli Ottomani usano tutta l’attenzione in difendersi. Grazie.
Zara Primo dicembre 1796.
Andrea Querini Provveditore Generale in Dalmazia e Albania.
12 allegati (24 cc.) indicati numericamente nel testo.

Nota: Arrivato il 5 gennaio 1797.

AS Venezia, Senato, Dispacci, Provveditori da Terra e da Mar e altre cariche, b. 467 (ex 662).
Trascrizione di Guglielmo Zanelli.



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